Istinto
Ancora l'aria pregna di fumo. Sigari e sigarette sono accesi pressoché a ogni tavolo, mentre Richard accenna un sorriso tirato e si avvicina a Tera, sua moglie, per mormorare delle scuse aspre, fittizie, che gli sono state imposte da Gordon.
Benjamin si versa da bere e viene fermato d'Adele che subito gli rifila un bicchiere d'acqua e un antidolorifico. Schiocca la lingua, sospira, infine accetta la sua offerta e grugnisce qualcosa d'indefinito. Alle sue spalle, Maryl canta ancora. La voce dolce, vibrante, che penetra nelle orecchie degli ospiti.
Sembra che non sia passato un solo secondo dal momento del brindisi, ma Cassandra conosce la verità e la legge negli occhi di suo marito. Si umetta le labbra che sanno di Dom Perignon e rossetto, ma non dice una parola.
Il famigerato taglio della torta viene immortalato. E nella foto brilla la fede di Gordon Dragon, la bugia di Richard, perfino il disagio di Tera Evans. Due famiglie legate con panna montata e pasta di zucchero.
Keane osserva la scena in disparte. Le labbra sigillate a forza dalle parole di sua madre: Non metterti in mezzo. Si morde l'interno delle guance, complice dello stesso tic nervoso di Richard, ma fa il bravo, resta al suo posto. Le spalle ben posate sullo schienale della sedia e gli occhi attenti, fissi. Sa che gli conviene tacere, che gettare altro fuoco sul fuoco sarebbe sciocco e pericoloso. Tuttavia ricorda perfettamente l'occhiata languida di Richard Dragon durante le promesse che si è scambiato con Tera quel pomeriggio. E non riesce a dimenticarla, non riesce a cancellarla. Scosso da un brivido, infine, scola lo champagne con un gesto secco e prova a sorridere quando sua cugina Tera si volta a guardarlo.
Sul suo viso c'è una smorfia incomprensibile, un segno marcato e nascosto sotto la pelle di porcellana. Solo lei ne conosce il motivo. E Richard, sì, perché è lui a sussurrare nel suo orecchio: «Tuo padre è così pieno di debiti da non farsi scrupoli ad accettare i soldi di noi Dragon dopo che me ne sono andato a Liberty Avenue per succhiare il cazzo di uno spogliarellista.»
Quando si allontana lo fa con un sorriso glaciale, sornione. Punta dritto negli occhi di Tera, infine verso Keane. E ghigna, batte le palpebre una sola volta, scivola verso il corridoio per raggiungere il bagno. Incontra l'espressione affaticata e imperiosa di Steven, poi solleva le labbra in un finto ringhio di provocazione. Sentendolo sbuffare, ride.
«Ragazzino insolente» borbotta. Pensa di aver parlato abbastanza piano da non essere sentito da Richard, ma si sbaglia.
Questi ghigna, non aggiunge altro e si nasconde in bagno. Fa scorrere l'acqua sulle mani, sul volto accaldato, perfino sulla nuca. E si sforza di calmare i bollenti spiriti, si costringe a non ricordare il sapore di Zackary. All'improvviso, però, batte le palpebre. Attraverso lo specchio vede Keane e sorride. Dice: «Salve...»
«Cos'hai detto a mia cugina?» Lapidario e senza giri di parole, Keane aggrotta le sopracciglia e incrocia le braccia al petto. Ricorda ancora le parole di sua madre e sa che non dovrebbe intromettersi, ma l'istinto è troppo forte e non riesce a frenarlo – non del tutto.
«Tua cugina, dici?» Richard soppesa le parole di Keane, infine schiocca le dita umide e solleva un indice come colto da un'illuminazione divina. «Ah, Tera!»
«Sì, proprio lei.» Annuisce. Le labbra strette, mentre deglutisce a vuoto. Vede gli occhi di Richard squadrarlo da capo a piedi e ha come la sensazione di poter andare a fuoco.
«Le ho detto solo la verità» sussurra soddisfatto. Si avvicina a Keane, le dita che gocciano d'acqua dolce, ghiacciata, a ogni passo.
«È turbata, non dovrebbe esserlo nel giorno del suo matrimonio» tergiversa Keane. Cerca di non fare caso alla malizia che attraversa gli occhi di Richard e distoglie perfino lo sguardo. «Cosa le hai detto?»
«La verità» sussurra. Si avvicina all'orecchio di Keane, i nervi ancora tesi dall'eccitazione non consumata a Liberty Avenue. Forse ha ragione Steven a reputarlo un ragazzino insolente, almeno così si dice, o Zackary con il suo: Stronzetto viziato. Si umetta le labbra e percepisce l'irrigidirsi di Keane. Allora ghigna. «Vuoi sentirla anche tu?»
Keane è indeciso. Una risposta sbagliata lo metterebbe a rischio, lo renderebbe una pedina. Di getto dice: «Sì.» E se ne pente subito, mentre le labbra di Richard Dragon gli solleticano il collo.
«È bella, ma non rientra nei miei gusti.» Un mormorio, una piccola parafrasi. Gli occhi che brillano d'eccitazione e la mano destra che scatta contro la porta della cabina del bagno. «Mi piacciono i ragazzi, quelli come te...» soffia ancora, trascinandoselo dietro.
«Richard, che stai facendo?» Domanda in un sussulto. E non se lo toglie di dosso, non lo frena. Annaspa semplicemente, con i suoi denti che gli mordicchiano il lobo.
«Mi guardavi» dice. «Durante la cerimonia, durante le promesse, mi guardavi Keane...» È la sua blanda giustificazione, il motivo che lo spinge ad allontanarsi dall'orecchio di Keane per guardarlo dritto negli occhi.
«Tu mi guardavi» lo corregge l'interpellato. Poi lo vede ghignare e arrossisce. Immobile, con le mani di Richard sulla cinta di pelle bruna, deglutisce a vuoto.
«E come fai a saperlo?» Scherza, lo canzona. Lo coglie in fallo giustappunto mentre infila le dita oltre la soglia dei pantaloni eleganti. «Se non mi stavi guardando, Keane, non puoi sapere chi stavo guardando io.»
Lui non risponde, si morde le labbra e gli vede restringere lo sguardo. Allora chiude gli occhi, lo sente spingersi voglioso sul suo corpo e fermarsi all'improvviso quando la voce di Steven si fa largo nell'anticamera:
«Richard.»
«Shh...» Richard sorride, posa un indice sulle labbra di Keane per indurlo al silenzio. Infine risponde al cane da guardia numero sedici con un mugolio infastidito: «Cosa c'è?»
«Tutto bene?»
«Tutto bene, sì.» E schiocca la lingua, si mostra seccato, per nulla intimorito. Nel frattempo slaccia i pantaloni di Keane e si fa largo con e dita oltre a biancheria. Lo sente sospirare, poi gli posa una mano sulla bocca e lo fissa malamente, per zittirlo. «Pensavi che fossi scappato dalla finestra del bagno, forse?» Lo canzona a gran voce, lasciandosi andare a una risatina secca, asciutta.
Steven schiocca la lingua. «No» dice. Non aggiunge atro, esce dal bagno così com'è entrato. Ha il sentore che Keane si trovi nella stessa cabina di Richard, ma non vuole indisporre nessuno, non più del dovuto. E fintanto che Gordon Dragon è seduto al suo tavolo, questi cerca di non creare ulteriore confusione. Si dice che far sfogare un po' quel ragazzino borioso e viziato non sia una così cattiva idea.
«Perché mi guardavi?» Domanda Richard. Il sorriso stampato in faccia e gli occhi fissi su quelli azzurri di Keane. Si morde le labbra in un impeto di passione, si trattiene da saltargli letteralmente addosso, infine le socchiude. Non appena raggiunge la pelle bollente dell'inguine, non appena raggiunge il suo sesso turgido, lo sente sciogliersi in un sospiro.
Contro il muro, Keane ha il cervello su di giri e la voce tirata. «Perché mi guardavi?» Chiede a sua volta, sentendolo ridacchiare.
«Mi piaci più di tua cugina, sai?» Lo provoca e attende perfino una risposta che non arriva. Così si decide a scuotere la testa. «Molto di più...» aggiunge.
«Lei lo sa?»
«Non ne ho idea.» Schiocca la lingua, infastidito da tutti questi convenevoli, così sospira, sbuffa. Chiede: «Mi vuoi o no?» Lo fissa negli occhi, lo vede arrossire e tentennare sulla risposta. Nel frattempo inizia a carezzarlo, a massaggiarlo appena. Lo sente duro sotto i polpastrelli. «Non dirmi che è solo una reazione fisiologica, per favore...» sbotta, prevenendo la stessa replica di Zackary.
«Non è una reazione fisiologica» conferma in un soffio imbarazzato.
«Perfetto» schiocca. Gli abbassa i pantaloni senza troppe cerimonie, allentando la cravatta e sbottonando i primo bottoni. E si rifugia lì, sulla giugulare che mordicchia e sugge. Lo sente ansimare piano, mordersi le labbra, respirare con affanno. Compiaciuto, inizia a masturbarlo più velocemente e percepisce il lieve ondeggiare del suo bacino. «Lo sapevo» dice.
«Che cosa?» La domanda di Keane è un singulto. Serra subito i denti, cerca di placare il respiro, ma le mosse esperte di Richard lo fanno gemere piano. Irresponsabile, si dice.
«Sapevo che eri troppo perfetto per essere come loro.» Ghigna sul suo collo e gli afferra una mano. Senza alcuna titubanza se la porta sui pantaloni per renderlo partecipe di tanta veemenza. «Tutte le famiglie che si rispettino hanno una pecora nera...» soffia. «Benvenuto nel club.»
Keane grugnisce. Il contatto delle proprie dita con la stoffa tirata dei pantaloni di Richard lo fa fremere sul posto. Sente ancora la sua mano sfregarsi umida sulla propria erezione e quasi annaspa. A denti stretti, però, riesce a sibilare qualcosa come: «Non sono una pecora nera.»
«No?» Richard è divertito, più che perplesso. «Non lo sanno, forse, ecco perché non lo sei» decreta. «Ma io lo so.»
Keane si morde le labbra e solleva gli occhi verso il soffitto. Illuminato dalla luce del bagno, quasi si sente in difetto, sbagliato. È la prima volta che qualcuno se ne accorge ed è anche la prima volta che qualcuno pretende le sue attenzioni. Troppo esposto, in un posto sbagliato, non riesce a frenare la voglia che lo sormonta e gli galoppa nel petto. Geme piano, di nuovo, e prima ancora di rendersene conto singhiozza. «Richard...» Lo chiama chissà come, senza più fiato nei polmoni – o forse no, forse sono troppo pieni e gonfi. Ha gli occhi lucidi e le orecchie pungolate dal sibilo della voce di Maryl, mentre l'indice di Richard frena l'orgasmo e lo fa annaspare.
«Non così presto bellezza» schiocca. Allontana la mano di Keane dai pantaloni, sospira insoddisfatto ed è lui a slacciarseli, ad abbassarseli. Senza vergogna, quasi impudico, si mostra eretto e concitato. Ha il fiato corto e le guance arrossate. La vista appannata dall'eccitazione, mentre lo volta con la faccia sulle piastrelle. «Io non regalo momenti di gioia, sai?»
«No, aspetta...» Un rantolo basso che si sussegue allo sgranarsi degli occhi di Keane. Vede le proprie mani posate sulle piastrelle del bagno e tentenna. Sa che non è propriamente il luogo adatto, il momento adatto, soprattutto la persona adatta. Serra i denti, infastidito dal suo modo di fare sprezzante. Se tutti i Dragon sono così, forse è meglio che Tera non abbia la sua prima notte di nozze – se lo dice giusto un paio di volte, prima di abbassare lo sguardo e vedere ancora le dita di Richard sulla propria erezione.
«Aspetta, aspetta. Richard, aspetta» borbotta atono, irritato. Quelle parole gli ricordano qualcosa che vorrebbe dimenticare, perciò serra i denti a sua volta e carezza la piega dei glutei di Keane. «Cosa devo aspettare?» Lo stuzzica sulla punta arrossata e turgida, lo sente mugolare, poi lo vede arrendersi in un singhiozzo ovattato, eccitato. E ghigna soddisfatto nel vedere come questi abbia appena spronato i fianchi nella sua direzione. «Tu mi vuoi, io ti voglio...» mormora laconico. «Scopiamo e basta, no?»
«Non l'ho mai fatto» dice Keane. Gli occhi appannati dalle lacrime, l'eccitazione prepotente che lo squassa da capo a piedi.
«Quale onore» ridacchia Richard. «Beh, allora dovremmo rimandare...» Solo adesso si rende conto di aver fatto la figura dello scemo – e non è nemmeno la prima da quando ha detto il famigerato Sì.
«Rimandare?» Keane balbetta. Sente l'agitazione farsi strada dentro di sé, mentre volta la testa per cercare di guardare Richard.
«Già, ammesso che tu non voglia zoppicare per il resto della sera.»
«Non...» Keane prova a dire qualcosa, ma Richard torna a muoversi su di lui, sul suo sesso ben in tiro, e lo zittisce.
«Questa volta mi accontento di poco» sibila vicino al suo orecchio.
E Keane mugola, non riesce a trattenersi. Toccato da mani estranee, si sente stranamente in bilico tra la vita e la morte. Un attimo dopo è pronto a soffocare l'orgasmo con le labbra sull'avambraccio. «Che significa?» Domanda. La voce ridotta ai minimi termini. Un soffio, forse. «Che significa quello che hai detto?» Si sente calare i pantaloni fino alle ginocchia e strabuzza gli occhi. Pare che le azioni di Richard Dragon siano esattamente il contrario delle sue delucidazioni – almeno così si dice in principio. Poi serra i denti, chiude forte gli occhi, percepisce la punta della sua erezione fra le cosce e s'irrigidisce.
«Fermo così» mormora. Non lo tranquillizza, anzi. Ma poi lo sente sospirare in un misto d'imbarazzo e sollievo quando si spinge fra le cosce e ignora la via più consona. «Ti ho detto che mi accontento di poco» ripete. «Non mi piace il sesso violento...» Sposta le dita umide di sperma lungo il suo sesso e raggiunge i testicoli, la punta del proprio che ci batte contro. Sospira, infine inizia a muoversi senza remore, stuzzicato dalle cosce toniche e tese di Keane e da quella libito perversa che è fatta di appiccicoso piacere. Avanti e indietro, ancora avanti e ancora indietro. Continua così fin quando non è certo del suo imbarazzo e ghigna, aumenta il ritmo, mima una penetrazione che non c'è. Infine viene con un grugnito, soddisfatto a metà, mentre schizza sulle piastrelle del bagno con un'ultima, poderosa, spinta.
«Cosa sarebbe?» Balbetta Keane. Non ha nemmeno il coraggio di voltarsi a guardare Richard negli occhi, ma accetta di buon grado la carta igienica che gli porge. Si pulisce alla svelta e butta le matasse sporche nella tazza a sinistra. In questo momento capisce quanto sia stato imbarazzante e serra i denti alla spiegazione laconica di Richard Dragon:
«Sumata: tipica arte amatoria giapponese in voga dal '56. È stata coniata per eludere le leggi anti-prostituzionali...»
Keane si morde le labbra. «Leggi anti-prostituzionali» echeggia. «Mi stai dando della puttana, forse?» Riesce a voltarsi solo in questo momento, dopo aver assicurato la cinta in vita. E lo vede ridacchiare con la mano sporca di sperma a fior di labbra. Arrossisce, mentre la sua lingua vezzeggia una goccia biancastra.
«No» dice.
«E allora cosa?» I muscoli del viso contratti, gli occhi lucidi e pieni di orgoglio.
«Sei vergine, Keane Evans...» borbotta. E continua a guardarlo attraverso le dita sporche che vezzeggia con la punta della lingua. «Scoparti in un bagno sarebbe un peccato.»
«Pervertito» lo apostrofa subito, storcendo il naso con sdegno.
«È così che si ringrazia chi non vuole farti del male, verginello?» La voce ridotta a una blanda cantilena, a una provocazione irriverente. Gli occhi di Richard sembrano ridere al posto suo. «Avrei potuto prenderti senza problemi, non l'ho fatto per i rispetto che lega le nostre famiglie» mente.
«Gran bel rispetto» schiocca Keane. «Ti sei sposato con mia cugina e hai cercato di scoparmi in un bagno. È così che si comportano i Dragon?»
«Si comportano molto peggio di così.» Richard fa spallucce. Stanco di provocarlo con quel suo fare languido, allora, si pulisce con la carta igienica e poi tira lo sciacquone. «Voi avete un nome, noi i soldi che vi mancano. Il matrimonio è stato celebrato per questo: azzerare i debiti degli Evans con i Dragon ed evitare che qualcuno di voi finisse appeso a testa ingiù in qualche mattatoio di periferia.» Sciocca la lingua e lo guarda di traverso. «Non me ne frega un accidente delle promesse che ho fatto, dopotutto non credo in Dio...» Apre la porta della cabina e si avvicina ancora al lavandino. Qualche spruzzata di musse saponata e poi lo sciabordare dell'acqua. Solleva lo sguardo sullo specchio e vede Keane con aria assorta, confusa. «Credo in me stesso, come tutti i Dragon che si rispettino.» Si stringe nelle spalle con noncuranza, lavando bene le mani sotto il getto tiepido. «Non siamo bella gente, dovresti averlo capito da un pezzo.»
«L'ho capito, sì» sillaba.
«Non mi piacciono gli Evans, sono solo una facciata. Perfetti fuori e marci dentro...» spiega brevemente. Poi, rima di sentirgli dire qualsiasi cosa, sorride e dice: «Ma tu mi piaci.»
«È una bugia.» Keane arrossisce, certo di aver fatto una misera figura con qualcuno di troppo importante.
Richard batte le palpebre, sembra perplesso. Fa gocciolare le mani pulite nel lavandino, infine muove un dito in segno di negazione e continua a fissare Keane attraverso il suo riflesso. «No, non lo è» mormora. «Se potessi ti porterei alle Hawaii al posto di Tera.»
«Smettila di dire sciocchezze» lo liquida. Gli vede fare spallucce, o sente perfino sospirare. «Non mi piacciono le prese in giro, Richard.»
«A me non piace aspettare che i verginelli si scuciano al punto giusto, eppure eccomi qui» replica cinicamente.
Keane schiocca la lingua, prova a dire qualcosa, ma non appena apre bocca viene subito interrotto da Richard:
«Non dire a nessuno di quello che è successo, d'accordo?»
«Ovvio che no» sibila in tutta risposta, distogliendo lo sguardo e puntandolo verso la suola delle scarpe. Si avvicina a lui solo per lavarsi le mani, ma non solleva lo sguardo neppure quando lo sente avvicinarsi al suo orecchio.
«Bravo» soffia. Non aggiunge altro, esce dal bagno prima ancora che possa farlo Keane. E non sa se questi riuscirà a raggiungere la sala, non sa neanche se lo vedrà prima della partenza per le Hawaii. L'idea di aspettare tanto lo stuzzica e lo infastidisce al contempo, ma a riscuoterlo è l'espressione assorta di Tera che, puntata sulla fetta di torta, sembra animarlo.
«Dove sei stato questa volta?» Gli domanda piano, muovendo appena le labbra.
«A fare qualcosa che non faremo in viaggio di nozze» schiocca. Senza pensarci su, allora, le sfila il piatto da sotto il naso e affonda la piccola forchetta d'argento per servirsi.
Benjamin lo guarda da lontano. Ha gli occhi assenti, un po' arrossati. Sembra volerlo rimproverare ancora, in silenzio, ma non ha il coraggio di muovere un muscolo – o forse è il dolore alla testa che lo tiene ben piantato sulla sua sedia, chissà.
Richard gli sorride sornione, muovendo appena le labbra in un nuovo: Scusa. Infine sospira, inizia a mangiare la torta con nonchalance. Sa che i prossimi giorni saranno un inferno e che lo sguardo di Steven gli sarà puntato addosso ventiquattro ore su ventiquattro. Mentre si porta alla bocca un po' di crema chantilly, allora, torna a pensare a Numero Quindici. Oh, lui sì che sarebbe stato di compagnia! Poi vira verso il suo piano originario: una bella fuga improvvisa, magari nel cuore della notte. E via dalle Hawaii, diretto alla Grande Mela. No, neanche quello andrebbe bene, perché Gordon conosce l'idea e deve aver già avvisato Steven. Allora pensa a Chase. Sarebbe felice di ospitarlo, probabilmente, o forse no. Sbuffa a denti stretti, con il sapore della crema chantilly sul palato, e maledice il suo cognome. È una dannata macchia, già, una scia di catrame che lo insegue ovunque.
Colpa di Gordon Dragon, del suo passato da spacciatore, degli anni di galera che avrebbe dovuto farsi se solo non avesse corrotto gli agenti dell'FBI.
Ed eccolo lì, perfetto e intoccabile, mentre sorride a Cassandra e le bacia una guancia rosata. Omnisciente, onnipotente. Il Dio della malavita di Pittsburgh che festeggia un matrimonio fittizio per dare una bella lucidata al suo nome già sporco e putrido.
Richard trattiene un conato di vomito. Chissà come e chissà perché, il fastidio di essere segnato come Dragon inizia a pesargli più del solito. E non bastano le scappatelle a Liberty Avenue, non basta provocare Benjamin, non basta nemmeno fingere di voler trovare il momento adatto per scoparsi un verginello come Keane Evans. No, non basta niente per farlo stare fermo su quella dannata sedia.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top