Impulsi
Zackary ha lo sguardo fisso sulla televisione accesa e le labbra socchiuse. Sembra un pesce fuor d'acqua e quasi non si accorge di aver fatto strabordare la tazza di Benjamin. Quando si scotta le dita con il caffè, però, sobbalza e torna alla realtà. Batte le palpebre, borbotta un'imprecazione, poi sposta lo sguardo sui fornelli accesi e si affretta a chiudere il gas prima che i pancake vadano a fuoco.
Non fa che chiedersi cosa diamine sia successo nei suoi giorni di assenza e come abbia fatto a perdersi gli aggiornamenti sul caso di Nolan Dragon. E schiocca la lingua, restringe lo sguardo, addirittura sbuffa. Infine ricorda gli ordini di Adele, la fretta con cui si è dovuto spostare via aerea per controllare i conti all'estero, e non impiega più di una manciata di secondi per sfilarsi l'auricolare dell'iPod con un ringhio basso.
«Merda...» sibila. Dà un calcio allo sportello aperto del frigorifero e per un attimo si dimentica che Benjamin è ancora addormentato. Lancia un'occhiata all'orologio appeso poco sopra la porta della cucina e serra i denti. Si passa una mano in faccia, poi sfila l'iPod dalla tasca destra della tuta e lo lascia cadere sul tavolo. Sospira, inspira a fondo e quasi si strappa i capelli nel serrare le dita sulla cute. Un improvviso mal di testa si fa vivo all'idea di dover avvisare Benjamin sulla questione di Nolan. «Non ne va dritta una, porca puttana» borbotta ancora. Si morde appena le labbra, poi ripulisce il tavolo, spegne l'iPod e riempie il piatto di pancake bruciacchiati. Schiocca la lingua, dopodiché si affretta a scrivere un biglietto per Benjamin e lo getta nella pattumiera un attimo dopo. «Ma cosa cazzo scrivi?» Si domanda in un soffio irritato. Così si umetta le labbra, scuote la testa, riformula una frase concisa: Chiamami dopo che hai fatto colazione. E lancia la penna sul tavolo, spegne la televisione, attacca il post-it sulla tazza di caffè ancora umida. Poi infila il cellulare in tasca, esce dalla cucina e si ferma sulla soglia della propria stanza. Sospira. Nella penombra dell'alba, allora, osserva Benjamin. «Sarà una giornata del cazzo» soffia, conscio del fatto che il suo grugnito non sia una risposta pertinente. Allora sorride, lo vede rigirarsi tra le lenzuola, infine decide d'infilarsi le scarpe da ginnastica e uscire di casa – non prima di aver preso il cappotto e le chiavi dell'auto, ovviamente.
Per la prima mezzora di viaggio non fa che cambiare canzone, poi sbuffa e cambia CD. Tamburella con le dita sul volante al ritmo di Fear Of The Dark e sente l'eco del coro nel centro del petto. Continua a chiedersi perché diamine Benjamin non abbia ancora aperto gli occhi o letto il post-it, ma continua a guidare nell'US-22 W e a cercare qualche indicazione per l'Interstate 376 W. Dopo circa un'ora di viaggio prende l'uscita 77 verso Edgewood/Swissvale e schiocca la lingua con fare indispettito. Spegne lo stereo, afferra il telefono dalla tasca della tuta e aggrotta le sopracciglia.
«Cazzo, non l'ho acceso» borbotta. E deglutisce a vuoto, freme, rallenta appena. Accende il telefono e nota sia le chiamate mancate di Adele che quella di Benjamin. Così infila gli auricolari, ingrana la marcia giusta e contatta quest'ultimo.
Questi risponde subito, dopo un solo squillo. «Che cazzo succede?»
«Buongiorno, Ben...» ironizza Zackary. La voce bassa, ancora assonnata. Rimpiange il caffè che ha lasciato in cucina e sospira. Non gli dà nemmeno il tempo di replicare che subito si affretta a dire: «Sono in viaggio, sto andando a Loretto.»
«Loretto?» Benjamin sembra confuso, frastornato. «È stata Adele? Ancora lei?» Chiede, mentre l'esasperazione sale e raggiunge Zackary dall'altro lato della comunicazione. «Perché ti ha mandato a Loretto?»
«È una mia iniziativa» ammette a mezza bocca.
Benjamin si massaggia la sommità del naso e riformula: «Perché diamine stai andando a Loretto?»
«Hai seguito la revisione del processo di tuo zio, Ben?» Domanda in tutta risposta. Sente solo l'eco del silenzio, così sospira. «Lo rilasciano oggi, sto andando a prenderlo.»
«Cosa?» Alza la voce, quasi si strozza con un sorso di caffè. E tossisce un paio di volte, fa aggrottare le sopracciglia a Zackary pur non sapendolo. «Stai scherzando, vero? Non vorrai dargli un passaggio fino a Pittsburgh, spero!»
Zackary annuisce, poi si rende conto di stare al telefono e conferma a voce con un debole: «Sì.» Fa spallucce, continua a procedere lungo Monongahela Avenue e infine dice: «È un'idea fantastica, non trovi?»
«No, non trovo» schiocca l'interpellato. «Torna indietro, Zack!»
«Sono a metà strada, ormai» si lamenta con un grugnito basso. Solleva le sopracciglia, poi sorride con fare bonario e aggiunge: «Magari è una buona mossa, Ben...»
«Secondo quale logica?»
«Potrebbe tenerti in considerazione» spiega. «Mi presento fuori dal carcere, gli dico che sono stato mandato da te e che nessun'altro ha mosso un dito per raggiungerlo...» Detta così sembra facile, ma Zackary riesce a stento a frenare il proprio timore e a mantenere un tono dignitosamente sicuro.
«È un'idea del cazzo» si lascia sfuggire Benjamin. «Non pensi a quello che farà Adele?» Lo sente sbuffare, forse anche grugnire un Sì, tuttavia rimane di stucco quando dice:
«Ma tu non pensi a quello che potrebbe fare Nolan, giusto?» Zackary schiocca la lingua, si morde le labbra. Sa che è una mossa azzardata, tuttavia è anche l'unica a sua disposizione per cambiare le carte in tavola. «Da Drake a Gordon, da Gordon ad Adele...» inizia. E sospira, lascia a Benjamin il tempo di ragionare sulla faccenda senza aggiungere troppe informazioni compromettenti. «A rigor di logica è tutta una grossa cazzata, appartiene tutto a lui.»
«Proprio per questo credo che tu debba tornare indietro, Zack» sillaba.
«Dammi ascolto una buona volta» grugnisce con fare irritato. «Non credere che io sia euforico, anzi: la situazione è uno schifo, ma si può forse scendere più in basso di così?»
«Temo di sì» soffia. Si passa una mano sulla testa e si massaggia una tempia. Le sopracciglia corrugate e le labbra piegate in una smorfia a metà tra fastidio e preoccupazione. «Torna indietro» dice.
«Non posso» mormora. Sospira, serra meglio le dita attorno al volante, infine dice: «Ci sentiamo più tardi, Ben.» E chiude la comunicazione, serra i denti, deglutisce a vuoto. Accende di nuovo lo stereo e inserisce la modalità silenziosa al cellulare. Tolti gli auricolari, allora, continua a osservare la strada. Dopo aver svoltato per Commercial Street, però, sbuffa. Accosta e afferra il cellulare in un moto d'irritazione. È pronto a spegnerlo, ma il nome che compare sul display lo fa annaspare: Adele Dragon. Si umetta le labbra, se le tormenta, fa squillare a vuoto fin quando il cellulare non smette di vibrare e infine tira un sospiro di sollievo. Posa il dispositivo sul cruscotto, grugnisce, ma non appena posa la mano sul cambio lo sente vibrare ancora. Lo afferra e legge di nuovo il nome: Adele Dragon. Gira la chiave, ferma completamente la vettura e prende un lungo respiro. «Pronto?» Accenna un tono assonnato.
«Devi tenere il cellulare acceso» sibila Adele. «E quando dico acceso, intendo giorno e notte» scandisce. Ha la voce fredda, un po' irritata, mentre chiede: «Capito?»
«Sì, ho capito.» Breve e conciso, Zackary socchiude gli occhi e si guarda attorno. È ancora distante da Loretto e si sente sul filo del rasoio. «Mi dispiace, lo terrò acceso» mormora.
«Abbiamo già parlato di quello che avresti dovuto fare...» soffia lei. Il tono fermo, deciso. Nessun dettaglio.
E Zackary non è per nulla incline ad assecondare quell'ordine. Nonostante ciò mormora un: «Lo so.»
«Dove ti trovi adesso?»
«Sono in viaggio» dice a mezza bocca. «Sono partito da poco, non ho ancora raggiunto l'I-376 W» mente. Serra le palpebre, prega di non avere una cimice da qualche parte o una connessione GPS che Adele possa rintracciare. Allora si ricorda di come Benjamin lo abbia liberato dall'impiccio della geo-localizzazione e si passa una mano sul viso. Sorride riassicurato, ma non aggiunge altro.
«E Jae?» Indaga. Sembra incerta, quasi timorosa di aver azzardato troppo.
E fa bene, perlomeno a detta di Zackary, perché lui non ha la benché minima intenzione di uccidere Nolan Dragon, anzi. «Non l'ho sentito» dice. «Avevo il cellulare spento, come avrai notato, e dal momento che pensavo fosse acceso ho preferito partire da solo...»
«Avresti dovuto aspettarlo» lo rimprovera in un ringhio. «E avresti dovuto controllare quel cazzo di cellulare, Zack...» Sbuffa, poi dice: «Acceso giorno e notte, ricordatelo. E non fare mosse azzardate.»
«Ricevuto» dichiara. E non sente altro, solo il suono della comunicazione interrotta. Allora blocca il cellulare, si lascia andare a una risata nervosa e scuote perfino la testa. Serra entrambe le mani sul volante e deglutisce a vuoto. «Non dirmi che ho fatto una cazzata, Nolan» borbotta tra sé e sé. Poi rimette in modo l'auto e procede fino alla svolta per Forward Avenue. «Adele mi ammazzerà se non farai qualcosa per riprendere in mano il potere dei Dragon...» schiocca. Accende di nuovo lo stereo e cambia canzone – Fear Of The Dark non è idonea per il momento, non se paragonata a It's My Life.
Da quando Chase è andato via, Jae non fa che ripensare alle sue parole e Richard continua a mordicchiarsi l'interno delle guance con aria assorta. Non ha più mosso un muscolo nella sua direzione, tantomeno ha cercato di sedurlo o di riprendere il discorso lasciato a metà nella Toyota. La verità è che vorrebbe chiamare Benjamin, che vorrebbe essere lui ad avvisarlo per rimediare alla plateale figuraccia di qualche sera prima. Ma è la codardia a tenerlo fermo, ad ancorarlo sul divano di Jae con il telecomando ben stretto tra le dita.
«Dovresti parlare con tuo zio» azzarda Jae d'un tratto. «Se lo chiamassi io avrebbe da ridire, temo...»
«E se lo chiamassi io, invece, sarebbe felicissimo di sentirmi» ironizza l'interpellato. Allora sbuffa, allunga una mano con fare assonnato e mormora: «Dammi qualcosa da bere, Jae.»
Di tutta risposta, questi si scosta dal tavolino e gli porge la propria tazza di caffè per avere in cambio un'occhiataccia. «Non ti darò da bere di prima mattina» dichiara. Poi schiocca la lingua e restringe lo sguardo. «Chase ha detto che dovremmo andarcene da Pittsburgh...»
«E se ne è andato come una mammoletta, con la coda tra le gambe» borbotta Richard. Osserva il caffè di Jae e arriccia appena il naso. Quando lo sorseggia, allora, fa una smorfia terribile. «Non sai cosa sia lo zucchero o ti sei solo dimenticato di metterlo?»
«Non mi piace il caffè zuccherato» spiega atono. «Altera il sapore.»
«Interessante» soffia laconico, posando la tazza sul tavolino. «A me non piace il caffè, allora... Dammi qualcosa di forte, ne ho bisogno.»
«No» scandisce Jae. Lo sguardo fisso fuori dalla finestra e le labbra piegate in una smorfia irritata. Allunga la mano verso il tavolino, infine si alza da terra e si allontana dal divano. Sente Richard sbuffare e battere un pugno sul bracciolo. «Non è il momento di sballarsi, Rich» lo pungola. «Perché non metti in moto il cervello, piuttosto?»
«Per fare cosa?» Si stringe nelle spalle e si sfila le scarpe. Posa i talloni sul divano e infine si aggomitola come un ragazzino capriccioso. «L'ultimo piano che ho attuato è saltato a causa di quello stronzo di prozio!»
«L'ultimo piano che hai attuato era una follia» lo corregge Jae con fare laconico. «Hai minacciato Adele, ti sei guadagnato un paio di firme e delle zone che non controllerai mai...»
«Non ne sapevo un cazzo di Nolan» sbotta. «Sarebbe stato un piano grandioso se solo non lo avessero rilasciato...» Schiocca la lingua, infine sembra come illuminarsi. Solleva un indice dopo essersi grattato la nuca e dice: «Chiamerò Adele, le darò la notizia e vedrò cosa fare.»
«Mi chiama da ore» replica con uno sbuffo, sollevando lo smartphone per far vedere a Richard il nome che riluce in sovrimpressione. «Non so se si sia accorta che ti ho scortato fino all'Homewood Cemetery o se voglia che vada fino al Federal Correctional Institution di Loretto per ammazzare Nolan...» Schiocca la lingua, abbassa il cellulare che continua a vibrare fastidiosamente e sospira. «Ora che ci penso deve avermi accennato qualcosa quando Zackary era a Zurigo.» Fa spallucce, poi scuote la testa.
«Tanto meglio, no? Posso rispondere io, posso parlarle e organizzare un incontro» dice Richard. Si alza in piedi, gli si avvicina, tuttavia non lo raggiunge e solo perché Jae si allontana sua sponte di qualche passo.
«Senza guadagnarti un proiettile in fronte?» Non pare affatto fiducioso, anzi. Scuote la testa, poi sorseggia il caffè amaro e si avvicina alla porta aperta della cucina. Richard gli è subito dietro, riesce a sentirne i passi pesanti e animati dalla fibrillazione dell'ignoto.
«Perché mai dovrebbe uccidermi?»
«Perché non dovrebbe?»
«Hai detto che vuole uccidere Nolan, non me» borbotta contrito. «Io sono suo nipote, dopotutto.»
«Gordon era suo fratello e Nolan è suo zio» replica atono. «Non riesco a notare differenze di sorta, sai?» Arriccia appena il naso e sbuffa. Gli dà le spalle con noncuranza, infine chiede: «Si può sapere perché diavolo hai dovuto minacciarla? Non potevi parlarle normalmente?»
A quelle domande, Richard si blocca. Osserva il daffare di Jae con la brocca di caffè e storce le labbra. Si lascia andare a un debole grugnito e infine mormora: «I Dragon sono sempre uniti per le cause comuni... L'ho visto con Gordon.»
«Ma dopo Nolan potresti essere tu la causa comune.»
«Quindi chi resta?» Schiocca.
«Olivia?» Azzarda Jae. Afferra il telefono e solleva un indice per zittire Richard. La chiama senza pensarci due volte, poi tergiversa, parla del più e del meno. Dopo una decina di minuti di conversazione, tra una risata e l'altra, mormora un: «Certo, per questa sera ti porto l'ultimo manoscritto.» E attacca, chiude la comunicazione, posa lo smartphone sul tavolo della cucina. Con entrambi i gomiti posati lì, allora, si passa le dita tra i capelli e sbuffa.
«Allora?» Richard lo guarda con un cipiglio confuso. È curioso, sulle spine, mentre incalza: «Cosa ti ha detto, Jae?»
«Che vuole leggere un libro più efferato» borbotta.
«Oh, grandioso!» Richard da un calcio alla sedia vicina e vede Jae sollevare un sopracciglio. Inizia a camminare avanti e indietro per la cucina, ad aprire i pensili e a cercare qualcosa di forte da mandar giù – con scarsi risultati, è ovvio, perché questi si trovano nel piano bar del salone. «E a parte esserti assicurato il lavoro dei tuoi sogni?»
«Era in auto» mormora. «Credo che stia andando da Nolan Dragon. Era molto tesa, quasi frettolosa di chiudere la chiamata. Mi è parso di sentire qualche clacson...»
«Lo va a prendere o va a freddarlo?» Schiocca.
«E io cosa cazzo ne so, eh?» Jae aggrotta le sopracciglia, infine sbuffa e indica a Richard il pianobar nella stanza accanto. «Affogati pure...»
«Grazie.» Richard digrigna i denti, si dirige a passo svelto verso il salone e inizia a trafficare con i liquori.
«Il pianobar era lì ance prima» lo pungola Jae con cinismo. «Non fare così lo schizzinoso e impara a servirti da solo se vuoi sbronzarti di prima mattina!» Gli vede fare una smorfia, così si riappropria della tazza di caffè e lascia il cellulare sul tavolo per raggiungerlo in salone. «Senti, Rich...»
«Mh?» Solleva lo sguardo su di lui e lo guarda con fare interrogativo.
«Da quand'è che bevi così tanto?»
«Che domanda stupida...» borbotta l'interpellato. Distoglie gli occhi da Jae, dal suo cipiglio contrito e dalle sue labbra strette, serrate, quasi preoccupate. Finisce di riempirsi un bicchiere con dello Scotch, infine gela sul posto e a causa della seguente domanda di Jae:
«Lo fai per Benjamin?»
«No» dice. Forse mente, perlomeno in parte. «Lo faccio per me» scandisce. «Annotalo nel curriculum per il personaggio che devi creare a mia immagine e somiglianza, Jae: Io bevo per ricordare chi sono, non per dimenticare chi sono gli altri.»
«Non mi piace come citazione» schiocca.
«Detto da chi frequentava il Freeze e viveva sotto un ponte...» inizia, venendo subito frenato dall'occhiata di Jae. E deglutisce a vuoto, con le labbra schiuse e lontane dallo Scotch, mentre sente le dita di Jae serrarsi sul polso.
«A parte questo non sai nient'altro di me» dice. «Quindi non azzardarti a dire stronzate o a prendere le mie parole alla leggera, stronzetto viziato.»
«Te lo scopi questo stronzetto viziato» sibila indispettito.
«E tu dici cazzate su cazzate: ti nascondi dietro un abito firmato, dietro i soldi sporchi del tuo conto in bagna, dietro una facciata da bastardo figlio di papà...» mormora. Stringe le dita più forte e lo costringe ad abbassare il braccio fin quando non sente cadere in terra il bicchiere di Scotch. Allora aggiunge: «Hai perso l'affetto di tuo zio perché continui a rompergli le palle dopo una scopata tra ubriachi, hai iniziato a fare stronzate per attirare la sua attenzione e hai anche mandato a puttane l'unico amico che avevi, Rich!»
«Non farmi la paternale» sillaba. Ha lo sguardo velato, turbato. Le parole di Jae iniziano a martellargli nella testa e solo perché c'è qualcosa che mormora: Ha ragione lui.
«Io vengo da Detroit, mi sono fatto il culo sui banchi di scuola e l'ho mollata prima del diploma solo perché avevo le palle piene delle paternali della gente» sibila. «Me ne sono andato in piena notte e ho lasciato mia madre alle prese con uno stronzo del cazzo.» Si ferma, osserva il cipiglio interrogativo di Richard e quasi si trattiene dal ringhiargli addosso il resto della propria realtà. Tuttavia è un fiume in piena e non riesce a fermarsi: «Alcol, droga, prostituzione... Ho mandato la vita a puttane. Più guadagnavo e più spendevo, più spendevo e più non avevo niente di cui vivere. Alcune volte mi sono trovato senza un soldo – derubato nell'incoscienza, divertente! E non mi è mai passato per l'anticamera del cervello di tornare indietro, no davvero. Perché non mi è mai piaciuto indossare i vestiti di mia madre e non mi è mai piaciuto assecondare i capricci di quello stronzo del cazzo!» Si ferma ancora. Il respiro corto, un po' affannato, e lo sguardo infiammato che si punta su Richard. «Ma se potessi cambiare qualcosa, lo farei: tornerei indietro per abbracciare mia madre e sorbirmi tutte le paternali del mondo – dei professori, perfino dello psicologo della scuola.»
«Perché non lo fai, allora?» Chiede. Deglutisce e ha quasi paura della risposta. «Chase ha detto di lasciare Pittsburgh...»
Jae schiocca la lingua. «Perché una volta l'ho fatto davvero» dice. «Ho parlato con un tipo di Monroe e mi sono detto: Torna indietro, che vuoi che succeda! Ho messo da parte qualche soldo, sono tornato a Detroit, infine sono passato fuori casa e ho visto un cartello che diceva: Vendesi. Ci ho messo un paio d'ore per scoprire che mia madre era stata accoltellata una settimana prima, solo due ore. Lo stronzo del cazzo era stato arrestato tre giorni dopo, ma aveva comunque mandato in frantumi la mia ultima chance. È così che sono arrivato fin qui ed è così che ho continuato a vivere – con i sensi di colpa, con l'idea che una paternale ben fatta avrebbe potuto salvare il mio piccolo mondo del cazzo.» Vede Richard schiudere le labbra, così dice: «Ora sai qualcosa di me.» Gli lascia il polso, poi distoglie lo sguardo e scola l'intera tazza di caffè con un paio di sorsate.
«Che stai cercando di dirmi?» Chiede in un soffio. Deglutisce, si umetta le labbra, si sente perfino in difetto, ma non dice: Mi dispiace – no, perché lui è il primo a detestare la pietà della gente!
«Sto cercando di dirti che hai ancora un posto dove andare e delle persone a cui chiedere scusa, stronzetto viziato!» Jae schiocca la lingua, si accende un drum già rollato e si allontana dal salone senza nemmeno ripulire il pavimento.
Richard sposta lo sguardo verso il basso, osserva i pezzi di vetro e sente l'odore dello Scotch salirgli fin dentro le narici. Serra i denti, infine chiude gli occhi e si lascia andare a un grugnito basso. Quando prende il telefono è per scrivere a Benjamin – oh, sa che non risponderebbe a una sua chiamata dopo la litigata dell'altro giorno! «Mi dispiace davvero per quello che ho fatto, sono uno stronzo» mormora. E indugia con il pollice a pochi millimetri dallo schermo dell'iPhone, si sente un completo idiota. Poi prende un bel respiro, chiude gli occhi e invia l'sms.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top