Il mio matrimonio con Megan

Questo sogno è stato fatto per metà in Inglese, ma ve lo traduco tutto in italiano così da poter comprenderne tutto il senso.

Alcuni di voi comprendono che questo stile strano è appositamente creato per riprodurre più fedelmente possibile le mie sensazioni durante il sogno (o almeno quello che sono riuscito a ricordarmi al mio risveglio), però ho deciso comunque di tradurre tutto in italiano togliendo un pizzico di autenticità .

Le mie sensazioni sono state, per la maggior parte, del sogno in inglese, infatti: posso considerarmi, in seguito alle mie esperienze, bilingue inglese (anche se non madrelingua) perché sogno e penso in inglese senza tradurre (come faccio nelle altre lingue che conosco).

Quindi buona avventura all'interno del mio strambo sogno (che potrà ricordare ad alcuni di voi la mia unica storia breve Fanfiction "Il matrimonio di Medea").



«E perché hai scelto di sposare Megan?»

Domanda del tutto lecita: perché mai io, diciannovenne, avrei dovuto sposare una bambina di soli sei anni?

È davvero bruttissima, grassa e fragile, sembra proprio una bambolina di porcellana dipinta malissimo: è cadaverica, ha una perenne espressione di disgusto e degli sfibrati capelli ricci.

Se questa è la bellezza di una principessa...

«Io... Io...»

«Lo so, tutti sappiamo che la ami, lo avrai ripetuto un migliaio di volte!»

Ah davvero?

Questa servitrice bionda mi sta davvero stressando.

«Ci vediamo domani per fartela conoscere prima delle nozze. È stato un piacere fare la tua conoscenza, ora la accompagno fuori dove suo padre la sta aspettando».

Sorrido alla servitrice e la seguo dietro la scrivania uscendo da una porta finestra con ricami lignei bianchi.

Nel buio del giardino, sento mio padre che mi chiama in italiano e non sento per nulla la mancanza di quell'accento britannico che tanto rimpiangevo a casa in Italia.

Corro da papà e lo abbraccio come se non lo rivedessi mai più.

È stato l'unico, purtroppo, a supportarmi in questo viaggio che ora rimpiango di avere iniziato.

L'indomani, papà mi accompagna in taxi fino alla strada che circonda la collina del palazzo in cui ci saremmo incontrati.

Mi batte una pacca sulla spalla e mi incoraggia.

Oggi vedrò per la prima volta in vita mia la mia futura sposa.

Costeggio il muro di pietra grigia della collina oltre il quale intravedo il verde del prato e le siepi mentre avverto il rumore delle cascate.

Trovo un sentiero di ghiaia crema all'interno del prato che, con le sue curve sinuose, mi conduce verso la parte più alta della collina dove si trova l'ingresso di una cappella molto particolare: le vetrate fra gli archi a sesto acuto sono di un verde molto opaco e scuro, così come il rotondo rosone sopra il porticato di pietra.

Con le guglie in alto e il colonnato sembra davvero una interpretazione neoclassica di una cappella che unisce lo stile gotico al tempio classico greco.

All'ingresso trovo un tappeto viola con sopra impresso un leone rampante dorato.

Un silente maggiordomo in nero apre il braccio invitandomi a entrare come se mi avesse riconosciuto.

Una volta entrato dalle limpide porte di vetro, noto che l'oscura chiesa gotica era ricoperta interamente di un bronzo statuario ossidato volontariamente e lucidato: infatti è lucente e ha una struttura olografica che ricorda le sfumature della pelle di un rettile.

Le enormi vetrate verdi opache non decorate lo rendono un luogo tetro e anche il pavimento è ricoperto con questa trama rettiliana ricreata con delle ofioliti levigate e lucidate.

Tutti gli oggetti di metallo, come i candelabri, le ringhiere e i cancelletti, tuttavia sono ricoperti da un materiale dorato che trova il suo punto focale sul lussuoso altare.

Una croce cristiana dorata completa di raggi a creare una corona brilla in lontananza in un tabernacolo dorato, il punto più luminoso e riflettente all'interno di quel buco oscuro.

Nell'oscurità che vive di riflessi, noto in lontananza che, nonostante l'altare sia allo stesso piano dell'ingresso, sotto c'è un buco: un sottopasso che conduce in un'altra parte della chiesa.

Percorro il lungo corridoio centrale fino a giungere al tabernacolo e scendo la ringhiera dorata fino a trovarmi sotto nel pianerottolo di un incrocio illuminato da delle luci LED circolari calde sul soffitto.

Dei servitori vanno e vengono per i corridoi ignorando completamente la mia presenza.

Salgo le scale del sottopasso e risalgo in una enorme stanza rotonda.

Qui le finestre sono verticali con assi di legno dipinte di bianco.

Il pavimento è di marmo bianco con motivi grigi concentrici fino al centro della stanza dove si trova una bussola dello stesso diametro del lucernario circolare che si trova in corrispondenza sul soffitto altissimo.

La stanza cilindrica infatti si completa con la cupola del lucernario che, però, non è decorata con affreschi e le pareti che contengono le altissime finestre rettangolari lignee sono puramente di un intonaco bianco.

Per tutto il perimetro della circonferenza della stanza, l'unico pezzo di arredamento sono queste librerie di legno marroni sulle quali sono posizionati numerosi libri sui quali dorsi è impresso uno stemma di ceralacca dorata che riporta il leone rampante del tappeto dell'entrata.

Questa piccola e candida perla sferica discosta molto dallo stile della chiesa e del sottopasso.

«Eccoti! Ti stavo proprio cercando!»

Avverto una voce femminile alle mie spalle mentre sento il suono di scarpe col tacco che rimbomba nella cupola della biblioteca della chiesa.

Mi volto verso l'ingresso alla stanza e vedo una alta donna dai capelli castano scuro salire le scale del sottopasso.

Indossa un elegante vestito nero illuminato dalla luce calda dei LED.

Mi sorride e prosegue: «Non mi hai riconosciuta? Sono Melania Trump, la first lady!»

In effetti quello strano accento americano stonava fra tutti quei lord britannici.

«Dai, vieni che completiamo tutte le pratiche!»

La first lady mi si avvicina e mi afferra con violenza il braccio trascinandomi fuori dalla cupola tramite le scale.

Al centro dell'incrocio, svoltiamo a destra e, in fondo al corridoio, entriamo in un piccolo ufficio.

Una porta finestra dà sul florido giardino con siepi e fontane neoclassiche scroscianti mentre la sala è scura arredata con mobili di mogano e numerose vetrinette contenenti riconoscimenti, medaglie e pezzi apparentemente di antiquariato.

Melania si siede dietro alla scrivania ed estrae di fretta dei fogli.

«Accomodati pure!» dice indicandomi una antica poltrona di pelle bordeaux e gambe in legno cucita con bottoni dorati consumati dal tempo.

«Prima di questo matrimonio, devo farti alcune domande, sei pronto per rispondere?» mi domanda sorridendomi.

Il cuore mi batte all'impazzata.

Le mie mani avvinghiano dal basso la poltroncina come se potesse aiutarmi a sfogare la mia perenne ansia interiore.

«Qui sui fogli ho scritto che scrivi per la maggior parte racconti brevi di vario genere, è vero?»

Confuso delle domande inserite nelle pratiche tento di risponderle: «Sì, effettivamente...»

«Perfetto!» mi interrompe Melania: «Non possiamo permettere che la principessa sposi persone che scrivono altro, sarebbe davvero una vergogna per la dinastia... Insomma, abbiamo bisogno di una persona di un certo calibro, non è vero?»

Mi guarda ancora sorridendo e inclinando la testa.

Il "certo calibro" dovrebbe essere rappresentato dal povero abitante di un paese contadino sperduto nella pianura padana italiana?

Comprendo l'importanza culturale della mia città, ebbene sì, però non trovo questo "certo calibro" nel mio essere spregevole.

«Potresti farmi un'ultima firma qui?»

Mi passa alcuni fogli e una penna stilografica che sembra essere Montblanc e leggo solo distrattamente "scrive storie brevi" su Wattpad in inglese sul documento.

Mi avvicino alla scrivania di mogano e impugno la penna preparandomi a fare la mia firma decisiva.

Alzo lo sguardo e la fisso negli occhi e lei mi guarda esattamente come ha fatto per tutto il breve periodo in cui l'ho conosciuta: sembra quasi indossi una demoniaca maschera sorridente che potrebbe convincere il più stolto ma non un abitante del "paes dal Capirissim".

Nonostante l'inquietudine, mi convinco a firmare quel dannato foglio che mi avrebbe incastrato.

Mi echeggiano in testa le parole di mio padre: "Ricordati che lo fai esclusivamente per i soldi, farai una vita da re, te ne sbatterai di quella bimba-minchia cessa e finalmente avrai quel denaro che da sempre avremmo voluto avere. Sarai il salvatore della nostra famiglia ormai in rovina".

«Grazie mio caro, abbiamo finito!»

«Signora? ...» tento di domandarle.

«Sì, Luca?» mi risponde in confidenza.

«Vorrei tornare in biblioteca, mi ha davvero rapito...»

«Andiamo subito!» dice euforica alzandosi in piedi.

«Io sono solo una segretaria ambasciatrice, ma tu ora sei ufficialmente un membro della famiglia reale, o almeno fino al matrimonio, sarà un successo!» conclude euforica.

Mi prende nuovamente con violenza la mano e mi accompagna nuovamente nel corridoio chiudendosi dietro la porta del suo ufficio.

Ma proprio quando stiamo per raggiungere il centro dell'incrocio, sento un servitore anziano gridare: «Fate largo signore e signori, sta transitando la principessa Megan».

Alla mia destra, provenienti dalle scale che conducono alla navata centrale della chiesa, quattro corazzieri in armatura stanno sollevando a mano un baldacchino di legno intarsiato con oro.

Mentre scendono i gradini, inizio a scorgere, nascosta dai voluminosi cuscini bianchi di piuma d'oca, dei riccioli castani.

Quando giunge al piano terra la vedo e una servitrice dai capelli mori con estrema delicatezza la prende in braccio dal baldacchino.

«Fate che non tocchi terra!» ordina il servitore che aveva dato l'annuncio di transito.

Megan è davanti a me.

I suoi piccoli occhi che sembrano biglie di vetro mi fissano.

Nonostante abbia solo sei anni, ha il volto piegato dalle rughe: ha una perenne espressione disgustata che non sembra voler lasciare il suo volto.

Quei riccioli sfibrati sono i capelli più orrendi del mondo e nemmeno la balia servitrice osa accarezzare la fanciulla di cristallo.

Mi hanno raccontato che è microcitemica e soffre già di una rara malattia congenita: la osteogenesi imperfetta.

Nonostante quello, essendo reale, si vede che è ben nutrita alla corte: sembra un quadro di Botero unito alla pazzia cubista dei volti di Picasso.

Più la guardo e più assomiglia, più che a un essere umano, a un pregiato animale da compagnia: la vergine cuccia, ecco chi mi ricorda.

E quella dovrà essere mia moglie?

Ma chi mai avrebbe voluto sposare quell'essere?

Per forza hanno accettato che potesse sposarsi con un contadinello padano!

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