Capitolo 5. Come hanno principio gli incubi

Tobermory Daily Chronicle

Tempi bui ci attendono. La nostra comunità pare esser stata maledetta e la quiete che, intere generazioni ha scortato, spezzata per sempre.

Le ombre la propria furia hanno abbattuto sulle mura della Eagle High School, la scuola superiore che da ben oltre sessanta ha il compito di educare le giovani menti appartenenti in questa piccola terra di Scozia.

Stamane, al risveglio di questi ragazzi, si è prospettata una comune giornata di scuola. Mai nessuno avrebbe potuto intuire che Rachel Collins, una ragazzina che di anni né ha avuti sedici come molti, sarebbe morta.

Il crimine è avvenuto alla piena luce del giorno, il corpo è stato rinvenuto nel bel mezzo di un banale corridoio scolastico, un luogo spesso affollato, brulicante di studenti e professori. La mano che del sangue innocente si è macchiata non ha atteso neppure il favore delle tenebre calare in suo aiuto per porre la tragica fine di una ragazza brutalmente assassinata. Una figlia, una nipote, per qualcuno anche una devota amica.

Gli agenti di polizia coinvolti nel caso sono entrati in silenzio stampa fin quando non si apre uno spiraglio alle porte della giustizia e una traccia degna di nota raccolta per procurare una pista da cui partire.

La famiglia si stringe in un abbraccio tanto solerte da coinvolgere la collettività all' ingresso dei cancelli in ferro battuto della struttura ogni mattina frequentata da Rachel. Agatha e George Collins, umili ma rispettabili cittadini, con i due figli maggiori di fianco: Micheal e Cameron, l'ultimo dei quali solo di un anno più grande della vittima e studente dello stesso liceo appena rientrato da un anno trascorso all' estero.

Eppure quel centro di ritrovo per giovani della popolazione già in passato si è macchiato di sangue, cinquanta anni prima. E se, stavolta almeno, il colpevole non è consegnato alle dure mani della legge che il popolo tutela la scuola rischia di chiudere in maniera definitiva. Un grande danno per il paese al rischio di spopolamento.

Una guida di speranza è, però, lanciata da Ursula Fitzgerald, dirigente scolastico emerito, offrendo la completa disponibilità nella tutela dei ragazzi, nostri figli, attraverso nuove direttive di sicurezza in vigore a partire da subito.


Siamo tornati a casa prima, per ordini della polizia. La scuola resta chiusa almeno due giorni per rispetto a quel che è accaduto.

La cascata di riccioli chiari riversi sul pavimento a coprire il cereo viso. I bizzarri indumenti pieni di fiori e colori intrinsechi della sostanza viscosa e scarlatta, il suo stesso sangue.

La campanella ha appena chiamato l'intervallo col suo trillo, gruppi di studenti scalpitanti si fiondano pronti fuori dalle aule per immettersi nel corridoio, un corridoio che nella chiara luce del giorni si è macchiato del macabro orrore di una esuberante ragazzina di sedici anni rendere l'ultimo addio alla vita.

È morta.

Rachel.

Rachel Collins è morta.

Stento a credere alla realtà dei fatti. Soltanto un attimo prima, perduta nei miei ricordi, lei volteggia per il salotto e sorride, ride come mai l'ho vista fare tra le mura della gabbia che chiamiamo scuola. E, invece, proprio tra quelle mura lei ha perso la vita.

Questo non è giusto, cazzo.

Porto le ginocchia al petto per stringerci le braccia attorno, conficcare nel tessuto dei jeans le unghie come appiglio per aggrapparmi. Lascio sprofondate la testa sopra, mi nascondo e a occhi chiusi mi abbandono.

Mi abbandono alle lacrime che gli occhi pizzicano, al singhiozzante tremolio delle labbra che a tutto il corpo si estende. Soffoco la luce del sole che le tende turchesi che richiamano la miscele sfumature di cielo e mare nella stanza lascia oltrepassare per abbracciare la cecità che il dolce incommensurabile vuoto trasmette nella sua caotica pace.

Avverto un mugolio lacerare la gola, spogliare i polmoni di tutta l'aria. Le dita si stringono, nel palmo conficcate per chiudersi a pugno. Poi, l'urlo, un rabbioso urlo mi vibra da dentro, a partire dal mugugno della bocca dello stomaco, per immettersi nell' aria, oltrepassando il tessuto dei pantaloni che mordo per controllarlo al meglio delle mie abilità.

«Ti prego, perdonami Rachel» biascico, dimeno con ogni forza contro il suono di quelle parole pesanti da digerire. «Volevi soltanto essere amiche, tu. Se ti avessi dato una possibilità non saresti mai morta, non adesso, l'avrei impedito io» ogni singola lettera è un tugulto, il taglio di una lama girato dentro una ferita lacerata, un amaro riverbero. «Scusami Rachel. Scusa!».

Il caldo tocco di una mano carezzevole si posa sulla mia testa, le ringrinzite dita scorrono tra i capelli.

Non ci penso due volte prima di risollevarmi, sistemando la postura eretta accomodata sul soffice materasso del letto e con la manica asciugare le guance umide.

Il volto di mia nonna è qui, al mio fianco perpetua la sua presenza. Le labbra sollevate in un sorriso mostrando dei denti che con il loro candore per poco non irradiano del proprio riflesso la stanza.

«Cosa c'è che non va, bambina mia?» s'informa. Emette una semplice frase parte di un discorso che non ha bisogno di servirsi di ulteriori parole per venir completato. A noi occorre fermarci e guardarci negli occhi per comprenderci. Lei lo sa.

Se esiste un colore da associare a mia nonna, quello sarebbe l'argento. Come le opache sfumature che le vitrei iridi sfumano. Sono nebbia che il mese di novembre accompagna una giornata senza vento, freddi seppur non mai fanno sentire giudicata.

È in esse che il riflesso del mio volto appare più limpido, la muta sagoma sagoma stampata sulla chiara superficie dell'acqua e nel ritmo della danza delle stelle rivestita di ogni colore che il carattere e tonalità che il carattere ne compone. Mi immagino spesso il rosso, scarlatto, intenso come il fuoco dei capelli.

Non ho problemi a confidare a lei di Rachel, della prematura morte quest'oggi risvegliata dalle tenebre per portarla via con sé. Posso confidarmi dal principio, ad aprire la narrazione con me tanto stupida da respingere la più genuina amicizia di una ragazza nella luce del sole splendente durante gli ultimi giorni della sua vita. E scommetto che nonna Olga mi accoglierebbe, una pacca sul capo e una giovialità nello sguardo trito nel salato.

Purtroppo, per me, non sarebbe delusa dal comportamento avuto, quanto io vorrei tanto lo fosse. Disapprovazione è quel che merito. E poi la mente la costringerebbe nel dimenticare.

«Una ragazza è morta, oggi» spiego, quasi non riconosco il suono flebile con cui si riempie la voce, nella commozione del rievocare un ricordo ancora troppo fresco da depennare. «Si chiama, o meglio il suo nome era Rachel. Rachel Collins. Lei era gioviale, una nota positiva, mentre io una mera stronza».

«Il solo ammetterlo dimostra il contrario» controbatte la matrona della famiglia. «Hai soltanto un temperamento un tantino irruente! Ma è anche questo parte di chi sei».

E io sono il coraggio, come ha sempre suggerito lei.

Un tuffo e mi ritrovo avvinghiata nella figura esile della nonna. Le braccia avvolte attorno al collo, strette e la testa accoccolata nel placido incavo. Inalo il suo profumo di salsedine misto alla fresca lavanda di un campo più vasto della Provenza. L' estate addosso a lei incontra la primavera.

«Ti voglio bene, nonnina mia»

«Te ne voglio bene anch'io, dolce Magda» dichiara con tono mesto. Il sorriso che ho stampato sulle labbra dal momento in cui ho abbracciato la donna si affievolisce. Una carezza dura al pari di uno schiaffo è il suono che la mia testa al ritmo di quelle parole sue attribuisce.

«Io devo andare. Ho bisogno di chiamare Nova» districo dalla presa il corpo mio. «Non oso immaginare a come potrebbe stare oggi. È molto legata a Rachel, mentre io adesso devo comportarmi da buona amica».

Impiego circa due ore di autobus per arrivare a casa di Nova, una magione in stile classico con le marmoree colonne a tracciare il sentiero d'ingresso.

Oltre il cancello, il perimetro del giardino è tracciato da un muro di siepi dal regolare taglio all' inglese. In primavera il rigoglioso verde si trasforma, di rose e primule si tinge.

È stata la mia mamma ha disseminare il gran numero dei fiori che il giardino adornano, convocata dal sindaco Charles Blossom in persona.

La mia migliore amica è gettata nel letto, sotterrata da strati su strati di coperte e piumoni. Le persiane chiuse impediscono l'accesso alla stanza, al calore dei raggi di sfiorare la carta da parati cipria.

«Ehi, N.» di soppiatto mi accosto al letto, a lei di fianco mi sistemo seduta nel tentativo di scoprire il viso paonazzo. «Non ho intenzione di chiederti come stai, sarebbe una domanda sciocca da parte mia. Sono qui perché voglio che ti sfoghi, sbraiti anche con calci e pugni. Ma non trattenere tutto dentro!»

Silenzio. Nessuna è la risposta che ricevo in reazione, nulla che non sia un singhiozzare sommesso provenire da sotto tutti quei cumuli di coperte.

«Non ho nulla da dire» supplica lei esausta. «Se vuoi, parla tu. Ma io ho bisogno di restare in silenzio. Non riesco ci riesco proprio, a fare nulla».

Sento la mano di Nova scivolare lenta dalla mia sotto il peso delle parole dalla sua bocca pronunciate.

La devastazione per la morte di Rachel ha scombussolato la sua vita al tal punto da cedere il via libera al morbo del buio abisso di avanzare a fauci spalancate per inghiottirne la figura. È come un vaso di antica porcellana, scheggiato e sepolto sotto cumuli di terra. Al minimo contatto una nuova crepa è pronta a palesarsi sul dorso della delicata superficie.

E io mi trovo costretta, nella mia impotenza, a guardare. Stavolta proprio non è concesso aiutare.

*****

La stanza di ospedale ha subito uno stravolgimento totale. Alle bianche pareti si è unito il tocco di arancio misto al viola di un paio di velate tende. Peluche di ogni taglia, di cui la maggioranza unicorni, ha invaso ogni superficie disponibile fosse concessa.

Nova è seduta sul bordo del letto, i capelli d'oro raccolti da una treccia che lungo il profilo intero della colonna vertebrale corre. Sembra di avere davanti la principessa Rapunzel. È raccolta con le gambe strette al busto, la luce di zaffiro negli occhi divenuta opaca per lo sfogo.

Il vassoio contenente la portata della cena, una minestra oramai raffreddata accompagnato da una fetta di carne di tacchino e un paio di mele, è rimasto intatto sul comodino nell' attesa di venir ritirato da qualche infermiere di turno.

«Juls» biascica il nome mio, non appena solleva lo sguardo per incrociare gli occhi miei. «Non vogliono farmi tornare a casa. Ma non c'è motivo per me di restare, se io sto bene. Cosa devo fare?»

Eppure si ostina a non toccare cibo.

È trascorso più di un mese dalla permanenza al Queen Lilibeth Hospital per iniziare il ricovero e i medici continuano a faticare con il somministrare cibo senza ricorrere all' ausilio di flebo.

L' ambulanza ha prelevato il corpo nel bagno della scuola, priva di sensi. Ancora presenti sulle braccia i segni infetti dalle lame.

«Almeno Brett si è accorto della mia assenza?» pone l'interrogativo con il luccichio della speranza stampato addosso.

Tra i tanti problemi, la sua testa sceglie di focalizzarsi proprio sul pallone gonfiato. È dalla quinta elementare che ci muore dietro, una settimana dopo il divorzio tra Selene Eastcock, ex angelo del noto brand Victoria's Secret, dal cardiochirurgo Charles Blossom per dedicare le proprie energie in un viaggio attraverso il nuovo continente. La sua è quel tipo di famiglia pronta riempirla di regali per il termine di un saggio di danza andato a buon fine.

"Prossima etoile alla conquista del mondo" hanno da sempre decantato le testate giornalistiche locali, affiancando il titolo al suo nome. E lei è rimasta bloccata a due anni prima, in prima media, quando Brett White si è complimentato per la prima e ultima volta per la leggiadria avuta sul palcoscenico. All' infuori di quel breve contesto, nessun contatto.

«Neanche immagini quanto tu sia fortunata nel non dover indossare questo cazzo di apparecchio» lamenta la mia migliore amica. «Vorrei avere tanto denti perfetti per poter sorridere. Magari, così, Brett potrebbe notarmi ancora».

*****

Quattro anni sono scorsi da quando ha migliorato la propria esistenza, rinata in forma più serena. La morte di Rachel ha abbattuto ogni progresso ottenuto, spalancando il portale pronto a condurre dritto verso il baratro.

«Stai sbagliando» sbotto, rammentando le esatte parole che mia nonna avrebbe pronuncia difronte a una tale scena di avvilimento. «Stai uccidendo la povera Rachel una seconda volta. Quel che è successo è davvero terribile, un crudele incubo senza fine. Vuoi, per caso, allontanarla ancora di più? Invece di piangersi addosso, reagisci, chiediti cosa vorrebbe lei e vivi per entrambe gli anni a Rachel strappati».

Mi sollevo dal letto, per errore urto con un piede la borsa gettata sul parquet in legno chiaro a me sottostante prima di sistemarmi seduta al fianco della mia migliore amica. Non ho realizzato fosse rimasta aperta la cerniera, ne rovescio il contenuto.

Il diario di nonna Olga emerge tra le varie cianfrusaglie, è la prima cosa che mi risulta all' occhio.

Mi sono quasi dimenticata di averlo ancora con me.

Tra le pagine nelle ultime file fuoriesce, si stacca una foto dai peculiari toni.

Lo scatto narra di un' epoca i cui colori non sembrano esser stati inventati. Le sfumature scure predominano su una sempre più morente luce.

Tanti ragazzi, futuri uomini e donne del loro tempo dominano il centro dello scatto. I volti sbiaditi paiono sereni, spensierati e incuranti del più terribili dei mali prossimo ad abbattersi per sconvolgere le esistenze di ognuno di loro. Indossano delle divise che richiamano un bizzarro simbolo cucito sulle singole giacche.

Un uomo, o donna che sia, però è incombente alle spalle del gruppo. La forma del viso dietro le tenebre si nasconde. Egli è un' ombra di nero vestita dagli inferi risalita.

Raccolgo la foto tra le mani, con le dita nel dilemma in cui la mente è sprofondata la rigiro.

Riconosco la lineare grafia di nonna Olga incisa con inchiostro indelebile sul retro ingiallito della carta in grassetto recitare la parola: Pericolo!

Note autrice

Ci ho impiegato un bel po' nel scrivere questo capitolo, ma alla fine ci sono riuscita.

Non l'avessi mai fatto...

Il Tobermory Daily Chronicle, il quotidiano cittadino, torna dopo tanto tempo a dedicare un articolo molto importante alla Eagle High School. E, purtroppo, ora è confermata la fine della povera Rachel 😔 (Sono un mostro, e me lo dico anche da sola).

Juliet si mostra, qui, per la prima volta in vita propria molto vulnerabile: meglio tardi che mai, anche se avrebbe dovuto pensarci un po' prima. Ma almeno questo dimostra che, perfino lei, nel profondo abbia un lato tenero... Nonostante preferisca mostrare questo aspetto soltanto a sua nonna.

E, a proposito di sorprese (e della cara nonna), anche il diario di nonna Olga ne contiene una😈

Chissà, da adesso in poi, la caparbia testolina di Juliet in quanti segreti potrà incappare ancora.
E soprattutto, chissà se riesce nel mantenere la promessa di rendere giustizia alla povera Rachel...👀

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