Capitolo 2. Io sono...
"Noi non siamo amiche, Racch-iel!" quelle parole pronunciate con tanto disprezzo non cessano di ronzare tra le meningi.
Le pagliuzze dorate nelle iridi di Rachel sono parse pronte a sciogliersi, sgretolarsi nel baratro di tutto l'astio con cui quel suo genuino confronto ricolmo di entusiasmo è stato ricambiato.
Ho esagerato. Una stronza al pari di molti tra le mura di questa scuola che sputa sentenze perché altrimenti non saprebbe come fornire fiato alla bocca, non diversa da Nadia a ben pensarci.
Ho speso la notte a rigirarmi nel letto, nel profondo lacerata da uno spillo invisibile sottopelle nascosta. Nel cantuccio delle soffici coperte mi sono dimenata nel disperato bisogno di un' idea potente quanto la luce di un faro a squarciare il notturno cielo con in serbo una nuova opportunità, l'opportunità di rimediare a questo mio grosso errore.
Il sole del nuovo giorno la bianca pelle mia riscalda, i raggi il banco travolgono, le fredde ombre lontano scacciano. Il parcheggio esterno brulica di auto, di meno sono gli studenti che nel giardino si intrattengono tra libri e sigarette da chiacchiere ben condite.
La professoressa Ross è appena entrata in aula. Il giovane volto somiglia tanto a quello di una qualsiasi studentessa, i biondi capelli raccolti da un fermaglio. Sorride, al contrario di molti altri colleghi ha sempre un sorriso da dedicare ai propri discepoli per accoglierli e come pari riconoscerli, non giovane menti il cui dovere è venir formattati.
«Quest'oggi vorrei proporre per la lezione di letteratura un classico per ragazzi il quale scommetto tutti ben conoscete, e magari provare a metterlo a confronto con un brano tratto dalla letteratura contemporanea» illustra il programma da lei organizzato per affrontare la mattinata. Nel frattempo, tra i banchi, di mano in mano, alcuni libri su Alice nel Paese delle Meraviglie dell' autore britannico Lewis Carroll vengono distribuiti. «Propongo di introdurre la lezione con un bel compito in classe a sorpresa».
Al suono delle parole "compito in classe " un boato si solleva a partire dal fondo della classe, un chiacchiericcio di agitazione che Daphne Ross si rivela abile nel sedare prima ancora che la situazione degeneri.
«Ragazzi, consideratemi il vostro personale Brucaliffo» spiega, incrocia i verdi occhi riflessi di grigia ambra attraverso quegli di ognuno di noi. «Carta e penna alla mano. Scrivete al centro del foglio Io sono. A me basta anche una sola parola, non vi chiedo pagine e pagine, purché sia quella giusta a rappresentarvi».
«E l'altro brano da mettere a confronto, quello di letteratura contemporanea?» s'informa uno degli studenti del primo banco, curioso e scalpitante per l' impazienza di svelare la risposta.
La professoressa estrae un foglio dalla propria borsa, finge di leggere ciò che sopra la bianca carta dal nero inchiostro è stato stampato. Solleva lo sguardo per penetrare sin dentro le anime dei presenti, indagare, studiarci per comprendere la mossa prossima da attuare.
«Ma è un segreto, ed è un premio sulla fiducia per il lavoro ottimo che sono certa svolgerete con i vostri temi» l'espressione rivolta è malandrina, astuta, gioviale per abbracciare creature che ancora adulte complete non sono. Il foglio ben custodito tra le mani dell' insegnante dalla donna stessa viene girato, tra i banchi inizia a vagare per consentire di cogliere il tanto desiderato indizio. Una marea di facce dal tema a sorpresa avvilite si trasforma, si illumina difronte la rivelazione ottenuta, la filastrocca recitata dal cappello parlante in Harry Potter durante la cerimonia di smistamento tra le varie case davanti agli occhi e nelle menti si compone.
«Siete pronti, adesso?» ci esorta la professoressa Ross. «Iniziamo».
Io sono. La punta della penna si posa sul pezzo di carta davanti, la pagina vuota che in silenzio aspetta di essere riempita incontra. Si blocca sotto il peso della tremolante mano che la tiene premuta.
È una gran bella domanda, questa: chi sono io? Se soltanto nonna Olga potesse accompagnarmi, insieme a me frequentare la scuola non avrebbe dubbi. Lei mi conosce, meglio di quanto possa definire io di me stessa, e sempre è stats in grado di farlo: questo è il dono suo speciale da molti a distinguerla.
*****
Sono stravaccata sul divano, le gambe verso il soffitto lasciate dondolare e la testa situata a un soffio dal pavimento osserva l'arredo capovolto.
È una di quelle giornate in cui non succede mai niente, questa. La noia è una regina con il regno in continua espansione.
Sbuffo. Socchiudo le labbra e tiro fuori la lingua. Basta un saltello e cambio posizione, adesso sono distesa e le mani con le dita accarezzano la superficie del pavimento. Canto, conto i fiori con cui la tappezzeria è arredata, chiudo gli occhi per lasciarmi trascinare in regni remoti, regni che non esisto nella realtà.
La nonna si affaccia, aumenta i passi sui gradini per avanzare in mia direzione. Stringe ben salda tra le mani una grossa scacchiera in legno, pare pesare eppure quel suo perlaceo sorriso non lascia intravedere lo sforzo. Al mio fianco, sui verdi cuscini del divano, si siede e rapida ripone ogni pezzo nel giusto riquadro.
«La scacchiera del nonno?» esulto, rizzando la postura e gettandomi con un tonfo per terra, sulle ginocchia seduta. Nessuno l'ha più utilizzata dal giorno in cui lui non abita più con noi. «Giochiamoci noi, nonna».
La nonna continua a spiegare a ripetizioni le regole del gioco, le varie funzioni a cui i personaggi devono sottostare. Tutti, come gli ingranaggi di un grande orologio, hanno un proprio posto nello schema complessivo delle cose per poter condividere il mondo con altri, ha più volte provato vana a citare. Alla fine è stata lei a doversi arrendere, se ne avessi avuto voglia avrei sempre mosso il cavallo al posto della regina.
«Gli scacchi sono un gioco di strategia. E come ogni strategia ci vogliono regole, tutto deve essere in ordine» ha dichiarato lei, nel riporre la scacchiera, dopo che anche quel gioco ha iniziato a non darmi più piacere. «Ma tu non sei una stratega, mia piccola scimmietta. Tu sei padrona di quella virtù che tutti ammirano e odiano al tempo stesso, il tuo più grande pregio che potrebbe divenire la tua rovina. Tu sei il coraggio».
*****
Io sono... Il coraggio.
Non mi resta che scrivere una parola fin troppo semplice, e alla professoressa questo basta senza l'obbligo di grandi componimenti. Una singola e banale parola a esentare la pura e autentica verità dalla mia stessa nonna suggerita, e io di mia nonna ho cieca fiducia.
Quando la penna torna alla carica per aggredire il foglio, la mano si pietrifica, i muscoli delle dita si tramutano in marmo per non concedere me il diritto di proseguire con la scrittura, lasciare che una piccola e insignificante C spezzata sia tutto quel che la mente mia abbia partorito.
La nonna ha, però, anche detto che il coraggio altri non è che una faccia della stessa medaglia della paura. Coesistono. Due opposti che senza l'altro non hanno vita. E allora mi sento in dovere di interrogare me stessa su quale sia la mia più grande paura.
L'auditorium ospita il comitato per il ballo e altri eventi mondani riguardanti la scuola, quando il palco non è occupato dalle prove per il coro o dal gruppo di teatro.
Nova è in piedi, posta in maniera tale da consentire la visuale dei membri per monopolizzare l'attenzione collettiva.
La vaporosa chioma riccia non è tra i presenti. Neppure una volta ho incrociato Rachel attraverso questi corridoi, il suo armadietto prossimo all' aula del professore di arte.
«Idee per il nome, dell' evento?» interroga la mia migliore amica, i grandi occhi di cielo suo trasmettono fierezza, eccitazione. Come se il giardino segreto d'inverno nel paese delle meraviglie possa rivelarsi l'idea vincente per un tema da fare invidia al resto delle scuole del distretto, scuole di cui la più vicina si trova posizionata sul continente. Siamo poche anime su quest' isola, chi mai dovrebbe prestare attenzione a un ballo indetto da adolescenti?
«Ieri Rachel ha avuto una proposta a cui sottoporre la mia attenzione» continua Nova a illustrare i singoli progetti ricevuti per comporre un unico grande puzzle, di seguito, con i pezzi collezionati. «Un ballo in maschera!»
Almeno ha ammesso le sue colpe, confermato di aver incoraggiato Rachel nel presentarsi a casa mia ieri sera con la scusa di parlare del compito assegnato. Subdola. Ha tentato di instaurare una eventuale amicizia quando ho sempre messo in chiaro tutto il mio disinteresse.
Una ragazza bassa dai capelli castano scuro con le ramate sfumature sghignazza in coro con una vicina di posto, le labbra alle orecchie le avvicina per sussurrarle un segreto che tale non si può definire. Nadia. Qualsiasi cosa abbia in mente dubito sia una gentilezza.
«Si, e io sono demente» controbatto la patetica proposta. Incrocio al petto le braccia, roteo le iridi seccata. Decine di facce, adesso, sono a me puntate addosso, circa venti differenti iridi voltate con sdegno nei confronti della reazione che ho deciso di mostrare. «Sapete chi indossa maschere? I coglioni»
Una mano si solleva oltre le teste dei presenti, poi la minuta ragazza prende parola. Le scure iridi tra le decina di presenti vagano in cerca delle mie.
«Scusami, Juliet, ma noi non abbiamo bisogno di disfattisti» punta il dito contro, il tono della voce rivela la saccenza solita di chi è abituato a essere la prima della classe. «Quindi quella è la porta. Lo scorso anno il comitato ha organizzato una festa strepitosa e tu non eri presente».
«Io andrei via molto volentieri, ma sono state Nova e tua madre - e nel pronunciare la sentenza l'accento si pone sull'ultima parola - a costringermi».
«Basta!» le corde vocali di Nova sprigionano l'urlo con l' obiettivo principe di sedare un litigio ai fini della riunione considerabile superficiale. «Cinque minuti di pausa per tutti. Juls, tu vieni con me. Devo parlarti» e in un battito di ciglia dentro di lei torna calma e armonia, ricompone la regale postura e avvolge l'agenda fluo al petto per nascondere il tesoro inestimabile che essa contiene.
La mia migliore amica mi trascina un angolo appartato sotto il palco. Cammina a passo spedito fino al momento in cui non decide di fermarsi, non siamo abbastanza lontane da orecchie altrui per permetterci di conversare indisturbate.
«Spiega la scenata di poco fa» scruto ogni movimento mio, studia le espressioni involontarie che sul mio viso si stampano con il suo sguardo indagato. Sopracciglio inarcato, braccia conserte. «Hai promesso che un tentativo lo avresti fatto».
«E infatti mi sono presentata. Ho mantenuto fede all' impegno, io» ribatto, imito la posa sua accigliata. «Se non erro non avresti dovuto coinvolgermi fuori scuola, eppure mi sono lo stesso ritrovata Rachel nel salotto di casa».
«E questa sarebbe... Una vendetta?» appare confusa, perplessa colei che da sempre considero la più cara amica che ho.
«No. Certo che no. Ho soltanto espresso un parere personale, o non si può nel tuo gruppo? Le feste in maschera sono ridicoli, e soltanto ai coglioni piacciono le maschere».
«Juliet Cohen» un ragazzo si affaccia nell' auditorium per chiamare il mio nome. I capelli neri laccati riportano due lunghi ciuffi ai lati della testa, indossa una felpa dai toni scuri più grande della sua effettiva taglia. «La professoressa Ross vuole conferire con te, in privato».
Lascio fuggire un sospiro di sollievo. Tutto è meglio pur di non affrontare Nova, conosco la bionda al mio fianco da troppo. Troppa astuzia nascosta dietro quel viso in perfetto stile principessina Disney. Anche se, con ogni probabilità, l' insegnante ha voglia di discutere in merito il compito consegnato in bianco.
L'aula di letteratura è sgombra, i raggi del sole varcanti il vetro della finestra pare rinvigoriscano le lavanda con cura sistemate a decorazione del versante interno del davanzale, a garantire il naturale colore per accogliere la classe con del buon inebriante profumo.
La figura elegante di Daphne Ross è china, dedita alla lettura di più di una dozzina di fogli scritti a mano, alcuni contengono fiumi di parole mentre altri si possono riassumere con una frase. Non usa la penna rossa.
«Juliet...» innalza lo sguardo dopo aver arcuato l'udito e realizzato della mia presenza. Le argentate iridi emanano un verdognolo bagliore. Allunga in mia direzione una pagina vuota. «Perché?»
Perché. Gran bella domanda questa, ma la risposta chi cazzo la conosce?
L'istinto mi ha suggerito fosse sbagliato, non corretto svolgere un tema prima ancora di esser a conoscenza di cosa scrivere. A mentire con quattro chiacchiere per un voto accettabile sono buoni tutti. Io non mi reputo tanto ipocrita, e sono in disaccordo con il tramutarmi in tale proprio con una dei pochi docenti meritevoli di rispetto nell' intero istituto.
«La ragione è che non possiedo risposta per il suo tema» confesso senza remore. «Tramite la nonna ho sempre saputo di essere il coraggio. Ma il coraggio ha bisogno della paura per esistere. Quindi mi esonero dal compito fin quando non scopro la mia paura».
Il coraggio equivale al sole, la paura è la sua luna con cui tocca condividere lo stesso cielo. E poi ci sono gli spavaldi.
La spavalderia è un eterno giorno parte di una terra che la notte non conosce, una notte che tra ombre nel buio brancolanti offre anche la lenta danza delle sinfoniche stelle che con la luce argentea loro accompagnano gli amanti lungo il pontile.
La spavalderia avviene in assenza di equilibrio, il coraggio si trasforma nell' amico avaro e ingordo dall' ego smisurato che espandendosi schiaccia la paura fino a non lasciar più traccia di esso. La convivenza tra pari è il primo tra i ruoli assenti in questo gioco di condivisione.
«Apprezzo la tua onestà, signorina Cohen» la giovane insegnante ripone il mio non scritto nel mucchio, racimola i vari fogli alla fine del registro. «E voglio darle opportunità e venirle incontro. Porti al termine la propria ricerca sulla paura, trovi la propria. E poi scriva un nuovo tema relativo proprio all'importanza della paura dentro le vite di ogniuno di noi, metta in evidenza gli aspetti positivi nella sfera privata e sociale. Un anno di tempo crede le possa bastare come limite, prima della consegna del diploma?»
Note autrice
Un nuovo capitolo appena concluso, e stavolta ammetto di esser stata ancora più veloce del precedente.
Facciamo la conoscenza di una eccellente professoressa: magari gli insegnanti fossero tutti come lei👀
Anche se, da italiana, io avrei abbinato Alice nel Paese delle Meraviglie con Pirandello: credo, se analizzati, come base di pensiero insieme hanno parecchio senso (e dopo questa io mi proclamo pronta per candidarmi a ruolo di ministro della cultura e dell' istruzione 😎). Ma non bisogna neppure disdegnare l'importanza di Harry Potter nella odierna società.
Quattro case, quattro fondatori uniti per creare una delle più famose scuole di magia. Quattro fondatori rappresentanti differenti tipologie di personalità possibili da incontrare che hanno tanto da insegnare su come costruire un senso di comunità.
Ma chissà se, stavolta, Juliet porterà mai a termine il nuovo compito ricevuto o se continua ad agire di testa sua.
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