Martini

Lo Strip District è illuminato, brillante, esattamente come al solito. Luci a neon colorate, persone su perone che camminano e si affollano lungo i marciapiedi. Qualcuno si gira, qualcuno finge di non vedere niente. E la Lamborghini di Adele accosta a Liberty Avenue, rigetta nel caos Richard Dragon, infine riparte. Un rombo affascinante e un saluto lieve, borbottato dietro ai petali della rosa che è stata staccata dal cespuglio del giardino di Keane Evans.

Sul viso di Richard compare un sorriso tenue, quasi allibito, mentre scuote la testa e si liscia la giacca elegante. «Sei fuori di testa, zietta» soffia. Non osa immaginare la reazione di Gordon Dragon a un simile atto d'insubordinazione, ma gli basta il ricordo della risatina asciutta di Adele per intendere che non avrà mai modo di vederla con i propri occhi. Stralunato, allora, si passa una mano sulla fronte e poi tra i capelli. Ravviva la chioma e batte le palpebre, infine si guarda attorno e non manca di notare un paio di sguardi di troppo. Restringe gli occhi, li liquida uno a uno. Finalmente in pace, sospira. Punta in direzione del Freeze e ha come la certezza di poter trovare lì Chase – dopotutto è un locale che frequenta abitualmente. E non si ferma, non saluta nessuno, nemmeno il barman che gli serve automaticamente un Martini. Schiocca la lingua, anzi, e pare seccato, irritato. Scola il Martini con le sopracciglia aggrottate, ma quando posa i soldi sul bancone si ferma. Lo sguardo calamitato sulla porta d'ingresso, fisso. «Ma tu guarda...» borbotta. Ghigna e solleva la mano per ordinare un altro Martini. La sua espressione è quella di un uomo che ha appena vinto alla lotteria.

Jae tentenna. Le sopracciglia appena aggrottate e la gola secca, arsa. Si sente in bilico, in pericolo, e per certi versi ha ragione. Osserva il bancone del Freeze con aria assorta. Riconosce Richard, ma continua a camminare nella sua direzione senza riuscire a frenare i piedi e a fare dietrofront. Allora deglutisce, si ferma a un paio di sedute da lui e fa un cenno al barman.

«Una birra, Jae?» Domanda questi. E sorride, lo vede annuire, così si abbassa per prenderne una già fresca dal frigo accanto al lavandino. «Chase?» Chiede, forse superficialmente. Tenta di fare conversazione e stenta ad avvicinarsi a Richard Dragon che, con il secondo Martini, sposta lo sguardo nella loro direzione.

«Mi raggiunge più tardi» mormora. Non si volta, anzi: mantiene lo sguardo fisso sul barman, sembra quasi intimorito. Le lame di ghiaccio tremano, poi si oscurano. Un battito di palpebre e Richard Dragon slitta di un paio di sedute – Jae lo sa, riesce a sentire il suo profumo costoso e il suo respiro placido.

Dice: «Ciao, Jae.» E attira la sua attenzione, lo vede corrugare appena le sopracciglia. Sorride di rimando, posando un gomito sul bancone. «Ci siamo visti questa mattina, sono Richard Dragon» si presenta sottovoce. Non solleva una mano per porgergliela, ma inclina di poco la testa e continua a sorridere.

«Richard Dragon, sì...» Jae tenta di fare mente locale, di ricordare le parole di Gordon, infine sospira. Dice: «Quello che si è perso la fede, l'amico di Chase.»

«Già.» Schiocca la lingua con disappunto. Detesta essere catalogato per conoscenze, soprattutto quando queste sono meno popolari di lui. Si schiarisce la voce, diventa improvvisamente muto e chiude la bocca. Distoglie lo sguardo, poi fa un cenno al barman e ordina: «Due Martini...» Solo allora si volta verso Jae e domanda: «Ti piace il Martini, vero?»

«Si beve» risponde. Fa spallucce, dopodiché scuote la testa e si affretta a dire: «Non ordinare per me, per favore.»

«E perché?» Richard torna a ghignare con fare assorto, scolando il Martini per prepararsi al prossimo. «Sei un amico di Chase, no? I suoi amici sono anche i miei...»

Jae deglutisce. L'osserva in silenzio, con le labbra storte in una smorfia strana, indecifrabile. Riesce a comprendere le sue intenzioni e ci riuscirebbe anche a chilometri di distanza, perciò torna a pensare a Gordon Dragon e si dice che rifiutare l'offerta di Richard sarebbe da stupidi. «Come vuoi» lo liquida bruscamente. Sorseggia la birra direttamente dalla bottiglia, infine osserva il Martini che gli viene servito e sospira. «Ma io e Chase non siamo amici» ci tiene a specificare.

«No?» Richard solleva le sopracciglia, si finge perplesso, ma lo sguardo di Jae non muta. «Ti ha presentato così, credo. Se non sei suo amico, allora cosa saresti?» E conosce la risposta, ma poterla sentire con le proprie orecchie rende tutto più divertente.

«Niente» dice. Sorprende Richard con questa singola parola e poi si stringe nelle spalle. Ignora il Martini e sorseggia ancora la birra. «Ci conosciamo da un paio di settimane, ci stiamo frequentando» mente – o forse no, dice semplicemente una mezza verità. «Quindi non siamo amici.»

«Interessante» borbotta Richard. Posa le labbra sul terzo bicchiere di Martini, ma questa volta non lo tracanna come acqua, no: lo assapora. Punta gli occhi sul profilo di Jae e solleva un angolo delle labbra. «Di solito mi dice tutto, chissà perché non l'ha fatto questa volta...»

«Forse perché non è niente di serio» dice in tutta risposta. Questa volta mente spudoratamente, ma Richard non lo sa. La verità la tiene per sé, perché sa che Chase non ha parlato di lui per tenerlo lontano dalla famiglia Dragon e soprattutto dalle voglie capricciose di Richard.

«Ancora più interessante» commenta, non riuscendo a trattenere una risatina.

L'indecisione di Jae si fa subito viva e lo pungola dall'interno. Sente un moto interiore indicargli l'uscita del Freeze per mandare tutto al diavolo – il Martini, Richard, perfino il lavoro per Gordon Dragon. Ma si trattiene, deglutisce. Imbocca la strada di mezzo e solleva appena il mento. «Quante volte ci hai provato con le persone che frequenta Chase?» Chiede. Allunga una mano verso il bicchiere di Martini e lo allontana, lo sospinge piano, lentamente, verso Richard. E continua a fissarlo, sì, perché non ha la benché minima voglia di passare per un idiota.

«Come, scusa?» Richard aggrotta le sopracciglia di colpo. È la prima volta che qualcuno si azzarda a rispondergli in un modo simile e la sensazione è strana, pungente – degradante, ecco. Si umetta le labbra che sanno di Martini e restringe gli occhi a due fessure. «Chase è mio amico, non farei mai niente del genere» sillaba. Mente, ovviamente, ma non pensa che Jae possa leggerglielo in faccia. E ce lo ha stampato proprio lì dove non crede: sulle labbra, in fronte, perfino sulle nocche sbiancate del pugno che gli sorregge il mento.

«Perché mi hai offerto da bere, allora?» Chiede ancora. Lancia un'occhiata veloce al bicchiere, sembra quasi lapidario, minaccioso, ma ha l'espressione vacua. Adesso è calmo – chissà come gli basta inspirare a fondo per trovare il punto di stabilità.

«Per cortesia» borbotta. Abbassa il pugno e distende le dita. «Mi hai fatto un favore, no?»

«No, pare di no» sibila Jae. Punta gli occhi sul suo anulare sinistro e lo vede sgombro. «Ti piace levarla spesso» mormora. Un sottile ghigno gl'increspa le labbra e fa arricciare il naso di Richard.

«Che caratterino» dice. Lo scandisce, soffia. È sibilino, mentre distoglie lo sguardo da Jae per posarlo sul proprio Martini. «Non mi sorprende che Chase si veda con un tipo come te, Jae» schiocca divertito. «A lui piacciono quelli con la lingua lunga, quelli che parlano, parlano, parlano...» E si ferma, laconico, rivolgendogli un'occhiata di traverso. «A me indispettiscono.» Scola il Martini e continua a fissarlo. I muscoli del viso induriti e la lingua amara.

«Perché alle persone come me non piacciono quelle come te.» Jae ghigna, si beffa delle parole di Richard e lo vede quasi impallidire. «Non mi piacciono affatto quelle persone che si credono grandi e invece sono poco meno di niente.»

«Bada a come parli» sibila. Poi digrigna i denti, lo vede bere un po' di birra e sfilare tabacco, cartine e filtri dalla tasca della giacca di pelle. «Mi stai ignorando, forse?» Chiede. Non riesce a trattenere la domanda e quasi se ne pente quando lo vede annuire.

Con un filtro in bocca, Jae borbotta: «L'intenzione sarebbe quella, sì.»

E vorrebbe colpirlo, prenderlo a pugni, fargli sputare delle scuse. Tuttavia rimane fermo, immobile, come di ghiaccio. L'osserva, calamitato dal suo daffare frenetico. Tabacco e cartina, dita che si muovono veloci, poi più piano e ancora veloci. E la lingua, diamine. Quella lo fa impazzire: guizza appena, lecca la colla, poi si ritira. Non è per lui, no. E invece di ringhiare un portentoso Vaffanculo, Richard dice: «Sei strano...»

«Strano?» L'eco di Jae è divertito, mentre s'infila la sigaretta dietro l'orecchio. «Molti mi hanno definito strano, non mi sorprende che lo faccia anche tu.» Si attacca alla bottiglia, manda giù un paio di sorsate di birra, infine guarda Richard negli occhi e deglutisce. «Due persone dicono reciprocamente "ti amo", o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l'attività dell'anima» cita. «Fernando Pessoa, lo conosci?»

Richard annuisce. Sente la testa farsi più leggera e non sa se sia colpa dei tre Martini scolati troppo velocemente o della lingua tagliente di Jae. Chiude le dita a pugno e si trattiene dal mordersi la lingua. «Lo conosco, sì» dice.

«Non m'interessa apparire strano o normale ai tuoi occhi, Richard Dragon. Tu stesso potresti apparire strano ai miei.»

«E come appaio?» Chiede. La voce ridotta a un soffio, le labbra appena schiuse.

«T'interessa?»

«M'interessa» conferma. Si sente vacillare, ma è seduto e non è colpa delle gambe, né del Martini, bensì dello sguardo di Jae e del brivido che gli si snoda lungo la colonna vertebrale. «Voglio saperlo...» Deglutisce a vuoto, sa di non poter vincere con gli ordini – non con Jae. «Dimmelo, per favore.»

«Il per favore di un Dragon dovrebbe suonare come una minaccia» mormora. «Eppure il tuo è a metà tra una supplica e una dichiarazione.» Ghigna, forse con troppa leggerezza, e si alza in piedi. Abbandona la seduta rossa del Freeze e tracanna le ultime sorsate di birra per poi abbandonare la bottiglia sul bancone assieme a qualche moneta. «Grazie, Will, ci vediamo.» Alza la voce e fa un cenno al barman.

«Chase?» Domanda questi, battendo subito le palpebre.

«Non verrà, probabilmente ha da fare.» Jae fa spallucce, minimizza. Sa che è molto probabile che Chase non si faccia vedere in giro dopo il loro discorso a Shadyside, ma si trattiene dal raccontarlo a cani e porci, soprattutto perché Richard è ancora lì, di spalle, a fissare la seduta vuota.

«Capito» dice William. Storce appena le labbra, ripensa alle parole dette da Chase tre sere prima e sospira. Toglie la bottiglia vuota dal bancone e lascia che Jae esca dal Freeze senza aggiungere atro. D'improvviso, però, si ferma. Batte le palpebre, vede le dita di Richard Dragon serrarsi attorno al proprio polso e impallidisce. Poco dopo i suoi occhi e un'espressione mai vista prima. «Sì?» Balbetta.

«Will, è così che ti chiami?» Chiede piano.

«William» dice. «Will per gli amici, sì.» Non gli dà né conferme, né smentite. Vorrebbe tutto fuorché far irritare un Dragon, perciò accenna a un sorriso tirato e aggiunge: «Va bene Will.»

«Cos'è che fa quel ragazzo?» Sorvola. Si umetta le labbra, poi sposta gli occhi sul bicchiere di Martini che Jae ha rifiutato e se lo avvicina. Lo ha ordinato, in fondo, e deve berlo – così si dice.

«Jae?» William batte le palpebre ancora una volta, è confuso. «Non lo so, perché?»

«Non sai che lavoro fa?» Chiede ancora. Lo vede scuotere la testa e gli sente mormorare un No striminzito. «E dove abita?» Resta in silenzio, vede ancora William scuotere la testa. Sgrana gli occhi, scola il Martini e serra i denti. Lascia frettolosamente qualche banconota sul bancone e non aspetta neppure il resto. «Grazie» dice. Lo liquida, corre lungo le scalette del Freeze e spera che vederlo lungo il marciapiede. Affannato, allora, si guarda a destra e poi a sinistra. La risata di Jae gli echeggia nelle orecchie.

«Stai bene?» Chiede. Il fumo che gli esce dalle labbra, che si perde in una nube grigiastra tutt'attorno a lui. «Perché corri, Richard Dragon?» Lo chiama ancora così, con nome e cognome. Si beffa di lui, della sua discendenza, e restringe le lame di ghiaccio per fissarlo, studiarlo. Sa quello che gli ronza per la testa, non fatica a percepirlo, perciò schiocca la lingua.

«Non stavo correndo» mente. Si porta una mano alla tasca della giacca e cerca il pacchetto di sigarette per dissimulare la fretta. «Volevo fumare, tutto qui» dice. Si porta una Marlboro alle labbra e l'accende alla svelta. La prima boccata pere incenerirlo.

«O, capisco...» ironizza Jae. «A volte la mancanza di nicotina è letale quanto quella dell'aria.» Lo vede tentennare, distogliere lo sguardo e puntarlo al suolo – forse si guarda le scarpe lucide, forse osserva l'asfalto, Jae non sa dirlo con esattezza.

«È vero.» E soffia una zaffata di fumo, la vede fondersi con quella di Jae.

«Scherzavo» schiocca.

«Io no» borbotta. Si sente impacciato, stordito. La presenza di Jae gli ricorda chissà come quella di Benjamin e lo fa fremere sul posto. Allora sconnette la razionalità dall'azione e si avvicina di qualche passo. Solleva lo sguardo, lo punta su quello di Jae e chiede: «Ci sei andato a letto?»

«Come?» Batte le palpebre, sorpreso da quella domanda quanto dall'espressione contorta di Richard – dispiaciuta, ansiosa, forse addirittura gelosa. «Con chi?»

«Rispondimi» scandisce. E si morde le labbra, si dà dell'idiota per l'imperativo, prega che Jae lo ascolti. Deglutisce.

«Ti riferisci a Chase?» Jae lo vede annuire, così storce appena le labbra e soffia via una nuvola di fumo. Non sa come rispondere, non sa nemmeno se rispondere sia la scelta giusta. Ricorda le parole di Gordon Dragon e si diche che non deve indispettire suo figlio, anzi. «Sì, è ovvio» mormora, ignorando l'inconscio che suggerisce un'imminente negazione. «Ci frequentiamo, perciò...» Non riesce a terminare la frase, perché Richard lo interrompe:

«Non farlo più.» E lo trattiene per un polso, fa i capricci. Non lo guarda più in faccia perché sa che lì troverebbe solo confusione e forse biasimo. «Non farlo più...» ripete piano. Cerca una scusa, una giustificazione plausibile, ma non gliene viene in mente nessuna.

«Perché non dovrei?» Jae solleva un sopracciglio. Lo guarda esattamente come Richard immagina e non cerca di nasconderlo in nessun modo.

«Perché Chase è mio amico» borbotta. La sigaretta stretta tra le labbra, le dita che stringono ancora il braccio di Jae. Non sa cosa sta dicendo, ma la voce continua: «E non posso provarci con la gente che frequenta Chase, non è corretto. Gli amici di Chase sono miei amici, perciò dovresti diventare suo amico e mio amico...»

«Ma ti sei bevuto il cervello?» La domanda è impellente, pizzica sulla lingua di Jae ed esce dalle sue labbra prima ancora che possa accorgersene. Allora serra i denti, deglutisce, osserva il volto trafelato di Richard Dragon. «Cosa diamine stai dicendo?»

«Che mi piaci» scatta. Butta la sigaretta ancora accesa in terra e se ne pente immediatamente, tentennando con le dita in tasca. Si frena solo per non fare la figura dell'impedito. E serra la mano in un pugno, sente il pacchetto di Marlboro contorcerci quanto il proprio stomaco. «Non mi hai ancora risposto: cosa pensi di me?»

«Ti piacciono le persone strane, Richard Dragon?» Lo pungola. Gli vede scuotere la testa e soffia via un po' di fumo. «Allora non dovrei piacerti» stabilisce.

Il ragionamento di Jae non fa una piega, tuttavia Richard continua a stringere le dita attorno al suo braccio e non lo lascia andare nemmeno quando questi si volta per abbandonare l'ingresso del Freeze. «Perché non mi rispondi?» Chiede. E ora sa di essere alticcio, forse perfino sbronzo. Ha iniziato a bere succo d'ananas corretto al Rhum alle undici del mattino e non ha più smesso fino al quarto Martini – quello ordinato per Jae, quello mai bevuto da Jae. Deglutisce e ricaccia indietro un conato. Con la testa su di giri, infine, gli sente dire:

«Non ti conosco affatto, non ho un'idea precisa sul tuo conto.»

«Nemmeno una?» Insiste. «Una soltanto, una!» Solleva la voce, attira l'attenzione di un paio di ragazzi che costeggiano il Freeze e nemmeno se ne accorge. «Diamine, sono Richard Dragon! Una fottuta idea in quella testa slavata ce l'avrai, no?» Arriccia il naso, deglutisce ancora e serra i denti.

«Devi andare a casa, Richard» soffia. Si guarda attorno, getta il mozzicone di drum in terra e infine retrocede fino ad affiancare Richard.

«Chiamami Rich, cazzo» sibila.

«D'accordo, Rich, come vuoi» lo asseconda a mezza bocca. «Devi tornare a casa, sei ubriaco fradicio...»

«Sto benissimo» obietta questi. «Ho bevuto tanto, spesso, molto più di oggi.»

«Se stai così dopo qualche Martini non oso immaginare» commenta atono Jae. E deglutisce, sospira, cerca di tenerselo vicino. «Ti accompagno a casa?»

«Mi accompagni a casa?» Batte le palpebre, sembra allibito. «Vieni a casa con me, zio Ben?»

Ed è Jae a battere le palpebre questa volta. Socchiude le labbra, cerca qualche parola. È uno scrittore, dovrebbe averne, ma niente, vuoto totale. Così si schiarisce la voce, trascina Richard verso l'angolo più vicino e si ferma lì, facendolo posare con e spalle al muro. «Mi presti i cellulare?» Domanda.

«Tu non ce l'hai?» Scatta subito, arricciando il naso. Prova a scostarsi dal muro, eppure non ci riesce – la presa di Jae sulla sua spalla è troppo solida.

«Ho finito il credito» dice.

«Chi devi chiamare?» Domanda. Lo fissa, lo scruta. Indossa lo stesso sguardo di poco prima e fa rabbrividire Jae. «Non chiami Chase, vero?»

«Chiamo un taxi» schiocca.

«E mi porti a casa con il taxi? Non hai una macchina? O un treno, uno shuttle...» borbotta. Poi lo guarda negli occhi e sospira. Tira fuori l'iPhone dalla tasca destra e per fortuna lo vede sbloccarsi da solo – chissà se mai avrebbe ricordato la password! «Ha il riconoscimento delle impronte digitali, sai...» inizia, ma poi arriccia le labbra, vedendoselo sfilare di mano. Schiocca la lingua, guarda verso il cielo. Trattiene un altro conato e respira a fondo. Inizia a chiedersi di tutto, dal perché si trovi a Liberty Avenue al chi cavolo abbia in mano il suo cellulare. Sente la voce di Jae farsi lontana, ovattata, e socchiude le palpebre, mentre lui parla con il centralino dei taxi di Pittsburgh. «Vieni a casa con me, zio Ben, torna a casa con me» borbotta.

Jae deglutisce, lo fissa. Gli fa cadere il cellulare bloccato nella tasca da cui l'ha visto uscire e inizia a mordicchiarsi le unghie. Forse una notizia del genere sarebbe la manna dal cielo per un topo di fogna, così si dice, ma non per lui. Oh, non vuole certo indisporre Benjamin Dragon, tantomeno scatenare una lite intestina per via di un frocetto viziato e incestuoso come Richard. Allora attende in silenzio, poi fa un cenno al taxi giallo che si ferma a pochi passi da loro e trascina Richard lontano dal muro. «Torna a casa, Rich» mormora.

Richard aggrotta le sopracciglia. Una mano posata sullo sportello del taxi e l'altra che si sorregge sulla spalla di Jae. Finalmente lo riconosce, si morde la lingua e sillaba: «Per te sono Richard Dragon, ricordatelo.»

Jae solleva un sopracciglio, quasi sbotta a ridere. Scuote la testa e lo fa salire sui sedili posteriori dove lo vede accasciarsi. Allorché chiude lo sportello, fa il giro dell'auto e mormora l'indirizzo al tassista. «Buonanotte, Richard Dragon» ironizza, salutandolo con la mano.

Richard scatta, l'osserva attraverso il finestrino chiuso e alza subito la voce: «Chiamami Rich, cazzo!»

Jae fa spallucce, vede il taxi allontanarsi lungo Liberty Avenue e procedere verso Shadyside. Sospira. «Richard Dragon è fuori di testa» dice tra sé e sé.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top