Zia Olly
Nel vecchio studio di Drake Dragon, Adele ha lo sguardo fisso sulla scrivania e sul bicchiere di Whiskey che si è servita prima di abbandonare il salone in mano a Richard. Sul tappeto, in piedi, c'è Olivia. Ad accompagnare il suo sguardo lievemente alticcio è un sorriso dolce, quasi materno, che fa sorridere Adele.
«Che fine ha fatto il corpo di Steven?» Domanda all'improvviso, lievemente curiosa. Sorseggia il Wiskey e indugia con i polpastrelli liberi sul nodo Windsor della cravatta grigio perla. Quando solleva lo sguardo su Olivia la sente ridacchiare appena.
«T'interessa davvero?»
«Quanto basta, zia Olly» minimizza. «Mi hai detto che ti saresti occupata di lui, che avresti lasciato il lavoro sporco a degli amici...» Si ferma un attimo, umetta le labbra amare e intreccia le dita sul fascicolo di Benjamin – non lo ha ancora bruciato, tantomeno aperto. «Quanto costerà questo servizio speciale?» Chiede infine.
«Poche migliaia di dollari» mormora. Socchiude lo sguardo e fa una piccola giravolta. Allarga le braccia, sembra quasi una bambina. «Sai, non avrei mai immaginato di poter tornare qui» dice. «Quando ho lasciato questa casa eri ancora una bambina, a stento muovevi i primi passi...» E schiocca la lingua, si ferma, torna a osservare sua nipote con le sopracciglia appena corrugate. «Tua madre continuava a vestirti come una femminuccia: tulle, taffetà, pizzi e merletti – non ti piacevano affatto, anzi.»
«Non mi sono mai piaciuti» ammette in un soffio. Poi si schiarisce la voce, torna all'argomento principale e dice: «Quanti soldi, zia Olly?»
«Quanto basta per mantenere una donna dei quartieri bassi» replica. «Il tipo che ho ingaggiato ha la fedina penale sporca – rapina a mano armata, truffa e spaccio» elenca. «Ma ha anche una madre a cui badare, una madre con qualche piccolo problema di salute... Ha deciso di prendersi la responsabilità dell'omicidio di Steven, di fingere che sia stato lui a sparare al Dottor Parrish per una tentata rapina organizzata con Steven.»
Adele annuisce alle parole di Olivia, sembra quasi compiaciuta della scelta di quest'ultima e non riesce a trattenere un sorriso. «Ottimo» mormora. «Se la caverà con l'ergastolo e scamperà alla pena di morte per un soffio...» E distoglie lo sguardo, si mostra quasi disinteressata. «Non è un serial killer, potrebbe benissimo optare per una confessione e scontare il resto della sua vita in carcere con la consapevolezza che sua madre vivrà giorni migliori.»
«Ma senza di lui» conclude Olivia. Storce appena le labbra, sembra dispiaciuta. Poi sospira, fa spallucce e scuote il capo. «Per quanto sia un delinquente, un figlio è pur sempre un figlio, no?»
Adele tracanna il Whiskey d'un colpo e chiude gli occhi. Le palpebre serrate, un vago senso di colpa latente e poi la risposta: «Non per tutte le madri del mondo.»
«Questo è vero» conferma. «Ma non tutte le madri sono uguali a quella che hai avuto tu...» La vede deglutire, poi percepisce la tensione che sale nell'aria e rende satura la stanza. E si arrende, sorride ancora – forse con fare tirato, forse con ritrosia. «Anche la mia non è stata un bell'esemplare, davvero» aggiunge allora, giusto per non farla sentire troppo sola. «Mi ha mandata in collegio, mi ha allontanata per anni dalla famiglia e poi è morta per overdose – incredibile, no?»
«Non conoscevo la storia della nonna» ammette in un soffio. Rilassa i muscoli del viso e posa il bicchiere vuoto accanto al fascicolo di Benjamin. «A dire il vero non conosco neppure quella del nonno...»
«Ma quella di Drake sì» mormora Olivia. Le si avvicina, sorride ancora, infine allunga una mano per raggiungere il viso di Adele e carezzarlo appena. «Gli somigli molto...»
«Ne sono felice.»
«Devi esserne orgogliosa» precisa Olivia, retrocedendo appena e sedendo su una poltroncina vicina. Osserva Adele negli occhi, poi sospira e storce di poco le labbra. Nota il suo cipiglio crucciato, il modo di fare restio e quasi spinoso, perciò dice: «Se fossi stata un maschio, Drake ti avrebbe lasciato tutto.»
«Lo avrebbe fatto lo stesso» risponde atona. «Mi diceva che ero perfetto, che possedevo tutte le carte in regola per diventare il capostipite dei Dragon...» Prende una piccola pausa, serra i denti e deglutisce a vuoto. Il ricordo della voce di Drake la culla e la fa rabbrividire sul posto. «Una volta mi ha portato a caccia, nel week-end m'insegnava a sparare alle lattine vuote e diceva: Sei perfetto, Figlio Nobile!»
«Lo sei davvero.» Olivia sospira, si rende conto con leggero ritardo di aver fatto una gaffe dietro l'altra nel nominarla al femminile. E serra i denti, deglutisce, poi si umetta le labbra. Mormora uno: «Scusa, non volevo offenderti.»
«Offendermi?» Adele solleva un sopracciglio, quasi non capisce a cosa Olivia si stia riferendo. Poi trattiene una risata amara e annuisce, ragiona, esce dai suoi ricordi per tornare al presente. Dice: «Non importa, zia Olly...»
«Hai sempre desiderato essere come sei adesso, vero?» Indaga, forse sfacciatamente. Ma si tranquillizza nel vedere annuire Adele con tranquillità. «Ecco perché Richard ti chiama Ade, che sciocca...»
«Non scusarti, zia Olly, davvero.» Quasi si alza dalla poltrona. Posa le mani sui braccioli, poi vede il palmo sollevato di lei e frena il proprio moto, si adagia ancora una volta contro lo schienale e punta le suole delle scarpe sul pavimento.
«Sei tu che porti le rose a Drake?» Domanda piano. La vede annuire e quasi trattiene le lacrime. Vorrebbe commuoversi, ma sa che farlo sarebbe fuori luogo, furi dalla propria personalità. Sorride e basta, allungando una mano per scompigliare la chioma corta di Adele. «Che bravo ragazzo...»
«Ieri sera ho indossato il nodo Eldredge» commenta piano.
«L'ho notato» ammette. «Ed era perfetto, complimenti.»
«Grazie» soffia. Un lieve imbarazzo le colora le guance e le gonfia il petto. Sorride, non può fare a meno di farlo, infine dice: «A papà sarebbe piaciuto senz'altro.»
«Non ne dubito. Lui ci teneva tanto alle sue strane abitudini...» E si ferma un attimo, batte le palpebre, osserva il completo scuro che sta indossando Adele. Finalmente ci fa caso e allarga il sorriso. «È suo?» Chiede, vedendola subito annuire.
«Ne ho stretti un po', lo ammetto. Gordon se ne è appropriato subito, altri li ha buttati ed altri ancora gli sono letteralmente sfuggiti – li ho nascosti per anni, li ho fatti sistemare per me...» E si umetta le labbra, rabbrividisce, sospira. «Non saprei cos'avrei fatto senza di te, zia Olly» dice all'improvviso.
«Un ottimo lavoro, piccolo mio, un ottimo lavoro» mormora. «Non hai bisogno di così tanto aiuto, sei un genio, il vero Figlio Nobile.»
«Nobile d'animo» ironizza subito. «Che nobiltà c'è in questa famiglia, zia Olly?»
«La nobiltà d'animo» conferma.
«Ma chi fa soldi sulle spalle degli altri può davvero ritenersi nobile?» Serra i denti, vuota il sacco ed esprime il suo cruccio più grande: «Le prime migliaia di dollari sono entrate nelle tasche di mio padre con delle truffe immobiliari, poi si sono estese al mercato delle auto e delle moto rubate che vengono imbarcate per la compravendita dell'est... Infine la droga, lo strozzinaggio...»
«È pur sempre un impero» la corregge Olivia. «Tuo padre, mio fratello, ne era orgoglioso. È partito dal basso e ha raggiunto la cima senza troppi problemi.» Vede Adele deglutire, forse percepisce un lieve ripensamento e si affretta ad aggiungere: «Sei certo di poter sopportare tutto questo, Ade?»
«Sì, assolutamente» scandisce. «Sono stato cresciuto per questo, dopotutto.»
«Drake ha creato delle basi, ma tu le hai innalzate da solo» la corregge.
«Non mi preoccupa la gestione di certi affari, zia Olly» mormora. «O devo forse pensare che il tuo ritiro volontario a Squirrel Hill sia stata una mera copertura?» Restringe appena lo sguardo, la sonda, poi le vede scuotere la testa.
Dice: «No davvero.» Olivia incrocia le gambe e posa le dita sulla seta che le copre le ginocchia. Sorride ancora, inclina appena la testa e continua: «Ho vissuto con Martha per ventitré anni, mi sono goduta ogni istante trascorso assieme a lei e le sono stata accanto anche quando la malattia se l'è portata via.» Gli occhi si velano di lacrime, la voce vacilla, tuttavia il sorriso permane e non si muove di un millimetro – quasi plastico, quasi surreale. «Non ho mai ambito al potere di questa famiglia, no, solo a una vita mia – una vita vera, lontana dalle maldicenze della gente e dagli sguardi straniti dei parenti.»
«Mi dispiace» soffia. In un attimo ricorda il giorno del funerale di Martha Fey, lo sguardo stravolto di Olivia e le lacrime che non volevano proprio saperne di smettere di uscire. Rabbrividisce, china appena lo sguardo e si sente colpevole. «Non volevo accusarti, zia Olly...»
«La colpa è mia» ammette. Fa spallucce, si stringe le braccia al petto e sospira. «Sono letteralmente sparita, ho cercato di creare una favola, un castello invisibile. Quando l'ho visto crollare sono andata in pezzi.» Deglutisce, poi sorride di nuovo e con fare tirato. «Se il tuo castello è questa famiglia, Ade, tienitelo stretto fin quanto possibile.»
«Lo farò.» Annuisce, infine si alza in piedi e afferra sia il bicchiere vuoto che il fascicolo di Benjamin. «Prima devo occuparmi di una cosa» mormora. Supera sua zia, la sente sospirare. «Ah, ti ho fatto preparare una camera per la notte. Se vuoi restare, zia Olly, sei la benvenuta.»
«Preferirei tornare a casa e passare per il brunch di domani.»
«Un brunch?» Adele ridacchia sull'uscio della porta dello studio, poi annuisce e dice: «D'accordo, ne organizzerò uno.» E non la invita a uscire, non insiste affinché esca di casa il prima possibile, no: la lascia sola con se stessa, con i suoi pensieri e i suoi ricordi, perché sa quanto il nome di Martha Fey possa scuoterla. Non a caso inizia a sentire i suoi singhiozzi soffusi poco prima di raggiungere le scale e aggrottare le sopracciglia dinanzi a un Chase infuriato che esce sbattendo la porta d'ingresso. «Rich!» Alza subito la voce, vira verso il salone e sorpassa la porta vetrata senza troppe cerimonie. Incrocia le braccia al petto, lo fissa e arriccia le labbra in una smorfia stranita. «Cosa diavolo hai fatto a Chase? Cazzo, lo sai che è il tuo unico amico!»
«Amico un cazzo, Ade» schiocca di rimando. «Sapeva del lavoro che zio Ben ha trovato a Zack e continuava a trattarmi come un idiota...» Si ferma a pochi passi da lei e serra i denti. La osserva negli occhi e pare quasi minaccioso. Tuttavia non la vede vacillare, anzi, e deglutisce. «Cosa sono io?» Chiede piano. Lo sconforto si fa vivo come un proiettile: improvviso, deciso, annichilente e doloroso. «Cosa sono per la gente, Ade?»
«Richard Dragon» dice. «Un nome e una garanzia...» Trattiene a stento una risatina e solleva una mano per carezzargli una guancia. Poi lo vede ritrarsi, scattare, muoversi come un forsennato per il salone. E sbuffa, indurisce i muscoli del viso, solleva perfino il mento.
«Non sono l'erede dei Dragon, non valgo un cazzo adesso» sbotta all'improvviso. Le mani strette sullo schienale della sedia cui Chase aveva posato il cappotto e lo sguardo fisso sul punto in cui il corpo di Gordon è caduto ventiquattr'ore prima. «Richard Dragon è solo un ragazzino viziato che pretende di comprare la gente, di scambiare persone, di barattare amanti...» E si blocca, chiude gli occhi, si fa sbiancare le nocche nella presa. Trattiene un singhiozzo, un ringhio – tutto. E deglutisce.
«Sei troppo giovane, devi soltanto imparare a vivere» mormora Adele. «Erede o meno, primo o secondo, sei pur sempre un Dragon...»
«E per valere quanto te, Ade, dovrei ammazzarti?» Sibila. Si volta a guardarla e la sente ridere.
«Potresti provarci, sì, ma verresti subito arrestato – tempo due mesi, forse anche meno. Non è per te questo mondo, nessuno ti ha insegnato a viverci. Vieni dalla bambagia, dall'illusione onnipotente di Gordon Dragon, e sei cresciuto sotto una fottuta campana di vetro.» Schiocca la lingua e lo guarda da capo a piedi. Posa una mano sul montante della porta e scuote la testa. «Io ti ho offerto la libertà, te l'ho servita su un piatto d'argento, Rich. Perché uccidermi? Perché pretendere qualcosa che non vuoi avere?» Non ode alcuna risposta ed è ovvio che Richard non sappia cosa dire o come farlo – no, lui non ha la benché minima voglia di gestire tutti i traffici illeciti dei Dragon! «Io mi sono fatto rispettare» sibila d'un tratto. «Impara a farlo anche tu, Rich. Con le unghie e con i denti, a costo di sputare sangue...» inizia. «Se non hai paura di sporcarti le mani, perché non aiuti Ben con il traffico di eroina?» E ghigna, lo sprona con un'occhiata sorniona. «Prendi confidenza con la tua nuova realtà, sii un mio braccio destro e poi spacca il muso di quel coglione che ha osato alzare la voce con te.» Allora solleva un sopracciglio, alza una mano per puntare un indice sulle labbra schiuse di Richard. «Vi sentivo urlare dallo studio.» E non aggiunge altro, muove appena la testa in segno di saluto per poi retrocedere lungo il corridoio.
«Ade...» A bassa voce, Richard segue Adele lungo il corridoio e cerca di fermarla. Dice: «Zietto, non credo che zio Ben voglia condividere con me gl'introiti del traffico, sai?»
«Ti assegnerò quello della cocaina» conclude Adele, sospirando. «Ma dovrai chiarire la faccenda del Mi sono scopato il tuo ragazzo per attirare l'attenzione come un ragazzino che vuole il suo giocattolo preferito, Rich. Non voglio problemi in famiglia e non voglio guerre, capricci, dissidi...» Si ferma a guardarlo, aggrotta perfino le sopracciglia e infila le mani in tasca. «Intesi?» Lo vede annuire, così sospira e dice: «Bene. Adesso devo liberarmi del fascicolo di Ben, se non ti dispiace...»
«Lo hai letto?» Indaga appena, vedendole scuotere la testa.
«Non siete così sciocchi da trattarmi come fossi Gordon, vero?»
«No.»
Adele sorride, ma non si ferma e non si volta. Continua a camminare, infine mormora: «E non sei così geloso di Tera da proibirmi di farle qualche regalo, vero?»
Richard batte le palpebre, quasi socchiude le labbra in una smorfia perplessa. Sente la rabbia scivolargli via e pare che abbia appena ricevuto un duro colpo d'acqua gelata. «Tera?» Gli viene da ridere improvvisamente, ma si trattiene. «Figurati, zietto. È tutta tua!» E non ha la benché minima idea sul fatto che Tera possa o meno interessarsi ad Adele, perché malgrado il modo in cui quest'ultima si veste e si fa appellare, in fondo, resta biologicamente una donna. «Che branco di matti» commenta piano, schioccando la lingua e retrocedendo fino al salone. Non ha voglia di seguire Adele, tantomeno di scoprire cosa questa abbia in mente – no davvero, la sola idea gli mette i brividi! Così non ci pensa due volte a infilare giacca e cappotto per uscire in veranda a fumare sulla poltroncina di vimini.
«Chase è andato via» mormora Jae. Vede Richard con la sigaretta accesa tra le labbra e l'espressione assorta, confusa.
E quando questi si volta a guardarlo, allora, solleva un sopracciglio. «Sai che me ne importa...» borbotta. Una zaffata grigia sale verso l'alto, verso le travi di legno, mentre il corpo di Richard si lascia cadere sulla poltroncina. Allora, non contento, allunga entrambe le gambe sul tavolino basso e sospira rilassato. «Mi serviva solo un po' d'aria fresca» dice, si giustifica, sente ridere Jae e quasi stenta a guardarlo negli occhi.
«Giuralo» lo provoca. Anche lui ha una sigaretta tra le labbra – un drum, per l'esattezza, o forse uno spinello di erba e fumo mischiati assieme.
«Non ho intenzione di giurare un bel niente.»
«Sei credente?» Domanda, quasi sbotta a ridere. Trattiene un colpo di tosse solo per sollevare un sopracciglio e ghignare. Allora il fumo gli esce dalle narici strette, scivola nel portico e raggiunge Richard.
«Agnostico» mente. Abbassa i piedi in terra e si alza subito. Pochi passi e lo raggiunge per sfilargli la canna dalle dita.
«Davvero?» Jae sembra incredulo, ma non indispettito. Osserva lo spinello tra le dita di Richard e quasi ha voglia di lasciarglielo. Quando questi socchiude le labbra, poi, ghigna e si sente su di giri. Chissà come non prova disgusto e non si sente indispettito per la noncuranza di Chase – oh, ancora ricorda come lo ha visto saettare verso il cancello senza nemmeno voltarsi a guardarlo!
«No» dice. E schiocca la lingua, assapora la prima boccata dal filtro appena umido della saliva di Jae. «È roba buona» commenta piano, quasi tra sé e sé. Poi batte le palpebre, sospira, dice: «Io sono politeista.» Solleva di poco il mento, fa un altro tiro dalla canna e lo trattiene. Socchiude gli occhi, s'intossica polmoni e cervello, poi alza la voce, allarga le braccia e scandisce: «Credo nel Dio Denaro e nella Dea Verde...»
«Nell'assenzio o nella marijuana?» Jae sbotta a ridere. Allunga la mano e si riappropria del mozzicone che resta. «Sei una testa di cazzo» soffia. Posa il filtro sulle labbra, lo lascia in bilico, sospeso, poi lo circonda con indice e pollice e, dopo aver aspirato a fondo, glielo passa con noncuranza.
«Che detto da te dovrebbe essere più o meno un complimento, no?» Richard accetta l'offerta di pace di Jae e ghigna sornione, soddisfatto.
«Chissà» borbotta questi. «È il discorso sullo scambio che non mi è andato giù, sai?» Dice con noncuranza. E non dovrebbe svelargli di aver origliato quella conversazione, tuttavia se ne infischia e fa spallucce. «Cristo, Rich! Non sono né una puttana né uno schiavo che lavora in una piantagione di cotone.»
«Suvvia, non dirmi che non vedi la piantagione!» Ironizza, beccandosi un'espressione indispettita come risposta. Così ridacchia, si mostra divertito e complice. Il filtro gli pizzica sotto i polpastrelli, perciò domanda: «Non servo neanche come spunto per caratterizzare uno dei tuoi tanti amanti di carta?» E finge d'imbronciarsi, aspira l'ultimo tiro dello spinello, trattiene il fiato.
Jae storce le labbra, sospira e si lascia sfuggire: «Ti accontenti lo stesso se dico che m'interessi?»
Richard ghigna, lo afferra per la nuca e se lo strattona vicino. Lo fissa negli occhi, si sente penetrare da parte a parte con le sue lame di ghiaccio, tuttavia non cede e si avventa sulle sue labbra. Le schiude, le assapora piano, freme senza pudore e abbassa le palpebre, mentre lascia scivolare il fumo dalla propria bocca a quella di Jae. «Si, vale lo stesso» dice. Il fiato corto, il sapore agrodolce sul palato, la testa ancora un po' su di giri per il troppo Whiskey.
«Non come personaggio di carta» precisa Jae. Si umetta le labbra, lo vede indietreggiare di un passo e annuire. Poi sposta gli occhi sulle dita che gli afferrano la cravatta e tentenna. Inspira a fondo, si maledice per essere tanto incoerente. Vorrebbe saltargli addosso proprio in questo momento, magari sulle poltroncine di vimini o sul pavimento stesso – al diavolo la decenza!
«Ah, no?» Soffia.
Deglutisce. Batte le palpebre e chissà come si trattiene. Dice soltanto: «No.» Poi sente la presa di Richard farsi più ferrea, decisa, pretenziosa.
«Questo tipo di no non mi dispiace affatto» mormora.
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