La lunga notte di Ebanister
«E questo secondo Ernesto sarebbe il mezzo che passa inosservato?» disse Bagus sfregandosi il fondoschiena.
A notte fonda i maghi, con parrucca incantata sul capo, giunsero, a bordo di un calesse guidato da un vetturino e un cavallo fantasma, davanti a una piccola abitazione avvolta nella nebbia.
Era una casa con il tetto spiovente alta e stretta e con qualche cespuglio trascurato nel minuscolo giardinetto antistante; la si sarebbe potuta definire, senza timore di sbagliare, una delle tante comunissime abitazioni in mattone rosso di Canonbury, se non fosse stato per due piccoli dettagli: il fatto che fosse l'unica casa della strada immersa in una fitta nebbia e che fosse l'unica con un vecchio in vestaglia di vedetta alla finestra del primo piano, con una bacchetta magica puntata minacciosamente verso la strada.
«Vi attendevo!» si annunciò l'uomo, agitando nervosamente la verga. «So chi siete e so benissimo cosa volete da me. Andate via!»
«Ebanister, ci lasci entrare!» disse Gustaf. «Non vogliamo farle alcun male, mi creda».
«Nemmeno per sogno!» gli rispose il vecchio pronto a esplodere un incantesimo. «Vi avverto! Fate anche solo un altro passo e vi ritroverete arrostiti» e per mostrare che faceva sul serio, biascicò due parole e roteò la bacchetta, colpendo la siepe del vicino con una sfrigolante onda verde.
«Questo è tutto?» chiese Bagus, constatando che la siepe aveva perso solo qualche foglia.
«Beh... questo era solo un giro di prova» chiarì il vecchio, tamponandosi naso e mento sudati con un fazzoletto, «il prossimo colpo sarà devastante!»
«Ebanister» disse Gustaf, avanzando lentamente, «perché non cerca di essere ragionevole e mette da parte quella bacchetta?»
«Vi piacerebbe. Non è vero?» rispose il vecchio, scagliando un nuovo incantesimo. «Beccatevi questo!» il cancello d'entrata iniziò a ringhiare e la cassetta della posta, a cui erano spuntati un paio di canini affilati, iniziò ad addentare l'aria.
«È forse impazzito?» strillò Bagus. «Vuole forse che qualche mortale ci scopra?»
«Non preoccupatevi. Nessuno si accorgerà dei maghi morti stecchiti sul mio marciapiede» li rassicurò Ebanister, «la casa è avvolta nella nebbia di Grimor».
«Perché non ci dà la possibilità di spiegarle?» disse Archibald che incedeva cauto, cercando di ammansire il cancello. «Vogliamo solo parlarle».
«Tutte frottole!» sbottò il vecchio. «Volete derubarmi e sbarazzarvi di me. È questo che vi ha ordinato il maestro, vero?»
«Si sbaglia!» lo contraddisse Gustaf togliendosi la parrucca e svelando le sue vere sembianze. «Mi guardi bene, Ebanister. Sono Gustaf Puddleclock, uno dei consiglieri di Nobilius. Noi siamo dalla parte dei buoni! Siamo dalla sua parte».
«Vogliamo solo aiutarla» disse Bagus togliendosi a sua volta la parrucca e avanzando di un passo. «Lei corre un serio pericolo!»
Ebanister, confuso, puntò la bacchetta a turno su Gustaf, poi su Bagus e poi su Archibald, ripetendo la manovra un paio di volte.
«Nessuno! Nessuno può aiutarmi!» disse il vecchio singhiozzando. «Ho tradito la mia stessa famiglia. Capite? Ma adesso... adesso posso sistemare le cose».
«Non faccia pazzie! La prego» lo supplicò Gustaf pronto a estrarre la bacchetta.
«Sistemerò io ogni cosa!» ripeté con uno sguardo allucinato. «E non ci sarà nessun vinto e nessun vincitore».
«Ci dia immediatamente i chimerium, Ebanister!» gridò Gammal, uscendo dall'ombra con la bacchetta nelle mani. «E nessuno le farà del male».
«Chi parla?» Ebanister diresse la bacchetta verso il mago illuminandolo con la fiammella di una candela magica. «Lo sapevo...» il vecchio furioso agitò la bacchetta, disarmando Gammal e facendolo poi sparire con un potente fulmine.
«No! Abigore!» gridò Bagus disperato. «Cosa ha fatto?»
«Andate via!» urlò di nuovo il vecchio.
«Ebanister, la prego ci ascolti!» gridò Archibald, estraendo la sua bacchetta dalla manica.
«Non c'è bisogno di ascoltare!» rispose il vecchio, lanciando un sortilegio sui lampioni che iniziarono a muoversi e colpire il marciapiede. «Ho preso la mia decisione e nessuno potrà fermarmi» quindi si allontanò veloce dalla finestra.
«Bagus!» gridò Gustaf, schivando appena in tempo il colpo di un lampione impazzito. «Vai a cercare Abigore. Qui ce la vedremo noi!»
Bagus annuì. Fischiò per richiamare la scopa ancora nella carrozza e volò via a cercare l'amico.
«LUCIT ERECTO IMMOBILIS!» urlò Archibald contro i lampioni senza riuscire a bloccarli. «Dannazione! Non funziona» disse, cercando riparo dietro il carro.
«Magia nera!» rispose Gustaf affannato dalla lotta.
«Ehi!» urlò Gastogne rimasto fino ad allora di guardia dietro l'angolo con Doralice. «Ma che-che cosa sta succedendo?» disse vedendo strada, auto e marciapiedi demoliti.
«Sta' attento!» lo avvisò Archibald appena prima che un lampione colpisse il calesse che lo riparava.
«Oh, mammina bella!» esclamò tremante il legno mentre il cucciolo di grok, che nel frattempo lo aveva raggiunto, addentava la base di un lampione come fosse un osso saporito.
«Gastogne! Va' via! Questo non è il posto per te» gli intimò Gustaf mentre duellava contemporaneamente contro due avversari. «Archibald!» si rivolse quindi al fratello. «Che ne diresti di un po' di brezza?» e fece segno di puntare la bacchetta verso l'alto e di unire i loro poteri.
«Mi sembra un'ottima idea!» gli rispose il fratello rimessosi in piedi.
«VENTUM GOVERNAE TOTALIS!» recitarono assieme, sollevando le braccia al cielo. Colonne d'aria via via più alte e più grandi iniziarono a vorticare potenti per la strada, sradicando e portandosi via ogni cosa, con loro sollievo, anche gli indomabili lampioni.
«RETRUM RIPRISTINAE!» urlò ancora Gustaf con le ultime risorse rimaste.
E come in una pellicola di un film fatta girare al contrario, ogni cosa tornò al suo posto.
«Non ho più l'età per tutto questo movimento e tutte queste emozioni!» confidò Archibald, lasciandosi cadere per terra esausto.
«Non lo dire a me!» disse Gustaf imitando il fratello. «Non lo dire a me».
In quello stesso momento anche Bagus, tornato dalla sua ricognizione, atterrò sul praticello dove i fratelli riposavano.
«Allora? Dov'è Abigore?» domandò Gustaf allarmato.
«Perché? Che cosa gli è successo?» chiese Gastogne nel panico. «Dov'è mastro Gammal? Dov'è il mio maestro?»
Bagus scosse la testa.
«Non lo so! Non sono riuscito a trovarlo da nessuna parte» rispose afflitto.
«Non vorrete dire che-che il mio... il mio padrone è...»
«Ehi! Ehi!» lo fermò Archibald chiudendogli il muso di legno. «Non lo pensare nemmeno per un attimo. Ok? Non devi preoccuparti, lo troveremo! Non è...»
La frase di Archibald rimase sospesa a metà; i tredici temuti rintocchi del Big Ben, quelli che segnavano lo scadere del tempo a loro disposizione, suonarono lunghi e cupi. Nulla più si mosse e per qualche attimo dominarono soltanto un buio e un silenzio spettrali.
«Che Velgor ci aiuti! Il conto alla rovescia è terminato!» disse Bagus con il volto sbiancato.
«Direi di sceglierci un bel luogo di villeggiatura dove rimanere nascosti per un po'... che so, per due o tremila anni?» consigliò Gastogne preoccupato.
«Non è ancora la fine!» lo corresse Gustaf. «Fino a quando i chimerium resteranno nascosti, Gobler rimarrà prigioniero dello specchio di Abedhaar e i poteri dei maghi neri rimarranno deboli».
«Dobbiamo trovare assolutamente i chimerium!» esclamò Bagus.
«Groarrr!» Doralice si fece d'un tratto nervosa e iniziò a ringhiare e girare su sé stessa come percependo un pericolo.
«Rumore di passi!» li informò Gastogne.
«Presto, nascondiamoci!» disse Gustaf concitato.
Dal fondo della strada comparve la sagoma di un uomo alto e magro; un uomo con una bombetta sul capo che fischiettava un'inquietante melodia, dondolando per il manico un lungo ombrello nero.
«Chi è?» chiese Archibald.
«Non lo so!» bisbigliò Gustaf. «Ma ho una strana sensazione addosso».
L'uomo giunto a un centinaio di metri dalla casa di Ebanister, come intuendo la presenza di qualcuno, si bloccò un istante e guardò in direzione dei maghi. Infilò la mano nel taschino interno della giacca doppiopetto e ne estrasse due gemme colorate che lanciò a pochi metri da loro. Poi aprì l'ombrello e un attimo dopo scomparve nel nulla.
«Dove si è cacciato?» chiese nervoso Gastogne.
«Piacerebbe saperlo anche a me!» rispose Archibald, guardandosi ansiosamente intorno.
«Oh-oh!» esclamò Gustaf attratto da qualcos'altro.
«Prego, chiarire il significato di "oh-oh"» richiese Gastogne. «Oh-oh... è buono o cattivo?»
«Oh, no!» si unì Archibald. «Non un'altra volta».
Una densa nebbia calò nuovamente sulla casa. Le gemme, lanciate dallo sconosciuto, si sollevarono a pochi centimetri da terra e subito dopo centinaia di sassolini rotolarono per strada unendosi e formando, in breve tempo, un mostruoso colosso di pietra.
«Sembra cattivo ma magari non ha cattive intenzioni» disse Bagus ottimista.
«AARGHH!» il mostro si presentò con un boato, frantumando con un pugno il calesse parcheggiato davanti casa e mettendo in fuga vetturino e cavallo fantasma.
«Come non detto!» si corresse il vecchio mago che estrasse la bacchetta e si preparò con i fratelli ad affrontare una nuova, estenuante battaglia. «È proprio cattivo!»
* * * * * * * * * * * * *
«Parlare. Tsè!» borbottava tra sé e sé Ebanister, mentre ingrossava il fuoco nel camino del salotto con qualche ciocco di legno, incurante della lotta che si svolgeva in strada. «Sono degli illusi se pensano che ci sia ancora tempo per parlare» e si sedette su una poltrona logora, poggiando la bacchetta sulla coperta che gli avvolgeva le gambe. «Questa notte l'antica battaglia tra maghi e mortali avrà finalmente una fine!» annunciò, sorseggiando un po' del tè alla ciliegia davanti al fuoco. «Non vincerete mai! Mi avete sentito brutte canaglie?» gridò d'un tratto, iniziando a tossire. «E se qualcuno si azzarda ad avvicinarsi a me, giuro che lo folgoro con questa bacchetta... ah, se lo folgoro... già-già!» disse abbassando lentamente la voce fino a farla diventare un impercettibile sussurro.
E così, tra un pensiero ad alta voce e l'altro, sorseggiando tè e lucidando la bacchetta magica, Ebanister iniziò a trascorrere la sua lunga notte.
Si era appena preparato l'ennesima teiera quando i rintocchi del Big Ben lo fecero trasalire.
«Bene! È giunto il momento» disse, scostando la tendina della finestra in cucina per dare un'occhiata fuori. «Che la partita abbia inizio!» e abbandonò la stanza, impugnando saldamente la bacchetta nella mano.
Entrò nel salotto e sostò davanti al camino, rimanendo all'ascolto.
Probabilmente era solo frutto della sua immaginazione, ma gli parve di sentire un rumore provenire dal piano superiore, come un lieve tamburellare sul pavimento che si spostava da un lato all'altro della casa. Trattenne il respiro e con una candela accesa attraversò le stanze nella penombra, raggiungendo la scala dell'ingresso. Sporse titubante la testa per assicurarsi che non ci fossero imminenti pericoli ad attenderlo e, dopo una breve esitazione, si decise a salire la prima rampa con la bacchetta puntata davanti a sé, fermandosi di tanto in tanto per ascoltare quello strano picchiettare. Arrivato in cima, si fermò nuovamente per riprendere fiato e asciugarsi il sudore accumulatosi sul collo; alla sua età quello di salire le scale era un esercizio pesante tanto quanto sollevare un ippopotamo con le proprie mani. Poi, spalle al muro, proseguì la sua ispezione, accostando un orecchio a ogni porta chiusa che incontrava e aprendola successivamente con uno scatto deciso. Superò, seguendo questo sistema, la porta dello studio, quella della camera degli ospiti, quella del bagno e il ripostiglio; la casa, a parte lui, era vuota e lo strano rumore sembrava improvvisamente essere cessato. Scosse la testa, sorridendo per la sua eccessiva ansia e ritornò nel salotto dove il fuoco era quasi ridotto a una coda di roditore.
Poggiò la bacchetta sul tavolino e si chinò per rinvigorirlo con un altro paio di ceppi, ma si bloccò di colpo, sentendo nuovamente quel tamburellare proprio alle sue spalle. Si voltò lentamente allungandosi per recuperare la bacchetta e avanzò verso il davanzale della finestra. Fu allora che vide proiettata sul muro davanti a sé l'ombra di un grosso ragno che zampettava sul parquet e si nascondeva, poi, dietro il cuscino sulla sua poltrona.
«Ah, brutta bestiaccia!» esclamò girandosi con il giornale del giorno prima arrotolato nella mano libera. «Sei tu che mi stai facendo impazzire, allora».
Avanzò deciso, con l'intento di dargli una lezione, ma fu costretto ad arrestarsi quasi subito; una violenta folata di vento percorse la stanza, spegnendo per qualche istante il fuoco e lasciandolo brevemente al buio. Poi, delle dita lunghe e affusolate comparvero dal nulla su uno dei braccioli della poltrona e si misero a giochicchiare annoiate con un filo scucito del tessuto floreale che lo rivestiva.
Il ragno visto poco prima non c'era più e al suo posto sulla poltrona era comparsa una figura di cui non riusciva ancora a scorgere il viso.
«Ho sempre trovato squallida questa casa» disse una voce a lui familiare.
«Isidore?» chiese il vecchio, rimanendo fermo dov'era. «Isidore, sei tu?»
«E sai cosa trovo ancor più squallide?» disse l'uomo con il volto sempre rivolto verso il camino. «Le tue scelte» quindi si alzò, continuando a parlare senza girarsi. «Pensavi davvero che il grande maestro non ti avrebbe trovato? Che abbandonare il suo nome ti avrebbe protetto da lui?» fece una pausa, ridacchiando di quell'ingenuità. «Pensavi davvero che avrebbe consentito a te e a questi miserabili mortali di passarla liscia e rinunciato a prendersi la sua rivincita?» finalmente si girò, guardandolo con uno sguardo gelido. «Mi spiace disilluderti, nonno, ma il nostro antenato sta per tornare, malgrado i tuoi insignificanti tentativi di impedirglielo. Ma sei fortunato, lo sai? Perché nella sua immensa magnanimità ti offre ancora un'ultima possibilità di schierarti dalla sua parte e ricevere un posto accanto ai vincitori».
«Chi sei?» chiese Ebanister puntandogli la bacchetta contro. «Tu non sei mio nipote!»
«Cosa dici mai?» disse l'uomo scioccato, aprendo amichevolmente le braccia. «Sono proprio io, nonnino caro, non mi riconosci? Sono tuo nipote, Isidore».
«Uhm» mugugnò il vecchio, «mio nipote non metterebbe un alluce in questa catapecchia nemmeno se fosse stato morso da un serpente velenoso e io fossi l'unico ad avere l'antidoto» gli rispose Ebanister, «e poi» continuò, «suppongo che sia del tutto normale che la tua ombra riveli un incanto. Giusto?»
L'uomo si voltò per osservare la sua ombra proiettata sul muro e notando la discrepanza con la sua figura iniziò a sorridere.
«Ho acceso un fuoco incantato. Pensi che sia nato ieri?» gli chiese Ebanister. «Ti ripeto la domanda con le buone. Chi sei? E cosa ne hai fatto di mio nipote?»
«Chi io sia non ha alcuna importanza e riguardo a tuo nipote Isidore» l'uomo si accostò al tavolino e si versò un po' di tè nella tazza, «è in ottima salute... per ora!» quindi si sedette nuovamente e sorseggiò con calma la bevanda.
«Torcigli anche solo un capello e io...» esplose Ebanister che avanzò verso di lui sfiorandogli la punta del naso con la bacchetta.
«Quello che accadrà a quell'insulso mortale di tuo nipote, dipende esclusivamente dalle tue prossime decisioni, Ebanister» spiegò l'uomo, chiedendo con gli occhi il permesso di sfilare qualcosa dalla sua giacca doppiopetto. Nella mano comparve una bolla di cristallo che allungò verso il vecchio. «Guarda!» la sfera mostrava le immagini di una miriade di maghi incappucciati prostrati davanti a uno specchio e Isidore rinchiuso in un luogo buio e stretto che urlava a squarciagola «Il maestro è pronto per il suo ritorno. L'unica cosa che desidera è ricongiungersi alla sua famiglia e portare a termine il suo progetto. Non ha altra ambizione che questa» quindi poggiò la bolla sul tavolino davanti a lui. «Dimmi dove hai nascosto i chimerium, Ebanister. Aiutalo a tornare e non te ne pentirai. Aiutalo, Ebanister. E sarai ricompensato per la tua lealtà».
«Puoi riferire al tuo maestro che per quanto mi riguarda spero che ci marcisca in quello specchio!» gli rispose il vecchio mago impavido. «Non accetterò mai di partecipare al suo diabolico piano. Piuttosto, preferirei affogare nella palude dei rimorsi» quindi aprì una porticina semi nascosta del salotto e senza mai perdere il contatto visivo con lo pseudo-Isidore ne trascinò fuori un enorme calderone. «Ora se vuoi togliere il disturbo avrei qualcosa di davvero importante da fare» e sollevò il coperchio indicandogli la via d'uscita più breve.
«Ebanister, Ebanister...» disse l'uomo che senza scomporsi, poggiò i gomiti sui braccioli e incrociò le dita davanti a sé. «Sei davvero sicuro di quello che fai?»
«Ci puoi contare!» confermò il vecchio indietreggiando.
«Bene» commentò alzandosi e infilandosi con calma glaciale i guanti, «è un peccato... un gran peccato, davvero. Ero convinto che alla fine avresti capito chi sono i tuoi reali nemici. Che avresti capito che i mortali sono degli esseri insulsi, in grado soltanto di distruggere ciò che di bello e di utile hanno. Loro non meritano la tua stima e la tua fedeltà, Ebanister... tuttavia, se questa è la tua decisione» l'uomo si infilò nuovamente la bolla nella tasca della giacca, recuperò l'ombrello, indossò la bombetta e infine si girò verso Ebanister, «posso solo dire che sarà doloroso perdere un mago della tua levatura!»
«Non ho paura di te!» lo sfidò il vecchio. «Avanti! Fatti sotto!»
Quello che accadde dopo fu troppo fulmineo per provare a descriverlo. La stanza iniziò a tremare e ruotare e con un soffio gelido, il falso Isidore spense fuoco magico e candele lasciandoli nel buio più profondo, un'oscurità squarciata solo a tratti dai fasci magici delle loro bacchette che s'intercettavano nella lotta. Le grida e il rumore della colluttazione riempirono la stanza fino a farla scoppiare e continuarono a farlo senza sosta per un'infinità.
Poi tutto si fece improvvisamente quieto.
* * * * * * * * * * * * *
«Cosa sta succedendo lì dentro?» chiese Bagus che aveva appena evitato che il piede del colosso riducesse Gastogne a legno per battiscopa.
«Qualcosa di grave!» rispose Gustaf, mentre lanciava l'ennesimo incantesimo contro il mostro di pietra che si dimenava come un gorilla infuriato e si abbatteva con terribile impeto contro qualunque cosa si muovesse.
«Guardate!» esclamò sorpreso Archibald. «Quello lì, non è Ebanister?»
Il vecchio, in vestaglia, era appena uscito di casa seguito dall'uomo con la bombetta e camminava come un sonnambulo per la strada.
«Dove stanno andando?» chiese Gastogne.
«Dobbiamo assolutamente fermarli!» gridò Gustaf, roteando la bacchetta e lanciando un nuovo incantesimo. «PETRITIS AHORA DISFACTOR!» il colosso si frantumò in una miriade di pietre che però si riammassarono tra loro, ricomponendo il gigante di roccia in pochi secondi.
«Lascia provare me!» disse Bagus parandosi davanti al mostro e scagliandogli contro un altro incantesimo. «COSTRICTUM TEMPURO CARCERAE!» Un'enorme gabbia in legno di quercia cocciuta si creò attorno al colosso imprigionandolo.
«Ah-ah!» lo beffeggiò Gastogne. «Che ne dici di questa mossa?»
Il colosso si abbassò e con uno sbuffo fece volare via il bastone. Poi, con un semplice colpo di gomito fracassò la struttura di legno che cadde a pezzi.
«Dannazione!» imprecò Bagus, vedendo Ebanister allontanarsi e sparire nella nebbia. «IN CATENAM!» delle lunghe catene sbucarono dal terreno, allacciandosi alle braccia e gambe del gigante di pietra bloccandolo.
«Gustaf! Lo sta portando via!» urlò Archibald. «Bisogna fare qualcosa!»
Gustaf posò due dita sul petto e puntò la bacchetta su Ebanister. «OPPOSIT MALUM!» gli lanciò un altro potente incantesimo, sperando così di svegliarlo e liberarlo dall'influenza del sortilegio di cui era vittima, ma l'uomo con la bombetta non glielo permise. Si girò veloce e deviò l'incantesimo prima ancora che potesse colpirlo. Poi gli sorrise diabolico, aprì l'ombrello e svanì nel nulla portando il vecchio Ebanister via con sé.
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