Fede
Il sapore dei baci di Zackary è inebriante, proibito. Assomiglia per paradosso a quello dei biscotti che preparava Fidelia, la domestica dei Dragon, quando Richard era ancora un bambino. Ma non sa di zucchero, né di cioccolata. È inspiegabile, forse – come si può spiegare a parole il gusto della sfida?
A Richard, in fondo, non interessa. No, a lui basta mordere le labbra di Zackary, sentirlo grugnire e infine ricambiare. Gli basta far scorrere le dita sulla sua nuca sudata, fra i capelli scomposti e ramati che sembrano seta, per sentirsi un re. E al diavolo la ragione, al diavolo Benjamin, Gordon, Tera Evans. Non esiste sensazione più bella di questa per far scorrere l'adrenalina nelle vene dilatate di Richard Dragon.
«Che bastardo» ringhia Zackary. Le labbra turgide, umide di baci, e le narici allargate. «Sei davvero un figlio di puttana, Richard.»
«Cassandra non sarebbe così contenta di sentirtelo dire» soffia l'interpellato. La bocca schiusa, vicino all'orecchio di Zackary, e la mano destra che armeggia con i sui jeans slacciati.
Sul retro del locale, nella stanza scura in cui tutto sembra possibile, perfino Richard pensa di poter sfuggire alle leggi non scritte dei Dragon. E si fa beffe del buon cuore di Benjamin, della sua testa spaccata sul marciapiede, perfino della riluttanza di Zackary. Crede di poter avere tutto, ma sa che nelle sue mani c'è solo il niente – o forse no, non proprio niente.
«Tieni a bada le mani, stronzetto viziato» sibila Zackary. Sposta una mano per allontanare quella di Richard e percepisce distintamente la sua presa farsi più ferrea. Quasi boccheggia, grugnisce. Il sesso stretto da Richard e il dolore che lo pugnola lungo tutta la colonna vertebrale. Ha la vista appannata e la voce roca, mentre dice: «Non mi va di farlo.»
«Bugiardo» schiocca Richard. «Lo hai già fatto una volta, Zack. E ti è piaciuto, non mentire...» Si umetta le labbra che sanno ancora di Martini e, dimentico del sapore di Zackary, cerca di nuovo le sue labbra.
Questi sposta la testa, rifiuta il contatto e sbuffa a denti stretti. «Me ne frego del tuo cognome del cazzo, Richard» scandisce. «Ti ho detto che non mi va di farlo, non di nuovo.»
«La prima volta eri ubriaco, forse?» Domanda piano l'interpellato. È ironico, cinico. Sente l'eccitazione di Zackary dietro i boxer e stenta a credere alle sue parole. «Ti ricordo lucido, voglioso come una puttanella...»
«Modera i toni» lo rimprovera Zackary. Sente il suo fiato sul collo e socchiude le palpebre. Nel buio della stanza, Richard gli sembra solo un'ombra. E ci pensa, si morde le labbra, sa che potrebbe anche accontentarlo. La verità è che non vuole – ma non lo ha forse già detto? Allora imbocca la strada della provocazione diretta e dice: «Dovresti essere a casa tua, Richard. Cos'è, la tua sposina non ti soddisfa abbastanza?»
«No, non mi soddisfa per niente» replica, per nulla toccato dalle parole di Zackary. «Non ha il cazzo duro come il tuo» lo sbeffeggia. Trattiene una risatina e gli morde la mandibola.
«Reazioni fisiologiche» si giustifica. Poi schiocca la lingua, posa una mano sulla sua spalla e lo allontana con uno spintone. Non riesce a vederlo in faccia, ma è certo di avere addosso i suoi occhi irritati, feriti, oltraggiati. Così deglutisce. «Adesso vattene, Richard» scandisce. Sente il terrore farsi largo dentro di sé e i brividi percorrergli la schiena.
«Devo pagarti come zio Ben?» Chiede in un ringhio. «Quanto vuoi per una scopata?»
«Vattene e basta» sibila Zackary.
«Quanto ti paga?» Continua noncurante. Si abbassa a tanto per distrarlo, per farlo scattare con una mano sulla parete nera. E vede la sua sagoma confondersi, gesticolare, mentre lui si china in terra e si trattiene sui calcagni.
«Non mi paga» mente.
«Quante cazzate dici, Zack» schiocca Richard, abbassandogli i boxer con uno strattone esplicito. Le labbra non si muovono più per parlare, per rimbeccarlo, ma ber lambirgli la punta dell'erezione con nonchalance.
«Richard, cazzo!» Sbotta Zackary. Forse arrossisce, forse sospira. Non lo sa neanche lui. Ama il modo in cui Richard si confonde nell'oscurità della stanza, il modo in cui lo fa scorrere nella bocca e perfino quello con cui succhia. È avido, perentorio, proprio come Benjamin. Così annaspa e serra le palpebre con forza. Quasi si morde la lingua, vuole zittirsi. Ma il respiro si fa pesante e in un attimo è pronto a confondersi con gli atri, con l'eco che batte a destra e a sinistra sulle pareti nere della stanza. «Basta, smettila» dice. La voce mozzata e le mani ben strette sulle spalle di Richard. «Smettila, Richard!» Alza il tono, annaspa, poi sente dei passi farsi più vicini e repentini. Deglutisce a vuoto e serra i denti.
«Rich...» A parlare è Benjamin Dragon.
L'interpellato trasalisce, mentre Zackary batte un palmo sulla sua giacca elegante. Tuttavia nessuno dei due parla – non subito, almeno. «Come stai, zio Ben?» Chiede Richard, abbandonando il membro eretto di Zackary. Solleva lo sguardo sulla figura alla sua destra e accenna un sorriso tirato che Benjamin non riesce a vedere. Poi si sente strattonare per un braccio e torna in piedi. «Piano, piano...» borbotta. «Non t'incazzare, d'accordo» continua.
Per un attimo Zackary si sente andare a fuoco dalla vergogna. Gela sul posto, con le spalle schiacciate sulla parete nera, e deglutisce a vuoto. Prega che Benjamin non lo abbia riconosciuto, che non si sia accorto della sua voce, ma è tutto inutile – come potrebbe confonderlo con qualcun altro?
«Chi ti ha detto di mettere le mani addosso a Zack?» Sibila.
«Tecnicamente non gli ho messo le mani addosso» obietta Richard. Poi trattiene il fiato a sua volta e si morde le labbra. Sente ancora il sapore di Zackary e vorrebbe mandare al diavolo Benjamin, ma si trattiene e solleva le mani in segno di resa. «Non lo faccio più, giuro» soffia.
«Tu e le tue promesse del cazzo» sbotta Benjamin.
«Come va la testa?» Domanda, sentendosi spintonare fuori dalla stanza dalle mani di Benjamin. «Ti sei rimesso in fretta, vedo...»
«Chiudi il becco» fa lapidario.
Zackary si sistema i pantaloni con non poca fatica, poi tentenna. Infine, chissà come, decide di seguirli. Lo chiama piano: «Ben...» E non ode alcuna risposta, così si sente in difetto, colpevole quanto basta. Serra i pugni lungo i fianchi, ma non molla la presa e continua a camminare verso l'uscita della stanza. «Ben, scusami» dice.
«È colpa di questo stronzo, lo so» risponde l'interpellato, spingendo Richard per indirizzarlo verso l'uscita. «Non sa più come darmi ai nervi, ecco tutto.» Si ferma sull'uscio della porta che conduce al locale e inspira a fondo. Si lascia andare a un sospiro rassegnato e rivolge lo sguardo nella direzione di Zackary. Vede la sua sagoma a meno di un metro di distanza, così solleva una mano per carezzargli una guancia e ci riesce senza troppe difficoltà. «Ti chiedo scusa» soffia.
«Ben...» Zackary cerca di trovare le parole adatte, ma prima ancora che possa giustificarsi si trova a dover chiudere gli occhi. Inondato dal fascio di luce del locale, allora, deglutisce e socchiude le palpebre. Un attimo dopo è di nuovo al buio, lontano da Benjamin e da Richard. «Maledizione!» Schiocca a denti stretti. E dà un calcio alla porta, privo di qualsiasi altro termine.
Fuori dal locale, Benjamin Dragon continua a stringere il braccio di Richard con fare convulso, irritato. Ha la nuca sporca di sangue e il colletto della camicia che spicca un po' rosso, quasi maculato, dal collo della giacca elegante. Quando si volta a guardare Richard ha gli occhi in fiamme. Lo vede sussultare e non dice una sola parola.
«Zio Ben, stai bene?» Chiede questi. Le labbra arrossate e il volto pallido, quasi cereo. Sente il timore farsi largo dentro di sé, ma prova a non darlo a vedere. «Mi dispiace per quello che ho fatto prima, davvero...»
Benjamin lo interrompe, dice: «Ti riferisci alla testa sull'asfalto, al pugno che mi hai dato o al fatto che volevi scoparti Zack?»
«A tutto» borbotta confuso. Batte le palpebre e nota l'ematoma sullo zigomo di Benjamin, così abbassa lo sguardo e si sente nuovamente un'idiota. «Non so perché l'ho fatto, l'ho fatto e basta» ammette in un soffio.
«Non mi frega un cazzo delle tue alzate di testa, Rich» sbotta. «Devi solo riuscire a ridimenzionarle.»
Richard solleva un sopracciglio con fare confuso. «Vale a dire?»
«Vale a dire che Gordon mi ha accompagnato fin qui per riprenderti» sibila. «La vedi quella macchina laggiù?» E solleva una mano, indica l'Audi color notte che è ferma all'incrocio con le quattro frecce lampeggianti. «Dentro c'è tuo padre ed è più incazzato di me. Sa che tipo di divertimenti ti passano per quel cervello bacato, sa dove trovarti e sa che io lo avrei indirizzato proprio qui. Con o senza di me, Gordon ti avrebbe trovato a Liberty Avenue...»
«Potevi indicargli un altro posto» ringhia Richard. Tenta la fuga nella direzione opposta, ma subito si ferma e indurisce lo sguardo.
All'uscita del vicolo, Steven lo fissa con aria truce.
«Ti avrebbe trovato lo stesso» ripete. Questa vota parla con più enfasi, mentre il nervosismo latente si fa vivo in un grugnito. «Magari con il cazzo di Zack in bocca. Bello, no?» Schiocca a lingua. «Avrebbe fatto fuori tutti e due, probabilmente...» E la sola idea sembra imbestialirlo. È livido di rabia, mentre scandisce: «Non ti permetto di metterlo nella merda solo per un capriccio.»
«Ricevuto» sibila a denti stretti. Ritira il braccio dalla presa di Benjamin e lo fa in uno scatto irritato. «Ti dà fastidio essere messo a paragone con il tuo miglior allievo, zio Ben, ho capito» mormora in un ghigno, cinicamente. E lo vede scattare nella propria direzione, afferrarlo per la giacca con un evidente impeto di frustrazione.
«Non...» inizia, ma viene subito frenato dalle parole di Richard:
«Non lo dirò a papà, tranquillo.» Batte le palpebre, poi sospira. «Non l'ho mai detto prima d'ora e non sono così stupido da farlo adesso...» Deglutisce, infine aggiunge: «Puoi tenerti Zack, zio Ben. Volevo solo ricordarti che esisto anch'io.»
«Cazzate» sbotta l'interpellato. «Lo so bene che esisti, cosa credi» borbotta alle sue spalle, indirizzandolo verso l'Audi.
«Pare che tu te ne sia dimenticato, però» soffia.
«Rich, basta» lo ammonisce. «Non adesso.»
«Va bene» dice. «Quando vuoi, zio Ben, quando vuoi...» Storce le labbra, conscio che di qui a breve si troverà di fronte a un Gordon Dragon nero di rabbia. E deglutisce, tentenna, fa stridere le suole eleganti sull'asfalto. «Ti prego, non portarmi a casa» mormora. Nella sua voce c'è una nota di terrore. «Non farmi entrare là dentro, zio Ben.»
«Sei figlio unico, Richard» gli ricorda Benjamin in un soffio. «Te la caverai proprio per questo.» E non aggiunge altro, si sente colpevole quanto basta per serrare i denti e lasciare che sia Richard ad aprire la portiera dell'Audi.
«Ciao, papà» schiocca subito. Tira un sospiro di finto sollievo e prende posto accanto a Gordon Dragon. Gli occhi bassi, le mani in tasca. Cerca la fede d'oro bianco che non trova più. E impallidisce, si morde l'interno delle guance, infine scorre sul sedile per fare spazio a Benjamin. Non dice altro, né sente il saluto di Gordon.
Pochi istanti di silenzio, poi il rimprovero tonante di quest'ultimo: «Testa di cazzo che non sei altro!»
«Anch'io sono felice di rivederti» ironizza con un sorriso tirato. Giusto il tempo di sollevare il viso verso Gordon che subito si sente voltare di lato da un manrovescio. Resta zitto, ammutolito, con la lingua che sa di sangue e dignità distrutta. Allora serra i denti e respira a fondo, mentre le parole di Gordon rimbombano nell'Audi:
«Cosa credevi di fare abbandonando la tua cena di matrimonio, eh? Hai colpito Steven, poi hai aggredito tuo zio e te la sei data a gambe nella strada dei finocchi! Cazzo!»
«Scusa» dice soltanto.
«Oh, non scusarti» risponde subito, prontamente. «Lo rifaresti altre cento volte, forse mille. E lo sai perché? Perché sei un coglione, un idiota!» Lo vede annuire a denti stretti e quasi diventa paonazzo. Si trattiene dallo strangolarlo solo perché è il suo unico figlio, il suo unico erede. Scrocchia le dita della mano destra, infine lo vede sobbalzare. «Per fortuna non gli hai spaccato la testa» sibila minacciosamente, avvicinandosi al viso di Richard e indicando suo fratello Benjamin. «Un taglietto da niente, è abituato...»
«Tanto meglio» borbotta Richard, vedendo gli occhi di suo padre infiammarsi. «Voglio dire... Non mi piace alzare le mani sui membri della famiglia.»
Gordon schiocca la lingua in un moto di fastidio. Sembra deluso e amareggiato, mentre lo appella con un: «Femminuccia.»
Benjamin sospira. «Lo abbiamo trovato, no?» Guarda Gordon con un sopracciglio sollevato, poi aggiunge: «Non serve infierire.»
«Non è neanche capace di picchiare qualcuno, Ben» scatta l'interpellato. E si rivolge all'autista, dice: «Torna a Railroad Street.»
«Oh, andiamo!» Richard incrocia le braccia al petto e corruga le sopracciglia. «Perché diavolo devi riportarmi lì?»
«Per il taglio della torta.»
«Per il taglio della torta» scimmiotta Richard. Una smorfia di fastidio gli dipinge il viso con pennellate grezze, non riesce nemmeno a lasciare spazio alla paura che gli scorre nelle vene quando Gordon si volta a guardarlo negli occhi. «Che c'è ancora?»
«Non farmi il verso, stronzetto!» Solleva un indice e glielo avvicina a una guancia. «Un'altra parola e ti cavo gli occhi» lo minaccia.
Richard chiude le labbra, deglutisce. Sbuffa a denti stretti, mentre Benjamin si schiarisce la voce e sospira con le spalle posate sul sedile.
«Gordon, non spaventarlo» mormora. «Se la darà ancora a gambe se continuerà a sentirsi minacciato.»
«Mi sento comunque minacciato» schiocca Richard. «E toglimi le mani dalla faccia, cazzo!» Sbotta in un moto d'ira, scostandosi Gordon di dosso con uno spintone. «Mi manca l'aria» si lamenta subito. Guarda Benjamin, poi Gordon. È strizzato nei sedili posteriori, spalleggiato dai due pezzi grossi della famiglia Dragon.
«Allora soffoca» lo provoca Gordon. Il naso arricciato in una smorfia schifata. «Pensi davvero che possa farti sedere di lato?»
«A cosa serve la sicura?» Borbotta cinicamente l'interpellato.
«Ti ho detto di chiudere il becco, Rich.» Lo fissa malamente, poi continua con fare laconico: «Adesso tornerai alla festa, taglierai la torta con Tera Evans e un bel sorriso stampato in faccia. Poi resterai fino alla fine della serata, ti farai accompagnare da Steven all'aeroporto e partirai per la luna di miele senza fare strani giochetti.»
«E la lascerò da sola alle Hawaii, prenderò un volo per New York, filerò via dalla tua rete del cazzo» conclude Richard.
«No» dice secco Gordon. Ridacchia tra sé e sé, smette perfino di guardare Richard negli occhi. Scuote la testa, infine si spiega meglio: «Non te ne andrai, non lascerai nessuno da nessuna parte.»
«Ah, sì?» Richard lo provoca con un ghigno beffardo. «E chi te lo assicura?»
«Steven» sillaba.
«Il cane da guardia numero sedici, certo» ridacchia. «Grazie della gentile concessione, papà. Non mi aspettavo un regalo del genere per il mio matrimonio...» Sorride provocatorio e lo vede aggrottare le sopracciglia. «È un così bel ragazzo! Pensavo che dopo Numero Quindici avessi imparato la lezione: mai sfidare un finocchio come me.»
«Richard, basta» lo ammonisce Benjamin.
«Oh, andiamo! Non è certo un segreto di stato, zio Ben» gesticola con nonchalance, totalmente complice della propria provocazione. «Papà lo ha liquidato per questo...» Si ferma all'improvviso, sentendo la stretta di Gordon sul polso.
«Che fine ha fatto a fede?» Domanda. Sorvola su tutto, perfino sugli schiaffi che vorrebbe dare a Richard. Gli occhi incollati sul suo anulare sinistro e uno strano nodo in gola. Digrigna i denti, poi fissa Richard negli occhi e riformula: «Dov'è?»
«L'ho venduta» mente con un'alzata di spalle.
Benjamin si massaggia le tempie, il mal di testa ormai troppo forte per essere calmato con un analgesico. Sospira rassegnato e si prepara a sentire le urla di Gordon Dragon.
«Cosa cazzo hai fatto, Richard?»
«L'ho venduta» ripete noncurante, riuscendo a stento a pararsi da qualche schizzo di saliva. Storce le labbra in una smorfia, poi solleva gli occhi verso il tettuccio dell'Audi e grugnisce di rimando allo stringersi delle dita di suo padre sul polso. «Piano» schiocca.
«Dove l'hai venduta?» Chiede Gordon. Batte una mano sul poggiatesta dell'autista e lo spinge a fermarsi con un ringhio. «Fermo! Cazzo...» Chiude gli occhi, cerca la calma ormai perduta, infine prende un gran respiro e si umetta le labbra. «Dove l'hai venduta?» Domanda ancora.
«A un tizio in strada» mente di nuovo, ma suo padre non se ne accorge. Richard lo capisce subito, mentre lo vede sfilarsi la fede con fare frettoloso per infilargliela all'anulare. «Ma che diavolo fai?» Scatta sul sedile, tenta di ritirare la mano. E non ci riesce, sente il metallo stringersi a forza e superare a stento la nocca. È più stretta, più fastidiosa, lo constata subito.
«Dopo la rivoglio» dice. «Ci aspettano gli Evans, razza d'idiota. Non mi metterai in ridicolo più di quanto non abbia già fatto, no. Nessuna caccia al tesoro...» Serra i denti, poi grida: «Riparti!»
E l'Audi sfreccia verso Railroad Street. Non una parola, solo i silenzio che martella nelle orecchie di Richard e nelle tempie doloranti di Benjamin.
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