Capitolo 31: donna di marmo
Nel proprio ufficio la preside Saphira stava sistemando tutto in ordine maniacale. Passava spesso le dita sui contorni dei propri libri, quaderni e fogli, in modo che tutto fosse perfettamente simmetrico o parallelo ai bordi della scrivania e alle penne. Era un tic che non si accorgeva nemmeno di avere, le veniva spontaneo anche durante le conversazioni con gli altri. La simmetria, l'ordine, la perfezione delle forme geometriche le dava un senso di pace indescrivibile.
Non aveva passato il bando per cambiare liceo, ma lo stesso giorno che aveva fatto questa orribile scoperta, aveva anche scoperto che il LAST aveva vinto un altro bando: la sua scuola aveva vinto un importante finanziamento, soldi che avrebbe usato per richiedere più personale e attività e materiale nuovo. Quella scoperta aveva cambiato tutto. La sua sconfitta si era improvvisamente trasformata in una vittoria. Vedeva sempre e solo il peggio del suo liceo, ma non si era resa conto che da quando era in carica le cose stavano funzionando meglio. Il suo perfezionismo le faceva credere sempre di non fare abbastanza, ma la realtà era che prima che lei fosse preside le cose erano ben peggio. Per quanto gli studenti fossero sempre gli stessi disagiati, lei era riuscita a portare un ordine e importanti miglioramenti. Certo, non aveva sempre usato metodi moralmente giusti, ma poco prima che entrasse in quella scuola come preside c'era stato un suicidio ed era la norma che i ragazzi spacciassero e facessero uso di droghe pesanti nei bagni. Lei aveva puntato subito al sostegno dei soggetti fragili e al controllo di quelli aggressivi e popolari e aveva funzionato.
Aveva capito che Chara controllava i giri illegali e al posto di iniziare una guerra contro di lei per riuscire a denunciarla, ci aveva creato un alleanza con regole ben chiare. Era riuscita ad aver il suo rispetto, ad averla dalla sua parte.
Chara aveva messo fine ai litigi e al bullismo terrorizzando qualsiasi bullo e mettendolo al proprio posto. E aveva messo fine allo spaccio e uso dentro alla scuola. Certo in cambio se lei veniva beccata in flagrante doveva chiudere un occhio, ma per la maggior parte non si faceva beccare.
Sapeva che non era molto morale, ma era una studentessa più che maggiorenne e soprattutto la sua insensibilità totale la rendeva irrecuperabile, espellerla non l'avrebbe cambiata, né avrebbe migliorato la situazione a scuola. Alla fine aveva fatto la cosa migliore per tutti, per quanto si vergognasse dei mezzi il fine positivo li giustificava.
Stava attendendo la nuova psicologa per accoglierla e introdurla nella propria scuola, quella prima si era licenziata dopo aver fatto qualche sedute con Chara per la sua condotta aggressiva.
Non era preoccupata, né nervosa, come nella maggior parte dei casi Saphira non provava nulla. Un nulla piacevole, orientato al presente, agli obbiettivi, un nulla emotivo che veniva soffocato dai suoi pensieri, pensieri su ciò che aveva sistemato e ciò che doveva ancora sistemare. Forse era quello che attraeva di più di una donna come lei: la sua rigida compostezza che dava subito a vedere la sua fermezza e dominanza, e forse faceva immaginare scenari perversi. Pertanto Saphira da sempre aveva attirato determinati tipi di donne: donne dolci, docili, e in alcuni casi persino ragazzine un po' troppo giovani per lei.
Saphira sapeva di piacere anche a Cecilia l'insegnante di sostegno e sua vicina di casa, e anche a lei non dispiaceva. Le piacevano le donne passive, le piaceva dominarle, avere il controllo sessuale e farle godere, le piaceva la dolcezza e cura che le veniva ridata indietro, ma le piaceva tanto quanto la terrorizzava.
Era pessima con le emozioni, proprie e degli altri. Il suo tono sempre distaccato, freddo e il suo volto impassibile dotato di poche espressioni facciali, la rendeva una pessima partner, ma forse ciò che più la rendeva imperfetta per amare era la sua più grande ragione di vita: il lavoro.
Saphira non avrebbe messo nessuna donna prima del proprio lavoro, e questo lo trovava corretto, ciò che odiava di se stessa però era la propria insensibilità. Riusciva sempre a dire le cose sbagliate, a spezzare cuori, a non amare come veniva amata. Odiava essere amata perché il suo modo di amare era freddo e distaccato, mentre le sue amanti erano calde e sensibili. Sentiva sempre la responsabilità di essere perfetta, di non ferire, di fare la cosa giusta: e matematicamente sbagliava e chiudeva tutto per evitare l'ennesima relazione tossica con dinamiche di potere.
Le venne una morsa al cuore e il volto di Ginevra le venne in mente. Ginevra era una studentessa di quinta. Lei non avrebbe mai avuto una relazione con una studentessa, ma qualcosa era scattato senza che nessuna delle due lo dicesse. Ginevra era la ragazza migliore della scuola, non faceva che vincere concorsi e prendersi la briga di organizzare attività di tutor tra pari, per questo era stata spesso nel suo ufficio da sola.
A furia di parlare di letteratura, di lavorare in silenzio vicine, di discutere di complesse problematiche in cerca di una soluzione, Ginevra si era innamorata di lei, e la cosa le aveva fatto egoisticamente piacere. Ogni volta che il volto dolce e innocente di Gin si era tinto di rosse lei aveva trattenuto un sorriso complice. Le aveva concesso delle carezze sulla schiena, dei complimenti in più per vederla tingersi di gioia e imbarazzo, ma quando si era resa conto di essersi innamorata anche lei, la situazione era diventata problematica.
Si era ritrovata in una trappola emotiva. Aveva un potere immenso e enormi responsabilità nei confronti di quella ragazza, era consapevole che Gin era una ragazza sensibile e fragile, e più di una volta si era confidata con lei sui problemi familiari scoppiando in lacrime, erano diventate emotivamente intime. Teneva a Gin, forse l'amava anche perché aveva voglia di baciarla e voleva solo vederla felice, ma quando la situazione si era fatta palese. Quando i silenzi e gli sguardi avevano iniziato a pesare, allora Saphira era caduta nel terrore che una delle due parlasse e rendesse tutto reale, un enorme problema reale.
Così Saphira, consapevole fosse tutta colpa sua, dei suoi gesti e delle sue attenzioni, consapevole della responsabilità che aveva e che avrebbe dovuto avere anche prima, aveva fatto la cosa peggiore che avrebbe potuto fare: aveva smesso di farla venire nel suo ufficio, iniziando ad ignorarla.
In corridoio si allungava la strada pur di non passare davanti alla sua classe. Era distrutta dal senso di colpa, la vedeva cercarla con lo sguardo al bar le volte che si incrociavano e notava i suoi occhi lucidi e il suo fuggire in bagno subito dopo averla vista. Le aveva spezzato il cuore e quando aveva trovato il coraggio per parlargliene aveva solo peggiorato le cose.
"Ginevra, avrei dovuto dirtelo prima, ma credo sia meglio non farti venire più qui. Non penso sia corretto che io stia tanto a contatto con uno studente, rischio favoritismi e tu rischi di essere presa di mira. Mi dispiace, sono la preside e ho delle responsabilità. Organizzerai tutto ciò che devi con un insegnante a cui darò questo incarico. Sono mortificata, spero tu possa capire e perdonarmi. Scusa." sarebbe potuto essere anche un discorso convincente, se non fosse uscito dalla voce piatta e glaciale di Saphira e dai suoi occhi grigi e taglienti per natura.
Aveva visto la ragazzina farsi piccola e spezzarsi dentro, si era odiata e sentita terribilmente in colpa. Avrebbe pianto se ne fosse stata capace, perché l'unica cosa che non voleva era ferirla.
Avrebbe voluto dirle che non si era immaginata nulla, che ricambiava i suoi sentimenti. Che la trovava di una bellezza inaudita, che la sua dolcezza e delicatezza era qualcosa di tanto angelico che non tutti meritavano. Avrebbe voluto stringerla e baciarla, piangerle davanti e piegarsi ai suoi piedi per chiederle perdono di tutta quella sofferenza. Avrebbe voluto farle capire che proprio perché l'amava tanto, non poteva permettersi di starle così vicino, perché d'altronde lei era una donna adulta algida, mentre lei una ragazzina che meritava un amore dolce quanto il suo.
Invece Gin quella sera piangendo nel suo letto, pensò solo di non essere amata, pensò di aver sbagliato qualcosa o di essere stata di troppo con le sue lacrime e i suoi problemi e si maledì per aver rovinato quella relazione magica e speciale che aveva custodito tanto. Non aveva idea, di come Saphira dal suo metro e ottanta morisse ogni volta che la intravedeva, di come si sentisse inadeguata ad amare.
Ormai Saphira lo aveva capito: non era fatta per amare, al massimo sarebbe riuscita a stare con qualcuno di tanto freddo quanto lei, qualcuno che non si spezzasse davanti alle sue parole dirette e fredde, qualcuno di infinitamente più razionale e meno emotivo.
Due colpi bussarono alla porta, poi la porta si aprì svegliandola dalle proprie riflessioni.
«Buongiorno, è lei la preside?»
Una donna magra e interamente vestita di nero entrò nel suo ufficio. I capelli corvini le ricadevano sotto le spalle. Era ben curata nei dettagli, il rossetto rosso sangue metteva in risalto i suoi occhi ambra.
Presa alla sprovvista Saphira ci mise un attimo per rispondere, si alzò in piedi impacciata.
«Sì, lei è la nuova psicologa della scuola?»
Non le piaceva che non avesse aspettato il permesso per entrare, lo trovò maleducato. Bussare e entrare non aveva senso.
«Esattamente. Piacere Erzbeth Bathroy. Ma mi chiami solo Bathory, è più semplice», le tese la mano.
Dato che il cognome suonava più semplice del nome accettò l'invito.
«Piacere Bathory. Può chiamarmi Saphira, o preside se preferisce. Poco importa», si strinsero la mano entrambe in modo forte e sicuro.
Saph faceva sempre caso alla stretta di mano degli estranei, era un ottimo modo per farsi un'idea iniziale.
La invitò ad accomodarsi e entrambe si sedettero e studiarono meglio.
Bathory, mentre la preside la accoglieva e le spiegava le basi, passò il proprio sguardo minuziosamente sui dettagli del corpo forte e androgino della preside, e forse, con un velo di malizia che voleva mostrare. Le piaceva il suo volto spigoloso, lo sguardo duro e apatico, il taglio ordinato e i capelli biondo platino. Era una donna attraente, emanava sicurezza e potere. Le piaceva anche la sua voce, calma e sicura che si abbinava perfettamente al suo aspetto.
Era sicuramente lesbica, ed era il tipo di donna tendenzialmente maschile ma delicata che sarebbe piaciuta a qualsiasi altra donna. Pensò che se le fosse venuta voglia nel corso dell'anno scolastico, allora se la sarebbe presa.
Mentre Saphira provò a concentrarsi di più sulle proprie parole e a non farsi distrarre dai suoi sguardi ambigui. Provó a non pesare di essere davanti ad una bella donna, per evitare eventuale imbarazzo, ma non le era mai capitato di trovarsi di fronte ad una donna del genere. Non era come lei, era estremamente femminile: portava dei pantaloni lunghi e neri eleganti, dei tacchi alti e rumorosi, e una camicetta da donna porpora abbinata al suo rossetto, che mostrava lievemente la scollatura. Le unghie erano particolarmente lunghe e nere e il suo volto era ben truccato, senza alcun segno di sbavatura. Sembrava un attrice più che una psicologa, sicuramente sarebbe stata un'ottima scelta per un remake della famiglia Adams.
Nonostante tutto, o forse proprio dato il suo aspetto tetro, non le ispirava fiducia, al contrario a pelle le dava l'impressione di essere una criminale. Il suo sguardo fermo era innaturale, ed era particolarmente simile a quello della studentessa Chara o di qualsiasi persona antisociale che avesse mai visto.
«Gentilissima. Sarò felice di lavorare con lei e prendermi cura dei ragazzi qui»
«Bene. Sicuramente i ragazzi hanno bisogno di lei, abbiamo molti casi... particolari in questa scuola. Avrà molto lavoro da fare»
«Non vedo l'ora. Preside», marcó immaginando di darle fastidio, ma Saph la guardò seria e sorrise per quel poco che il suo volto le concedeva di fare.
«Mi segua la accompagno nel suo ufficio»
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