Il tempo impazzito
Lord Isidore G. Dott si affrettò arcigno verso la vettura che l'attendeva, con la sua immancabile valigetta ventiquattrore, la sua bombetta e il suo ombrello, cercando di scacciare, così come avrebbe fatto con una fastidiosa mosca, il petulante assistente che passo passo gli ricordava gli appuntamenti per quel giorno.
Doveva ammettere che questa volta l'agenzia di collocamento aveva svolto il suo compito di reclutamento in modo "quasi" decente. Quello scocciatore stipendiato, infatti, sembrava un tocco più sveglio dei suoi trentadue sfortunati predecessori ed era riuscito con un'abile contromossa a piazzarglisi di fronte e parare l'ennesima ombrellata con la cartelletta prendi-appunti.
«Lord Isidore, per favore, non corra così!» lo pregò l'assistente ansimante.
«Io corro come più mi garba!» gli rispose Dott, cambiando improvvisamente direzione.
«Devo parlarle di suo nonno...» disse l'assistente, cercando di recuperare terreno. «I custodi lo hanno pizzicato nuovamente a curiosare nella sala lettura!»
«E allora?» domandò Isidore accelerando il passo. «È o non è una biblioteca pubblica?»
«Era in pigiama e trafugava oggetti... in piena notte!» lo informò l'assistente.
«Allora chiamate l'accalappiacani. Caso chiuso e addio!» gli rispose il Lord congedandolo freddamente.
«Per l'amor del cielo, aspetti un attimo!» lo supplicò quasi in lacrime il poveretto. «E cosa facciamo con la riunione di oggi? Non può cancellare anche questo meeting con il comitato cittadino. È la terza volta che lo spostiamo. Penseranno che lei non li voglia incontrare!»
«Ma è esattamente questa la ragione, Smith!» ammise Lord Dott senza troppi giri di parole. «Non sopporto quella marmaglia di bifolchi! Non li sopporto proprio! Questa è la dura e cruda verità. E per quanto mi riguarda gliela può anche comunicare!» e concluse la sua spassionata dichiarazione voltandosi e pestandogli un piede.
Lord Isidore Dott, plurilaureato in Archeologia, Etnologia, Antropologia e Filosofia teoretica alla prestigiosa università di Oxford nonché direttore generale della Biblioteca nazionale di Londra, non era certo noto negli ambienti londinesi per le sue buone maniere. Tutt'altro! Aveva poche idee e ben confuse su come ci si dovesse comportare con e tra la gente.
Affetto sin da giovane da una morbosa mania di persecuzione e una grave forma di misantropia, Lord Isidore provava un'avversione profonda per una buona fetta dell'umanità che riteneva insignificante e incapace di gestire uno strumento prezioso e delicato come il proprio cervello.
"Le uniche conversazioni pregnanti che ho, le ho con quella brillante persona riflessa nello specchio".
Questo era quello che pensava e che non perdeva occasione di ricordare in maniera brutale a tutti quelli che incrociava sulla sua strada.
Non c'era da stupirsi quindi se nessuno tra i suoi collaboratori e conoscenti trovasse strano o allarmante il fatto che ricevesse dozzine di minacce di morte al giorno e che nessuno dubitasse che prima o poi una di quelle minacce si sarebbe realizzata per davvero.
Nel frattempo, la tradizionale pioggia settembrina, annunciata il giorno prima dagli iettatori del meteo, iniziava a cadere fitta.
Lord Dott guardò inorridito le gocce d'acqua zampillare sul mattonato e poi rimbalzare e inzaccherare disinvolte le sue scarpe di lucida pelle nera.
I-N-A-C-C-E-T-T-A-B-I-L-E! Le labbra sottili, sormontate da due marziali baffetti neri, iniziarono a contorcerglisi nervosamente.
«Tutta colpa di quello Smith!» disse tra sé e sé. Se non avesse dovuto perdere secondi preziosi ad ascoltare le frottole di quell'idiota vaneggiante, a quell'ora avrebbe potuto già essere nella sua confortevole Rolls-Royce Ghost a sfogliare l'ultima edizione del Times. Pensò seccato.
Doveva liberarsi di quell'impiastro e anche in fretta.
Sfruttò un attimo di distrazione dell'avversario per portare a termine il suo piano: aprì l'ombrello sulla faccia dello sciagurato, lo colpì ripetutamente sugli stinchi con la valigetta e poi sfrecciò verso la portiera spalancata dell'auto.
Le sue lunghe ed esili gambe da fenicottero corsero inarrestabili lungo il viale arrivando alla loro meta, mentre il miserabile portaborse, ancora in preda allo stupore, si massaggiava i polpacci dolenti sotto l'acquazzone.
«Deve ancora nascere la persona in grado di fermarmi!» gli gridò Isidore mentre, infilandosi nella Rolls-Royce, sventolava il suo cappello a mo' di cabarettista. «E a proposito, Smith...» il finestrino della limousine si abbassò quel tanto da consentire alla testa di Dott e alla sua bombetta di sbucarne fuori. «Mi ero dimenticato di informarla di una cosa. Le do tempo fino a stasera per sgombrare la scrivania dai suoi effetti personali e togliersi silenziosamente dai piedi. Lei è licenziato! Anzi... Licenziatissimo!» quindi il finestrino oscurato si richiuse lentamente nascondendo l'espressione trionfante del "gentiluomo".
Finalmente, la sua lussuosa vettura fu pronta a partire e portarlo lontano da lì.
Lord Dott sentì i nervi distendersi di colpo e un fievole barlume di buon umore affiorare. Ora poteva dedicarsi a uno dei suoi momenti preferiti, la tradizionale lettura del giornale nazionale che il fidato autista, Alfred, come di consueto, gli aveva sistemato sul sedile posteriore.
Poggiò la bombetta al suo fianco. Inforcò il monocolo in oro zecchino e iniziò a scorrere i titoli delle prime pagine. Tutto apparentemente sembrava perfetto, ma arrivato alla quarta pagina iniziò a percepire come una strana sensazione; si sbottonò la giacca doppiopetto. Si arricciò le folte sopracciglia e cambiò posizione. Purtroppo, però, nessuno dei suoi tentativi sembrò funzionare; quella strana sensazione continuava a disturbarlo.
Decise di continuare la sua lettura nella speranza che gli avvenimenti di politica interna lo distogliessero da quel pensiero perturbatore. Ma neanche la schiacciante vittoria dei conservatori alle elezioni comunali gli diede il benché minimo sollievo. Richiuse disordinatamente la gazzetta e iniziò a tamburellare freneticamente con le dita sul bracciolo. Si rese conto solo in quel momento che l'auto era ferma da un po' e non dava alcun cenno di voler avanzare. Premette, quindi, il pulsante dell'interfono per chiederne immediatamente spiegazione.
«Alfred, ti sei forse addormentato sul volante?»
«No, signore!» rispose l'autista solerte. «Non mi permetterei mai senza prima aver chiesto il suo permesso, signore!»
«Allora si può sapere perché non ci muoviamo, razza di perdigiorno?»
«Non ne sono sicuro, signore... ma se la mia opinione è gradita, credo che siamo bloccati in un ingorgo».
«E allora intervieni! Cerca un'altra strada. Fai retromarcia. Affitta un jet. Ma per l'amor del cielo, fa' qualcosa prima che mi venga un altro tremendo mal di testa!»
«Signore, sarà davvero difficile fare manovra con la gente che affolla la strada!»
«Come sarebbe a dire gente in mezzo alla strada?» sbottò Lord Dott al limite della sua pazienza.
«Gente... signore» ripeté Alfred. «Sembrano guardare qualcosa. Sembrano come... ipnotizzati».
Mister Dott, esasperato, tirò giù il vetro divisorio che ripartiva l'auto in due ambienti, per assestare un energico colpo di giornale sulla testa imberrettata dell'autista.
Gente ipnotizzata. Come no! Questa volta Alfred doveva esserci andato giù pesante con la bottiglia di cognac.
«Conducente avvinazzato! Non ti avevo forse detto di non trangugiare alcolici durante le ore di servizio?»
«Se non mi crede, guardi lei stesso!» lo sfidò educatamente l'autista, mentre si toglieva il berretto per grattarsi sbigottito il capo.
«Che mi venga un colpo! Ma che diavolo sta succedendo?» fu il commento di Dott allungandosi verso il parabrezza. «Che cosa stanno facendo quegli stralunati fermi nel bel mezzo della strada?»
«Non saprei davvero, signore! Quello che so è che adesso un goccetto me lo farei volentieri!» disse onesto lo chauffeur.
Centinaia di persone erano immobilizzate per strada. Possibile che tutt'a un tratto i londinesi fossero usciti di senno?
Isidore si infilò al rovescio la bombetta e uscì come un tornado dall'auto tanto veloce che per la fretta per poco non si ruppe l'osso del collo.
Solo allora si rese conto dei misteriosi simboli che tappezzavano la strada, della mostruosa nube che sovrastava la torre del Big Ben e del silenzio innaturale rotto soltanto dal fragore intermittente dei tuoni e dal potente ticchettio del grande orologio.
«Questa deve essere l'opera del diavolo!» gridò agitata la signora al suo fianco.
Dott sollevò nuovamente lo sguardo verso la torre e strizzò gli occhi per mettere a fuoco l'immagine. E quello che vide, lo lasciò senza parole.
Si stropicciò nuovamente gli occhi e alitò sulla sua unica lente graduata per essere certo che non fosse questo a ingannare la sua vista. Ma non fu così. Il noto Big Ben, l'orologio più famoso al mondo, sembrava totalmente impazzito. Le lancette del grande segnatempo ruotavano velocissime come le pale di un elicottero e fendevano l'aria producendo un suono inquietante.
«Alfred, fannullone!» sbraitò. «Non ti pago mica fior di sterline per stare immobile come un baccalà. Renditi utile! Accendi la radio della macchina e sintonizzati sulla stazione nazionale!»
«Signorsì, signore!» si affrettò a rispondere l'autista.
Attorno alla Rolls-Royce si formò immediatamente un capannello di persone, mentre sciami di elicotteri iniziarono a ronzare sovraeccitati sopra le loro teste e intorno alla torre.
«...dopo l'infausta vicenda dei simboli comparsi per strada avvenuta solo qualche ora fa...» disse la concitata voce del giornalista alla radio, «adesso anche un altro scioccante avvenimento scuote gli animi dei londinesi.
Siamo collegati in diretta dal centro della città con il nostro inviato speciale Nicholas Purdy, il quale cercherà di darci maggiori delucidazioni su questo nuovo, insolito caso. Nicholas, mi senti? Dove ti trovi esattamente in questo momento? Puoi aggiornarci sulla situazione?
Buongiorno James, sono proprio di fronte al mitico Big Ben così come altre centinaia di londinesi e posso dire solo questo... se ieri mi avessero raccontato di una giornata del genere non ci avrei mai creduto!
Dopo la strana apparizione di enigmatici segni sulle strade del centro di Londra, ora anche la torre dell'orologio sembra essere vittima di un inspiegabile guasto; da poco più di un'ora le lancette hanno iniziato a ruotare indipendenti l'una dall'altra a un ritmo mostruosamente veloce e durante il loro movimento creano delle indefinibili scie luminose. Se non fossi lo scettico che reputo essere, parlerei di stregoneria».
«Stregoneria! Tsé!» ripeté ironico Dott. «Nessuno ha mai sentito parlare di scariche magnetiche o corto circuiti? Se questo Purdy fosse alle mie dipendenze, gli avrei già fatto recapitare una bella lettera di licenziamento con un calcio nel didietro!» e così dicendo iniziò, con insolita fretta, ad allontanare sgarbatamente le persone convogliate attorno alla macchina. «Via! Sciò! Razza di lavativi. Andate a bivaccare da qualche altra parte! Ogni scusa è buona per evitare il lavoro in questo paese».
Ma messo un piede in auto si bloccò di colpo.
«Un attimo!» esclamò la voce preoccupata dell'inviato. «James... devo riprendere la linea per un nuovo aggiornamento... sta succedendo qualcos'altro là sopra!»
Tutta la gente volse nuovamente lo sguardo verso la torre.
Le lancette del grande orologio iniziarono a rallentare fino a fermarsi e una serie di potenti e cupi rintocchi iniziarono a far tremare la terra. Il rumore si fece assordante. I finestrini delle macchine e degli autobus iniziarono a creparsi. I vetri dei lampioni e delle vetrine a sgretolarsi come sabbia.
«Che il santo patrono dei guidatori mi protegga!» gridò Alfred, sebbene in quel frastuono nessuno potesse sentirlo.
La terra si scuoteva e contorceva vigorosamente come se tentasse di liberarsi, dopo secoli di prigionia, da pesanti e spesse catene e a ogni suo singhiozzo tutto sussultava.
Poi, dopo qualche attimo, la calma e il silenzio più totale tornarono a regnare e le lunghe lancette del Big Ben ricominciarono a ruotare lentamente, ma questa volta... in senso contrario!
«Ma cosa sta succedendo?» domandò una vecchietta mentre, quasi in lacrime, si soffiava rumorosamente il naso.
Dott la guardò sdegnoso e si allontanò per evitare che i suoi microbi lo infettassero.
«Mi pare ovvio!» le rispose poi serafico. «Non è forse chiaro?»
«Cosa dovrebbe esserci chiaro?» chiese un altro londinese preoccupato.
Lord Isidore guardò la folla sprezzante, incerto se condividere la sua brillante deduzione con quella volgare gentaglia. Fu solo la tentazione di poter gettare ancor più nel panico quegli zoticoni a farlo decidere definitivamente.
«Qualcosa di terribile sta per accadere!» Dott ridacchiò percependo il terrore serpeggiare tra la folla. «Il Big Ben non è impazzito, miei cari! Quello che il Big Ben sta segnando è... un conto alla rovescia!»
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