Rosa

La luce del mattino filtra attraverso e tende chiuse, guizza sul pavimento e rimbalza sulla parete bianca fino a infastidire e palpebre tremanti di Richard che, in dormiveglia, continua a grugnire qualcosa d'indefinito. Di colpo, però, si fa più intensa, quasi accecante. E lo riscuote, lo fa scattare con le braccia sotto le coperte.

Un ringhio sommesso, poi la sua voce impastata dal sonno che borbotta altre parole sconnesse, qualcosa come: «Ho sonno, diamine...»

«Hai ancora sbagliato stanza, Rich» dice sbrigativamente Benjamin. Le braccia incrociate al petto e la luce del mattino che lo illumina di profilo. Vede la sagoma di Richard agitarsi sotto le lenzuola e scostarle con poca grazia, infine sospira. «Cosa c'è che non va nella tua, sentiamo.»

Ed è impossibile che Richard riesca a fare un discorso di senso compiuto in un momento simile, tuttavia ci prova. Dice: «C'è Tera.» Una risposta semplice, secca, come la gola che reclama acqua. Si strofina un occhio, grugnisce, infine si mette a sedere e guarda inorridito i propri vestiti sgualciti, abbandonati sul pavimento della camera di Benjamin. E deglutisce, sì, prima di sollevare lo sguardo appannato su di lui. «Scusami, non volevo occuparti la stanza» soffia.

«Ah, no?» Benjamin solleva un sopracciglio, storce le labbra, quasi non crede alle parole di Richard. «Hai appena detto che in camera tua c'è Tera, tua moglie...»

«Non lo so cosa ho detto» biascica. «Ho sete» aggiunge. Cerca una bottiglia d'acqua, un bicchiere, ma attorno a lui c'è solo il residuo dei postumi di una grossa sbornia. Schiocca la lingua e borbotta: «Zio Ben, mi porteresti dell'acqua?»

«A che ora sei rientrato?» Domanda appena, contrariato. Poi scuote il capo, divaga: «Se ti vedesse Gordon avrebbe di che rimproverarti, credimi.»

«Perché?» La voce ridotta a un filo, la spossatezza nelle ossa. Sente i crampi all'addome, il martellare delle tempie, e grugnisce, si piega in avanti.

«Sei uno straccio» spiega Benjamin. «Adele non doveva forse tenerti d'occhio?»

«Oh, credo di sì...» mormora. Si porta una mano alla testa e scivola via dalle lenzuola di Benjamin senza nemmeno badare a cosa ha indosso. «Ha isolato la Lamborghini e mi ha scaricato a Liberty Avenue per una rosa.»

«Te sei tutto scemo, lasciatelo dire» sbotta Benjamin. Tiene la voce bassa, modulata, e ringrazia chissà quale santo per il solo fatto che Gordon non sia presente. «Non dovresti raccontare certe confidenze, sai?»

«Ma non sembri sorpreso, zio Ben...» un brivido di freddo gli percorre la schiena e si condensa nelle braccia, tanto che Richard si trova costretto a fare i conti con la dura realtà: è nudo, sudato, confuso all'ennesima potenza. «Credo che le abbia fatte anche a te, no?»

«No» mente. Lo sguardo serio, di ghiaccio. Osserva Richard e solleva un sopracciglio, sicuro che questi possa comprendere la sua bugia. «Ed è irrispettoso parlare di chi non è presente» lo ammonisce piano, facendolo sospirare.

«Ricevuto» ironizza. Accenna a un sorriso tirato, poi lo guarda in viso e spera di notare una qualche vena di malizia che, tuttavia, pare non attraversarlo. E serra i denti, deglutisce, sente ancora il sapore del Martini, dell'ananas corretta al Rhum, dei succhi gastrici. Batte le palpebre, conscio di aver passato metà della notte a vomitare come un ragazzino. «Ho bevuto troppo, capito» dice. «Fine della ramanzina.»

«Non voglio sapere niente» scandisce. Lo liquida con questa frase e distoglie lo sguardo per posarlo sul vetro della finestra. «Non è bene che io sappia qualcosa, in fondo.»

Richard annuisce, sente i denti stridere tra loro e ha voglia di vomitare. Non trattiene un conato e, dopo essersi infilato i pantaloni, corre in bagno. Ha come la sensazione che passerà il resto della mattina con la testa infilata nel cesso a sentirsi un idiota, un incompreso, un ragazzino. La verità è che ricorda solo dei piccoli frammenti della sera prima: la rosa che ha dato a sua zia Adele, il viso di Jae e il modo con cui questi adagiava il tabacco sulla cartina. E il viso di Benjamin, sì. Chissà come si convince di aver avuto con lui un qualche amplesso. Le parole di Pessoa nel cervello, quelle di Hesse che gli ronzano nelle orecchie, tutto riconduce a lui e frizza nell'inconscio come un petardo pronto a esplodere. Controllo e stranezza, poi ancora i conati, l'odore acre dei succhi gastrici. Il cervello gli cola via in grosse boccate, mentre gli occhi già arrossati lacrimano in silenzio. «Al diavolo» sbotta. Ricorda l'espressione vacua di Benjamin e il modo in cui lo ha guardato poco prima. Torna a darsi dello scemo e sente nelle orecchie la voce di Adele: Quanto sei scemo da uno a dieci? Si alza a stento da terra, sputa ancora un po' di succhi gastrici e saliva nella tazza, infine si avvicina allo specchio e osserva il proprio viso. Dice: «Dodici...» Si lava i denti alla svelta e un paio di volte, poi la faccia. Ma non basta, puzza come una distilleria. Digrigna i denti e si spoglia di nuovo, s'infila nella doccia. Spera che un po' d'acqua fresca possa lavare via le incongruenze dei frammenti, tuttavia la scopre troppo fredda e grugnisce. La vuole calda, non gelida, mentre s'insapona con il bagnoschiuma di Benjamin – perché sì, quello è il suo bagno.

«Tutto bene lì dentro?» E questa è la sua voce, la sua domanda premurosa.

Richard serra i pugni sulle mattonelle chiare, si morde le labbra. Trattiene il respiro per qualche secondo, annaspa, infine risponde con un secco: «Sì, tutto bene.» La voce roca, stanca, straziata dal rigetto continuo.

«Sbrigati a uscire, così chiamo Patricia per dare una ripulita...»

«Va bene» sbotta. Solleva troppo la voce e sente la gola andare in fiamme. Così solleva il viso, apre la bocca, manda giù sorsate d'acqua tiepida senza pensarci due volte e sputa ancora sulla pedana della doccia. L'acqua calda fa schifo, si dice. Una ventina di minuti dopo è fuori, profumato e tirato a lucido. Le palpebre leggermente calate e le occhiaie accennate. Osserva Benjamin e lo vede con un bicchiere in mano. «Cos'è, mi hai portato da bere?»

«Un analgesico» minimizza. Punta gli occhi sul frizzare della pasticca effervescente, poi porge il bicchiere a Richard e lo vede tracannare il liquido senza battere ciglio, senza storcere le labbra.

«Grazie» dice piano. Si umetta le labbra, trovando quasi piacevole il sapore aranciato della medicina. E attende in silenzio, recupera i propri vestiti sparsi per infilarsi giusto la camicia e allacciarsi i pantaloni – niente cinta, no, perché il tragitto per la sua stanza è breve, misurato. «Sai cos'è successo ieri notte?» Domanda in un soffio. La mano posata sulla maniglia della porta chiusa di Benjamin e lo sguardo vuoto, assorto. Ricorda il flebile movimento di una candela, l'odore dolce delle fragole e ancora una volta le lame di ghiaccio di Jae.

«No. E tu non lo ricordi?» batte le palpebre e gli vede scuotere la testa. Sospira, infine, e si massaggia una tempia con aria assorta. «Niente ramanzine, promesso» borbotta. «Ti sei già rimproverato da solo.»

«Già, ho fatto tutto da solo» soffia. «Ancora una volta da solo, sempre da solo.» E storce il naso in quest'ammissione. Chiude gli occhi, apre la porta ed esce dalla stanza di Benjamin senza nemmeno aspettare una risposta, una replica.

«Oh, Richard...» Tera è seduta alla toletta, intenta a pettinarsi la lunga chioma scarlatta. L'aria assorta, crucciata. Cerca di nascondere la tensione con un sorriso, ma non ci riesce. «Pensavo che non fossi rientrato» mormora, voltandosi nella sua direzione. «Come mai sei conciato in questo modo?» Aggrotta le sopracciglia, sistemandosi un orecchino di perla sul lobo sinistro.

L'interpellato non risponde, deglutisce e basta. I capelli ancora umidi, scomposti, e l'aria torva. Vorrebbe chiederle di uscire dalla sua stanza, di portarsi via la dannata toletta e i vestiti. Ma rimane zitto, ammutolito, complice della realtà fittizia che Gordon Dragon ha creato appositamente per il bene della discendenza, della famiglia. Arriccia le labbra in una strana smorfia, poi socchiude le labbra – forse vuole dire qualcosa, chissà. E viene interrotto da un'altra voce, da Adele Dragon:

«Questo completo è carino, mi piace!»

Richard batte le palpebre, si addentra nella stanza dopo aver chiuso la porta e posa i suoi vestiti sporchi su una poltroncina poco distante. Infine s'indirizza verso le ante schiuse della cabina armadio e sospira. «Ma che diavolo fai con i miei vestiti?» Domanda. Corruga le sopracciglia e sente il mal di testa assalirlo con più veemenza.

Adele si volta nella sua direzione e in tutta risposta sfoggia una stampella con un completo nero gessato di pesca. Sorride raggiante, poi si allontana verso il cassetto delle cravatte e gesticola con la mano libera. Dice: «Sto cercando qualcosa di carino da indossare per il pranzo.»

«Qualcosa di carino» echeggia. «Non credi che sia un po' inquietante che tu venga a saccheggiare il mio armadio, zietta?»

«Niente che non posso darti indietro, è ovvio.» Fa spallucce e con noncuranza osserva le cravatte ben allineate. Pondera sui colori, fa scorrere un indice sui ricami, infine si accontenta di un modello standard, nero. «Ho una camicia color pesca che starebbe divinamente con il tuo completo, Rich...» mormora. Adotta un tono civettuolo, poi gli si avvicina e, dopo aver controllato l'ingresso della cabina armadio, si sprona verso il suo orecchio. «Ci vuole un bel completo per mandare in bestia Gordon Dragon.»

«Che tipo di pranzo c'è oggi?» Chiede. Gli appuntamenti si mescolano nel suo cervello e si confondono tra loro fino a farlo sbuffare.

«Un pranzo importante, caro Rich...» Sorride.

«E tu hai intenzione di far arrabbiare mio padre proprio durante un pranzo importante?» Solleva un sopracciglio e la vede annuire. «Sei fuori di testa?»

«Non più di te» mormora lei. Si porta davanti al petto la giacca di Richard e dice: «Che te ne pare, Rich, mi dona?» E ghigna, attende una risposta. Lo vede annuire e ridacchia di rimando. «Perfetto, allora. Missione compiuta!»

«Quale missione?» Batte le palpebre, sembra sempre più confuso.

«Tu che dici?» Allude. Gli lancia un'occhiata veloce, infine lo lascia da solo nella cabina armadio. Da lontano solleva la voce e cinguetta falsamente un: «Grazie mille, Rich!»

«Prego» borbotta tra sé e sé. Osserva il cassetto delle cravatte, sbuffa, infine ne sceglie una a caso e ci abbina un completo altrettanto a caso con una camicia nuovamente a caso. Non male come pesca dall'armadio, perlomeno a suo dire. Allora si veste, raggiunge i bagno adiacente e pettina i capelli all'indietro per assumere una parvenza più elegante, più rigorosa. Infila la fede all'anulare sinistro e sbuffa.

«Come va, Richard?» Chiede Tera dalla stanza. «Hai finito? Sei pronto?»

«Donne...» borbotta. «Ecco perché mi danno fastidio, diamine. Petulanti, ripetitive, onnipresenti!» Schiocca la lingua con fastidio e si guarda allo specchio. Lava ancora il viso con un po' d'acqua fresca, poi punta a quella gelata e prega nell'attenuarsi delle occhiaie. Ci rinuncia poco dopo, serrando i denti e percependo di nuovo la voce di Tera:

«Richard?»

«Ho fatto, cazzo!» Sbotta ad alta voce. Arriccia il naso, esce dal bagno con un'espressione irritata e la fissa dall'alto in basso. «Ma non azzardarti più a chiedermi quanto tempo ci metto a vestirmi o dove passo la notte, Tera. Sei una fottuta copertura, tienilo a mente» sibila. La vede deglutire a vuoto e la supera con noncuranza, uscendo dalla propria stanza prima di lei. Allora gli torna in mente Keane, il modo in cui ha cercato di sbatterselo durante la festa di matrimonio, e sogghigna divertito. Certi dispetti sono tanto infantili quanto stranamente affascinanti. Ancora il profumo di fragole, il dolce e fastidiosissimo profumo di fragole. Schiocca la lingua, sospira, infine scende le scale che portano al piano inferiore con una certa fretta. Nell'ingresso vede già sua madre accanto al famigerato Gordon Dragon. E rallenta il passo, deglutisce, solleva il mento. Una postura adeguata e un comportamento adeguato, ecco cosa intende proporgli per quel pranzo che non conosce.

«Rich...» lo chiama piano, facendogli cenno di seguirlo nello studio fintanto che Benjamin, Tera e Adele non sono presenti. «Seguimi» ordina.

«Certo, certo» schiocca acidamente. E inspira a fondo, non sa se le parole di suo padre potranno o meno fargli tornare alla mente qualcosa. Si lascia condurre nello studio e posa i palmi sulla scrivania, dando le spalle alla stessa e fissandolo attentamente. «Allora, cosa devi dirmi?» Chiede. Muove appena la suola delle scarpe sul pavimento e a tratti sembra voler raggiungere il tappeto poco distante.

«Tera ha capito le tue intenzioni» dice di soppiatto. «E va bene così, davvero. L'unica cosa che ti viene chiesta, però, è di non mettere in ridicolo il nome della famiglia Dragon...»

«Per gli Evans ho carta bianca?» Ironizza.

«Gli Evans e i Dragon sono una cosa sola adesso» fa lapidario.

«Lo so, stavo solo scherzando.»

«Non farlo più» scandisce. «Soprattutto non oggi» sibila. Lo guarda fisso negli occhi e poi sospira. Si massaggia la sommità del naso con indice e pollice, mentre la calma sembra scemare lentamente. Deve ritrovarla, però, così se lo ripete mentalmente e non tentenna nel suo nuovo mantra. «Fingi, Rich...» propone. «Darò a Tera una nuova stanza e lei non dirà niente, ma smettila di addormentarti in giro come un barbone, diamine!»

«Va bene» dice. Annuisce, sorride, quasi si sente rinato. Ciononostante ha ancora la testa sulle nuvole, lo stomaco sottosopra e i nervi tesi. «Mantenere un basso profilo, non fare cazzate, evitare le alzate di testa: ricevuto.»

«Dove sei stato ieri sera?» Domanda ancora Gordon, tagliando il discorso sul nascere e arricciando il naso. «Quando sei tornato a casa eri su un taxi che ha pagato Steven, ma il tassista si è lasciato sfuggire che a dargli l'indirizzo è stato un altro ragazzo a Liberty Avenue.»

«Ti sei già risposto, credo» mormora. La verità è che non ricorda granché, ma non riesce a dirlo ad alta voce. Fa spallucce, si mostra noncurante e minimizza il disastro con un: «Ho bevuto troppo, probabilmente ero con Chase in qualche locale ed è stato lui a chiamare il taxi...»

«Chase ti avrebbe riportato qui» lo interrompe subito. «Hai incontrato il ragazzo che è venuto qui ieri mattina, per caso?»

«Forse» borbotta. Cerca di riordinare le idee e ancora una volta fa un buco nell'acqua. Allora si mostra evasivo, misterioso, mentre le tempie continuano a martellargli senza sosta. «Ma Steven non è il tuo cane da guardia, papà? Non è lui che ha il compito di sorvegliarmi ventiquattro ore su ventiquattro?» Ghigna divertito. «Dov'era quando sono andato a Liberty Avenue?»

«Era con me» schiocca. «Nessuno ti ha tenuto d'occhio, non ieri» mente. Schiocca la lingua, poi aggiunge un briciolo di verità: «E l'hai fatta grossa a quanto pare...»

«In che senso?» Indaga. Corruga appena le sopracciglia e inclina la testa di lato.

«Ti sei ubriacato, sei tornato indietro per grazia di qualche finocchio della Liberty Avenue. Mi chiedo quanto tu ti sia messo in mostra, quanto tu abbia parlato a sproposito...»

«Non ne ho idea» ammette infine. «Non ricordo un accidente di ieri, papà. Ho bevuto troppo.»

«Non è una giustificazione pertinente!» Tuona, facendolo sobbalzare.

Una scossa di mal di testa lo attraversa da capo a piedi, supera perfino il brivido della paura. Pensa che Gordon possa avvicinarsi da un momento all'altro per schiaffeggiarlo o riempirlo di botte come al ritorno dalle Hawaii, tuttavia resta fermo, immobile. Si ricorda del pranzo importante e sorride sfacciatamente. Ora è certo che non gli verrà torto un capello. «Immagino» borbotta atono.

«Non badare a quello che fa Ben» schiocca. Gli vede battere le palpebre, così sbuffa, muove qualche passo nello studio e si ferma. Le braccia incrociate, lo sguardo tagliente e il rimprovero sulla punta della lingua. «Lui non è me, non sarà mai me. Invece tu hai il dannatissimo compito di portare avanti il nome della famiglia, Rich.»

«Mi stai dicendo che devo comunque andare a letto con Tera Evans.» Deglutisce, pare inorridito alla sola idea.

«Inseminazione artificiale» propone a mezza bocca. «Ci stai o no?»

«Andata!» Sembra ancora raggiante, perlomeno per i seguenti secondi di silenzio. Vede suo padre massaggiarsi ancora la sommità del naso ed è certo che stia per dire qualcosa di assurdo. Così deglutisce, serra le dita sul bordo della scrivania e si prepara mentalmente.

«Niente più Liberty Avenue» dice.

«Come?» Richard sgrana gli occhi, quasi boccheggia. «Come sarebbe a dire? Mi hai detto che posso non avvicinarmi a Tera, che posso continuare a farmi i fatti miei senza strafare...» Si zittisce di botto, interrotto dalla mano alzata di Gordon. E serra i denti, sì, preparandosi alla seconda ondata di assurdità.

«Ci sono altri modi per divertirti senza infangare il nome dei Dragon e degli Evans, Rich.»

«Per esempio?» Storce il naso, digrigna i denti e si mostra ostile, ribelle come suo solito – non potrà mai apparire come un cucciolo addomesticato e ci tiene a dimostrarlo subito, senza se e senza ma. «Chat online? Escort? Cosa?» Restringe lo sguardo, lo minaccia in silenzio. Inizia a comprendere il motivo che spinge Adele a ribellarsi a intermittenza.

«Esattamente.»

«No, non è un'opzione discutibile» stabilisce.

«Allora trovati un amante fisso, qualcuno che sappia tenere la bocca chiusa sugli affari interni... Magari qualcuno che non osi immischiarsi affatto, che si accontenti di te e basta, di qualche scappatella, di qualche scopata alle spalle di tutti.»

«È una minaccia?»

«Un consiglio» sillaba.

«Un consiglio di Gordon Dragon è una minaccia.» E nel dirlo ha come l'impressione di aver già sentito una frase simile. Schiocca la lingua, sorvola, cerca di non farci caso e si concentra sulla porta dello studio. «Possiamo parlarne più tardi, comunque» dice.

Ha in testa qualcosa e Gordon lo sa, perciò storce le labbra in una strana smorfia e scuote la testa. «Va bene, se per ora hai capito come comportarti fuori va bene...» sibila. «Ma ne riparleremo, Rich. Stanne certo.»

«Ovviamente.» Si morde le labbra, lascia che sia Gordon ad aprire a porta dello studio, dopodiché lo precede in corridoio e sorride. Trattiene a stento una risata e serra i denti per non lasciarsela sfuggire.

Il lieve tremore delle sue spalle, però, insospettisce Gordon. «Cosa c'è di divertente?» Schiocca acidamente. Lo sorpassa, poi si ferma a metà strada tra lo studio e i soggiorno. Fissa Adele, batte le palpebre un paio di volte e rimane ammutolito.

«Finalmente, Gordon» mormora lei. «Ti stavamo aspettando tutti...» Guarda Richard e gli sorride. Sistema la rosa rossa che ha preteso come pegno per il passaggio a Liberti Avenue e raddrizza le spalle. «Tutto bene? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.» Sorride affabile e s'indirizza a Gordon con un'occhiata eloquente.

«Cosa ti sei messa in testa, Adele?» Sputa in un ringhio malfermo. La osserva bene, da capo a piedi, e nota qualcosa di sbagliato nel suo abbigliamento.

«Niente, forse un po' di cera.» E ridacchia, fa spallucce. Poi segue lo sguardo di Gordon e fissa le scarpe con il tacco a spillo che spuntano dai pantaloni presi in prestito da Richard e dice: «Ti piacciono? Sono nuove...»

«Quel completo...» mormora, venendo subito zittito dal sorriso civettuolo e falso di Adele.

«Ti piace? Mi rende elegante, non trovi? Imperiosa, elegante. Degna della famiglia Dragon, dico bene?»

La parlantina non le manca di certo, perciò Richard si umetta le labbra e ingoia la risata cinica. Sposta gli occhi su suo padre e lo vede chinare la testa in segno di resa, così si dice che Adele abbia appena fatto centro.

«Sì, è un bel competo» borbotta. «Si abbina con le scarpe e con il trucco.»

«Ne sono felice, Gordon.» Lei inclina appena la testa, poi si avvia verso la porta appena aperta da Steven e sorpassa perfino Benjamin.

Non una parola, non un fiato, solo la stranissima sensazione di nausea che ribolle nello stomaco di Richard. Il silenzio riecheggia nelle orecchie dei presenti, poi si attenua, si affievolisce. Le chiacchiere superficiali di Adele sono un toccasana per le orecchie di Gordon – ed è assurdo, sì, ma pare tranquillizzarsi.

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