Capitolo 7. No more past

Cinque anni prima, New York


L' azzurro del vasto infinito è una tavola di calma. Oggi a me basta innalzare un dito per poterlo toccare, scorrere carezzevole sul vaporoso manto limpido che in esso abita.

Il fischio del vento corre veloce, al fianco mi passa quasi a voler cullare il corpo mio nella tiepida brezza sua che l'inizio della primavera segna.

I piedi posano su un tappeto erboso, leggiadri attraversano i sottili fili appena sbocciati. I fiori sono una variopinta distesa, parte di un grande quadro sopra cui il pittore ha schizzato le setole imbrattate del pennello ovunque. I profumi che emettono a ogni passo mi inebriano, ne abbracciano ovattati l'olfatto.

Lui è in piedi. La postura eretta e il capo riparato dal sole chiaro della nuova stagione entrante nella circolare ombra di un gazebo in ferro battuto posto a Central Park i cui pilastri avvolti da piante rampicanti.

Lui è il mio partner di scena, più caro amico che dall' infanzia il cammino ha intrecciato al mio per poter condividere le calde luci della ribalta. È insieme che abbiamo mosso i primi passi nel mondo della danza.

Ma, per stavolta, non mi ha convocata per provare in un posto ben diverso dalle solite quattro mura circondate di specchi alle pareti. E il completo blu scuro con camicia ne forniscono una giusta dimostrazione, si intona al colore degli occhi suoi.

Oscilla sul posto con le meningi in un fascio di nervi. Le braccia tese davanti al busto sono avvinghiate al povero stelo di una rosa che con le dita le spine tormenta come valvola di sfogo. I petali scarlatti come il sangue nelle vene ardente e la passione.

L'espressione sul viso di lui, Jake Sinclair, si rilassa non appena incrocia il mio viso. D'altro canto, lo accolgo con un sorriso dal profondo nascente, sommerso nei profondi abissi di un oceano di gratitudine.

«Rosie, sei venuta?» s'informa, rivolge quella domanda pieno di stupore, quasi non fosse certo avrei accettato dopo tutti gli anni insieme trascorsi. «Bene. Ne sono contento».

Tende il braccio con il fiore verso di me, mi accoglie con il teso invito di prendermi più vicina, forse arso dallo scalpitante desiderio immane di ispirare il profumo della mia pelle a contatto con la sua. Lo stesso che respira in pista.

«Tu mi conosci. Io non sono il tipo di molte parole» inizia a farfugliare un discorso che con alte probabilità ha in serbo da giorni. Apre anche l'altra mano, aspetta che la prenda senza mai smettere di annegarci dentro i chiari toni delle iridi l'uno dell' altra. Acquista sicurezza, maggior trasporto e preparazione per poter concedere degna conclusione alle sue parole. «Non posso più continuare a essere tuo amico. Io voglio di più, voglio te. Io ti amo!»

"Io ti amo" quelle tre parole mi portano al centro di un bivio. La terra presente sotto i piedi si sgretola in molteplici piccoli granelli di sabbia, si dirama in una invalicabile voragine nel quale mi trovo nel mezzo. Non è lasciato sospeso margine di scelta.

I pensieri sembrano un flusso impazzito, un fiume emerso fuori dagli argini che la testa mia invade.

Io ti amo.

IO. TI. AMO.

È un passo molto importante, questo, e se adesso si trova qui a sorreggere il cuore con entrambe le mani per affidarlo a me significa che ha avuto modo di svolgere un' attenta riflessione.

Lui mi ama! Ma io amo lui?

Se la risposta fosse stata un gigantesco sì, allora forse non avrei neppur trovato parole necessarie per chiedere a me stessa questo. Eppure, chiudendo gli occhi, non vedo nessuno da cogliere al posto di Jake quando immagino i passi miei incrociare, perdersi in un intreccio unico ai suoi fino a formare una retta.

Lui è l'unico. L'unica presenza che mi basta avere vicina.

In uno slancio, uno slancio soltanto e sono avventata addosso a lui. Le braccia allacciate dietro al collo suo. Le punte dei nasi rischiano di sfiorarsi, da questa distanza gli occhi rivelano lievi sfumature d'argento perse nel blu dell' oceano della notte, e proprio in essi mi lascio annegare.

Infine, assaporo il calore con cui le labbra si dichiarano pronte ad accogliermi, a sé cingermi per la vita per non lasciarmi andare più via.
Il resto, il vasto mondo ai nostri corpi esterno, svanisce perso nel vuoto caos dell' oblio.

Dodici mesi dopo...

Lo Xtreme Lounge pullula di gente, ragazzi figli di gente perbene proveniente da ogni angolo di Manhattan in cerca di uno sfogo protetto dalle aspettative del mondo esterno dimenticato fuori quelle mura.

Le stroboscopiche luci al neon accentuano la postazione del dj, da una pedana rialzato e con il potere nella voce di incentivare le persone in pista alle danze. Centinaia, forse migliaia di corpi si addossano con sinuosi movimenti gli uni agli altri, taluni si accalcano al bancone del bar per rinnovare il giro con bicchieri stracolmi di vodka e/o spritz, le maggiori scelta tra la vasta gamma di bevande offerte.

Bea e Lottie mi trascinano per una rampa di scale fino al soppalco in cerca di almeno un comodo divanetto in velluto porpora, per quanto sbrattato di vomito essiccato possa essere, per poter parlare in pace con l'interferenza musicale ridotta al minimo.

«Dobbiamo brindare, ragazze» le urla gasate di Lottie quasi mi perforano un timpano. «Brindiamo a Rose Honey, una di noi ammessa al programma di studio di un anno a Oxford. E ai ragazzi britannici» innalza il bicchierino in vetro contenente il liquido trasparente, il terzo shot di una serata non ancora iniziata.

«Raccontaci di come ha reagito Jake appena ha saputo l'ha notizia» incita Bea, scansa un ciuffo castano scuro caduto sulla fronte. «Geloso per i possibili nuovi irresistibili pretendenti che potrebbero farti il filo, oppure orgoglioso della sua ragazza».

Oppure non è stato concesso occasione di metabolizzare la notizia.
Le mie amiche sono le prime a cui ho raccontato la novità nel dettaglio.

Il rapporto con Jake è stato stravolto radicalmente nell' arco di un intero anno passato, dal giorno in cui ha aperto a me il suo cuore e ci siamo messi insieme. Io mi sento diversa, ho smesso di confidarmi con lui come prima.

Lui è a conoscenza soltanto del trasferimento mio nella sede il ducato del primo genito tra i nipoti di sua Maestà, ignaro del momento in cui ho deciso di inoltrare la domanda. Poi più neanche una parola aggiunta in merito l'argomento. Eppure sento il mio amore crescere ogni giorno, nonostante non abbia mai trovato le giuste parole o il momento per dirglielo.

«E se ballassimo, ora?» sposta l'attenzione del discorso, suscitando silente indignazione da parte di una delle mie amiche più care. Accosto alle labbra il bordo del bicchiere, scolo di getto il liquido pronto a bruciare non appena arriva alla gola. «Non ho indossato questo vestito per starmene seduta qui, buona in un angolo».

Di forti schiamazzi sento il riverbero nelle orecchie. Prima che me ne accorga, avverto i fianchi ondeggiare lenti e sciolti nel ritmo generale. Un paio di mani si premono addosso, grandi, un tocco sconosciuto attorno la vita si cingono impazienti di sentire il corpo mio contro la patta dei pantaloni.

Barcollo, cerco di allontanare la presa sempre più ferrea sui fianchi, in avanzamento assieme ai passi che compio per allungare la distanza.

«Chi sei tu?» urlo, scalpito insistente per scacciarlo. Resto paralizzata, i piedi bloccati da grossi massi che ossi e muscoli comprimono nell' osservare un punto poco distante.

Jake.

Jake Sinclair.

Il mio Jake.

Sta con la schiena piantonata alla superficie del muro, difronte. I presenti pare si siano spostati come i pesanti tendono in velluto di un sipario per esternare ai miei occhi la scena. Con le mani stringe dei boccoli biondi, su quella ragazza è chinato per bearsi del profumo, mordicchiare la pelle e cedere baci sempre più rapidi, carichi di passione. La stringe, la solleva per aiutare le gambe mulatte ad avvinghiarsi al suo busto.

Mi sento avvampare, livida da un fuoco che nelle vene mi scorre. Un bruciore estenuante pizzica gli occhi inondati da una vallata di lacrime prossime a gorgogliare fuori. Il sapore di acido risale a partire dalla bocca dello stomaco, si trova in gola e necessito espellerlo. Del pavimento che i piedi mi sorregge non rimangono altro che cumuli di cenere, la terra sotto trema per rigettare il corpo martoriato mio nelle profonde viscere della voragine infernale.

Senza pensarci, sono girata sul versante opposto, labbra contro labbra dello sconosciuto che soltanto un attimo prima ho cercato di evitare. Le lingue si cercano, si intrecciano sulle note di una medesima danza. Lego le braccia dietro al suo collo, percepisco le carezzevoli dita correre attraverso la linea della colonna vertebrale sino a fermarsi e giocherellare con i glutei.

Le labbra di lui scendono, lente, si fermano nell' incavo del collo. Non avere più il suo sapore tanto vicino mi consente di aprire gli occhi, prendere atto della situazione in cui mi sono andata a cacciare. Gli appoggio le braccia al petto per spintonarlo via, essere libera da un presa feroce, sempre più avida.

«Ti piace fare la preziosa» biascica, ancora ansima sulla mia pelle. «Principessa, tu neanche sai quando a me piaccia giocare!»

Il bagliore di un' idea, dinanzi il suono delle parole pronunciate, nel buio si accede.

«Non qui, però» protesto. Uso la banale scusa nel tentativo di vederlo abboccare, prendere tempo per domarlo e consentirmi di uscire, lontano da un ambiente che sempre più comprime in un angolo la soffocata aria che i polmoni non riesce più a colmare. «Qui c'è troppa gente!»

Per mia sfortuna, sono costretta a passarci di fianco prima di aver accesso alla porta che mi consente di imboccare l'uscita dal locale, a Jake e la non so cosa lei sia per lui.

Sforzo di procedere concentrata, evitare di soffermare la mia attenzione addosso a loro il meno possibile per non concedere al bastardo la sensazione di avermi ferita, da dentro lacerato la fiducia che in lui tutti questi anni ho riposto. Quanto sono stata stupida nel ballarci una vita insieme senza averlo conosciuto affatto per davvero.

«Credevo tu fossi innamorato di me» non resisto, cedo alla forza con qui il magnetico impulso sussurra il nome mio. La voce sommessa, mozzata da un vagone carico di parole che trova la morte sul calare della galleria nel quale è stato un attimo prima soltanto avvolto.

L'aria frizzante della sera mi investe in pieno. Espiro il clima concentrato trovato nello Xtreme, buttarlo via insieme a quei ricordi che soltanto al tempo è concesso sbiadire. Nel soffio lento e carezzevole del vento sotto una manciata di lontane stelle in una danza riflesse sento una imperturbabile scarica di energia nuova rigenerarsi.

~✨ ~

La stanza è sommersa di scatoloni sigillati per l'invio oltre oceano, o anche nella casa in cui con i miei genitori ho abitato per gran parte della mia giovane vita, prima del primo appartamento condiviso più prossimo possibile al campus della Columbia University.

New York non è di certo economica come città, e alle mie coinquiline potrebbe risultare piacere mettere in affitto una stanza tenuta vuota.

Siedo per terra, la schiena premuta eretta con la portiera del frigorifero, nella sua luce accolta. Una grossa vaschetta di gelato variegato cioccolata e pistacchio posa tra le mie gambe nel mentre trascino la punta del cucchiaio fino alle labbra per assaporarne la fresca dolcezza da miscelare con gli aspri sapori con cui l' arco di questa mia ultima giornata americana ha ben pensato di salutarmi.

Almeno, ora, suppongo essere più facile dire addio alla grande metropoli per eccellenza senza mai il rimorso di voltarmi indietro ad accompagnarmi.

Il suono dei pensieri è destato, di sorpresa, dal campanello. Potrebbe essere Lottie, non sarebbe la prima volta che scorda le chiavi prima di uscire. Stento a credere sia Debby, invece, soprattutto di sabato sera quando è ben noto che torna in Florida dalla famiglia, oppure impegnata con Derek.

Invece, mai avrei potuto immaginare di trovarmi ancora a incrociare le iridi blu scuro di Jake fuori dalla mia porta. Il volto del ragazzo è pieno di rammarico, desolato, in procinto di versare fiumi di lacrime da spingerlo in ginocchio al cospetto della mia austera figura indispettita nei confronti della visione.

«Perché, Jake?» stringo le braccia al petto, sbarro la strada sull'uscio per evitare possa cogliere un qualche invito a entrare. Il suo alito trasmette puzza di alcol. «Verme schifoso, ho sprecato dodici anni della mia vita dietro a te, se togliamo il periodo di durata in cui siamo stati amici. Mi hai mentito».

«Non volevo. Appena ho realizzato il male che ti ho inflitto è stato troppo tardi, lo giuro» biascica un lamento. «Non ho mai mentito sui miei sentimenti. O almeno, a ben pensarci, di certo non quanto te: come avresti pensato avrei reagito di fronte alla tua imminente partenza per l' Inghilterra, non ne abbiamo mai parlato prima di oggi!»

«E quindi sarebbe mia la colpa?» sbotto.

«No, amore, certo che no! Ma cosa vai a pensare» si affretta nel giustificare una risposta. «Ma ero frustrato difronte una situazione di cui non ne abbiamo mai neanche discusso. Tra sei mesi ci attende una gara importante, a Helsinki, e insieme abbiamo lavorato tanto pur di arrivare al punto in cui siamo. Ho sentito come se stessi per rinunciare, io mi sono sentito tradito».

Non avrei mai rinunciato alla danza, invece. Ballare è parte di me da quando ne possiedo memoria.
Soltanto che non può essere per sempre, il giorno in cui io posso definirmi troppo vecchia per continuare è sempre dietro gli angoli.

Per ballare sono dovuta scendere a compromessi con i miei genitori, avrei dovuto focalizzarmi su un futuro certo. Altrimenti loro avrebbero tagliato i ponti, niente più spese di sussidio qualora non dovessi arrivarci con le mie sole forze.

Io non sono come lui. Due anni senza uno straccio di cenno alla famiglia. E di certo non ho intenzione di chiederli di mollare tutto, il precario lavoro alla sala giochi, per seguirmi nel vecchio continente, in una regione di cui neanche la lingua conosce. Ho alti dubbi accetterebbe di fare il compromesso di lavorare come cameriere, quando è pagato per consumare il suo tempo dietro ai videogiochi.

«Bene. Noi non abbiamo più niente da dirci, a quanto pare» tuono nelle parole. Lo allontano, voglio vederlo andare via in questo preciso istante. «Tra me e te è finita».

Arretro, pochi passi, quanto basta per chiudere la porta con lui ancora fuori. Premo la mano contro il muro, mi sorreggo per non costringere le gambe a sorreggere il macigno sul petto che aggrava sul corpo.

Con il dorso asciugo la scia umida che la guancia mia bagna. Quasi mi rompo le bocche nel momento in cui assesto un colpo contro la dura superficie della parete.

Sto ancora rigirandomi nel letto quando la porta struscia contro il pavimento. La casa è avvolta nella penombra della notte, le luci della città che non dorme mai attraversano il vetro delle finestre. Mi sento proprio come New York, in questo momento, con il fiume di pensieri caotici a sussurrare dentro la mia testa attraverso un coro di molteplici voci tra loro scordinate.

Lottie è appena rientrata nell' appartamento, i tacchi riproducono un ticchettio dovuto all' attrito della suola con il parquet. Avanza con passo svelto, la sento avvicinarsi alla mia stanza con foga.

«Ehi Rosie, dietro l'angolo si è fermata un' ambulanza» introduce, geme reggendo il palpitante cuore bloccato rimasto bloccato nel petto. «Un auto ha sbandato e... - si blocca, arresta il discorso incerta nella ricerca delle giuste parole da utilizzare. I secondi paiono ore e le ore diventano secoli bloccate in un circolo eterno parte di un immobile infinito - Non prendertela, ma hanno portato via Jake».

~ ✨ ~

Con le prime luci dell' alba mi sono recata a Central Park, in quella verde aerea costruita nel cuore di una giungla urbana e dove lui mi ha confidato la prima volta i suoi sentimenti.

Ho assistito al sole elevarsi nel cielo, sfidare la calma distesa azzurra senza limiti per sbucare oltre le cime degli alberi, sempre più lontano.

Il latrato del vento riecheggia nella cupola del gazebo in ferro. Pare nelle orecchie mie il canto di una sirena che voglia tirarmi per mano per condurmi ai giorni andati.

Il volo diretto per l'Europa è tra meno di tre ore, ma all' idea di partire appaio un' egoista ai miei stessi occhi.
Jake ha sbagliato, mi ha tradita subito dopo aver ribadito di amarmi, eppure con lui ho vissuto anche innumerevoli momenti belli. Non merita di essere abbandonato in queste condizioni, mentre è ricoverato in un letto di ospedale e le flebo a incatenargli il braccio.

Una melodia tenue accende l' aria, nel vento si vende e ai nervi miei trasmette pace.

C'è un uomo in un angolo del gazebo, in piedi con un violino stretto saldo tra le mani. L' archetto scivola morbido sulle note, le accarezza guidando la creazione delle note.

Un ragazzo avvolge i fianchi di una ragazza, cerca lo sguardo per smarrire se stesso all' interno degli occhi di lei. L'abbraccio di quei corpi lento si muove,  all' unisono ondeggia travolti  nel ritmo di una musica tanto ricca di passione. Sembrano felici,  innamorati per davvero. E a me non resta che sorridere insieme a loro.

Mi sento quasi invidiosa di quel che la coppia ha. E anche per questo che, credo, sia la ragione per cui partire è giusto.

Caro Jake, non prenderla male se adesso vado via, dunque. È nell' insistenza del rimanere che potrei continuare a recare, a me e a te, ulteriore dolore.

Presente

Imbattermi in Aiden è stato un sospiro di sollievo, uno scorcio di luce ad attendere alla fine di un lungo tunnel.

Il ragazzo dagli occhi blu elettrico mi ha accolto in una fase in cui non ho desiderato altro che fuggire dal passato, perfino nel ballo ho smesso di trovare giovamento. Si è limitato a tendere una mano e molto paziente ha atteso che fossi io ad azzardare la mossa, stringere le dita affusolate mie attorno alle sue.

Sono serviti sei mesi per realizzare alla mente mia che io sono completamente sua, anima e corpo. E lui è tutto per me.

Solo a pensare ai nostri corpi sfiorarsi, strusciare carne contro carne avvolti in un abbraccio dal sapore di casa avverto le palpitazioni scoppiarmi dentro il petto.

Senza il bisogno di supplica, mi ha accompagnata fino a Buenos Aires, dall' altro lato del mondo rispetto al luogo in cui casa nostra ha trovato sede, per conoscere la tia Leandra, parte della mia famiglia. In primavera siamo stanti pronti per il grande passo e in men che non si dica il nostro piccolo appartamento di Londra, covo testimone del nostro amore crescente, si è trovato sommerso di scatoloni da imballaggi pronti al trasloco.

Nel piccolo e remoto centro abitato di Tobermory, in Scozia, ho scovato un mondo in cui piantare radici, condurre i pensieri a prendere in seria considerazione l'idea di avere una famiglia tutta mia con l'uomo che amo sempre al mio fianco. I parenti di Aiden mi hanno riservato la più calorosa delle accoglienze, nessuno escluso.

«A cosa stai pensando, mia bella divina?» la voce di Aiden dal flusso dei pensieri in cui sono persa mi agguanta per riportarmi con i piedi piantati nella realtà. Riconoscere quel suo timbro è una carezza per il mio animo che mai vorrei dimenticare. Con le braccia la vita mi cinge, assorbendo addosso la sua pelle il profumo fruttato dai tropicali gusti che indosso.

«Nosotros juntos como ahora por siempre, mi amor» è stata la risposta dal profondo rigettata prima di voltarmi, posare le mie labbra sulle sue per bearmi del caldo sapore.

Note autrice

Mi sembra di averci impiegato una vita, stavolta, ma è invece passata soltanto una settimana circa.
Nuovo capitolo pubblicato per presentare un' altro personaggio della storia, finora apparsa per un breve siparietto nel corso di uno dei precedenti capitoli: Rose, la fidanzata del fratello di Ryan e nuovo coach per la squadra delle cheerleaders.
Forse, avrei potuto anche risparmiarmi di scrivere il suo punto di vista almeno in questo momento che in apparenza sembra non c'entrare proprio nulla con il resto della storia, ma è ormai noto che non sono solita seguire un filo logico io e mi muovo un po' a capocchia: mannaggia a me e alle nuove sottotrame aperte 🙄

Comunque, nel prossimo capitolo tornano i pov dei protagonisti e si riparte con Ryan. E, allerta spoiler, stavolta iniziano sul serio a interagire...

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