3. Paura

Sapete che vuol dire essere esclusi? Io sì. E molto bene. Fin dalla terza elementare, per colpa di un bambino, mi sono sempre sentita esclusa da tutto. Attività scolastiche, classe, gruppi...tutto. Ero diversa. Una sconosciuta. Quasi non esistevo. Quest'anno, invece, sono io che mi escludo. Ho paura di relazionarmi perché penso che possano tradirmi, abbandonarmi e cose del genere come hanno fatto i miei ex compagni di classe. Ho paura di quello che può succedermi, ho paura di perdere contro la depressione, ho paura di rimanere ancora sola. Cerco solo un po' d'affetto. Solo questo chiedo. Niente di più, niente di meno.
«Mi, tu, su, nuestro, vuestro, su...vediamo se li hai capiti Mattia» dice Marina tenendo in mano il libro di spagnolo. Oggi entriamo alle nove e abbiamo la verifica di spagnolo, per questo stiamo ripassando in cortile in attesa della campanella che segnerà la nostra fine.
«Sì, li ho capiti» afferma Mattia.
«Fammi degli esempi» continua Marina mettendo il libro nello zaino. Lui si guarda intorno.
«Eva es mi gata» dice prendendomi per mano. «Eva es tu gata» punta il dito verso l'altra ragazza. «Eva es su gata» indica Alessio, che sta ripassando per l'interrogazione di Italiano.
«Sbagliato. Eva es mi gata» sento qualcuno che mi abbraccia dolcemente da dietro. Dal cappellino di stoffa nero capisco che è Federico.
«Fermi tutti! C'è una nuova coppia in città!» esclama Francesca sbucata dal nulla.
«Oh, ciao Franci...sei appena arrivata?» le chiede Marina dandole un bacio sulla guancia. Lei ricambia.
«Esatto! E proprio nel momento giusto, a quanto pare!» continua lei guardandoci. Arrossisco subito.
«M-ma quale coppia...?! Scherzi vero?!» le domando imbarazzata. Provo a staccarmi da Federico ma lui mi stringe ancora di più a sé.
«E anche se fosse? Non siamo mica famosi che deve saperlo il mondo eh...» le risponde ironicamente lui con tutta la tranquillità di questo mondo.
«Comunque non siamo una coppia...levatelo dalla testa proprio eh...» riesco a staccarmi da lui. Sento la campanella suonare. «E' suonata. Ci vediamo in classe...» finisco per poi dirigermi verso la porta d'ingresso. E' la verità: non siamo una coppia, anche se lo spero. Ma se lo spero, perché diamine me ne sono andata?! Sono strana, lo so. Certe volte nemmeno io capisco perché faccio alcune cose.
«Tsunderella!» mi chiama Federico. Una "tsundere" è una ragazza fredda, arrogante, ma che in realtà è dolce e affettuosa.
«Che c'è?» gli chiedo girandomi.
«Perché sei scappata?».
«It's none of your business» rispondo freddamente.
«Okay, okay...cambiamo domanda, piccola tsundere».
«Non chiamarmi così...non sono una tsundere!» gli urlo contro.
«Ho visto così tanti anime che ormai so riconoscere i diversi tipi di ragazze, e tu sei proprio una tsundere» mi spiega.
«Che dovevi chiedermi?» gli chiedo indifferente.
«Ah, giusto...hai studiato per Spagnolo e Inglese?».
«Spagnolo l'ho studiato venerdì allo studio assistito mentre tu facevi Italiano. Di Inglese non ho proprio aperto libro...» rispondo.
«E perché? Che hai fatto in questi tre giorni?!» mi chiede stupito.
«Il quaderno di lessico per Francese perché quell'antipatica della madrelingua ce l'ha chiesto». La scorsa settimana, lei mi ha rimproverata perché non mi ricordavo come si scriveva "cantante" in francese. Non ricordavo una parola, mica come si scriveva un'intera frase eh!
«Sei arrabbiata per l'altra volta, eh?».
«Sta zitto o potrei tirarti un pugno dritto nel naso» lo avverto.
«Ehi, ehi...ma hai il ciclo? O mi stai diventando un'assassina?» mi chiede ridacchiando.
«Mi girano le scatole di mio».
«E' per prima?».
«Sì».
«Scusami...non pensavo che ti saresti imbarazzata a tal punto...». Perché si sta scusando?
«Sì, va bene, scuse accettate. Ora muoviamoci che c'abbiamo la verifica e non voglio perdere dieci minuti, anche perché c'è pure la ricreazione» gli dico. Mi spiace usare questo tono con lui, ma mi ha fatto davvero imbarazzare.
Il compito di Spagnolo è andato, l'interrogazione di Inglese pure. Anche la verifica a sorpresa di Matematica, dove tutti facevano un sacco di calcoli al contrario di me. Tutti studiano, si impegnano. E poi ci sono io, una piccola artista che non sa stare un secondo senza disegnare. E' come una droga per me: non riesco a vivere senza. Amo il disegno, soprattutto manga. Non riesco proprio a studiare che subito prendo un foglio e faccio degli schizzetti così, tanto per tenermi in allenamento. E' per questo che in Storia e Matematica non ho la sufficienza e prendo sempre voti sotto il sette. Non sono come gli altri, non merito di stare in questa classe. Ho paura di diventare un peso per tutti, dato che faccio di tutto tranne che studiare.
Tornata a casa, mi scuso sul gruppo della classe su Whatsapp ed esco. Mi rannicchio in un angolo e inizio a piangere. Non sono come loro, non sono aperta e amichevole, non sono brava a scuola, non sono bella come le altre ragazze, non ho amici, non ho una vita stupenda come la loro, né tantomeno semplice. Non sono nessuno in confronto a loro. Francesca, Mattia e Laura ci sono, sì, ma quanto? Per la scuola e basta, non dopo. Nessuno dopo la scuola mi considera, resto sola in camera a disegnare e a sentire i miei litigare violentemente per i soldi che mancano. E se fossi io la causa dei loro litigi? Se fossi io che costo troppo? Dopotutto, i manga costano 3,40€ circa, le action figure una trentina di euro e il cosplay che vorrei portare al Lucca Comix costa un botto. Anche il materiale da disegno costa parecchio. E se fosse per colpa del mio essere otaku che mancano i soldi e che nessuno parla con me di cose non scolastiche? Forse sono davvero io la causa di tutto. Forse, per mettere fine ai litigi dei miei e farli fare una vita migliore, dovrei morire.
Sento il telefono vibrare: mi sta chiamando Federico. Che vorrà? Non sta studiando per l'interrogazione di domani? Accetto la chiamata e rispondo.
«Eva, mi vuoi dire per quale diavolo di motivo sei uscita dal gruppo?» mi chiede. Non rispondo.
«E' successo qualcosa? Ti abbiamo fatto qualcosa? Oppure è colpa della mia scenetta di stamattina? Per favore rispondi...» sembra preoccupato.
«Non è niente...non preoccuparti...» gli dico alla fine in mezzo a qualche singhiozzo.
«E allora perché stai piangendo? Avanti dimmelo Eva...! Siamo tutti preoccupati per te...». Preoccupati...? Per me...? Quando mai si è preoccupato per me?! Se ne sono sempre fregati tutti di me.
«Non sono a studiare Inglese per domani? Strano, dato che interroga quasi tutta la classe...» rispondo cercando di smettere di piangere.
«Ma che scherzi?! Come possiamo studiare così?! Sei uscita scusandoti per non so cosa e ci stiamo tutti preoccupando per te» mi dice alzando la voce.
«Per me...? E perché mai qualcuno deve preoccuparsi per me?».
«Perché siamo una classe unita e non lasciamo indietro nessuno! Siamo come una famiglia, l'abbiamo detto all'inizio dell'anno».
«Una famiglia...? Davvero ho una famiglia...?» chiedo incredula. Io ho sempre e solo avuto mia madre. Nessun altro.
«Eva, ma mi dici che cavolo hai?! Se ti senti esclusa me lo puoi dire...». Non rispondo.
«Non devi sentirti così, Eva. Nessuno è escluso. Ma perché ti senti così? Me lo puoi dire?».
«E' che...ho paura di essere un peso per voi...non prendo voti alti come i vostri, non m'impegno come voi...sono tutto in contrario di voi...» gli spiego continuando a piangere.
«Che mi dai 'sto telefono Fede?!» sento urlare.
«Eva, sono l'Ilenia. Ascolta, sono con 'sto ragazzo qui ora e ho sentito tutto. Sto scrivendo quel che dici sul gruppo della classe e siamo tutti d'accordo su una cosa: tu non sei un peso per noi. E per quanto riguarda lo studio, puoi benissimo studiare con qualcuno. Però ricordati che la 1°L è una famiglia e nessuno si deve sentire escluso! Hai capito?!» mi urla Ilenia, una delle due rappresentanti di classe, dal telefono di Federico. Non riesco a rispondere. Le lacrime iniziano a scendere più velocemente.
«Ascoltami, abbiamo deciso che venerdì si va tutti all'UCI a mangiare il sushi subito dopo la scuola e tu devi venire. La Franci ha detto che ti paga tutto».
«Venerdì sedici...? Al mio compleanno...?» le chiedo provando a smettere di piangere.
«E' il tuo compleanno?! E dillo subito! Si festeggia tutti insieme all'UCI!» esclama lei. L'UCI sarebbe il cinema vicino alla scuola dove sono stata l'altro giorno con Federico.
«V-va bene...vengo con voi venerdì...» le dico asciugandomi le lacrime. Dopo un po' riattacca e io rimango in quell'angolino seduta. Finalmente una vera famiglia? Finalmente posso scappare da questo mio spazio dove ho passato i momenti più brutti della mia vita? Finalmente posso iniziare a vivere?

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