Proposta
L'odore degli hamburger gli dà la nausea, per non parlare poi di quello delle patatine fritte! Gli riempie le narici, gli fa storcere il naso e borbottare delle incomprensibili imprecazioni. Nel frattempo viene osservato, studiato, perfino fulminato. Gli altri – i suoi fottuti colleghi – lo fissano di traverso. Ma lui non se ne cura, no davvero, perché dopotutto è Richard Dragon. E il suo lavoro, in fondo, è semplice: deve premere una dannata paletta di metallo su un'altrettanta dannata piastra incandescente e aspettare che la carne faccia quel suo tipico rumore fastidioso per poi girarla, premere di nuovo, aspettare ancora una volta il tipico rumore fastidioso e farla slittare di lato.
«Semplicemente fastidioso» borbotta tra sé e sé.
«Preferisci friggere le patate?» La domanda è legittima, ironica e legittima. Proviene dal tipo dei panini, quello alla sinistra di Richard, che spruzza ketchup e maionese sull'insalata.
«C'è qualcosa di peggio?» Schiocca. Storce ancora il naso – o forse non ha mai smesso di farlo.
«La cassa» risponde.
«La disgrazia dei novellini» aggiunge quello delle patatine fritte. Ed emette addirittura una risata – nasale, a detta di Richard.
«La puzza è ovunque...» borbotta con fare laconico. «Tanto vale non rimetterci la faccia.»
«Ah, già!» Il tipo dei panini trattiene una risata, ma si fa eco di quella che proviene dalla postazione delle patatine fritte. «La tua faccia è troppo importante per stare in cassa... Sia mai che qualche fan ti chieda l'autografo!» Lo schernisce con un ghigno, imbusta un paio di panini e schiva per miracolo la paletta di Richard.
«Non sfottermi» sibila.
«Sennò?» Una provocazione schietta, il sorriso che si allarga sul suo viso fin quasi a formare una mezzaluna. «Mi spezzi le gambe, Dragon? Mi fai galleggiare nell'Ohio?» Il tono si fa più acuto, più ironico.
Ma nella voce di Richard non c'è neppure l'ombra dello scherzo, mentre dice: «È una buona idea – lo sono entrambe.»
«Vali meno di zero...» lo liquida con uno sbuffo. «O non staresti qui a friggere hamburgers.»
Ed è vero, per questo Richard serra i denti. «Tu, Coso...» sillaba, lo apostrofa. «Non parlarmi più, così ti togli il pensiero.»
«Nessun pensiero» minimizza. Si lascia andare a una risata divertita e infila i panini imbustati nelle colonnine di metallo alle sue spalle.
«Voglio una pausa» ringhia Richard.
«E i sacri hamburgers?» Il tale delle patatine fritte lo canzona al posto dell'altro. «Chi li friggerà? Nessun mortale è mai stato in grado di farlo con altrettanta maestria...» adotta un tono omerico, ridacchia. Poi vede Richard che abbandona la sua postazione con uno scatto e solleva un sopracciglio. «Ehi!» Lo chiama, alza la voce. Sente il battere metallico della paletta, ma nient'altro – non una risposta, non un fiato. «Dragon! Gli hamburgers!» Gli urla dietro.
Per Richard è come tornare indietro nel tempo: il rumore della porta sul retro, il vicolo, il guizzare della fiamma e poi il sapore del tabacco bruciato. Aspira, posa le spalle contro il muro del fast food e arriccia le labbra. Restringe lo sguardo, fissa l'asfalto. I polmoni pieni di fumo, il ricordo della sera del suo matrimonio con Tera Evans. Trattiene a stento un grido di frustrazione, perché adesso è lontano dalla famiglia, lontano da casa, lontano dal conto in banca e dalla bella vita. Lo Strip District sembra solo un sogno. E lui è perso in un andirivieni di scarico merci – altri panini, altra carne sottovuoto. Ha la nausea, ma la nasconde dietro un cipiglio frustrato. Infine, con lo sguardo rivolto alla punta delle proprie scarpe, si trova a pensare all'articolo da prima pagina – Benjamin Dragon, lo zio Ben.
«Sei qui.» Un soffio, una voce che tentenna.
Richard solleva gli occhi, osserva a stento la carrozzeria opaca della Mercedes di Benjamin. E manca un battito, impallidisce – forse arrossisce, chissà. «Mi stavi cercando?» Grugnisce. Vorrebbe chiedergli il perché, vorrebbe accennare un sorriso per dire: Ancora? «Che diavolo vuoi da me?» Sputa. Il tono aspro e la sigaretta in bilico tra indice e medio.
«Ti sei trovato un lavoro...» Benjamin allude alla divisa a righe verticali di Richard, perfino al suo grembiule sporco di fritto. E lo fa senza muovere un muscolo, a debita distanza, dietro il finestrino scuro.
«Mi sono trovato un lavoro.» Annuisce, serra i denti. Sente il fumo scivolare via dalle narici, lo vede confondere i lineamenti di Benjamin fin quasi a renderlo irriconoscibile. Poi c'è solo il silenzio: gli ronza nelle orecchie, lo innervosisce di più di quello degli hamburger. «Dunque?» Lo sprona ad andare avanti, ma in realtà vorrebbe che se ne andasse alla svelta.
«Mi odi, Rich?»
«Perché dovrei?» È ironico, lo sa. E non gl'importa di sembrare il solito strafottente Richard Dragon, anzi. Indurisce i muscoli del viso, fulmina Benjamin dall'altro lato del finestrino. «È forse colpa tua se lavoro in questo buco nauseabondo?» La domanda da un milione di dollari, la risposta pronta nel cervello di Richard: Sì.
«Nolan ha preferito che fossi io a congelare i conti» dice. «Vorrebbe evitare una lotta intestina, una sorta di colpo di stato all'interno della famiglia.»
«Che giustificazione misera» borbotta l'interpellato. Arriccia il naso, aspira dalla sigaretta e poi si allontana dalla parete. Muove un passo nella direzione dello sportello chiuso, minaccia Benjamin con lo sguardo. «La verità è che ha paura di essere superato...»
«Non direi» scandisce Benjamin. «Non è più lui che gestisce gli affari.»
«In apparenza, forse...»
«Sono io, Rich» taglia corto, proibendogli di aggiungere altro.
Tuttavia questi non si fa scrupoli a continuare, no – ormai è un fiume in piena! «Giusto, quasi dimenticavo che tu sei l'erede legittimo, il figlio preferito, mentre io non valgo niente – mano di zero...» si ferma, soppesa le parole dei suoi fottuti colleghi di lavoro, di Coso, e grugnisce. «E anche Adele non va bene. No, lei è così legata alla memoria di Drake Dragon da fare pazzie!» Vede annuire Benjamin dopo un attimo di esitazione e prova l'impulso di farlo scendere a forza dall'auto. Tuttavia è il blocco automatico a impedirglielo. Preme un paio di volte, ringhia, dice: «'Faculo, non hai neanche le palle parlarmi faccia a faccia.» Ed esita, restringe lo sguardo, riesce perfino a biasimarlo. «Adesso che sei il capo... Hai intenzione di fregartene?»
«In merito a cosa?» Anche la voce di Benjamin si abbassa.
«Me» dice in un soffio. E lascia la maniglia, si sente come scottato da se stesso. Retrocede di un passo, allarga le braccia, dice: «Insomma, zio Ben, te ne sei sempre fregato! Insabbiare le prove è un tuo forte, dico bene? Non vuoi che Zackary sappia cosa c'è da sapere su di te...»
«Taglia» sbotta. Lo frena, prova a interromperlo. Posa l'indice sul pulsante automatico, tuttavia non riesce a trovare il coraggio di alzare il finestrino e rimettere in moto l'auto.
«E se uscisse fuori?» Lo provoca. Ghigna, vede il suo volto contrarsi in una smorfia di ansia mista a furore, perciò continua: «Se avessi improvvisamente voglia di raccontarlo ai giornali scandalistici...»
«Non lo farai» stabilisce. Eppure non è certo delle proprie parole, perché sa quanto Richard sia sconsiderato e avventato.
«Perché no?» Insiste. Si sprona in avanti, gli butta il fumo in faccia e gli vede arricciare il naso con stizza. «Potrei farlo, zio Ben... Non ho nulla da perdere, non più.»
«Mi risulta il contrario» dice. E cerca di mantenere la voce ferma, lo sguardo vigile. Occhi negli occhi con Richard, sillaba: «Non lo farai.»
«Tu non oseresti...»
«Perché no?»
«Perché dovresti?» Aggrotta le sopracciglia, lo fulmina e lo detesta. Sì, per la prima volta, Richard Dragon detesta suo zio.
«Non è così che funziona?» Schiocca. Distoglie lo sguardo, lo punta sul tergicristallo e ignora gli occhi sgranati di Richard. «Si dice che la famiglia Dragon abbia alle spalle un burrascoso passato... E dopotutto qualcuno vocifera che le morti di Drake e Gordon non siano state semplici incidenti domestici.» Prende una pausa, quasi riesce a percepire il respiro accelerato e frustrato di Richard. Poi aggiunge: «C'è una stima molto circoscritta di decessi qui a Pittsburgh, magari è davvero opera della famiglia.»
«Come se tu non lo sapessi» soffia. È scioccato, sconcertato, e l'idea che Benjamin stia usando Chase come scudo gli dà la nausea. Un brivido lo percorre da capo a piedi. «Non sei stato tu ad aiutare Adele con il corpo di mio padre?» Sibila. Allora vede scattare la serratura della portiera e sente l'avvicinarsi di un nuovo carico merci. Serra i denti, sputa in terra.
«Dragon, hai intenzione di perdere il posto?» Lo sbeffeggia il tipo delle consegne. E lo distrae solo per un attimo, fintanto che Richard aspira dalla Marlboro.
«Io...» inizia a dire, ma poi si ferma. Vede la portiera aprirsi, la mano di Benjamin che si sporge e lo afferra per un polso. Sgrana gli occhi, batte un paio di volte le palpebre e balbetta un: «Che vuoi adesso?»
«Sali in macchina.» Perentorio, lo osserva.
«Vuoi farmi perdere il posto?» Schiocca. «O vuoi affidarmi sottobanco qualche traffico minore, zio Ben?» È ironico, incisivo. «Gordon lo ha fatto con te, te lo hai fatto con Adele, Adele lo ha fatto con Olivia...» Lo scruta con irritazione e rabbia, ma non smette di essere allusivo. «O vuoi finirmi, forse?»
«Sali e basta.» Non aggiunge altro. Lascia la presa, lo vede tentennare sul posto e poi reagire d'istinto fino ad aprire lo sportello per prendere posto al suo fianco.
«Illuminami» dice. «Adesso che fai le veci del capofamiglia...»
«Non ho nessun piano, no» lo liquida.
«Nessun piano...» borbotta Richard. «Eppure mi stai facendo perdere il lavoro.»
«So dove abiti, so con chi abiti» lo interrompe. Tira su il finestrino, poi si volta a guardarlo e continua: «Non voglio fare del male né a te né a Chase.»
Richard solleva un sopracciglio. «Perciò?» Incalza.
«Perciò non ti consiglio di raccontare a nessuno di quella volta...»
«È una minaccia, zio Ben?»
«Ti sto solo mettendo in guardia» lo corregge. «Nolan non apprezza che il nome della famiglia venga infangato dagli scoop dei paparazzi, tantomeno dai pettegolezzi di quartiere... Farai bene a tenere la bocca chiusa, Rich.»
«Ho come l'impressione che tu possa aggiungere altro» soffia.
«Non voglio mettermi nella posizione di dover riconoscere il tuo cadavere sul tavolo di un obitorio e fingere di non aspettarmelo.»
Richard abbassa lo sguardo. Sente le braccia fremere di rabbia, d'indignazione, perfino di vergogna. Vorrebbe rispondergli a tono, ruggirgli qualcosa in faccia, ma non lo fa. Anzi, si limita a dire soltanto: «Lo so.»
«E per quanto riguarda me...»
Richard non gli dà neppure il tempo di continuare, perché lo interrompe. «Ho smesso di aspettarmi quel tipo di attenzioni da parte tua.» E prende una piccola pausa, si sente avvampare di vergogna. «Sono stato un vero idiota a crederci e perfino uno stronzo a intromettermi di continuo tra te e Zackary...»
Benjamin non ha parole. A stento trattiene una risata. «Hai ritrovato il senno?»
«Forse è colpa l'odore del fast food» scherza. La verità è che lo ha sempre saputo e che la compagnia di Chase è quanto di più normale abbia mai potuto immaginare.
«Forse.» Non dice altro, non subito. Si schiarisce la voce, poi abbozza un sorriso e prova a porgere il suo ramo d'ulivo: «Vuoi tornare al lavoro, Rich? O vuoi che ti accompagni in banca?»
«In banca?» Echeggia, strabuzza perfino gli occhi. Lo vede annuire, così ci pensa su. Ma è solo una manciata di secondi, un impulso. I ricordi che tornano, che cercano il giorno in cui ha sfondato il vetro della Jaguar per rivenderla, per racimolare qualcosa che fosse degno di chiamarsi capitale. Inspira a fondo, poi apre lo sportello e dice: «Se non rientro subito mi fanno fuori.»
«Come preferisci» soffia. Gli vede sollevare una mano in segno di saluto, ma non abbassa il finestrino per regalargli il sorriso appena nato sul suo viso. No, sarebbe troppo, perché Benjamin è convinto che Richard potrebbe montarsi la testa. «Diamine se sei cambiato, Rich...» dice tra sé e sé.
Jae non riesce ancora a crederci: il tale di Greenfield, Askook, ha trovato un posto di lavoro nell'impresa editoriale di Olivia Dragon – per di più senza qualifiche, senza un colloquio – e l'artefice, la burattinaia, è Adele. Più li osserva e più ha l'impressione di non sapere cosa ronzi loro per la testa. Ma ha intenzione di scoprirlo, ovviamente. E l'insinuarsi nei discorsi, il presentarsi senza ragione, si addice tanto al suo nomignolo – topo – quanto al suo ruolo. Perciò è questo il motivo che lo spinge a riempire due bicchieri di Scotch, è questo il motivo che lo fa sorridere con nonchalance.
«A voi» dice. Serve i bicchieri, li posa sul tavolino basso. Poi osserva Askook, il suo cipiglio perennemente lugubre, e ne studia le movenze: una mano che freme, che si avventa, che stringe – degna delle spire di un serpente. «Festeggiamo l'assunzione?» Domanda, insinua. Sente Askook ridere di pancia e inclina appena lo sguardo nella direzione di Adele. Ciò che vede è statico, immutabile: occhi fermi, glaciali, e dita convulsamente serrate attorno al vetro.
«L'entrata in scena» risponde lei.
«Quale entrata in scena?» Jae sembra perplesso, ma in realtà è solo curioso. Sa di potersi aspettare tutto in una circostanza simile, perciò non tergiversa, né ci gira attorno. Chiede, e Askook risponde:
«La nostra!» Solleva il bicchiere di Scotch, poi lo scola tutto d'un fiato. Non aspetta che gli altri facciano il brindisi assieme a lui, tantomeno che Adele accenni un sorriso. Ma sogghigna, sì, e le avvicina una mano alla nuca solo per vederla scattare in piedi con disgusto.
«Frena i bollenti spiriti, Askook» scandisce.
E in un attimo è tutto relativamente chiaro agli occhi di Jae: Adele ha concesso se stessa per qualcosa di grande, qualcosa che potrà farla tornare sulla cresta dell'onda. Deglutisce, pondera, batte le palpebre una sola volta e poi la fissa in religioso silenzio.
«Perché mai?» Domanda laconico l'interpellato. «È colpa del terzo incomodo, forse? Lo buttiamo fuori...»
«Questa sarebbe ancora casa mia – fino a prova contraria» biascica Jae.
«O è il divano che non ti piace?» Continua Askook, noncurante. Storce le labbra, arriccia il naso, sfodera perfino la pistola con il silenziatore innestato.
E Jae deglutisce, cerca di ragionare a mente fredda senza riuscirci. Nella testa, il barlume di un'arma nel cassetto, la distanza che intercorre tra lui e la salvezza. Boccheggia nel vedersi puntare da Askook, ma poi trattiene il fiato e annaspa.
Due spari, entrambi partiti dalla sua pistola ed entrambi finiti nella tappezzeria grigia del divano. «Ecco fatto, così è più caldo...» ridacchia.
«La cocaina ti ha bucato il cervello» sbotta Adele.
«Ne vuoi un po'?» Obbietta con fare divertito, tirandola fuori dalla tasca dei jeans. «Potrebbe scioglierti, allentare la fastidiosa repulsione che nutri per me...»
«Sono affari» dice lei. Osserva il daffare di Askook con la cocaina e il tavolo di Jae. «Solo affari.»
«Ma ci dice che gli affari non possano essere piacevoli sbaglia di grosso» risponde. Sistema una striscia, la tira con una banconota arrotolata e poi ne sistema un'altra. Lentamente, meticolosamente. «Sicura che non vuoi favorire?»
«Dacci un taglio» borbotta. «Ti ho detto che sono affari.»
«Sei davvero ligia» la canzona. Tira la seconda striscia, poi si lascia cadere sul divano e allarga le braccia. A occhi chiusi, dice: «Domani mattina sarà ufficiale.»
«Fino a domani mattina non voglio sentire la tua voce del cazzo» replica stizzita. Incrocia le braccia al petto, poi gira attorno al divano e, dopo aver vuotato il bicchiere di Scotch, se ne riempie un altro.
Askook solleva un dito, punta Jae. A occhi chiusi, domanda: «Tu sei il testimone?»
«Il...» Si blocca, vede Adele annuire e, chissà perché, conferma. «Il testimone, certo.» Deglutisce a vuoto, infine segue Adele con lo sguardo e la vede sparire in corridoio. In un attimo le è subito dietro. «Ehi...» la chiama a voce bassa, la vede voltarsi con il bicchiere alle labbra. «Cos'è questa storia?»
«Oggi ci sarà l'attentato a Nolan Dragon.» Una risposta breve, concisa.
«E io sarei il testimone oculare?» Quasi balbetta, è sconcertato. Si chiede perché Adele non glielo abbia detto prima, ma non riesce a farlo.
Lei lo interrompe, dice: «Il testimone di nozze.»
«Hai intenzione di sposarti con lui?» Basito, letteralmente scioccato, Jae strabuzza gli occhi. E non è tanto l'identità di genere di Adele a preoccuparlo, quanto le sue tendenze sessuali e il fatto che il prescelto sia proprio uno spacciatore di Greenfield. Ma la vede sorridere – un sorriso strano, maligno, decisamente sinistro.
«La giornata è lunga, Jae...» mormora.
«Non ti capisco.» Solleva le sopracciglia, la insegue fino in camera e si guarda indietro. Ha come il timore che Askook possa alzarsi dal divano per coglierli in flagrante.
«Se è vero che questa è casa tua fino a prova contraria, allora non avrai nulla da ridire qualora avessi mosso qualche filo per intestarla ad Askook.»
«Come sarebbe a dire? Questa non è più casa mia?»
«Prendi le tue cose e vattene...» soffia. Aspetta una risposta, un cenno, ma negli occhi di Jae legge solo sbigottimento.
«Dove?» Domanda soltanto.
«Ovunque, anche da Olivia.» Adele si passa una mano sulla nuca, cerca di calmare i nervi e le palpitazioni con il solo frusciare della rasatura sotto i polpastrelli.
«Ma non è stata lei ad assumerlo?»
«Pensi davvero che io abbia fatto assumere il Serpente da Olivia Dragon?» E trattiene a stento una risata. «Al contrario, dovrei considerarla una mia nemica...» Schiocca la lingua, solleva il mento, infine dice: «Tutto questo deve rimanere tra me e te, Jae. E devi andartene, sì, perché non credo che tu non abbia voglia di essere il coinquilino di un morto per overdose che finirà sulle pagine di tutti i giornali.»
E questi non risponde, annuisce e basta. Sa di essere un infiltrato, un topo, il pedone di una partita a scacchi Dragon contro Dragon. Ma non vuole essere una vittima, no.
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