Gioco
I passi frettolosi che mangiano l'asfalto dello Strip District, che si affannano lungo Railroad Street e poi virano a destra, nella Venticinquesima. Si fermano. Richard Dragon cerca di ricapitolare la situazione e non ci riesce. Sente il cervello ridotto in poltiglia, i polmoni affaticati, pieni d'aria, e la testa su di giri. Nelle narici, ancora l'odore del sangue di suo zio Benjamin.
Tutt'attorno vige un'infinità fatta di facce sconosciute e luccichii, paillettes, lampioni accesi.
Deglutisce a fatica e sente la gola secca, arsa. Con le fauci impastate di sensi di colpa, infine, solleva una mano per fermare un taxi. E volge un'occhiata a destra, a sinistra, perfino alle sue spalle. Sospira, finalmente certo di aver guadagnato uno stacco abbondante su Steven, il cane da guardia numero sedici. Così si avvicina alla vettura gialla e apre lo sportello posteriore con uno scatto.
«Dove siamo diretti?» Il tassista sembra scocciato. È un uomo robusto, con la faccia mal rasata e gli occhi stanchi. La voce gratta sulle note di una canzone qualunque che passa alla radio e raggiunge Richard con qualche secondo di ritardo.
«Liberty Avenue» dice. Non aggiunge altro, anzi: in silenzio, con le braccia incrociate, fissa fuori dal finestrino. Gli occhi attenti, guardinghi, mentre l'auto è ferma, bloccata nel traffico. «Di corsa, per favore» sbotta d'un tratto. E sposta lo sguardo verso lo specchietto retrovisore, cerca di minacciare indirettamente il tassista, infine incenerisce il semaforo che brilla dietro il parabrezza.
«Certo, certo» mormora l'interpellato. «L'accontenterei pure, ma non ho la bacchetta magica» grugnisce. L'ironia che brilla sullo specchietto retrovisore, che fa serrare i denti a Richard.
«Dovrebbero darla in dotazione qui a Pittsburgh» schiocca. Lo sente ridacchiare, poi percepisce lo sbuffo del motore e non aggiunge altro. Il semaforo sembra essersi deciso ad ascoltarlo, così si tranquillizza e infila una mano in tasca. Cerca il portafogli, le sigarette e l'accendino. È tutto al suo posto, eccetto la fede che gli stringe fastidiosamente l'anulare sinistro. Storce il naso in una piccola smorfia e riprende a mordicchiarsi l'interno delle guance. È insofferente, troppo conscio di poter raggiungere Liberty Avenue a piedi, eppure non accenna ad abbandonare il taxi. Nell'anonimato di questa vettura gialla, in fondo, è solo un puntino fra tanti, un'ombra della Venticinquesima.
La voce bassa del tassista lo riscuote con un: «Perché proprio Liberty Avenue?»
«Come?» Richard batte le palpebre. Si sistema meglio sul sedile posteriore e artiglia quello anteriore per sporgersi in avanti.
«Perché proprio Liberty Avenue?» Ripete.
Richard ghigna, trattiene a stento una risata frustrata, infine torna ad aderire con le spalle al sedile. «Mi sta dando del finocchio?» E schiocca la lingua, non riesce a trattenere l'ilarità che gli smuove le spalle.
«No...» Il tassista borbotta qualcosa come una sequela d'inutili negazioni.
«Peccato» dice Richard. «Pensarlo le avrebbe fatto guadagnare la mancia.»
«Allora ritratto» scherza il tassista.
«Troppo tardi, spiacente» lo liquida Richard. Muove una mano, gesticola con una punta di divertimento, infine continua a parlare con fare laconico: «Ma questo finocchio potrebbe improvvisamente cambiare idea se solo lei tirasse fuori la bacchetta magica.»
«Vale a dire?» Il tassista solleva un sopracciglio, sembra aver appena udito qualcosa di assurdo, una proposta indecente.
Richard ride. «Vale a dire sbrigarsi. Liberty Avenue non è così distante...» scandisce.
«Ricevuto.»
E l'auto gialla riparte lungo la Venticinquesima. Un quarto d'ora dopo si ferma all'incrocio con Liberty Avenue e fa sospirare Richard Dragon che subito tira fuori un paio di banconote dal portafogli per allungarle tra i sedili anteriori.
«Va bene qui» dice. Guarda la Venticinquesima dallo specchietto retrovisore, poi scende senza aggiungere altro e senza nemmeno aspettare la ricevuta.
«E la mancia?» Il tassista si affaccia dal finestrino con aria crucciata.
«Niente bacchetta magica, niente mancia» schiocca Richard. Infila le mani in tasca e fa spallucce. «Alla prossima» aggiunge. Solleva il mento con fare sprezzante, poi attraversa sulle strisce pedonali e ignora il tassista, l'auto gialla, perfino lo sferzare del vento serale sulla giacca sbottonata. Continua a bruciare l'asfalto, il marciapiede, e sorvola sulle occhiate di molti, sul vociare confuso che gli rimbomba nelle orecchie. Torna a pensare a Benjamin e grugnisce. «Dovevi farti i cazzi tuoi, zio Ben» borbotta tra sé e sé, echeggiando le sue parole. «Sì, dovevi proprio farti i cazzi tuoi...»
«Rich!» A chiamarlo è una voce conosciuta, fastidiosa, forse troppo alta.
Richard solleva lo sguardo verso destra, sulla Golf metallizzata che costeggia il marciapiede. «Chase» dice. Lo identifica subito e senza fatica, mentre questi si sistema la montatura a giorno sulla sommità del naso.
«Che ci fai da queste parti?» Domanda. Quasi sbotta a ridere, stranamente confuso dalla presenza dell'amico. «Non ti sei appena sposato?»
«Chiudi il becco.» Richard scuote la testa, infine torna a guardare di fronte a sé.
«Benjy dov'è?» Accosta subito e fa sbuffare Richard.
«All'ospedale» sbotta. «Perlomeno spero» dice tra sé e sé.
Chase corruga subito le sopracciglia, poi schiude le labbra e le richiude senza trovare le parole giuste. Infine, come colto da un'improvvisa ilarità, ridacchia a denti stretti. «Stai scherzando» dice. «Avanti, Rich...» Si chiarisce la voce e fa un cenno con il capo per indicare il sedile vuoto accanto al suo. «Sali, ti accompagno da Zack.»
«Davvero?» Richard sembra soppesare l'idea. Si avvicina alla Golf e lo vede annuire dietro il finestrino abbassato. Il profumo del dopobarba di Chase gl'invade le narici di botto e lo convince, chissà come – forse lo stordisce. «Grazie, Chase.» Si guarda attorno, le mani ancora in tasca. Gira attorno alla Golf, poi apre lo sportello e sale senza pensarci due volte.
«Dove hai lasciato Benjy?» Chiede subito, mettendo in moto e tornando a costeggiare il marciapiede della Liberty Avenue.
«Te l'ho detto» grugnisce. «No, non te l'ho detto» constata, osservando le sopracciglia sollevate di Chase. «Eravamo sulla Railroad Street, nel pieno dei festeggiamenti...» inizia, venendo subito interrotto.
«Ti sei sposato davvero?» Chase strabuzza gli occhi, per poco non frena. La Golf sobbalza, poi sbuffa e torna a procedere come niente. «Insomma, mi stai dicendo che adesso sei sposato con quella lì?»
«Tera Evans, sì» conferma a malincuore Richard. «Zio Ben mi ha fatto uscire dal retro prima del brindisi, ma mio padre ha sciolto il cane da guardia numero sedici.»
«Te la sei data a gambe?» Chase trattiene una risata compiaciuta e continua a guidare. Gli occhi attenti sulla strada, le mani ben strette sul volante.
«Ovvio.» Richard annuisce, poi storce le labbra in una smorfia strana, dispiaciuta. «Solo che zio Ben mi ha raggiunto sul retro – sai com'è fatto Gordon Dragon, no? Non si fida nemmeno dei suoi sottoposti.» Lo vede annuire e deglutire, così sa di poter proseguire senza intoppi. «Ecco, ho dovuto metterlo fuori gioco prima del ritorno di Steven.»
«Chi sarebbe Steven?»
«Numero Sedici» mormora.
«Capito.» Chase solleva le spalle in segno di resa, poi pare ripensare alle parole di Richard e aggrotta le sopracciglia giustappunto in prossimità del locale preferito da Benjamin. «Aspetta, cosa significa che hai dovuto metterlo fuori gioco?» Chiede.
«Senti, Chase...» inizia Richard, sbuffando. «Ho abbandonato la festa nel momento del brindisi, ho offeso gli Evans prima di quel cazzo di taglio della torta...»
«Ho capito, Rich» sillaba Chase. Lo guarda. Le sopracciglia che quasi si toccano fra loro e gli occhiali un po' scesi lungo il naso dritto. «Ma cosa cazzo è successo a Benjy?»
«Trauma cranico, forse» minimizza.
«Hai steso Benjy?» Sembra incredulo. Strabuzza gli occhi e continua a fissare Richard con la bocca spalancata.
«Dovevo farlo, Chase» obietta. «Non piace neanche a me l'idea, sai?» Schiocca la lingua e incrocia le braccia al petto. «Mio padre gli avrebbe fatto la pelle se non fossi rientrato – e non avevo alcuna voglia di rientrare.»
«Ma che cazzo!» Chase scatta, batte un palmo sul volante e si rivolge a Richard nel pieno della sua crudezza: «Non avevi motivo di lasciare la festa, Richard. Ti sei sposato, no? È tardi per certe sparate.»
«E pensi che non abbia fatto niente per mandare all'aria questo matrimonio di merda?» Grugnisce l'interpellato. Sa che quando Chase usa i nomi completi è in bilico tra la lucidità e la perdita di controllo, ma non ci fa caso e continua: «Zio ben era d'accordo con questa fuga ritardata, comunque.»
«E per questo si è meritato un trauma cranico?»
«No, per non finire in un sacco nero a galleggiare lungo l'Ohio.» Lapidario, Richard sgancia la cintura di sicurezza e precede Chase fuori dalla Golf.
«Aspetta, Richard!» Scende dall'auto e attiva l'allarme. Poi gli è subito dietro. Spalle dritte, occhi attenti e lingua tagliente. «Sei scappato per spostare i tuoi fottuti problemi sulla Liberty Avenue?»
«Sono venuto a trovare Zackary al posto di zio Ben, tutto qui.»
«Tutto qui?» Echeggia Chase. Lo frena per un braccio e lo costringe a votarsi nella sua direzione. Abbassa il tono e lo fissa direttamente negli occhi. «Fammi capire bene: tramortisci tuo zio per venire qui a spassartela con il suo amichetto?»
«Non proprio.» Richard tentenna, si mordicchia l'interno delle guance e vede Chase sollevare le sopracciglia con fare perplesso. «Non la metterei su certi toni, ecco.»
«Ah, no?» Chase storce le labbra in un'espressione contrariata. «Ti conosco da troppo per bevermi una stronzata del genere, Richard.»
«Cosa vuoi che ti dica, sentiamo.» Sbuffa con fare infantile e fa strusciare la suola delle scarpe sull'asfalto. Poi si accende una sigaretta e solleva le sopracciglia con fare angelico, porgendo il pacchetto a Chase che, prontamente, rifiuta l'offerta.
«Lo sai che non fumo» borbotta.
«Non è mai troppo tardi per iniziare a farlo.»
«E questa dove l'hai sentita?» Si lascia sfuggire un'esclamazione divertita, poi schiocca la lingua, scuote la testa e torna all'argomento principale: Benjamin. «Stai cambiando discorso» dice.
«Touché.» Richard sbuffa una nube grigia in faccia a Chase e lo vede storcere il naso con disappunto. «Sono venuto qui a festeggiare le manette dei Dragon» spiega. Solleva la mano sinistra e fa rilucere la fede d'oro bianco sotto il lampione vicino. «E a salutare gli amici, tutto qui.»
«E Zackary» conclude Chase.
«E Zackary» conferma Richard, annuendo.
«Che non è un tuo amico» gli ricorda con fare laconico. «Quindi sei venuto qui per avvisarlo del trauma cranico di Benjamin? Sei venuto qui per chiedergli scusa e indirizzarlo all'ospedale?»
«Diciamo» mente.
Chase scuote la testa con disappunto. «Non ti credo» dice subito. Lascia andare il braccio di Richard con un po' di ritardo e solo per allontanarsi dalla nube di fumo che lo attornia. «Non gli dirai una parola su quello che è successo a Benjamin, vero?»
«Non è detto, dipende dal discorso...» divaga.
«Che discorso pensi di fare con uno spogliarellista?» Schiocca la lingua, seccato dall'incoerenza delle parole di Richard. Poi si sistema gli occhiali sulla sommità del naso e passa a massaggiarsi una tempia.
«Stai dando dell'idiota a Zackary perché fa lo spogliarellista?» Domanda, trattenendo a stento una risata che gorgheggia di fumo.
«Non ho dato dell'idiota a Zack, ho solo detto che sta lavorando.»
«Tanto meglio» si lascia sfuggire Richard, subito puntato dal dito indagatore di Chase. E sbuffa ancora, rotea gli occhi. Colto in fallo, solleva le spalle con noncuranza e dice: «Gli faccio entrare un po' di grana.»
«Solo quella?» Chase arriccia le labbra.
«Solo quella» conferma Richard, portandosi la sigaretta alle labbra. Gesticola con nonchalance, poi aggiunge: «Vuoi controllare, forse?» Il ghigno beffardo ben stampato in voto e lo sguardo divertito, provocatorio.
«No, grazie» scandisce Chase. «Non voglio saperne niente degli affari interni dei Dragon.»
«Bene» sillaba Richard, dandogli le spalle.
«Bene!» Chase solleva la voce. «Anche se un grazie per il passaggio sarebbe gradito.»
«Grazie per il passaggio» echeggia l'interpellato, sollevando la mano con la sigaretta in segno di saluto. La fa ondeggiare elegantemente, mentre infila la sinistra in tasca per sfilarsi la fede. E si allontana senza aggiungere altro, senza guardarsi indietro, saltando direttamente la fila per presentarsi alle spalle del buttafuori del locale con un sibilino: «Sono Richard Dragon, fammi passare.»
Questi si vota nella sua direzione e strabuzza gli occhi. «Dragon?» Domanda. Lo vede annuire e deglutisce. Così serra i denti e si schiarisce la voce. Stacca il cordone rosso dal palo di metallo e lo fa passare. «Prego» dice. Dietro di lui si leva qualche borbottio irritato che subito mette a tacere con un tonante: «Silenzio!»
Richard ghigna con fare divertito, deciso a lasciarsi alle spalle quel piccolo incidente del trauma cranico. E si fa largo nell'ingresso, scende la scala di vetro, osserva i tavolini vermigli con aria trasognata. «Casa dolce casa» soffia.
Conosce bene il posto, anche se definirlo casa è lievemente azzardato. È il primo locale in cui ha messo piede con suo zio Benjamin poco dopo il coming out, lo stesso in cui ha visto Zackary mezzo nudo e ancora quello in cui si è fatto fare un pompino da uno spogliarellista sul retro.
Le note aguzze di un qualche sound remixato gli riempiono le orecchie e lo rendono sordo, ebbro di vita, mentre questi si fa largo verso i primi posti e schiocca le dita accanto alla testa di un tizio qualunque. «Muovi il culo, bello» sibila. «Questo tavolo è dei Dragon.» Sorride, sembra quasi affabile, ma lo vede impallidire e gettare un'occhiata spaventata al cameriere vicino. Così Richard si avvicina al ragazzo in questione e gli mormora all'orecchio: «Mi sta occupando il tavolo, fallo alzare.» E gl'infila una banconota nella cintura dei pantaloni. Sorride di nuovo, più malizioso. «Richard Dragon, piacere.» Non gli porge la mano, si presenta a parole e ruba letteralmente il Martini dal vassoio che ha in mano.
«È un tavolo riservato» spiega il cameriere con tono impacciato, rivolgendo un'occhiata eloquente al tipo seduto. «Mi dispiace per l'equivoco, Signore.»
«Nessun problema» borbotta questi. Non pare convinto, anzi. Storce le labbra in un moto di rabbia e restringe gli occhi fino a renderli due fessure. Guarda Richard, poi posa i soldi sul tavolo e si alza senza aggiungere altro.
«Grazie» schiocca subito Richard, prendendo posto dinanzi al palco di Zackary. Si porta il Martini alle labbra e, accavallate le gambe, sorseggia piano.
«Dov'è Ben?» La domanda di Zackary è un sussurro che si sporge dal palco, un movimento lento delle labbra.
Richard fa spallucce, continuando a sorseggiare il Martini con nonchalance.
«Che sei venuto a fare, Richard?» Chiede ancora, avvicinando il proprio volto a quello dell'interpellato. È in terra, con i gomiti posati sul palco e i capelli scomposti. La fronte imperlata di sudore, i muscoli delle spalle ben oliati.
«A salutarti» dice. «Ti dà fastidio, forse?» Solleva una banconota spiegazzata e posa il Martini sul tavolo. Vede Zackary arricciare le labbra in un moto di ribellione e ghigna di rimando.
«Non voglio i tuoi soldi, Richard» sbotta in un sibilo scocciato, sentendo la banconota sfiorargli il mento.
«Perché? Sono gli stessi di zio Ben» replica. Rimane fermo, con il braccio ben teso e la banconota a mezz'aria.
«Dov'è Ben?» Chiede ancora Zackary. Quando lo vede sollevare gli occhi al cielo, allora, si alza in piedi. Non chiede altro, continua semplicemente il suo spettacolo e cerca di non guardarlo negli occhi neppure per errore.
«Ti faccio così schifo?» Una domanda legittima, almeno a detta di Richard che continua a fissarlo con un cipiglio contrito.
«Non è questo il punto» mormora Zackary. Le ginocchia in terra e i palmi ben premuti sull'addome scolpito.
«E qual è?» Richard non gli toglie gli occhi di dosso, tant'è che alla fine riesce a intercettare i suoi e ghigna compiaciuto. «Sono troppo giovane?»
«Non fare l'idiota...» Zackary reclina la testa all'indietro, fa scorrere le proprie dita verso la biancheria succinta. Non è affatto imbarazzato, anzi. È abituato agli sguardi della gente, solo che detesta quelli di Richard.
«Allora qual è il punto?»
Sentendo questa domanda, Zackary sospira. «Non mi piace il gioco a cui stai giocando» dice piano. Le dita che sfiorano il pube, poi quelle di Richard che si allungano e s'intromettono per infilare la banconota ben stesa dietro l'elastico.
Richard sorride. «Anche tu sei in gioco, Zack.»
Il problema di Zackary è la consapevolezza, perché c'è poco da essere allegri quando si è intricati nei giochi dei Dragon.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top