Capitolo 8. You Again
Rachel ondeggia in una danza avvolta nel vento. I filamenti d'erba attorno alle dita si intrecciano. Alcune rosse foglie, secche si staccano tra i rami per trovare incastro tra i biondi ricci. Proprio come la luna del sole innamorata, anche le iridi di dorato miele abbracciano i freddi raggi, seppur è nella notte che trova il suo regno, assieme alle stelle tanto amate.
E chi mai avrebbe immaginato, alla fine, anche lei sarebbe diventata parte del suo personale emisfero onirico, uno di quei tanti punti luminosi d'argento che dal vasto empireo ci osservano.
Lei per me è ancora qui. La morte egoista non ha rapito la purezza con cui il cuore suo è stato solito dispensare sorrisi, senza aspettare mai nulla in cambio.
Il mio fedele amico, Scott, è disteso ai piedi della panchina, sotto le mie gambe. Di tanto in tanto accosta il chiaro, soffice muso per rendermi partecipe della sua presenza con il suo calore.
Il simpatico cucciolone di labrador ha avvertito il crescente sconforto causato dai recenti avvenimenti, un silenzioso complice costante al mio fianco per impedirmi di annegare, cedere al corpo il diritto di venir sopraffatto dal dolore.
Non avrei neppure trovato la forza di affidarmi al sistema muscolare se non lo avessi avuto al mio fianco. Occuparmi della bestiola è uno sprono costante per reagire, smettere di pensare al male destato.
Perfino per lui la piccola Rachel è stata una presenza importante. Una figura incurante di sporcare i buffi seppur graziosi vestiti floreali, sempre china sulla pelosa testa per riempirlo di coccole e giochi. Il risultato si sarebbe presentato pronto in una manciata di secondi esempre nel medesimo schema, l'animale avrebbe cacciato la lingua per scorrerla festoso sul ridente viso della ragazzina.
Mi drizzo composto sulla scomoda panchina in legno, il cielo quest'oggi pare ricordare soltanto i ricordi belli nel proprio azzurro. Passo una mano sulla testa di Scott, attraverso il liscio pelo lascio scorrere le dita carezzevole fino al collare turchese con la medaglietta placcata ottone con sopra inciso il nome e l'indirizzo di casa.
«Manca tanto anche a me, amico» dichiaro in un sussurro mesto al fedele compagno a quattro zampe dei giorni miei. «Non hai neppure idea di quanto!»
E, alla fine, arriva come una visione che dritta a lei mi porta.
Frequentiamo la stessa scuola da quattro anni, e forse qualcuno in più, eppure mai mi è capitato di trovarmela davanti come in questi ultimi giorni.
Separati da pochi passi, le sottili onde di fuoco scendono a coprirle il lattiginoso viso costellato di tante piccole lentiggini a rivestirne la zona alta del viso e il naso. Nella visione che dinanzi gli occhi miei è parata pare racchiudersi tutta la quiete di quest' autunno.
È seduta per i fatti propri. Alcuni libri di lato e un diario posato sulle ginocchia, di tanto in tanto concentrata ad appuntare parola con lo spuntone di una consunta matita. È il solo mezzo di cui ha bisogno per sentirsi in pace con il mondo, essere lasciata da sola nella compagnia di se stessa.
La luce da piccola guerriera con la quale il verde del cielo di riugiada dentro agli occhi della ragazza si racchiude è mostrata addolcita attraverso quelle pagine che avida di sapere è intenta a sfogliare. Nel giro di un paio di giorni ho imparato a conoscere della leonessa piacevoli sfumature inesplorate, concesse soltanto a pochi eletti della Eagle High School.
Prima che mi fossi reso conto, ho iniziato a costatare che io nel fissarla mi sono perso. Da lontano la figura sua contemplo. Il marasma di pensieri al silenzio ingombrante del vento si mescola. E per il più piccolo frangente di un istante sono pervaso dalla sensazione di aver lasciato casa, abbandonato la Scozia per ritrovarci a essere gli unici abitati del nostro personale universo onirico, io e lei soltanto.
È la bestiola al guinzaglio a spezzare l'incantesimo nel quale il corpo mi è precipitato. Dalla presa ben salda si scrolla determinato nel riversare il carico di allegria addosso la rossa, la coda in festa da una parte all' altra lasciati libera di ondeggiare.
«Scott, torna qui» a me provo a richiamare quel cane che quanto vuole sa essere assai caparbio, peggio di un essere umano. Uno scatto, poche semplici falcate e mi trovo a bloccarlo accostato alla mia gamba per il collare.
Ho i miei dubbi che la vivace Juliet Cohen sia cinofoba. Lei è quel tipo di ragazza che spedita almeno una volta a settimana nell' ufficio del preside, la stessa che proprio con questi stessi occhi miei affrontare un uomo più grande di lei e che per quel che avesse potuto sapere poteva benissimo rivelarsi un violento alcolizzato.
Il suo coraggio è risaputo, intuibile anche senza scambiarci parola insieme.
È una tosta, lei.
Più che altro preferirei evitare al mio cane di importunarla in un momento per lei di massima dedizione.
Ma, contro ogni previsione, ha sorprendermi è la diretta interessata. Il viso si irradia alla vista del mio peloso amico, se fosse libero dalla presa di sicuro almeno lui potrebbe avvicinarla.
In risposta, ne approfitto a sfidare la sorte, soprattutto dopo aver appreso a mie spese ch'ella abbia in suo possesso una forte personalità individualista.
Sollevo la mano per rivolgerle un cenno di saluto, non come amico perché a me e lei manca davvero poco al punto di non conoscere nemmeno i reciproci nomi. No, il mio saluto è al pari di un conoscente che ha appena incontrato passeggiando nel parco una delle ragazze con cui frequenta lo stesso edificio ogni giorno, un banale gesto cordiale per una ragazza da parte di un ragazzo che l'ha appena incontrata è da interpretare il gesto mio.
«Mi stai seguendo?!» si acciglia lei, chiude il diario per ripororlo in uno zaino in tela insieme ai libri. Si prepara alla fuga come una ribelle Cenerentola dal ballo in cui è stata l' ammaliante protagonista. «Da principe azzurro a stalker, è un nuovo tipo di progresso?».
«Preferisco definire il nostro incontro casualità del destino. Stavo portando fuori Scott» le indico l'esuberante cane tenuto al guinzaglio. «Ho trovato interessante il discorso alla cerimonia di commiato per Rachel, così onesto. Anche lei avrebbe apprezzato».
«Qualcuno doveva pur mettere in riga la massa di ipocriti presenti» controbatte, prima di stendere i nervi, stravolgere la sua espressione scontrosa. «Allora, vuoi sederti. Devo mostrarti una cosa, ma niente domande».
«Allora ne sai qualcosa di loro?» illustra senza fronzoli di inutili parole a contornare il discorso. Tende alla vista una vecchia foto che con cura, ben attenta alla datata filigrana, estrae dallo zaino. Si osserva in torno, approfittando della scarsa affluenza del parco prima di procedere.
Lo scatto presenta uno sfondo cupo. Ragazzi e ragazze a noi coetanei disposti a sorridere in primo piano per imprimere quella loro giovinezza nel tempo. Su di loro, alle spalle del gruppo, aleggia un' ombra oscura da un cappuccio celata.
«Le divise recano il logo della scuola: ali di libellula» mi invita a osservare meglio l'immagine. «O almeno il simbolo stampato sugli annuali fino al millenovecento ottanta. Mi sembri un tipo socievole, per caso tu o uno dei tuoi amici avete notato qualcosa. Anche vecchie favole da parte dei nonni vanno bene».
Scuoto la testa in segno di negazione. Esterno ignoranza difronte una simile richiesta.
«Tua nonna cosa ti ha raccontato?» rigiro la domanda prima di intuire avrei fatto bene a mordermi la lingua. Dalla reazione della ragazza pronta a esplodere in un uragano di insulti devo aver toccato un tasto a lei parecchio dolente. Il viso paonazzo della rossa ha stampata la parola offesa, tira in dietro il braccio con la foto determinata ad andare via.
«Aspetta!» l'istinto mi suggerisce di agguantarle un braccio e poco importa se mi arriva un calcio. La conversione è ancora aperta, o almeno la mia testa tanto vorrebbe lo fosse. «Scusa se sono stato indiscreto. Purtroppo io non ne so niente, vorrei soltanto sapere come sei venuta in possesso di questo materiale e a perché ti interessa tanto».
«Fatti gli affari tuoi» rigetta addosso le velenose parole. «E togli le sudice minacce dal mio braccio, prima che te le taglio in maniera tale da trovare un chirurgo molto bravo con i puzzle per ricucirle».
Alzo le mani in segno di resa, assecondando la richiesta. È interessante il carattere di questa ragazza, il fuoco puro scorre nelle vene al posto del sangue.
«Hai ragione tu, non sono affari miei. Ma se devo aiutare a ficcarti in mezzo ai guai, almeno merito di conoscere la ragione. Ne vale la pena?».
Il modo in cui la frase dalla mia bocca è formulata stuzzica il suo interesse mi costringe a rivalutare ogni parola, maledire me stesso per non averla lasciata andare preferendo di gran lunga il silenzio.
Nelle chiare iridi della mia interlocutrice si accende, portandola a stringere le braccia al petto e avanzare quasi a avesse tutta l'intenzione di sbattermi in un angolo ed estirpare con forza le nozioni.
«Hai detto di non saperne nulla, secondi fa!»
Dannata, straordinaria, ragazzina. Possibile che con te perdo il controllo delle sinapsi e non ne combino una giusta?
«D'accordo, forse qualcosa ho sentito. Ma ti propongo un patto: io parlo, tu parli» allungo una mano in attesa che sia lei ad afferrarla, stringerla per siglare l'accordo. Lancio la sfida nella consapevolezza, e nella speranza, che non decida di tirarsi indietro proprio adesso. «Sono la società segreta della Libellula, una sorta di setta antica su cui la scuola è stata forgiata. Forse il paese intero».
«Rachel Collins» proferisce quel nome come un fulmine a ciel sereno da scalfire la terra da sotto i piedi e aprire il profondo baratro dal quale mi lascio risucchiare, per intero, anima e corpo.
La palestra è stata allestita per la prima lezione del giorno, dopo la chiusura della scuola di un paio di giorni da parte della polizia. Gli aspetti che di solito ospitano le tifoserie durante gli eventi sportivi, adesso accolgo l'intero corpo studentesco.
È una tra le molteplici idee della professoressa Ross, una proposta ben accolta e supportata dalla preside. Di sicuro l'argomento è uno spunto su cui riflettere, questo metodo di insegnamento distingue la giovane donna dal resto dei colleghi.
Forse sarei dovuto restamene a casa. A suon di logica non è difficile individuare il tema base della conversazione e non sono ancora pronto ad accettarla come parte integrante del passato, un' ombra oramai spoglia di corpo e futuro.
Passo lo sguardo su il profilo di ognuno dei presenti, sorvolo con la mente ben concentrato nel riconoscere tra la massa di presenti la ragazza dai capelli rossi che per ben due volte ha intrecciato il proprio cammino al mio. Sento in me racchiuso il bisogno di trovarla, e un po' sto male al pensiero.
Rachel è morta da troppo poco per smettere di disperate la sua assenza. È presto per disperdere altrove le energie che donano al corpo mio la forza per tirare avanti, con Rachel siamo stati amici troppi anni per sostituirla.
Per tale ragione nel profondo del petto una piccola percentuale di chi sono tira un sospiro di sollievo ogni volta che si ritrova respinto da parte della rossa. Il giorno in cui dovesse abbattare il muro del subconscio per aprire una porta e concedere a me il passaggio io sarei rovinato.
E se dovessi apprezzare la sua compagnia molto più di Rachel?
Scrollo subito quell' evenienza dalla testa. Una persona può avere anche molteplici amici e apprezzando ognuno a pari merito senza distinzione con le diverse sfumature caratteriali pronte a creare l'arcobaleno della vita con cui abbattare la grigia tempesta.
La giovane professoressa è già pronta per occupare la postazione, su una pedana da un palchetto rialzata. Nonostante le sue materie siano la letteratura e la storia, alcune bianche tele poggiate su appositi cavalletti in legno sono in ordine sparso disposti per l'area interna della palestra. A occhio e croce servono a fare da scenografia, anticipando che il tema da Daphne Ross prestabilito è in collaborazione.
«Buon giorno, cari ragazzi. Magari per alcuni di voi sarò una pazza, e altri dopo i recenti avvenimenti non hanno voglia neanche di essere qui in questo momento» introduce solenne, con modi pacati e rassicuranti sfila davanti le prime file per garantire a tutti i presenti di poterla vedere. «Ebbene, penso abbiate ragione tutti voi. È stato orribile, è orribile pensare che Rachel, una ragazza, anzi no...una giovane donna, una persona proprio come ognuno di voi ha smesso di esistere, non più parte di questo mondo». La voce della professoressa è incrinata, da lacrime sommersa da render difficile proseguire oltre. «Ma la vita, che a noi piaccia o meno, va avanti. Per tale ragione ho domandato al professore Finnegan un suo intervento durante la lezione. Quest' oggi, noi, ci serviremo dell' arte per metabolizzare i fatti. Continuare a vivere, certo, ma senza dimenticare: facciamolo per Rachel! Ora la parola al collega, lascio che sia lui a fornire istruzioni sul lavoro a cui sottostare».
La bionda si scansa di lato per cedere il centro dell' attenzione generale all' insegnante di arte.
Al suo ingresso, Edward Finnegan si rivela tutt' altro che un docente negli atteggiamenti, ben diverso da chi mostra la presenza con completi impeccabili. Suppongo sia per il suo essere artista a renderlo immune alle etichette che la società con i canoni stampa addosso.
«Ringrazio la professoressa Ross per avermi interpellato» scandisce prima di rivolgersi a un angolo degli spalti, al punto in cui la giovane collega si è seduta per unirsi agli studenti. «Questa sarà una lezione molto pratica, non ho intenzione alcuna di riempirvi di chiacchiere quando scommetto non avete nemmeno testa per ascoltare - accende con il telecomando tra le mani nascoste per attivare il proiettore - come ho, più volte ribadito, l'arte è comunicazione. Aiuta a esprimere emozioni, tutte le sensazioni che non hanno voce perché il più delle volte perfino le parole hanno dei limiti».
Il dipinto 'Notte Stellata' di Van Gogh appare sul bianca parete, con le pennellate scure investe la neutra superficie.
La calma riflessa nel celebre quadro è pura apparenza, forse anche troppa. Un naturale paesaggio incastonato in un tempo immobile, mentre nelle lontane abitazioni la vita è intenta a scorrere nella norma di quel che spesso si considera il quotidiano, un ritmo abitudinario al quale dover adattare il proprio essere. Come in tutte le opere dell' artista, il celato stato di inquietudine calca le scene da protagonista.
È attuale, il dipinto. In esso i miei occhi scorgono il volto gentile di Rachel.
«Immagino tutti voi conosciate il quadro proiettato alle mie spalle» continua il professor Finnegan. «Ma adesso vi invito a domandarvi cosa vi trasmette l'artista, individuate il pensiero e chiedete alla vostra coscienza una libera interpretazione. Lasciate scorrere l'immaginazione, scommetto che anche il buon Vincent vorrebbe lo stesso. Ora vi lascio passare dei fogli vi richiedo di scegliere due colori, uno a rappresentare voi stessi, il vostro stato d'animo attuale degli ultimi giorni e uno da attribuire alla cronaca odierna, alla nostra scuola e a Rachel. Buon lavoro e siate onesti».
Le punte dei pennelli riescono a malapena a intingersi nel colore, quando la lezione viene interrotta brusca dal professore Garcia.
Nessun fiata, tra gli studenti, più che altro per curiosità di sapere la ragione per cui l'anziano docente di matematica ha tanto da protestare questa mattina. Adoro la sua materia, insieme alla fisica svelano segreti ancora inesplorati del macro mondo oltre i confini, e forse posso anche risultare un alieno agli occhi dei miei compagni per questo motivo. Ma comprendo che di certo sono anche insegnati di uno stampo così datato a rendere la disciplina tanto detestata alle masse.
La impettita postura spilunga lo rendono un signorotto locale. Avaro e superbo nei riguardi delle classi inferiori.
«Eccovi dove eravate tutti! Se non erro avevamo un compito in classe molto importante, e per questa bravata ho tutta l'intenzione di togliere importanti crediti extra che avrebbero anche potuto rivelarsi utili qualora avesse avuto intenzione di inoltrare domanda per una borsa di studio per accedere all' università. Molto utile per gli studenti dell' ultimo anno, soprattutto» inveisce contro gli studenti, zittisce i due colleghi più giovani che provano a prendere le difese. «E voi! - punta il dito contro i giovani insegnanti - è la seconda volta che ci scontriamo signorina Ross. So che è lei la mente dietro la bravata. Non possiede alcun diritto di monopolizzare la scuola, Ursula Fitzgerald le ha concesso troppo credito. Gli studenti frequentano la scuola per studiare, non per buttare il loro tempo. Andassero al bar, altrimenti».
«Professor Garcia, è appena morta una studentessa. Il mio intento è aiutare i ragazzi a esorcizzare il dolore, mai è stata mia intenzione sottrarre del tempo al lavoro altrui. Ritengo trascinarli nel normale ritmo scolastico, e di certo come insegnanti abbiamo il dovere di non ignorare la tragedia appena consumata proprio tra queste mura» giustifica la docente di letteratura le buone intenzioni con cui ha organizzato la giornata.
«Lei ritiene, cara collega? Alcuni dei ragazzi hanno insufficienze da recuperare, altri sono indietro con il programma svolto lo scorso anno. Il signor Cameron Collins è un esempio, dopo la sua vacanza in america non può permettersi il lusso di saltare preziose ore scolastiche. La signorina Blossom rischia la bocciatura nelle mia materia».
A sentire il proprio nome tra gli elencati del professor Garcia, uno dei miei migliori amici si irrigidisce sul posto. Le braccia di Cam si tendo contro il sedile in plastica blu degli spalti pronto a darsi lo slancio per scattare. Le dorate iridi si iniettano di una profonda accecante ira, tutta la determinazione di colpire a raffica il professore. Emily nel fila avanti, gira il busto e poggia un palmo sul ginocchio per fare notare la sua presenza. Attraverso gli occhi a mandorla cerca di trasmettere calma e calore, prevenire il peggio.
«Allora lei è per davvero stronzo, dalla nascita » sbraita una voce innalzata attraverso le schiere di studenti. La sua.
Le onde di fuoco legate in una coda emergono come risalite da un abisso.
«Ha davvero la faccia tosta di convocare persone che più di tutti sono stati legati alla povera Rachel. Cameron Collins ha appena perso sua sorella e lei sta chiedendo di concentrarsi sugli esami. È uno schizzato forte, e se vuole confinarmi ancora in presidenza lo faccia subito. Andiamoci immediatamente, io e lei, parliamo con la preside. Sono certa troverà molto interessante quel che abbiamo da rapportarle, piccolo uomo di merda» rigetta quel discorso con una naturalezza disarmante la rossa, come se non avesse davanti la persona con il potere di rovinarle il percorso accademico se soltanto si sentisse troppo sfidato. Immagino quelle parole siano state spese in favore della sua migliore amica bionda, di certo un pensiero a lei più che legittimo rispetto al mio migliore amico.
Ne sono attratto da tutto quel coraggio che in un corpo tanto esile arde, non è una qualità da tutti e va rispettata.
Note autrice
Pardon! Dopo il ritmo celere con cui ho pubblicato i precedenti capitoli, questo si presenta alquanto in ritardo con la tempistica: ma spero di migliorare con la puntualità...
Juliet, da questo momento in poi, prende ufficialmente in mano le redini dell' indagine e si sostituisce alla polizia, e Ryan scalpita dal desiderio di aiutarla (chissà cos'altro 😏): piccoli detective crescono!La scuola, intanto, riapre i battenti con una particolare lezione di arte...
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top