1 - Estinzione e rinascita
Karl non riusciva a credere ai suoi occhi. Davanti a lui si estendeva un'infinita distesa di morte: il cimitero dei draghi.
Erano mesi che a Norendal giravano voci sullo sterminio di quelle creature, ma nessuno aveva dato loro peso.
E adesso, proprio lì, dinanzi al suo sguardo incredulo, centinaia di scheletri giacevano sul terreno bruciato e fumante. Il Re in persona aveva incaricato la sua squadra di esploratori di esaminare quel luogo desolato e confermarne la veridicità.
«È terribile...» disse in un soffio uno dei suoi compagni.
Camminarono in silenzio tra i resti delle carcasse, tappandosi il naso per non dover sopportare l'orribile puzza di carne bruciata che riempiva l'aria. Era uno spettacolo a dir poco terrificante.
Certo, gli umani non avevano mai avuto un rapporto amorevole coi draghi, ma sapevano che erano abitanti di quel mondo così come loro. E lo stesso valeva per tutte le altre razze di Norendal: nani, fate, umani ed elfi. Anche questi ultimi rischiavano di estinguersi. Ma chi c'era dietro tutto questo?
Karl, un uomo di quasi trentacinque anni e con parecchia esperienza alle spalle, aveva una sua teoria, ma quasi temeva di esprimerla ad alta voce.
Secondo lui, c'era lo zampino del Mondo delle Ombre, anche chiamato il Mondo Sconosciuto, il Mondo Nero, le Terre Inesplorate... Insomma, tutto il territorio non compreso nei confini di Norendal. C'era chi credeva che, in realtà, non esistesse proprio niente oltre i suddetti confini. Ne erano così convinti che addirittura rifiutavano anche solo l'idea della presenza di qualcosa o qualcuno di cattivo e sconosciuto. Rinnegavano il Male nella maniera sbagliata: negando la sua esistenza.
Karl sapeva che si sbagliavano.
Le Ombre erano reali quanto Norendal. Meno palpabili, certo, più discrete, ovvio, ma erano costantemente presenti e, a giudicare dallo stato di quel posto, non avevano buone intenzioni.
Il cielo era cupo, come se avesse assorbito il fumo grigio emanato dalla terra. Era tutto così... privo di vita. Mosse ancora qualche passo e, proprio quando stava per rassegnarsi all'assenza di qualche superstite, qualcosa attirò la sua attenzione: fuoco. Si avvicinò alla fonte dell'esigua fiamma e si ritrovò accanto ai resti di un guscio d'uovo. Tra le squame scheggiate, un corpicino andava letteralmente a fuoco. Un neonato?
Karl tentò di guardare oltre il crepitare delle fiamme e vide gli occhietti piccoli e vispi di una bambina: non piangeva, non si agitava; si limitava a scrutare l'estraneo che l'aveva trovata.
L'uomo si domandò cosa potesse fare. Come poteva prenderla in braccio e portarla via di lì, se la sua pelle bruciava? Doveva buttarle un secchio d'acqua addosso?
«Accidenti, Karl, è solo una neonata...» si rimproverò da solo. «Ok, piccolina. Stai tranquilla, va bene? Non voglio farti del male. Spegni questo incendio o non potrò portarti in salvo.»
Naturalmente, non ricevette alcuna risposta dalla creaturina in fiamme. Fece un respiro profondo e si prese di coraggio. Chiuse gli occhi e allungò le mani verso la bambina, sperando di non scottarsi. Raggiunse il corpo della piccola e risollevò le palpebre solo quando la mise al sicuro tra le sue braccia. Il fuoco era scomparso. Ne rimaneva solo un ricordo vago tra i fili rossi dei suoi capelli.
«Karl! Cos'hai lì?» urlò uno dei membri della sua squadra.
«Una bambina.»
Il suo compagno si avvicinò, seguito dagli altri quattro. Guardarono attentamente il corpo in miniatura della bimba e toccarono le manine calde e dalla presa ferrea.
«È forte! Ma che ci fa qui?»
«Non lo so, ragazzi.» Karl accarezzò la chioma rada della neonata. Era incredibile che fosse sopravvissuta a quella strage senza riportare alcun danno. Intatta, apparentemente in perfetta salute, e decisamente focosa.
«Fidatevi di me, non porterà nulla di buono. Una bambina nata in un campo di morte non è un buon segno.»
E non l'hai vista mentre andava a fuoco, pensò Karl in risposta alle parole del suo amico. In cuor suo, sapeva che non aveva tutti i torti. Ma come poteva una creaturina così indifesa rappresentare una minaccia?
«La portiamo al villaggio» sentenziò.
«I capi di Verk non saranno contenti...» mormorò uno degli altri.
«Io sono uno dei capi, Ted. Faresti meglio a ricordartelo.» Detto questo, Karl s'incamminò verso il villaggio, tenendo la piccola al caldo tra le sue braccia.
***
«Karl, sii ragionevole... Una neonata trovata in un cimitero di draghi? Di chi è figlia? Com'è arrivata lì?» Lionel, il più vecchio dei capi del villaggio, dalla barba lunga e grigia, non vedeva di buon occhio la trovatella.
«E cosa proporresti, Lionel? Non vorrai uccidere un'innocente!» Karl sembrava l'unico a difendere Nina -così l'aveva chiamata- da una morte certa.
«Ammazzare una bambina è fuori discussione!» intervenne Numa, il terzo e ultimo capo, nonché il più giovane e il più basso e, fortunatamente, il più paziente.
I tre uomini, capi del concilio di Verk, discutevano da ore. Da quando la squadra di esploratori era tornata al villaggio, la bambina era stata oggetto di numerosi dibattiti. Avevano informato il Re del suo ritrovamento, ma lui se n'era infischiato e aveva lasciato ai capi il compito di risolvere la questione. Dopo il primo giorno senza risultati importanti, i capi avevano deciso di affidare Nina alle cure di Meruvia, la moglie di Karl, fino a nuovo avviso.
«Non possiamo tenere un... un...» Mostro, concluse mentalmente Karl. Sapeva bene che il suo collega, molto più vecchio di lui, non apprezzava quelli diversi. Che fossero elfi, nani, fate o innocue bambine rinvenute tra le fiamme, per lui rappresentavano una minaccia al genere umano.
«Non osare, Lionel» lo avvertì, «Stiamo pur sempre parlando di una bimba.»
«Una bambina che prende fuoco. Alcuni abitanti me l'hanno riferito, non provare nemmeno a smentire.»
«Se avete finito di litigare, proporrei di concentrarci sulla soluzione» suggerì Numa, sospirando.
Non giunsero a una conclusione neanche dopo altre due ore.
Karl, stremato da quel continuo discutere, tornò a casa e salutò la moglie con un rapido bacio sulla guancia. Subito dopo volle vedere Nina, raggomitolata su se stessa in una vecchia culla gentilmente offerta dai vicini di casa.
«Anche oggi ha preso fuoco?» chiese distrattamente a Meruvia, mentre accarezzava con dolcezza la testolina della bambina.
«Sì. Ha bruciato la coperta ricamata che mi aveva regalato mia nonna.» La donna osservò con disprezzo l'affetto che suo marito dimostrava nei confronti di quella figlia di nessuno. Per quanti anni lei aveva desiderato una creatura tutta sua? E quante volte lui gliel'aveva negata? A causa sua, non erano diventati genitori. Meruvia aveva rinunciato alla possibilità di diventare madre per sottostare al volere del marito, il quale si diceva troppo impegnato nel lavoro per prendersi cura di una terza bocca da sfamare e amare. Ora, dopo anni di rassegnazione della moglie, Karl aveva portato in casa una neonata pescata tra i resti di un uovo di drago. Una bambina fuori dal comune, con la strana, assurda e fastidiosa abitudine di prendere casualmente fuoco. E per di più lui la trattava con fare paterno.
«Novità dal Concilio?» Meruvia voleva sbarazzarsi di quell'intrusa e non si preoccupava di nasconderlo al marito. La bimba, lo sapeva, sarebbe stata l'ennesima crepa nel loro matrimonio.
Karl scosse la testa, senza distogliere lo sguardo dalla neonata che intanto gli aveva afferrato le dita con incredibile forza. Udì vagamente sua moglie sospirare e allontanarsi da lui, come soleva fare ogni volta che voleva evitare battibecchi. Lo avvertiva dalle tensione nelle sue parole, dal risentimento malcelato e dalla freddezza dei suoi gesti: non lo amava più. E, se possibile, l'amava ancora meno da quando aveva portato a casa la piccola Nina.
Il mattino seguente, Karl si diresse per l'ennesima volta al Concilio, portando con sé l'oggetto delle discussioni. Una volta arrivato alla sede, posizionò una sedia al centro della sala e vi posò la bambina dormiente, poi si avvicinò ai suoi due colleghi.
«Che ci fa lei qui?» chiese Lionel, contrariato.
Karl non rispose. Poco dopo, Nina aprì gli occhi e si guardò attorno, ancora frastornata dal sonno. Quando puntò il suo pseudopapà adottivo, sia lei che la sedia presero fuoco.
«Karl, è oltraggioso!» sbottò il membro anziano.
«Vai da lei» disse semplicemente l'uomo.
«Fossi matto!»
«Ci vado io» annunciò Numa. Il giovane annullò la distanza tra sé e la bambina, e la fissò con curiosità: se non fosse stato per le fiamme che le crepitavano sulla pelle, sarebbe stata una banalissima pargola.
«Prendila in braccio» ordinò Karl.
Numa esitò. Come poteva pretendere una cosa del genere? Si sarebbe scottato! Ma Karl aveva usato un tono risoluto, gli era sembrato così sicuro di sé... Il ragazzo, presosi di coraggio, allungò le braccia verso la creaturina. Molto, molto lentamente, arrivò a sfiorarla con le dita nell'istante stesso in cui lei si spense. La sollevò con decisione e le sorrise.
«Ciao, piccolina.»
«Vedete? Non è un mostro, è innocua. Anzi, direi che è addirittura intelligente» dichiarò Karl, soddisfatto.
Numa porse il corpicino che teneva tra le mani a Lionel. Un po' riluttante, quest'ultimo lo prese e lo scrutò con un misto d'interesse e ostilità. Con le dita di nuovo incandescenti, Nina gli tirò la barba, bruciacchiandola.
«Ha bisogno di essere educata, nulla più» intervenne Karl in sua difesa.
Lionel sbuffò, stanco della vicinanza di quella mocciosa. «E sia! Può rimanere. Ma sarete tu e tua moglie a farvene carico e, se la... bambina... dovesse causare danni, ne risponderete voi.»
Karl sospirò di sollievo. Adesso doveva solo far sì che sua moglie accettasse Nina.
***
Il primo anno di convivenza con la bambina fu difficile da affrontare: Karl tornava dalle sue spedizioni quando il sole si apprestava ormai a tramontare, mentre sua moglie Meruvia trascorreva le sue giornate stando costantemente dietro alla piccola.
Oltre che alla vita matrimoniale, la donna aveva rinunciato a malincuore anche al tempo per se stessa.
Molte volte si vide costretta a giustificarsi con i vicini perché Nina, nei momenti più inopportuni, prendeva letteralmente fuoco davanti ai loro occhi, sempre all'improvviso causando, di tanto in tanto, incidenti di piccole entità.
Come se potessero esistere momenti più opportuni di altri per prendere fuoco.
Il suo astio verso quella piccola trovatella cresceva insieme alla bambina.
Suo marito invece, era amabile e cortese nei confronti di Nina, e rimproverava spesso alla moglie di essere troppo fredda e di mantenere un rapporto eccessivamente distaccato.
Da quando Nina era entrata a far parte delle loro vite, Meruvia sentiva che il suo legame col marito si andava dissolvendo col passare del tempo.
Un giorno, nel tardo pomeriggio, Karl tornando da una delle sue esplorazioni, trovò Meruvia in camera da letto, china sul pavimento, che tremava e stringeva qualcosa tra le braccia: sembravano delle lettere.
Si inginocchiò di fianco a lei e le appoggiò una mano sulla spalla, tentando di sollevarle il viso con l'altra.
«È un mostro!» urlò la donna, mentre si divincolava dalla stretta del marito e si affrettava a rialzarsi, lasciando cadere per terra ciò che le sue braccia avevano stretto per l'intero pomeriggio.
Meruvia rivolse uno sguardo colmo d'ira verso il letto, dove la bambina stava riposando, alzò il braccio destro pronto a colpirla, Karl intervenne prontamente e la bloccò.
La donna gridò e lo ritrasse spaventata, per poi uscire fuori dalla camera e dirigersi in fretta verso l'ingresso.
Karl raccolse le lettere che la donna aveva lasciato cadere poco prima, le stesse che i due, da giovani, si scambiavano durante le lunghe campagne d'esplorazione di lui, ed erano quasi tutte bruciate. Nessuna lettera era rimasta totalmente intatta, molte si erano sbriciolate al tocco delle sue dita. Accarezzò lentamente quelle pagine e si lasciò trasportare dai ricordi, ricordi in cui lui e Meruvia potevano ancora considerarsi marito e moglie.
Si sedette sul letto e si abbandonò ad essi passando delicatamente l'indice su quelle da cui trapelava ancora il sentimento di Meruvia.
Una piccola mano gli si posò sul ginocchio, Nina gli si era avvicinata gattonando sulle soffici coperte.
La bambina tese le braccia verso l'uomo che le aveva salvato la vita. Karl la sollevò e le diede un bacio sulla testa: «Cosa c'è piccolina? Sei stata tu a fare questo?» le chiese reggendo le poche missive ancora leggibili.
Lei sorrise, e Karl si sciolse nel vedere quel faccino tondo, rilassato e contento; era sicuro che Nina non avesse bruciato quelle lettere intenzionalmente, quindi non volle punirla.
Scese al piano di sotto insieme alla bambina e notò la porta lasciata aperta da Meruvia.
Dov'era finita?
***
Meruvia uscì da quella casa che non sentiva più sua e corse a perdifiato inoltrandosi tra gli alberi adiacenti al villaggio, alla ricerca di un piccolo spazio dove potersi distendere per liberare la mente.
Giunse sulle sponde di un piccolo lago nel cuore del bosco, si lasciò cadere in ginocchio e scoppiò in lacrime.
«Cosa spinge una donna così bella a disperarsi? È per amore che piangi?» chiese una voce alle sue spalle.
La donna si asciugò il volto bagnato con la manica del vestito, gemette dal dolore quando il suo braccio toccò le guance. Notò che la manica destra dell'abito era bruciacchiata, la tirò su scoprendo l'avambraccio e si accorse di alcune piccole scottature, risalenti a quel pomeriggio.
Nina si era addormentata da poco e lei l'aveva sentita piangere mentre stava ricamando un paio di calzoni appartenenti al marito; era entrata nella camera da letto e l'aveva vista agitarsi nel sonno litigando col lenzuolo della culla, così l'aveva presa in braccio ed aveva cominciato a camminare nervosamente su e giù per la camera, tentando di calmarla.
Alla fine si era seduta stanca sul letto e aveva poggiato la schiena sul morbido cuscino rimanendovi con la bambina sdraiata a pancia sotto sul suo petto. La mano le era scivolata sul comodino e, prestando attenzione a non muovere Nina, aveva aperto il piccolo cassetto in legno e ne aveva tirato fuori la vecchia corrispondenza scambiata col marito anni prima, quando lui era partito per la sua prima missione; immersa nei ricordi della sua adolescenza, non si era accorta della bambina che aveva ripreso ad agitarsi e in breve tempo alcune fiammelle avevano avvolto il pigiama della piccola, espandendosi fino alla veste della donna che, allontanando quelle carte ormai annerite, aveva subito provveduto ad estinguere quel piccolo incendio che stava avendo luogo sul suo talamo.
Aveva posato Nina sulle coperte per poter cambiare la sua veste, bruciacchiata qua e là, ed era stato in quel momento che si era resa conto di avere la manica destra piena di buchi ed il braccio ricoperto di scottature.
Alzò lo sguardo e vide davanti a sé un uomo dalle lunghe orecchie a punta.
Gli occhi castani di Meruvia incrociarono quelli azzurri dell'elfo, e il suo respiro si fece corto, mentre osservava quella possente figura avvicinarsi a lei.
«Chi sei?» chiese la donna, senza distogliere lo sguardo.
«Perdona la mia invadenza. Il mio nome è Jadiel, Principe degli Elfi.»
La donna ne fu immediatamente affascinata e, mentre lui le si avvicinava, lasciò scorrere i suoi occhi sul petto nudo dell'elfo.
Gli sguardi dei due danzarono a lungo, mentre il sole stava per calare. Jadiel si sedette a fianco alla donna, le accarezzò i capelli neri e le rivolse un'occhiata profonda.
Da quanto tempo, suo marito non le rivolgeva più tutte queste piccole ma piacevoli attenzioni?
Meruvia non ricordava l'ultima volta in cui Karl l'aveva guardata con affetto, premura, desiderio...
L'elfo cercò in quegli occhi scuri un gesto, qualcosa che lo avrebbe potuto far desistere dai pensieri che in quel momento albergavano nella sua mente.
Provò a sfiorarle una guancia, e lei non si allontanò, anzi; il suo volto spinse contro le dita di Jadiel e, non appena lui sentì la pressione del viso della donna sul palmo della sua mano, chiuse gli occhi e premette le labbra contro le sue.
Meruvia sentì le viscere fremere a quel tocco e si lasciò travolgere dalla passione che quell'elfo seppe tirarle fuori.
Tornata al villaggio, Meruvia rincasò senza preoccuparsi delle continue domande del marito; quella sera i due dormirono separatamente per la prima volta dopo quindici anni di matrimonio.
La mattina seguente, quando Karl uscì per raggiungere i suoi compagni, Meruvia fece il bagno a Nina ed uscì per andare al mercato.
La sera, al rincasare del marito, la donna uscì e raggiunse il centro del bosco per incontrare Jadiel. I loro incontri si protrassero a lungo nel tempo, finché una sera, sotto i raggi della luna che si specchiava nelle acque limpide del lago, senza pensieri nella testa, incurante del marito che si preoccupava per lei, della natura di quell'essere che l'aveva avvicinata in quella radura, Meruvia si concesse a Jadiel, Principe degli Elfi.
Nei mesi successivi, Meruvia e Jadiel si diedero appuntamento ogni sera nello stesso luogo, trascorrevano il loro tempo chiacchierando del più e del meno; lei si confidava con l'elfo raccontandogli dei problemi col marito, mentre lui le parlava del suo mondo, del suo popolo e della magia.
Il dubbio che sua moglie potesse avere un altro uomo si era già insinuato nella mente di Karl e, ogni sera, l'uomo provava a far desistere la donna dall'uscire di casa per incontrare il suo amante, ma alla fine la lasciava andare via, e con essa, l'idea che il loro matrimonio potesse ancora essere salvato.
Una sera, raggiunte le sponde del lago dove l'elfo la stava aspettando, Meruvia si tolse la veste ed entrò nelle acque cristalline per permettere a Jadiel di accorgersi del suo ventre.
«Meruvia, lasciami sentire il battito del suo cuore» le disse raggiungendola in acqua.
Una volta affiancatosi alla donna, le accarezzò lentamente la pancia e, guardandola negli occhi, le sorrise; Meruvia ricambiò quel sorriso ed abbracciò Jadiel.
«Tu hai saputo donarmi ciò che mio marito mi ha sempre negato, te ne sarò eternamente grata» disse la donna cingendo con le braccia i fianchi dell'elfo, poggiando la sua testa sul suo petto.
«La creatura che porti in grembo, tuo marito non avrebbe mai potuto dartela.»
«Cosa intendi?» gli chiese Meruvia.
«La vita che sta crescendo dentro di te, non è umana» rispose l'elfo.
«Potrebbe nascere una bellissima bambina umana, Jadiel.»
«No, Meruvia. Sarà un'elfa. La chiameremo Nerea, la terrai con te al villaggio, ma la porterai qui nel bosco così che io possa vederla crescere.»
La donna rimase scossa da quelle parole, non pensava certamente di tenere per sé la bambina, sapeva bene di dover permettere anche a Jadiel di partecipare al suo allevamento; ma la sicurezza e la durezza della voce con cui l'elfo le aveva annunciato della natura della figlia la turbavano; ma sarebbe stata la sua creatura, simbolo vivente del suo amore per quell'affascinante Principe.
Ma amava davvero quell'elfo? O gli era semplicemente grata per averle regalato una prole che fosse, finalmente, sua?
Nonostante Karl fosse perfettamente sano e in salute, si era sempre detto contrario all'avere dei figli, eppure da quando il marito aveva trovato quel piccolo esserino in mezzo alle fiamme, la sua opinione pareva esser cambiata.
Meruvia non avrebbe rinunciato alla creatura che stava crescendo dentro di lei, l'avrebbe messa al mondo e l'avrebbe accudita. Quella almeno, seppur non umana, sarebbe stata sua figlia.
Più la pancia di Meruvia cresceva, più la donna cercava di nasconderla agli occhi del marito, indossando vesti molto ampie.
Arrivò però il giorno in cui Karl, sdraiatosi sul letto accanto alla moglie mentre questa dormiva, le cinse la vita con un braccio, posandole un caldo bacio sul collo; era stato in quel momento che si era reso conto che sua moglie, per interi mesi, gli aveva nascosto una gravidanza.
Era sicuro di non poter essere lui il padre di quella creatura, perché era dal giorno in cui aveva portato Nina in quella casa che Meruvia non gli si concedeva.
Il mattino seguente, si udirono urla ed imprecazioni provenire da quelle quattro mura.
«Pensavo mi amassi, Meruvia» disse Karl alla moglie, con un velo di tristezza nella voce.
«Infatti è così Karl, ti amo. Non ho chiesto al Concilio di concedermi la separazione quando hai portato Nina in casa mia, anche se avrei potuto farlo, questo avrebbe dovuto farti comprendere quanto è forte il mio amore per te. Ma non posso accettare che il nostro matrimonio sia stato messo in secondo piano da una bambina che non è neppure nostra.»
«Pensavo ti saresti abituata all'idea di crescere Nina come se fosse nostra figlia, ma tradirmi... Perché?»
«Pensavo ti potessi abituare all'idea di crescere questa come se fosse nostra figlia» aggiunse lei accarezzandosi la pancia.
«Ma io non ho dormito con un'altra donna, Meruvia!»
La donna, sebbene avesse coscienza del grave gesto che aveva compiuto concedendosi a Jadiel, si disse che a quel punto sarebbe stato inutile pentirsene.
Karl decise di continuare la sua convivenza con Meruvia, ma se fino a quel giorno il loro rapporto era stato freddo e distaccato, da quel giorno fu quasi inesistente.
Cinque mesi dopo, Meruvia sentì la bambina che aveva in grembo muoversi e spingere verso il basso; una fitta lancinante le attraversò il ventre per poi disperdersi una volta giunta alle cosce.
La donna prese con sé Nina e si affrettò a raggiungere il lago al centro del bosco, sperando di non partorire lungo la strada che, seppur breve, le costava fatica; poco le importava se la bambina di fuoco avrebbe potuto diventare incandescente in qualsiasi momento e bruciarle un'altra veste.
Una volta arrivata, urlò a gran voce il nome di Jadiel, richiamando così l'attenzione dell'elfo che corse immediatamente verso la donna, portando con sé altri elfi, tra i quali anche sua madre, la regina Idra.
L'elfo le strappò la bambina dalle braccia e si allontanò stringendola a sé; nel frattempo la regina si avvicinò alla donna in preda ai dolori delle doglie, la fece entrare in acqua e, reggendole la testa, la assistette nel parto.
Poco dopo, il pianto di un neonato riecheggiò sulle acque del lago; la neo-mamma, tra le lacrime, riuscì solo a sussurrare il suo nome: «Nerea...»
Una volta nata la bambina, alcune donne tra quegli elfi che si erano avvicinati, avevano aiutato Meruvia a ricomporsi e ad uscire dall'acqua.
La regina, ancora in acqua con la bambina, la immerse nel lago e la benedisse, per poi sollevarla fiera al di sopra della sua testa e mostrandola al padre, che la osservava dalla sponda.
Gli elfi che avevano assistito alla nascita di Nerea, si inchinarono riconoscendola come la loro Principessa, e nella notte festeggiarono la venuta al mondo della piccola erede al trono.
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