Martire

L'aria densa di fumo. Agli angoli della stanza, luci soffuse. Rosse come la passione, come il sangue, come le labbra di Maryl. Note basse che si levano dal pianoforte a coda, vocalizzi soffici e sensuali che gorgheggiano tra un tavolo e l'altro. Ancora il silenzio, ancora le vibrazioni del sound che proviene dalle grandi casse ai lati del palco. Poi un Grazie soffiato dietro il rossetto a lunga tenuta. E i guanti color pesca che scivolano lungo l'asta di metallo, che mandando in visibilio il cervello degli ospiti. Scatta l'applauso, il congedo della cantante, infine il brindisi di Dragon.

Questi si alza in piedi, lo champagne ben in vista. Con voce tonante, dice: «A mio figlio Richard.» E sorride, accompagnato dal religioso silenzio che regna nel locale. «Possa il suo futuro risplendere di un amore vero, bellissimo.» Attende qualche istante, pare aspettarsi una risposta – una qualunque – che tuttavia non arriva. Mostra i denti di perla e osserva la sposa in lontananza.

Tera Evans non dice una parola, sorride timidamente e si stringe nelle spalle. I lunghi capelli vermigli coperti dal velo bianco e gli occhi fissi su Gordon Dragon.

«Signor Dragon...» A parlare è un cameriere qualunque. Tiene la voce bassa, ben calibrata e vicino al suo orecchio. In mano, una bottiglia di Dom Perignon per mascherare la propria identità. «Suo figlio è uscito dalla porta di servizio.»

Il volto di Gordon è perfetto, immutabile. Non accenna il benché minimo cambiamento, ma schiude appena le labbra e sibila: «Trovalo.» Da perfetto ventriloquo improvvisato, continua a sorridere. «Adesso» aggiunge.

Suo fratello Benjamin trattiene a stento una risata e increspa le labbra in un'espressione canzonatoria. Dall'altro lato del tavolo, Cassandra solleva il calice di champagne e appoggia suo marito fino a tirarsi in piedi.

«A Richard e Tera» dice. Sorride, le labbra tese, contratte. Sorseggia lo champagne e vede gli ospiti fare altrettanto. «Un'unione come questa dovrebbe essere festeggiata con più allegria, andiamo...» Ridacchia, lievemente alticcia. Le guance appena colorate di rosa e gli occhi lucidi. «Cos'è questo mortorio?» Domanda con fare lamentoso, agitando una mano inanellata. Si guarda attorno, poi scuote la testa e schiocca e dita.

Il pianista attacca subito con una cover di Ed Sheeran, facendo sorridere la sposa alle prime note.

«Dove diavolo è finito quell'idiota?» Sbotta sottovoce Gordon. Vede Benjamin giocherellare con il tovagliolo di stoffa e restringe lo sguardo con fare minaccioso.

«Non lo so» dice questi, intervenendo prima di essere chiamato in causa.

«Non ti ho chiesto niente, Ben.»

«Lo avresti fatto a breve» sostiene. Si schiarisce la voce, quindi continua a sorseggiare il Dom Perignon con aria assorta, totalmente colpevole.

«Sicuro?» Cassandra arriccia le labbra, battendo ritmicamente le unghie sul calice di champagne. Lo vede annuire, eppure continua a non credergli. Osserva Gordon, poi sospira e distoglie lo sguardo dalla tavola per posarlo sul pianista.

«Ho mandato Steven a cercarlo» spiega piano Gordon.

«Ce ne eravamo accorti» scherza Benjamin. All'ennesima occhiataccia, allora, fa spallucce e scola il Dom Perignon per passare alla coppa di frutta appena servita. «Mi sorprende che non ti abbiano sentito gli Evans» borbotta. Puntella una fragola con la forchetta, poi solleva gli occhi e vede quelli di Cassandra farsi più letali. Deglutisce a vuoto. «Che c'è?»

«Vuoi chiudere quella boccaccia?» Adele lo fulmina da sinistra, colpendolo perfino con una gomitata tra le costole. «Non se ne sono accorti, basta e avanza.»

«Piano, sorellina, piano» si lamenta Benjamin, storcendo il naso con una punta di fastidio. «Dai troppo nell'occhio» schiocca divertito. «Sei un vero maschiaccio, lo sai?»

Adele non risponde, si limita a digrignare i denti. Poi sospira, tenuta a freno dalla vista di un Gordon Dragon troppo irritato.


Dietro l'edificio, con le spalle posate sul muro sporco di smog cittadino, Richard Dragon continua a fumare l'ennesima sigaretta con aria scocciata. Lo sguardo fisso sulle finestre chiuse del palazzo di fronte e la nevrosi alle stelle. Sbuffa tabacco bruciato e sente la vita scivolare lenta dal cervello alle narici. Quando la porta di servizio cigola alla sua destra, infine, sobbalza e getta in terra il mozzicone.

«Pensavo che si sarebbe scomodato Gordon Dragon in persona, non il suo cane da guardia» schiocca irritato. Osserva il nuovo arrivato con circospezione e cerca perfino di ricordare il suo nome nella lista dei tanti che si sono susseguiti nel corso degli anni. Non lo trova, così getta la spugna e fa spallucce. «Cosa c'è?»

«Il Signor Dragon la sta cercando.» Non una parola di più. Lo sguardo nero come il catrame e le labbra strette, decise – degno di quelli come lui, perlomeno così si dice Richard.

«Digli pure che sono uscito a prendere una boccata d'aria» minimizza. Dà le spalle al cane da guardia numero sedici e spegne il mozzicone con un gesto secco. Al suo posto pare vedere la noncuranza di Gordon, perciò la disintegra sotto la suola e, senza pietà, s'incammina lungo la strada.

«Si fermi, Richard.» Steven solleva la voce, gli corre subito dietro e cerca di convincerlo: «Suo padre ha appena fatto un brindisi, non può mancare...»

Lo interrompe con un lapidario: «Non m'interessa.»

«Dovrebbe esserci il discorso» continua Steven.

«Non m'interessa.»

«E il taglio della torta?»

«Ho detto non m'interessa.» Richard storce il naso in una smorfia contrariata. Il solo fatto di udire i passi del cane da guardia numero sedici lo fa imbestialire. Schiocca la lingua, infine si ferma e lo fulmina con lo sguardo. «Smettila di seguirmi» ordina.

Steven l'osserva senza battere ciglio. Non è intimorito, anzi. «Devo portarla dentro, Richard. È una richiesta di suo padre, non posso accontentarla questa volta.»

«Questa volta?» Echeggia Richard in un ghigno esasperato. «Ci conosciamo, forse, Numero Sedici? Non mi sembra di aver mai chiesto niente alla tua faccia da schiaffi.» Tira fuori le sigarette dalla tasca del completo, poi se ne porta una alle labbra e l'accende. Il fumo che scivola dalle sue narici raggiunge il volto di Steven in un moto di ribellione. «Trova un atro modo per leccare il culo a mio padre, Numero Sedici» sillaba. «Io non rientro.»

«Mi chiamo Steven» lo corregge.

«Io non rientro, Steven» rettifica Richard con tono aspro. Scosta la sigaretta dalle labbra e digrigna i denti. «Me ne stavo giusto andando...»

«Non può andarsene, Richard.»

«Ah, no?» Richard solleva un sopracciglio. Si porta di nuovo la sigaretta alle labbra e aspira con aria contrita. Perplesso, infine, lo sfida: «Allora fermami, Steven.» Lo vede vacillare dietro la nube biancastra: lo sguardo serio, le labbra ben strette e i muscoli del viso contratti, incorniciati da ciocche bionde ben pettinate. Dice: «Avanti, fammi tornare indietro.»

«Comportarsi così infantilmente non l'aiuterà, Richard.»

«Non è necessario che una presa di posizione sia infantile.» Gira i tacchi, gli dà le spalle e torna a camminare lungo la strada con passo deciso. «Alla prossima, Steven

La sicurezza di Steven vacilla in questo stesso momento, mentre i denti prendono a mordicchiare il labbro inferiore con rabbia e indignazione. Per l'ennesima volta sembra pentirsi di aver preso il posto del cane da guardia numero quindici e maledice mentalmente Richard Dragon assieme a tutta la sua dannata famiglia. «Le ho detto di fermarsi, Richard» sibila. Nessuna risposta, solo il suono dei passi di quest'ultimo lungo l'asfalto. Steven serra i denti, le narici allargate dalla furia che gli scorre nelle vene. Allunga il passo, lo raggiunge e lo afferra per la giacca. «Le ho detto che suo padre la sta cercando, Richard.»

Richard ridacchia. «E io ti ho detto che non m'interessa» sbotta. Fissa i suoi occhi neri, li gela, poi passa alle dita che stringono la giacca e storce il naso. Una punta di fastidio, di rabbia. «Lasciami andare immediatamente, Numero Sedici

«Mi chiamo Steven» replica questi. Strattona la giacca di Richard e restringe lo sguardo. Per nulla intimorito dal suo tono imperioso, dice: «Il Signor Dragon mi ha chiesto di farla rientrare in sala per il discorso e il taglio della torta.»

«Al diavolo te e il taglio della torta» ringhia Richard. Carica un pugno e lo incassa bene nelle costole di Steven. Allora lo sente ringhiare e ghigna con soddisfazione, complice dell'imminente licenziamento del cane da guardia numero sedici. Sa che presto risponderà all'attacco, se lo sente nelle viscere.

«Rich!» La voce di Benjamin si leva in uno sbuffo contrariato appena fuori l'uscita di servizio.
«Lasciami» sibila Richard. Fissa Steven negli occhi e cerca d'intimidirlo, di provocarlo, di farlo reagire in qualche assurdo modo.

Ma questi non batte ciglio. No, non si prende la briga di alzare un dito su Richard Dragon dinanzi al fratello del suo datore di lavoro.

«Steven, ci penso io» borbotta Benjamin, gesticolando con una mano. Non lo vede retrocedere, tantomeno abbandonare la presa sulla giacca di Richard, così inclina le labbra in una smorfia di disappunto e incrocia le braccia al petto. Si avvicina ai due e dice: «Mi ha mandato Gordon, ci penso io.»

Steven annuisce con fare servile, sbuffando la propria frustrazione in un debole: «D'accordo.» Lascia andare Richard e lo vede subito agitarsi come una belva. Di certo vuole dargli addosso, lo sa. Ma non si muove e, anzi, batte semplicemente le palpebre.

«Torna in sala» dice Benjamin all'indirizzo di Steven.

«Certo.»

E Richard restringe lo sguardo, ringhia. Batte un piede in terra per calpestare la sigaretta consumata a metà, infine si rivolge a suo zio e sibila: «Mi ha messo le mani addosso, zio Ben.»

«Andiamo, Rich, a chi vuoi darla a bere?» Benjamin ghigna e corruga le sopracciglia in una smorfia canzonatoria. «Lo hai provocato tu, no?»

«Cosa importa?»

«Importa, eccome se importa!» Ridacchia, poi allontana le mani dalle spalle di Richard e si ravviva la chioma bruna. «Volevi farlo licenziare» dice. «E non mentire, non serve mentire con me.»

«Volevo togliermelo dalle palle» sbotta Richard. Si sistema la giacca e sciocca la lingua con fastidio. «Me ne stavo andando, ma quel tipo continuava a insistere, a dirmi che dovevo rientrare per il fottutissimo taglio della torta – come se importasse davvero a qualcuno!»

«Importa a Gordon.» Benjamin sospira. «E a Cassandra, Adele, Tera... Oh, vuoi che ti faccia l'elenco di tutti gli Evans presenti?» Ironizza.

«No, grazie.» Richard si mordicchia l'interno delle guance, nervoso come non mai. «Importa a tutti, vedo.»

«Non a me» specifica Benjamin.

«Ci mancherebbe» schiocca. «Sei tu che mi hai fatto uscire prima dell'arrivo di Maryl.»

«Ottima mossa, non trovi?» Ghigna, poi fa spallucce son fare dispiaciuto e aggiunge: «Dovevi andartene prima, Rich. Tuo padre mi ha messo alle strette e Cassandra ha continuato a tenermi d'occhio fin quando non mi sono alzato per cercarti.»

«Tipico» commenta a bassa voce.

«Hai sentito quello che ti ho detto?» Domanda Benjamin, crucciandosi.

«Dovevo andarmene prima, sì» ripete con fare laconico. «Perché adesso sei costretto a farmi rientrare, giusto?» Indaga. Un sopracciglio alzato e i nervi a fior di pelle. Lo vede annuire, perciò sbuffa sonoramente e batte ancora il tacco di una scarpa sulla sigaretta già martoriata.

«Perché non lo hai fatto?» Benjamin sospira, sembra frustrato.

«Per pararti il culo, zio Ben» dichiara senza mezzi termini. «Se tu avessi tardato un po', magari, me la sarei cavata con una piccola rissa e una fuga improvvisata alla bene e meglio. Invece ti sei fatto mettere sotto torchio, ti sei alzato dalla sedia, sei uscito dalla sala e sei venuto dritto dritto nel retro...» Prende una piccola pausa, continuando a guardare Benjamin negli occhi. «Posso far licenziare Numero Sedici senza problemi, ma non posso permettere che mio padre ti faccia fuori.»

Benjamin socchiude le labbra, poi le sigilla e deglutisce. «Grazie» soffia.

«Di niente» borbotta. Si mordicchia le labbra, infine sospira e dice: «Scusami tanto, zio Ben.»

«Per cosa?» Chiede l'interpellato. Le sopracciglia sollevate, confuse, e lo sguardo un po' ebbro.

«Per quello che sto facendo» spiega Richard, accennando a un sorrisetto ironico. Non gli dà neanche il tempo di aggiungere una parola che subito si getta contro di lui. Lo afferra per i revers della giacca, lo fa vacillare sulle scarpe lucide e infine lo getta in terra, poco distante dal mozzicone di sigaretta.

Benjamin grugnisce. Si porta una mano alla testa con fare confuso e trattiene a stento un conato di vomito – troppo vino e troppo Dom Perignon. «Che cazzo fai, Rich?» Chiede in un soffio. Poi si sente sollevare e sbattere ancora una volta sull'asfalto. Geme di dolore. Il respiro mozzato nella cassa toracica, dietro lo sterno contratto.

«Il coglione ribelle» risponde. Serra i denti, solleva ancora Benjamin e lo trascina verso il muro adiacente. «Così siamo a posto, zio Ben: io me la do a gambe e tu fai la figura del martire.»

«E tutto perché non ho saputo farmi i cazzi miei...» borbotta, tastandosi automaticamente la testa. Sulle sue dita riluce il sangue delle botte sull'asfalto. «Vaffanculo, Rich, mi hai spaccato la testa!»

«Cose che capitano ai martiri» minimizza. «E scusa ancora, zio Ben...» Prima che questi possa rispondere, Richard lo colpisce sullo zigomo con un pugno ben assestato e lo vede scivolare in terra privo di sensi. Allora si guarda attorno, percepisce l'adrenalina salire fino al cervello e gelarlo sul posto. Si morde le labbra, poi sente dei passi avvicinarsi frettolosamente all'uscita di servizio. Così scatta, inizia a correre verso la strada principale e non si guarda indietro neppure per un istante.

Raggiunto il retro del locale, Gordon Dragon spalanca gli occhi nel vedere Benjamin in terra. «Razza d'idiota!» Ringhia, rivolgendo un'occhiataccia a Steven. «Ti avevo detto di farlo tornare dentro, non di lasciarlo da solo con mio fratello!»

«Mi perdoni, Signor Dragon...» Steven quasi balbetta, non sa cosa dire. Si affretta a raggiungere Benjamin e deglutisce a vuoto nel vedere la striscia di sangue che sporca il muro. Il timore sale, si fa strada dentro di lui alla velocità di un treno in corsa.

«Cerca quel bastardo di Richard» sillaba all'indirizzo di Steven. «E porta qui il suo culo di merda, avanti!» Grida, raggiungendolo.

Steven annuisce, si scosta da Benjamin con un po' di riluttanza e non riesce a guardare Gordon negli occhi. «Va bene» dice.

«Non parlare, agisci e basta! Cazzo!» Gordon lo vede correre verso la strada principale e sospira. Poi storce le labbra, guarda suo fratello Benjamin in terra e sbuffa. «Che coglione...» Si china accanto a lui, il sigaro cubano ancora stretto fra le labbra. «Ben, riprenditi» dice. Restringe lo sguardo, poi sbuffa. Nessun riflesso. Gli avvicina due dita alla giugulare, cerca il suo battito cardiaco e una volta certo di saperlo in vita dà un calcio al muro. «Che figlio di merda» sbotta. Schiocca la lingua in un moto di fastidio, infine prende il cellulare e compone alla svelta il numero di Cassandra.

«Gordon, tutto bene?» Chiede lei.

«Affatto» sillaba. «Quel coglione di Steven ha lasciato Ben e Rich da soli su retro del locale...» Si porta indice e pollice alla sommità del naso e massaggia la zona con un sospiro frustrato. Sente l'emicrania salire alla svelta fino ad appannargli la vista. «Rich è sparito e Ben ha la testa spaccata, è svenuto.»

«Come?» Sembra incredula, quasi intenzionata ad alzarsi dal tavolo per raggiungere l'uscita di servizio. Eppure rimane ferma, con le unghie ben artigliate al tovagliolo di stoffa, mentre Adele la osserva con un cipiglio stranito.

«La versione ufficiale è questa: Rich è uscito sul retro a fumare qualche sigaretta per il troppo nervoso accumulato durante la cerimonia, così Ben è andato a cercarlo e sono stati aggrediti entrambi da uno stronzo di passaggio.» Attende in silenzio, la sente respirare pesantemente, infine alza la voce e dice: «Hai capito?»

«Sì» dice.

«Allora riferisci ai presenti la versione ufficiale e sii credibile.»

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