Capitolo 9. Always you...

García è proprio uno stronzo.

Mi dirigo fuori dall' ufficio della Fitzgerald pestando con i piedi, verso il basso spingo la incendiaria furia per calpestarla sotto la suola delle sneakers.

Avrei preferito di gran lunga una sospensione e pulire ogni cesso di questa scuola come punizione. E a lui sarebbe andato pure bene, il pensiero di non trovare per un prolungato asso di tempo la faccia mia davanti nel corso delle sue lezioni.

Purtroppo, per me, la preside si è mostrata di differente avviso. Certo, si ritiene in dovere di impartire una bella lezione perché non posso mandare a quel paese gli insegnanti, neanche quando essi sono stronzi e ingiusti. Perderebbe la faccia davanti all' intero corpo studentesco, altrimenti, e non può permettersi di scatenare il delirio nel nome della sua autorità. Per il resto non si è mostrata arrabbiata, ne tantomeno delusa da questa mia convoca al quale ha dovuto farci l'abitudine.

Oltre ai preparativi per il ballo invernale, se mai non fosse annullato per rendere agli studenti prossimi al diploma un ultimo magico momento sociale inumidito di lacrime e addii, adesso sono anche costretta per un paio di settimane come minimo ad assistere i vari funzionari scolasti, supporto con apparecchiature informatiche e altre funzioni di questo tipo. A iniziare dalla palestra, a partire da domani doposcuola.

Tutte stronzate, a mio parere, prive del senso di utilità. Nella vita sono già troppo impegnata a trascorrere i miei giorni nella gestione dei cazzi miei. E loro, i professori, hanno un lavoro con stipendio fisso ben retribuito da potersi permettere di assumere un segretario qualora fossero troppi vecchi per saper premere il semplice tasto di accensione di un computer.

Almeno, per accedere alla palestra della Eagle High potrebbero affidarmi un mazzo di chiavi, qualora ci fosse il bisogno. Potrebbe essere utile molto se ho intenzione di girovagare indisturbata sul luogo del delitto. Sarei a pochi passi dalla verità.

I corridoi si trovano quasi interamente vuoti. I branchi di giovani volti che tra queste pareti coperte da file di armadietti da una parte all' altra sono accalcati verso l'uscita. Due sole persone sono l'eccezione, e la mia migliore amica è tra questi.

L'altra ragazza è seduta per terra, con la schiena contro uno dei tanti armadietti metallici e freddi al contatto con la pelle premuta. Poco importa se il suo o quello di un altro, e di certo nel silenzio che dentro la scuola regna a nessuno potrebbe infastidire. Le ginocchia abbraccia, le scure dita al tessuto dei jeans di arpionano. Una matassa di ricci d'ebano le ricade sul viso chinato in avanti per mascherare un paonazzo viso dalle lacrime appena stato sommerso. Gli occhi ancora gonfi dal dolore sono riflessi.

Che sia un' amica di Rachel anche lei? Forse dovrei provare ad avvicinarmi e alleviarne un po' del dolore che l'affligge, mi passa dentro la testa quel pensiero come un lampo che sono pronta a scrollare.

Chi vado a prendere in giro! Non sono abile ad ascoltare e basta, come una paziente amica, senza poi agire di conseguenza in base ai toni del racconto. Nova è stata l'unica persona finora con cui ho azzardato l'immane sforzo.

Nova è più avanti. Nella felpa nera che la figura esile avvolge scompare, e forse è anche questo il desiderio che la mia migliore amica vorrebbe si trasformasse in realtà. Non sono abituata a vederla senza colori accesi indosso dei capi più di tendenza. In questa versione lutto non è lei.

«G-grazie» sussurra, in un fremito di voce mozzato da un rivolo ingombrante che le corde vocali le sbarra. Una semplice parola che per lei, adesso, racchiude una grossa fetta di difficoltà. «Per prima, a lezione, è un periodo... Non ho la testa per concentrarmi sul resto ora». La raffica di frasi risulta a lei una sconnessa ammissione dalla bocca sua formulata quando la testa sua soltanto il nome di Rachel avrebbe urlato.

È anche, ma soprattutto per lei, la mia amica dei primi passi, se la verità su quel che è accaduto nella mattina della tragedia.

«Oramai dovresti conoscermi. Ho una passione nel cacciarmi nei guai, sono io a cercarli» tento un timbro di voce leggero, azzardo il tentativo di appesantire il macigno che da dentro la comprime con un sorriso accennato. Prendo la bionda sotto braccio per trascinarla via, verso l'uscita. «Abbiamo mezza giornata libera a partire da adesso. Cosa farai nel pomeriggio?»

A me piacerebbe di sicuro tentare di venirne a capo, imbattere i miei occhi e con mano toccare qualche indizio che possa segnare l'inizio di una traccia possibile per garantire un degno epilogo alla giustizia.

«Sprofondare nel letto e lasciarmi annegare dalle coperte inghiottita».

Sono saltato in sella alla moto a lezione conclusa, continuare a restare tra gli sguardi dei presenti puntati addosso si è trasformato in un' agonia da provare del respiro.

È da quando i cancelli sono stati riaperti che mi sento messo alle strette da centinaia, se non migliaia di iridi indagatrici. Il colpevole di un errore che neanche mi appartiene.

Il vento in poppa la faccia raggela. Mia madre mi ammazzerebbe con le sue stesse mani se mi vedesse ora (okay, magari le black reference sono esagerate in un momento tanto delicato per la comunità). Il casco è sollevato, a malapena poggiato e lasciato slacciato mentre aumento la velocità, saettare beandomi dello stato di ebrezza nell' attraversare il margine della scogliera.

Eppure io ne avverto un tale bisogno, di schiarire le idee. E, se necessario, anche prendere a cazzotti una faccia di cazzo di mia conoscenza... Basta una testa di cazzo in particolare che spero non abbia toccato neppure un singolo e sottile capello di Rachel, altrimenti le conseguenze si sarebbero versate su tutto il gruppo e, allora, io avrei sul serio ammazzato lui a furia di colpirlo.

L' Avana Neon Arcade è oramai un vecchio garage dismesso protetto dalla rigogliosa natura che qui, sull'altopiano, domina. Eppure è anche stato, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, l' unica discoteca del paese è per questo ha assunto un ruolo di epicentro tra le giovani comitive di quel periodo. Uno dei locali più in voga e decaduto durante il corso della seconda metà del secolo per colpa del calo demografico brusco, utilizzato come improvvisato riparo da alcuni senzatetto contro il rigido inverno scozzese.

Un decennio prima il nonno di Brett ha pensarlo di acquistarlo, toglierlo dalle mani del municipio nel quale è caduto per restituirlo all' antico splendore. Perlomeno questi sono stati i piani, prima che nelle grinfie del nipote passasse.

Ora la squad ha trovato un covo protetto dalla supervisione degli adulti e i barboni hanno perso quanto di più o meno simile a un caldo rifugio.

L'area interna ha forma quadrangolare cupa, il vetri smaltati di verde delle finestre non lasciano oltrepassare l' accesso alla illuminazione naturale.

Il divano di velluto porpora dalla sagoma semicircolare è stato spostato al centro della sala. È posto davanti un tavolo basso in alluminio.

Pare essere tutti presenti i componenti della crew, rilassati dal ritmo solito nonostante il clima amaro che negli ultimi giorni si respira.

Un ragazzo platinato siede proprio sul centro di quei rigidi cuscini, il ghigno da schiaffi sempre stampato in faccia.

Stringo in pugni, le braccia tese riservando immani sforzi per non digrignare i denti.

Nadia siede sulle ginocchia del giovane White, nel mentre un ragazzo di fianco seduto il palmo comprime tastandone la carne sotto gli aderenti jeans. È una ragazza a chiudere il quartetto, infilando la lingua tra le labbra di Brett.

Sembra di avere davanti la copertina di un poster pubblicitario per un teen drama destinato a febbricitanti ragazzine.

Quando mi trovo, però, a buttare il mio sguardo oltre quel principio di orgia, ogni intenzione di affrontarlo vacilla.

Cameron, il fratello della vittima del brutale decesso che la Eagle High ha colpito, si trova poggiato con il busto al bancone dai sgargianti colori di quel che in principio doveva corrispondere a un piano bar. Una bottiglia di birra strappata tra le mani e almeno un altro paio del contenuto svuotato sulla marmorea superficie gettate.

Oh merda.

Con lui presente non posso permettermi di interrogare Brett.

Se ho preso un abbaglio, sono costretto ad avere il corpo dell' idiota sulla coscienza perché è sicuro che il mezzano dei fratelli Collins lo ammazza se dovesse ricevere l'input che ha osato sfiorare la sorella contro la sua volontà. In questo delicato momento, con la morte di Rachel ancora fresca nel cuore, la reazione della funesta ira sarebbe peggiore.

Sono stato informato della passata amicizia tra Brett White e Cameron Collins, hanno insieme giocato a pallacanestro nella stessa squadra prima che il secondo vincesse una borsa di studio per frequentare un anno all' estero. E dubito che al ritorno sia stato messo al corrente dei nuovi sviluppi, in merito alcuni passatempi del suo suddetto amico.

Cameron è all' oscuro ancora della terribile verità a cui mai è a me concesso trovare rimedio, quel che Rachel ha dovuto subire per mano di quel vile.
Chiunque si è ben riguardato dall' informare lui sulla realtà dei fatti.

*****

Rachel si precipita fuori dal fortino. Il tremore percepibile ad accarezzarle gli arti, il terrore dentro le dorate iridi sgranate sue riflesso.

Pare un delicato un bocciolo conciato per dare un adeguato benvenuto alla primavera in quel suo svolazzante vestito rosa pastello. Un petalo con brutalità strappato alla spensierata infanzia.

Mi sono ritrovato stravaccato sul divano sporco al momento del concretizzarsi dei fatti, un testimone sventurato della strazianti urla di una ragazzina che da dietro una porta chiusa è costretta a dimenarsi per esser da quell' incubo liberata. Il cervello affogato nella birra che avido mi scolo quando avrei dovuto buttare giù la porta, poco importa quanto dura, per strapparla via dagli impuri desideri di Brett.

Cazzo, oggi è anche il suo compleanno, di quella piccola Rachel non più tanto bambina ora.

E il ricordo di questo giorno mi tormenta, destinato a sconvolgere la testa per molti anni futuri ancora da susseguirsi.

*****

Quando Brett è uscito dalla stanza, mi sono vergognati per lui da aver calato lo sguardo fisso sul pavimento pur di non incrociare il suo.

Continuo a vergognarmi di me stesso.

Sono dovuto scappare, in sella alla mia moto ho cercato un riparo da quell' angusto magazzino intrinseco di tenebre, come il petto marcio del suo proprietario. Io sono peggio.

Ho lasciato fosse il vento gelido della velocità a riempirmi la faccia di schiaffi nel corso di questi mesi per rendermi libero dal ricordo.

Ma lui, oggi, autore di quell' atto, è davanti a me, intento a proseguire la sua vita senza il briciolo di un rimorso a scalfirlo.

Forse, dovrei davvero affrontarlo adesso, incurante che il fratello di Rachel sia nei paraggi. Rendere Cameron Collins partecipe, senza il peso degli scrupoli che nessuno ha avuto nei riguardi della sorella.

Forse, tra le crepe di quel maledetto pavimento peccaminoso, ancora giace il pendente con la luna incastonato da tanti piccoli cristalli da assumere la somigliante lucentezza dei diamanti reliquia testimone di un male tra quelle mura consumato.

Sono seduto sul bordo del molo, se mi spiego riesco a specchiare il mio riflesso dentro quell' acqua messa in continuo movimento dal flusso di corrente. Sta volta il suo riflesso è grigio, una tersa immagine delle nuvole che al di sopra dell' infinito si estendono.

Lei, Rachel, ha amato venire qui.

L'acqua è stato il suo elemento tanto quanto gli irraggiungibili astri.

È tra i sogni suoi più volte rientrato il desiderio di prendere una barca e nell' orizzonte fiondarsi, verso quel cielo incontaminato dalle luci urbane, laddove le costellazioni sono visibili a occhio nudo.

Vorrei poter aver mantenuto quella promessa prima di vederla andar via lontano da tutti gli amici che più le sono affezionati, scappata da me.

Questo è anche lo stesso punto in cui per più di due secondi ho scambiato un paio di parole con Juliet. Anche se più che altro da lei sono stato insultato soltanto per aver azzardato a offrirle aiuto.

Ho intravisto il fuoco invaderle le chiare iridi, nel momento in cui si è alzata per litigare con uno sconosciuto di quasi il doppio degli anni suoi. Non c'è nulla in grado di fermare, a quel che con poche occhiate ho compreso, quella ragazzina dai capelli rossi quando si mette in testa una cosa.

Lei possiede il tenace volere di una leonessa.

Lei è la mia Nala.

Semplicemente incredibile al punto tale da stravolgermi la testa.

La brezza che dall' oceano si solleva, mista alle aranciate sfumature che il grigio e l'azzurro colorano mi riportano alla realtà.

Dopo la tragedia che la famiglia Collins ha colpito, i miei genitori sono diventati apprensivi fino all' inverosimile, soprattutto al saperci fuori di casa, senza risparmiare neppure mio fratello maggiore che di anni è prossimo ai trenta.

Forse avrei dovuto informarli a uscita da scuola della tappa intermedia prima di tornare a casa.

Dentro l' autobus, durante le ore di punta, non si riesce a muovere un passo. Trovare un posto libero in queste condizioni risulta una titanica impresa.

Tutti hanno fretta di rintanarsi nelle rispettive dimore, all' affetto dei propri cari accoccolati assaporate la cena in caldo ad attenderli per rifocillare le energie nel corso della giornata dal lavoro consumate.

Eppure non basta il marasma di gente a distogliere la mia attenzione da una sagoma a me divenuta familiare. Credo sarei pronto a riconoscerla anche se viaggiasse in incognito con un travestimento tale da fare invidia alle migliori spie.

Un faro inconsapevole a cui affidare il mio conforto nei giorni di nebbia.

La testa china sempre su quello stesso diario che anche al parco ha stretto a se. I fili delle cuffie che da sotto la giaccia si affacciano le consento di isolarsi dal chiacchiericcio, immergersi in una bolla di silenzio da appartenere a lei soltanto. Le calde onde di fuoco e autunno dei capelli le ricadono davanti alla faccia, finiscono per coprirle il bellissimo volto di lentiggini costellato.

È esile. Occupa due posti, uno di troppo per una ragazza dalla sua fisicità. Prossimo a lei c'è il finestrino, il paesaggio scorre, rapido corre inafferrabile nel mentre da dentro il ferruginoso mezzo il tempo pare essersi bloccato. Di fianco ha posato lo zaino.

“Rachel Collins” sono state le ultime parole che Juliet Cohen mi ha rivolto, parole che nella testa tornano a vorticare come una voragine e forse mai mi hanno abbandonato. E ogni pezzo del puzzle pare incastrarsi nel giusto posto, le domande sue a riguardo della società segreta della Libellula che assumono un senso.

«Se stai indagando sulla morte di Rachel, voglio esser parte della squadra» propongo, a lei mi accosto e con il potere attribuito alla frase attiro l'attenzione della rossa, la mia Nala. «Sono convinto quel che tu stia facendo sia pericoloso, ma Rachel è stata una mia amica e voglio aiutarti, che ti piaccia o no, nello scoprire la verità» rigetto, non mi fermo neanche a prendere fiato per impedirle di controbattere prima ancora di aver concluso. «A quanto pare ho dimostrato di poter reperire informazioni più facilmente di te in merito La Libellula. Posso esserti utile».

In verità, dopo Rachel, non le avrei mai permesso di mettere in pericolo la sua vita. Sarei rimasto un punto al suo fianco fermo, il porto sicuro che l'avrebbe protetta quando le cose si fossero messe male per riportarla indietro.

La percepisco troppo importante per definirla una semplice compagna di scuola. Lei è una che vale la pena al solo fatidico primo sguardo.

Note autrice

Eccomi qua con un nuovo capitolo, più che altro la seconda parte del precedente 😅 e per la prima volta appaiono più punti di vista nell' arco di un medesimo capitolo. Spero sia un capito breve il giusto questo, senza inutili dilungamenti. Ma, almeno, sono stata molto più rapida con le tempistiche di pubblicazione.

Forse, queste sono le ultime note finali che scrivo perché non so mai come interagire, di cosa parlare in quest' angolo all' infuori della storia. Mi sono concessa un tentativo, meglio rischiare che vivere nel rimpianto. Qualsiasi suggerimento è, però, ben accetto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top