Dralon
«Perché non chiudo mai la mia grande boccacciaaaaaa!» urlava Odilde aggrappata saldamente al manubrio del vagoncino. «Questa volta non sopravviverò me lo sento nelle ossa!» predisse, vedendo gli alberi sfrecciarle a destra e sinistra a una velocità paurosa. «Siamo spacciati!» e si fece piccola nello stretto abitacolo, chiudendo gli occhi per non assistere alla sua misera fine.
«Ma no che non lo siamo!» la calmò Peter. «Guardi!»
In quel momento, lo stridore di freni annunciò la fine del loro viaggio. I mezzi incantati rallentarono fino a lasciarli davanti a una immensa montagna con la parete ricoperta di porte e scalinate e una cima ricurva, in parte nascosta dalle nuvole, dove si inerpicavano strane abitazioni di pietra.
«La città di Dralon» disse Peter quasi sussurrando.
«E adesso come ci arriviamo fin lassù?» si chiese Michael.
«Già, non abbiamo più l'autorizzazione per entrare in città!» disse Peter.
«Un modo lo troveremo!» rispose Odilde. «E mi gioco la mia pipa di giada che quel brillante tizio laggiù è proprio la persona di cui parlava Trogol» disse la dottoressa che, ritrovato il coraggio, aveva abbandonato il vagoncino e raggiunto un chioschetto poco distante. «Sveglia, dormiglione!» gridò contro un omone con la testa buttata all'indietro che russava a più non posso.
«Ehm... uhm... ecco... Elfo Bertoldo, al vostro servizio! Per le toilettes, sedicesima porta in alto a sinistra! Qui per la firma» rispose l'impiegato con un impastato accento irlandese.
«E io che ero convinto che tutti gli elfi fossero belli!» commentò Michael, guardando il tozzo elfo con gli occhi convergenti e i capelli rossi che sbucavano da un berretto troppo stretto. «Evidentemente, mi sbagliavo» disse stando attento a non farsi sentire. «Sembra la copia ingrassata di Robin Hood».
«Io lo trovo così grazioso!» fece Kate che sulle punte dei piedi cercava di sbirciare oltre il bancone.
«Buongiorno! Sono la dottoressa Odilde Costalbine» si annunciò la donna, mettendo il biglietto da visita sotto il lungo naso dell'elfo, «e questi che vedi qui, ciccio, sono i miei assistenti. Avremmo una certa urgenza di parlare con il signor...» si fermò un attimo per recuperare il foglietto su cui aveva annotato il nome fornito da Trogol, «il signor Egot Dubbets. Se volessi annunciargli immediatamente la nostra visita, te ne sarei infinitamente grata. Sai, siamo in gran fretta» disse tamburellando sorridente sul vetro del suo orologio da polso.
L'elfo lesse il bigliettino mostrando poco interesse, si versò con estrema calma un liquido fumante nel boccale davanti a sé e poi iniziò a squadrarli sospettoso.
«A quale ramo magico appartenete?» chiese l'omaccione per poi continuare a risucchiare la sua bevanda.
«A quale ramo, dici?» disse la dottoressa che nel frattempo scartabellava gli archivi della sua mente in cerca della risposta giusta.
«Già! A quale» ripeté l'elfo.
«Il signore vuole sapere a quale accidenti di ramo apparteniamo» disse Odilde, indicando ai ragazzi un cartello accanto alle locandine di alcuni pericolosi ricercati, che diceva: "Meglio un goblin puzzolente nel calderone che un mortale alla porta di Dralon". «Perché non lo accontentiamo?»
«Certo! Perché no?» disse Peter, guadagnando qualche altro secondo.
«...perché questo sarebbe un insulto a questa mente geniale!» proruppe Michael. «Guardatelo! Anzi, forse è meglio di no» ritrattò, osservando con disgusto l'elfo pulirsi con il mignolo l'interno delle lunghe orecchie e attaccarsi il bottino sulla casacca. «Dicevo... ah sì... Un uomo del genere dovrebbe poter indovinare la nostra provenienza a occhi chiusi».
«Secondo me è una prova un po' troppo difficile per un elfo» lo contraddisse Odilde.
«Ehi, aspettate un momento!» rispose l'omone piccato. «Io non sono mica un elfo comune. Sarei in grado di riconoscere uno gnomo pentolaro anche solo dal suo passo. Lo sapete?»
«Davvero? Se è così, allora... forza, dimmi, a quale famiglia magica apparteniamo?» lo sfidò Peter.
«Fammi vedere un po'!» disse l'elfo sporgendosi dallo sportello per guardarli con attenzione. Quindi tirò a sé il palmo di Odilde e lo osservò minuziosamente. Passò l'indice sulla guancia di Peter e se lo leccò. Sollevò il labbro superiore di Michael e gli contò i denti. Infine, frugò tra i capelli di Kate sfilandone poco dopo una fibra argentata rimasta impigliata tra le sue ciocche e iniziò a sorridere trionfante «È chiaro! Appartenete alla casa dei filatori della radice magica di Marlet!»
«Accipicchia!» esclamò Peter, fingendosi impressionato. «Ha azzeccato al primo colpo».
«Cosa vi avevo detto?» disse l'elfo osservandosi fiero le unghie sporche della mano. «Un gioco da ragazzi!»
«E un mortale?» iniziò Kate. «Un mortale, lei, da cosa lo riconosce?»
«Dal loro nauseabondo puzzo!» rispose l'elfo tappandosi le grosse narici. «Niente di più semplice!»
«Allora, devi essere proprio raffreddato» ghignò Michael.
«Cosa hai detto?» chiese l'elfo inarcando un sopracciglio.
«Nulla! Nulla! Il ragazzo non voleva dire assolutamente nulla!» si affrettò a intervenire Odilde tirandosi dietro il ragazzino per un orecchio. «Possiamo andare, dunque?»
«Uhm, direi di sì!» disse Bertoldo sedendosi nuovamente sullo sgabello. «Seguite queste indicazioni e usate il passaggio segnalato. Quello e quello soltanto. Mi sono spiegato?» disse porgendo un foglietto sbucato da uno strano apparecchio.
Odilde gli sfilò il foglietto dalle mani e iniziò a leggerne qualche riga.
«Cos' è questo? Uno scherzo, forse?» disse la dottoressa con tono inacidito.
«Non capisco cosa voglia dire» disse l'elfo mantenendo la testa bassa.
«Non si capisce niente!» reclamò Odilde sbattendogli il pezzo di carta zeppo di segni incomprensibili sul bancone.
«Mia cara signora...» disse l'elfo sforzandosi di rimanere calmo, «le indicazioni sono nell'antica lingua di Marlet ed è la macchina a fornirle. Io non posso farci proprio niente. Ora se non vi dispiace dovrei proseguire con il mio lavoro» e indicò la lunga fila di visitatori che si era creata alle loro spalle.
«E non puoi dire alla tua macchina di scriverle in Marlet moderno?» gli chiese la dottoressa.
«No! Il prossimo.» rispose secco l'elfo facendo segno alla persona successiva di avvicinarsi.
«Va bene, Bertoldo! Me ne vado. Me ne vado. Ma presenterò un reclamo ufficiale al presidente degli elfi sportellisti! Di questo ne puoi essere certo!»
Gli gridò la donna allontanandosi furibonda.
«E adesso?» chiese Kate.
«E adesso, capperi a colazione!» disse Odilde avvilita. «A meno che, nel frattempo, qualcuno di voi non si sia specializzato in marlettese antico».
«Alla malora l'elfo! Non abbiamo bisogno delle sue indicazioni» esclamò Michael fiducioso. «Vedrete. Troveremo quella porta anche da soli!» quindi tirò a sé la prima maniglia e infilò la testa all'interno di uno sgabuzzino buio e umido, pieno di vecchie botti di melassa. «Molto bene! Questa la possiamo già scartare» disse richiudendo la porta e aprendone subito dopo un'altra che dava a uno stanzino con dentro scope, secchi e strofinacci, e poi un'altra che dava a una stanza piena zeppa di libri e poi un'altra che introduceva a una spelonca piena di serpenti e un'altra ancora che dava su un immenso deserto. «Ma non è possibile!» urlò frustrato.
«Ancora così sicuro di riuscire a trovare la porta giusta?» domandò Odilde mentre, seduta su un gradino, armeggiava con la sua pipa imperiale.
«Di sicuro c'è un altro modo per raggiungere la città» disse Peter guardandosi attorno sconsolato, «dobbiamo solo trovarlo!»
In quell'esatto momento, da una porticina cigolante a circa metà montagna uscì un signore ingobbito dal peso della grossa cesta che portava sulle spalle. Scendeva le scale a chiocciola con una tale lentezza che anche una lumaca avrebbe potuto facilmente superarlo; indossava un copricapo con un gufo impagliato sopra e agitava un tronchetto che terminava con un grosso occhio di vetro.
«Vediamo un po' cosa serve per preparare il brodo schiaccia-pensieri...» diceva tra sé e sé mentre esaminava la lista di ingredienti nelle sue mani. «Una ventina di more tarok, un mazzo di carote solletichine, una manciata di anice stellato...»
Peter non si fece sfuggire l'occasione e raggiunto l'anziano viandante gli si rivolse gentile.
«Mi scusi, signore, mi chiamo Peter Moffet...» disse porgendogli la mano, «e avrei bisogno di un'informazione».
L'uomo gli diede una fugace occhiata, si strofinò con l'indice la base del naso e poi continuò la sua lenta discesa.
«Signore?» provò nuovamente.
«Secondo me è sordo!» disse Michael.
«E secondo me tu sei un mortale puzzolente!» gli rispose il gufo accoccolato sul berretto del vecchio.
«Ehi! Ma come fa a saperlo?» disse Michael.
«Dal tanfo, giovanotto! Dal tanfo» rispose sinceramente il vecchio, continuando la sua discesa.
«Signore...» disse Peter senza darsi per vinto. «Per favore, dobbiamo assolutamente raggiungere Dralon. Potrebbe indicarci la porta per arrivarci?»
«Abbiamo forse l'aspetto di addetti alle informazioni?» chiese il gufo scontroso. «Chiedetelo a occhi a calamita, no?»
«Intendi l'elfo all'ingresso?» intervenne Odilde espirando le sue nuvole bianche di erba cipollina. «Già fatto ed è del tutto inutile. Le sue indicazioni non servono a un bel niente».
«Questo perché è stupido come una gallina!» commentò il gufo.
«Ebem! Un po' di maniere» lo riprese il vecchio.
«Ma è la verità!» disse il gufo. «Ha quel posto solo perché ha la fortuna di essere il nipote di un elfo illustre».
«Allora, ci aiuterà lei. Vero?» chiese Kate, tirando gentilmente per la manica l'anziano viandante.
«Uhm...» mugolò l'uomo intenerito dallo sguardo della bambina. «E ditemi, perché mai dei comuni mortali vorrebbero entrare a Dralon?»
«Onestamente?» rispose la dottoressa. «Non ne abbiamo la più pallida idea!»
«Quello che possiamo dirle è che a Londra stanno accadendo fatti davvero strani» disse Peter.
«Strani e inspiegabili!» aggiunse Michael.
«E Trogol, lo gnomo della lampada» continuò Kate, «ci ha detto di raggiungere Dralon e cercare Egot Dubbets».
«Lui saprà come sistemare le cose. Ci ha detto» disse Peter.
«Ha detto proprio così?» chiese il vecchio.
«Sì, signore. Sue testuali parole. E se non parliamo con lui, potrebbe accadere qualcosa di terribile».
«Allora, ci vuole aiutare o no?» chiese Michael.
L'uomo alzò gli occhi al cielo e poi colpì dolcemente il volatile sul capo.
«I nove corvi!» disse quindi il gufo beccandosi un'ala che gli prudeva.
«Nove corvi?» chiese Odilde esasperata. «Nove corvi. Tutto qui! Non ha nient'altro da dirci».
«Nove corvi. Tutto qui!» ripeté il vecchio. «Questo è quello che posso dirvi senza che mi venga tagliata la lingua per aver aiutato dei mortali» quindi senza buongiorno o buonasera riprese il suo cammino canticchiando divertito.
«Nove corvi» disse Michael grattandosi il capo confuso. «Che cosa potrà significare?»
«Nulla. Non significa assolutamente nulla!» disse Odilde.
«Oh, invece significa qualcosa, eccome!» la contraddisse Peter con lo sguardo rivolto verso l'alto. Fra le tante porte che tappezzavano la parete della grande montagna, ce n'era giusto una contornata da uccelli di pietra; nove corvi per l'esattezza. «Quella è la nostra porta. Forza, seguitemi!»
Odilde e i ragazzi salirono una lunga e curva scala dissestata e infine si ritrovarono davanti a un'entrata di legno con un pomello sul lato destro e uno sul lato sinistro, una testa di corvo in ottone che sbucava al centro e otto corvi di pietra appollaiati sulla cornice superiore.
Michael tentò di aprire la porta tirando prima un pomello e poi l'altro ma questa non si mosse.
«Ci avrei giurato!» disse il ragazzino per niente sorpreso.
«Proviamo a bussare!» disse Odilde colpendo decisa la porta.
«Cra-cra!» rispose la testa di corvo incastonata nella porta. «Chi è là?»
«Buongiorno, signor corvo! È un gran piacere conoscerla» disse Peter. «Potrebbe aprire questa porta e farci passare, per favore?»
«Potete passare, potete senz'altro... cra-cra... ma prima dovete rispondere al nostro quesito... cra-cra!» gracchiò il corvo.
«Ok, questo è davvero troppo!» esclamò Odilde, iniziando a discendere la scalinata appena fatta. «È stato un gran piacere! Ci si vede in giro».
«Dove sta andando?» chiese Peter bloccandola.
«Sono stufa di essere presa in giro. Tutto qui!» disse la dottoressa.
«Ma ci siamo quasi. Non può abbandonare tutto proprio adesso!»
«Oh, sì che posso!» obiettò la donna «Guardami!» gli scostò il braccio e continuò a scendere le scale.
«Ma ha sentito Trogol!» esclamò Kate. «Se non proseguiamo, potrebbe succedere qualcosa di terribile. Non si preoccupa per niente?»
«Certo che mi preoccupo!» la contraddisse la donna. «Mi preoccupo di tante cose, io. Mi preoccupo dei due prestiti fatti per la casa, mi preoccupo delle bollette da pagare e mi preoccupo che sotto il letto ci sia sempre una bottiglia piena di buon cognac».
«E non pensa alle persone care e al pericolo che corrono?» chiese Peter.
«Ci penso, eccome!» gli rispose la donna. «In questo momento, infatti, sto pensando alla povera cara Odilde e a come stia PERDENDO IL SUO PREZIOSO TEMPO!» finì urlando.
«E se le raddoppiassimo le commissioni?» propose Peter.
«Cosa hai detto?» chiese la dottoressa già a metà scalinata.
«Cosa?» chiese anche Michael inorridito da quella proposta. «Ti è forse dato di volta il cervello?»
«E metà del tesoro di cui parlava Trogol!» contrattò la dottoressa.
«Non se ne parla!» disse Michael.
«Affare fatto!» accettò Peter. «Più metà del tesoro!»
«Ok!» esclamò la dottoressa risalendo la scala grintosa e stringendo la mano del ragazzo. «Allora, cosa aspettiamo. Risolviamo questo rompicapo, no?»
«Non posso crederci!» borbottò Michael scuotendo la testa contrariato. «Abbiamo appena regalato metà della nostra futura fortuna».
«Avanti, penna nera!» disse Odilde, bussando ineducatamente sul capo del corvo. «Siamo pronti!»
«Eh sì... bene, bene... cra-cra... eccolo qui... eccolo... cra-cra».
Il primo corvo sul cornicione iniziò a parlare:
«La strega Abyssa, con la sua scopa magica, il suo gatto nero e il principe Cardilio tramutato in topo, deve attraversare il fiume dei tormenti con una barca... cra-cra».
Il secondo corvo disse:
«A ogni viaggio, può portar con sé una sola cosa... cra-cra».
Il terzo corvo aggiunse:
«Ma deve far attenzione... cra-cra... il gatto non può rimanere sulla sponda da solo con la scopa... cra- cra».
Il quarto corvo aggiunse:
«Eh già... cra-cra... perché questa lo batterebbe per bene... cra-cra».
Il quinto corvo continuò:
«Il topo non può rimanere solo con il gatto... cra-cra».
Il sesto corvo parlò anche lui:
«Eh già... cra-cra... perché questo se lo mangerebbe in un sol boccone... cra-cra».
Quindi il settimo corvo disse:
«Quanti viaggi deve fare la strega Abyssa per trasportare scopa, gatto e principe-topo senza incidenti sull'altra sponda?»
L'ottavo corvo concluse:
«Dateci la risposta corretta e la porta vi sarà aperta... cra-cra».
Quindi gli otto corvi si accovacciarono sul cornicione e tornarono a essere delle silenziose sculture di pietra.
«Dunque» cominciò Peter, «fingiamo solo per un momento che la dottoressa sia la strega Abyssa, che io sia la scopa, Michael il gatto e Kate il topo» disse disponendo il gruppo da un lato. «La strega deve attraversare il fiume» continuò, fingendo di pagaiare, «ma non può lasciar soli sulla riva la scopa e il gatto oppure il gatto e il topo. Quindi cosa traghetterà nel suo primo viaggio?»
La dottoressa gli rispose con uno sguardo vacuo.
«Traghetterà il gatto, dottoressa. Il gatto».
«Uhm» mugolò scettica Odilde, «ma se adesso trasportassi sull'altra sponda la scopa o il topo, avremmo un bel problema. O sbaglio?»
«Giusto!» concordò Peter strofinandosi il mento pensieroso. «Cosa fare, allora?»
«Ah, non guardare me!» disse la dottoressa alzando le mani. «Se potessi, io li farei annegare tutti quanti».
«Riportando il gatto sulla prima sponda!» fece Kate schioccando le dita. «Il nostro problema è risolto se riportiamo indietro il gatto!»
«Adesso devo riportarlo indietro?» disse la donna scuotendo il capo. «Non ci capisco niente».
«Nemmeno io!» fece Michael imbronciato.
«Hai ragione!» esclamò Peter. «Una volta lasciato il gatto, la strega tornerà sull'altra riva. Caricherà la scopa sulla barca e la trasporterà sulla riva opposta. E con il quarto viaggio, riporterà il gatto sulla prima sponda. Capite?»
«Se dico di sì, vinco qualcosa?» chiese la donna.
«Quindi...» continuò Peter, «caricherà sulla barca il topo che lascerà sulla riva opposta assieme alla scopa e con il suo ultimo viaggio traghetterà nuovamente il gatto».
«Ma insomma, quanti viaggi deve fare la strega Abyssa?» chiese Michael sempre più confuso.
La dottoressa contò a bassa voce il numero di volte sulle sue dita. «Sette! Deve traversare il fiume dei tormenti per sette volte! L'ho capito! L'ho capito!» esclamò esultando.
La testa di corvo rimasta a guardare in silenzio fino a quel momento, riprese a muoversi e parlare.
«Sette è la vostra risposta... cra-cra?»
«Sì, signor corvo!» disse Peter. «Sette, è la nostra risposta».
Appena data la conferma, il corvo di ottone iniziò ad agitarsi e tossire e tossire, e tossire sempre più forte e a un certo punto, con un ultimo poderoso colpo di tosse, sputò per terra una grossa chiave dorata.
«Questa è la chiave che apre il passaggio per Dralon... cra-cra!» gracchiò l'uccello. «Giratela a destra se volete che si apra da destra e a sinistra se volete aprirla dal lato sinistro».
«Qual è la differenza?» chiese Peter curioso.
«E io come faccio a saperlo? Sono solo una decorazione di ottone su di una porta!» ammise il corvo che detto questo s'immobilizzò.
Peter raccolse la chiave da terra e la inserì cauto nella fessura.
«Destra o sinistra?» chiese quindi a Odilde e ai fratelli.
«Destra!» gli consigliò Kate. «Gira la chiave verso destra».
Peter fece come suggerito dalla sorellina. Ruotò la chiave verso destra e tirò a sé il pomello corrispondente. Con un suono assordante l'uscio si mosse smuovendo nuvole di polvere e svelando un cunicolo scavato nella roccia.
A uno a uno, con estrema prudenza, il gruppo percorse l'angusto cunicolo illuminato a malapena da alcuni ceri a ghirigoro poggiati sul terreno.
«Peter!» sbottò Michael dopo aver camminato per un buon tratto. «La vuoi smettere di alitarmi sul collo?»
«Dici a me?» esclamò il fratello. «Mi sembra un po' difficile alitarti sul collo visto che sei l'ultimo della fila!» gli fece notare.
«Ma allora da dove arriva questa corrente?» chiese Michael sollevando una candela e accostandola alla parete della caverna.
«AL FUOCO! AL FUOCO!» urlarono all'improvviso delle voci.
«Aaaahhhh!» gridarono a loro volta Odilde e i ragazzi.
«Aaaahhhh!» gridarono nuovamente le voci.
«Chi-chi parla?» chiese Peter.
«Noi!» e in quel momento le pareti della caverna si riempirono di migliaia di bocche.
«Chi siete... o meglio cosa siete?» domandò Michael impaurito.
«Siamo bocche intercetta-maleficio!» gli rispose una bocca con due grossi denti sporgenti soffiando sulla candela nelle sue mani.
«Dovresti stare più attento con quegli affari!» lo rimproverò un'altra poco più in là.
«Scu-scusate, non volevo creare tutto questo scompiglio» rispose dispiaciuto.
«Cosa ci fate qui attaccate ai muri?» chiese Kate nascosta dietro la gonna della dottoressa.
«La pupetta chiede cosa facciamo qui... hihihi!» si mise a ridere una bocca da cui affiorava una fila di denti affilati.
«Soffiamo!» rispose una terza dalle labbra lunghe e sottili. «È questo che facciamo!»
«Soffiare? Che razza di risposta è mai questa?» borbottò la dottoressa.
«E perché soffiate?» domandò Kate curiosa.
«La pupetta vuol sapere perché soffiamo... hihihi!» scoppiò a ridere un'altra sulla volta della caverna.
«Soffiamo per spazzar via i visitatori inopportuni. Ecco perché!» gridarono le bocche che all'unisono iniziarono a inspirare ed espirare sempre più forte, creando nel cunicolo un vento terribile, un vento così forte da riuscire a sollevare i ragazzi e la dottoressa come fossero delle piume.
«AIUTO!» gridarono i ragazzi volando via a gran velocità lungo il passaggio.
«La parcellaaaaaa...» gridò Odilde che rigirava in aria come una foglia, «me la dovete triplicareeeee!»
«Volate via! Volate, mortali!» gridarono le bocche. «E portate i nostri saluti a Egot Dubbets!» dissero, scoppiando nuovamente in una grossa risata.
La dottoressa e i ragazzi vennero espulsi dal cunicolo come dardi da una cerbottana. Sorvolarono un paio di quartieri e atterrarono infine su un enorme letto a baldacchino esposto nella vetrina di un negozietto di antichi mobili incantati chiuso per ristrutturazioni e, per loro fortuna, dotato di un vetro magico fatto con una friabile pasta di ragnatele.
«Ho proprio bisogno di una vacanza!» disse Odilde a gambe all'aria e la testa conficcata in un gigantesco cuscino. «Una lunga, lunghissima vacanza!»
«Beh, tutto sommato poteva andarci peggio!» esclamò Michael mentre osservava lo strano negozio.
«Già, almeno nessuno ci ha visti piombare qui!» disse Odilde spolverandosi la giacca.
«FERMI DOVE SIETE!» urlarono in quel momento due minacciose figure incappucciate comparse da un angolo con le bacchette magiche puntate verso di loro.
Odilde sollevò la testa dal cuscino e rivolse alle due figure vestite di nero uno sguardo scoraggiato.
«La mia solita iellaccia nera!» imprecò alzando le mani in segno di resa.
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