FEBBRAIO 2012

Oggi è il mio primo giorno di lavoro. Una data qualsiasi. Inutile, anche. Importante, forse.

Di una cosa però sono certo. Che se faccio ritardo al lavoro Sirius mi ammazza.

Sono un barista in un noto nightclub gay di Black Angel City, il Freedom.

Ho da poco compiuto ventuno anni. Prima il mio padrino, Sirius appunto, non aveva alcuna intenzione di assumermi, pur essendo un barista migliore nonostante la mia giovanissima età, di quelli che erano in regola da una decina d’anni più o meno nel suo locale. 

Fare il barista è sempre stato il lavoro che ho sognavo.

Non mi é mai interessato andare all'Università, è stato un miracolo diplomarmi con il minimo indispensabile. Non ho mai amato star chino sui libri, se potevo scegliere, preferivo quando il capitano della squadra di baseball del mio liceo mi sbatteva a novanta sul banco dell'aula di chimica e mi faceva vedere le stelle tra le varie boccette che ci circondavano.

Una volta avevo anche rotto un microscopio perché mi ero aggrappato ad esso talmente forte che lo avevo staccato dal suo appoggio e l'avevo fatto cadere rovinosamente a terra mandandolo in mille pezzi.

L'insegnante di chimica aveva poi dato la colpa ad una povera classe ignara di quello che era successo il pomeriggio prima.

Nonostante il mio diploma, con i miei genitori le cose non sono mai andate bene, mio padre, ex hiocatore di baseball professionista, litigvo in continuazione perché luivpleva

Sirius ha costruito dal nulla, alla fine degli anni novanta, un club Lgbtq+ perché si era stancato di frequentare locali puzzolenti con gente disgustosa. 

Grazie alla costruzione del locale aveva conosciuto Remus, un architetto che insegnava alla Black Angel City High School. Tra i due fu colpo di fulmine e nemmeno un anno dopo i due erano convolati a nozze.

Tre anni prima avevano anche avuto il loro primo figlio, Edward, per tutti Teddy.

Quando Remus mi aveva chiesto se avessi piacere ad essere il padrino di suo figlio ero scoppiato a ridere pensando fosse una barzelletta.

Io? Harry Potter padrino del figlio del mio padrino?

Solo a dirlo sembrava uno scioglilingua. Avevo avuto il sospetto che Sirius non ne sapesse nulla, così avevo fatto il vago e non avevo dato una risposta a Remus.

Era stato Sirius a scioccarmi e sconvolgermi quando era piombato nel mio appartamento facendomi una sceneggiata offesa perché non avevo dato una risposta affermativa a Remus.

Poi avevo scoperto che era stato proprio Sirius ad avere l’idea di farmi essere il padrino di suo figlio.

Alla fine avevo accettato. Non dopo aver obbligato Sirius a rimettere in ordine i fogli che avevo sul tavolo della cucina e che racchiudevano l’orale per la maturità.

Alle nove e un quarto di sera esco dal mio appartamento per andare al lavoro.

Attraverso la strada, vado alla fermata e aspetto il mio autobus. 

Il bus è sempre il solito. È a tre piani, di colore blu. Il controllore si chiama Stan, l'uomo alla guida è un vecchio che porta dei grandi occhiali tondi con lenti spesse come fondi di bottiglia.

Appesa allo specchietto c’è una testa di bambola che parla e da indicazioni.

Infilo una mano in tasca, sto per accendermi una sigaretta quando vedo comparire al centro della strada il nottetempo.

Si ferma davanti a me facendo un rumore infernale e poi sulle scale compare la figura alta e magra di Stan. Sul capo porta un berretto blu che ricorda molto quello di un poliziotto.

“Biglietto!” dice con voce annoiata il ragazzo.

Porgo il mio galeone e il ragazzo mi consegna il biglietto già obliterato che stampa personalmente dalla macchinetta che tiene al collo.

Mi guardo attorno. Nonostante l’autobus sia come al solito vuoto, Il mio posto preferito, quello dietro l’autista, è già occupato.

Vado a sedermi in un posto poco lontano, accanto alle porte di salita e discesa.

Mi siedo e poi guardò in silenzio fuori dal finestrino.

L'autobus è ripartito, non senza qualche incidente.

Tutti sanno che bisogna reggersi saldamente ai pali quando l’autobus riparte.

Un barbone, palesemente ubriaco, cade rovinosamente a terra.  Nessuno si alza per controllare che stia bene.

L’uomo è a terra, su un fianco.

Nessuno muove un muscolo, nemmeno Stan Picchetto che si porta la sigaretta che ha dietro l’orecchio alle labbra. Non l’accende. È severamente vietato fumare sul nottetempo.

Stan tiene la sigaretta tra le labbra solo quando è preoccupato per qualcosa. Ormai lo  conosco bene.

Nel silenzio generale, L’uomo a terra fa un grugnito e poi comincia a russare.

Vedo Stan prendere un respiro e poi voltarsi. Riporta la sigaretta all’orecchio.

Io mi volto di nuovo verso il finestrino  e osservo i negozi ormai bui che scorrono davanti ai miei occhi.

Controllo il cellulare. Fortunatamente non ho ancora ricevuto alcuna chiamata  di rimprovero da parte di Sirius.

Forse oggi sarà di buonumore. Remus deve amarlo davvero tanto se non si è mai lamentato del suo comportamento schizzato. Ma credo che sia Remus a comandare a casa e Sirius è sempre docile e buono con lui.

Una volta sono  rimasto a cena a casa loro dopo aver fatto da babysitter a Teddy; Sirius era tutto dolce e seguiva Remus come un cagnolino. Io avevo fatto di tutto per ignorare il vistoso succhiotto che brillava sul collo del mio padrino. Anche Remus non ci andava leggero con i morsi.

Afferro il cellulare dalla tasca dei jeans ed entro su Foursquare. La mia applicazione preferita, o una delle tante, insieme a Twitter.

Schiaccio i tasti sullo schermo e faccio sapere ai miei amici che sto tornando al lavoro. L'autobus oggi va veloce. Non c'è nessuno per strada.

Si ferma in piazza, come al solito. Salgono un sacco di ragazzini che si fingono grandi con bottiglie di birra in mano, urlando parolacce e bevendo nonostante il loro fisico sia ancora troppo giovane per reggere dell’alcool. Prevedo conati di vomito a breve.  Fanno chiasso. Li guardo male perchè mi disturbano. Disturbano i miei pensieri. Ultimamente sono molto pensieroso, mi sento inquieto.

L'autobus chiude le porte.

I ragazzini si allontanano andandosi a sedere al piano superiore. Appoggio la testa sul finestrino. Mi sento strano.

Poi eccolo. Eccolo il motivo di tanto tormento.

L'autobus si ferma alla fermata successiva.

A salire, un ragazzino alto sul metro e ottanta, magro, capelli biondissimi lunghi fino al collo.

Lo vedo fissarmi per un secondo. Ha gli occhi grigi.

Due occhi che ormai mi sogno la notte ma lui non si accorge di me.

Mi da le spalle andandosi ad aggrappare al palo che c'è accanto a Stan Picchetto.

Osservo il suo zaino nero sulle spalle, sembra molto giovane. Uno studente, forse? Le scuole però sono già chiuse da un pezzo, ormai.

Il mio sguardo scivola lungo la sua schiena e si ferma sul suo sedere.  Ha due natiche piccole, sicuramente sode, tonde e sporgenti. Sento tutto il sangue defluire dal cervello tra le gambe. Sento il pene irrigidirsi tra le gambe e sussulto.

Che diavolo?!

Mi sento in imbarazzo così chiudo gli occhi per cercare di prendere un po’ di controllo.

Non posso fare certi pensieri, sono in un luogo pubblico per la miseria!

Apro gli occhi. Il ragazzino è ora’ accanto a me. Mi sento emozionato, non posso impedirmi di ammirarlo. E’ splendido.

Ha la pelle bianca come il latte, è liscia e ha le labbra rosa carnose. Dio quanto vorrei baciare quelle labbra, ormai sono diventate il mio tormento.

Mentre sono perso tra i miei pensieri peccaminosi, lo vedo schiacciare il pulsante di fermata.

Per un attimo i nostri sguardi si incrociano e il mio cuore sussulta. Lui scende ed io mi volto per guardarlo fuori dal finestrino. Lo vedo camminare per la strada, chissà dove abita.

So solo che la fermata è quella del ponte dell'autostrada. Mi mordo un labbro e mii sento triste. L'ho perso, ma adesso non devo pensarci.

Devo andare al lavoro ed io devo stare attento.

Ho già detto che Sirius mi ammazza?

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