Dubbio
L'eleganza di Adele è diversa da quella di Cassandra e Tera. È molto più imperiosa, molto più sottile. E profuma di rose appena colte, di petali rossi. Spine avvelenate che si celano dietro una camicia di seta color pesca.
Per questo motivo – e solo dopo un'attenta analisi – Gordon Dragon non può fare altro che sorridere compiaciuto. «Ottima scelta» dice di soppiatto. È seduto accanto a lei, sui sedili posteriori dell'Audi, quando le rivolge un'occhiata veloce e incrocia le braccia al petto.
«Trovi?» Domanda. E sorride, sì, perché non ha la benché minima voglia d'indispettirlo. «In realtà ci ho pensato molto prima di decidermi. Non volevo che ti arrabbiassi, ma non volevo nemmeno che il Dottor Parrish credesse di avere a che fare con una famiglia normale.»
«In che senso?» Gordon aggrotta appena le sopracciglia e vede Benjamin fissare fuori dal finestrino con l'intento di lasciargli una pseudo-privacy.
«Una donna come Cassandra è pur sempre una donna sposata con un Dragon, non una Dragon» afferma. Il sorriso ben stampato in faccia e la naturalezza d'intrecciare le dita sulle ginocchia. «Tera Evans è a sua volta la fotocopia di Cassandra – di buona famiglia, di ottima nomina, ma non una Dragon» continua. Osserva Gordon e solleva di poco il mento. «È il sangue a fare la differenza, a far tremare e ginocchia dei venduti...» soffia. «Volevo che i Dragon apparissero come un tutt'uno, senza distinzioni.» Inclina appena il capo nella direzione di Gordon, poi mormora: «La famiglia Dragon deve dare l'impressione di essere una cosa a sé, deve essere forte, onnipotente...» E sa di aver toccato i punti giusti quando lo vede annuire con un ghigno soddisfatto.
«Ben detto» soffia Gordon. Allunga le dita verso la rosa che spicca come fiore all'occhiello di Adele e sorride di nuovo. «Unicità, forza, onnipotenza» dice. «Mi piace come la pensi, Adele.»
«Non potrei pensarla diversamente» sancisce. Sorride, poi sposta lo sguardo verso il parabrezza, verso la strada. «Lo diceva sempre papà, no?»
«Lo diceva sempre, sì.» Una risposta frettolosa, asciutta. Gordon ritira le dita, incrocia le braccia una seconda volta e rivolge lo sguardo a sinistra. Vede le macchine sfrecciare nella direzione opposta e poi punta allo specchietto retrovisore, laddove spicca il riflesso di Steven che scorta Cassandra, Tera e Richard sulla Jaguar di quest'ultimo.
«Ti assicurerai l'appalto, Gordon» mormora Adele, facendogli indurire appena i muscoli del viso. E continua a sorridere, gli sistema perfino il polsino della camicia che esce in modo disordinato dalla manica della giacca color avana. «Il Dottor Parrish adora le donazioni degli Evans, adora i soldi facili e le targhe onorifiche. Dare il suo nome alla nuova ala dello Shadyside Hospital è una mossa saggia – subdola, sottile, ma comunque saggia.»
«Non ci sarà mai il suo nome su quella targa» borbotta Benjamin. «Lo sappiamo tutti e tre, dopotutto.»
«Ma non lui» conclude Adele.
«Non lui» conferma piano Gordon. Si schiarisce la voce, poi fa scivolare una mano in tasca e scrive velocemente un sms che Adele intercetta con la coda dell'occhio.
«Mouse...» soffia. Vede gli occhi di Gordon scattare nella sua direzione e batte le palpebre per fingersi sorpresa. «Chi sarebbe il topo, Gordon?»
«Un amico» fa evasivo.
«Gordon Dragon non ha amici, ha solo la famiglia» echeggia lei, cercando di convincerlo ad aprirsi. Allora smette di sorridere, osserva la sua espressione truce e quasi deglutisce a vuoto.
«Un topo è un topo» dice Gordon. «Hai mai avuto a che fare con i topi di fogna, Adele?» La domanda è aspra, pungente, come il suo ghigno sfacciato.
«No» mormora a denti stretti. Una bugia, una tra tante.
Benjamin lo sa, ma rimane in silenzio e, con lo sguardo ancora fuori dal finestrino, rimane in silenzio.
«Allora non ficcare il naso nelle faccende che non ti riguardano» sibila Gordon. La guarda dritta negli occhi e infine scuote la testa. Dice: «Pensa alla famiglia, pensa ai Dragon. Mostrati unica, forte e onnipotente...» Cita controvoglia le parole chiave di suo padre. «Fallo per me, per i Dragon» aggiunge.
«Va bene, Gordon.» Adele torna a guardare la strada. Gli occhi fissi sul parabrezza e le dita intrecciate sulle ginocchia. Affonda le unghie corte nella stoffa e serra i denti.
Il cellulare squilla e lo fa prepotentemente, in modo assordante. È un martellare continuo, un'ascesa intermittente. Sembra il suono della sveglia che Chase ha sul comodino di sinistra, perciò Jae allunga la mano e cerca di metterla a tacere. Ma quando il palmo va a vuoto, quando scatta verso il pavimento e non incontra altro che aria, questi scatta sull'attenti. Gli occhi spalancati e la fronte sudata.
Si guarda attorno con aria spaesata e percepisce la morbidezza del materasso in memory sotto di sé. Allora deglutisce, punta la parete bianca, poi quella con la finestra che affaccia su Broad Street. E capisce di essere solo, di non trovarsi accanto a Chase. Così serra i denti, balza in piedi e restringe lo sguardo ancora assonnato. Respira piano, lentamente e pesantemente al contempo, mentre il cuore gli balza in gola a ogni bip.
Quando trova il cellulare è in salotto, fisso dinanzi al tavolo di vetro. Deglutisce di nuovo e sente il sapore della birra del Freeze che gli tormenta il palato, la lingua, perfino lo stomaco. Non ha cenato e se ne rende conto solo a mezzogiorno, mentre grugnisce piano e scruta un post-it giallo con quattro cifre scritte a penna.
Afferra il telefono e osserva il display illuminato, il messaggio di Gordon Dragon. E trattiene il fiato, sembra quasi sorpreso. Fa scorrere un dito sullo schermo, poi inserisce meticolosamente i numeri e vede il dispositivo sbloccarsi.
«Finalmente» borbotta tra sé e sé. Le orecchie libere di vaneggiare nel silenzio, di sentire il nulla e bearsi del mattino. Per un attimo prova l'impulso di tornare a letto, di rimettersi a dormire, ma poi scuote la testa, schiocca la lingua e dice: «Che diavolo vuoi?» Posa l'indice sull'icona dei messaggi e si sente come un pesce fuor d'acqua. Legge piano: «Nel secondo cassetto.» E sbuffa, digrigna i denti. Si guarda attorno con aria frustrata. Poi solleva la voce, si arrabbia con il vuoto. Ringhia: «Quale fottuto secondo cassetto?» Non può chiederglielo, può solo aspettare una chiamata e cercare da solo. Allora mette a soqquadro l'appartamento: la cucina, il salone, la camera da letto, perfino il bagno. Sbuffa, grugnisce, sembra un animale in gabbia e non pensa neppure per un istante che quello di Gordon Dragon possa essere un messaggio in codice – no davvero, perché lui è soltanto il topo di fogna. Storce il naso in un moto di fastidio, poi si avvicina alla scrivania e si dà dello scemo da solo. Apre il secondo cassetto e vede una cartellina bruna. «Bingo!» Schiocca. Un ghigno soddisfatto gli si dipinge sul viso, mentre si siede sul pavimento a gambe incrociate. «Dottor Adam Parrish» soffia. Batte le palpebre, poi osserva la foto spillata in alto a sinistra e solleva un indice. Pare aver appena avuto un'idea geniale, tuttavia è un frammento di memoria che prende vita sotto i suoi occhi. «Il Dottor Parrish, sì» dice tra sé e sé.
Parrish è il nome dello psicologo cui ha fatto visita lo scorso pomeriggio sotto falso nome, quello cui l'ha indirizzato un altro stramaledetto post-it giallo attaccato sulla porta della camera da letto.
Jae storce di poco le labbra, si chiede il motivo della precisazione di Gordon, ma non dice niente e si alza semplicemente in piedi per osservare il post-it ancora attaccato che cita: Jae Greenwood ha un appuntamento alle 17:00 al Community Psychiatric Center.
«Che informazioni vuoi, Gordon?» Borbotta. Torna a sedere sul letto, affondando subito sul materasso. Stringe il fascicolo del Dottor Parrish e inizia a leggere i fogli stampati che lo fanno deglutire a vuoto fin quando non si decide a spostarsi in cucina per bere un po' d'acqua. E mentre aspetta che la macchinetta del caffè riempia la brocca, Jae si siede sul marmo accanto al piano cottura. «Quindi?» Domanda. Schiocca la lingua seccato e scende con un piccolo balzo, facendo scivolare dal fascicolo un piccolo foglio scritto a penna. Lo fissa dall'alto, infine si china a raccoglierlo e legge: «Ognuno ha i suoi scheletri nell'armadio. A me servono quelli di Benjamin.» E rimane in silenzio, con le labbra socchiuse e le sopracciglia aggrottate. «È lo psichiatra di Benjamin Dragon?» Balbetta tra sé e sé. Posa il fascicolo sul tavolo della cucina e si versa un'abbondante tazza di caffè nero. Torna a osservare la foto di Adam Parrish e serra i denti. «Sono fottuto...» mormora. Siede con le mani tra i capelli e lo sguardo assente. Nelle narici, l'odore del caffè, della carta stampata e di una casa vuota, nuova di zecca. Sa che Gordon vuole il fascicolo di Benjamin e la sola idea lo fa rabbrividire. «Chi mi farà fuori per primo?» Si chiede a mezza bocca, immaginando che nelle informazioni di Parrish compaia anche la strana affezione di Richard nei confronti di suoi zio. «Ognuno ha i suoi scheletri nell'armadio» cita a bassa voce. Si dedica completamente al caffè e posa lo sguardo sulla finestra chiusa della cucina. «Ha paura che Benjamin possa fargli le scarpe, assurdo...» schiocca. «O forse no, non è così assurdo nel suo ambiente.» Ci ripensa, aggrotta le sopracciglia e torna a sorseggiare il caffè. «Cazzo, mi sono messo nella merda da solo» sibila d'un tratto.
Il secondo appuntamento con il Dottor Parrish è per le 18:30, perciò decide di chiamare Chase e chiarire la faccenda del giorno prima. Tre telefonate e nessuna risposta. L'idea che sia a lavoro non è contemplabile, dopotutto sa che il suo part-time è pomeridiano.
«E va bene, Chase» soffia. Sembra rassegnato all'idea di non vederlo più, ma in realtà è solo una facciata stanca, assonnata. Perciò si lava e veste alla svelta. Ignora brutalmente la sfilza di vestiti di marca che riempiono l'armadio della sua nuova camera da letto e indossa quelli del giorno prima. Quando prende le chiavi dell'auto si lascia andare a un debole sbuffo – non ha mai desiderato una Toyota blu metallizzato, ma a Gordon Dragon interessa poco dei suoi gusti. Allora prova a chiamare Chase, lo fa un paio di volte e senza alcun risultato. Infine esce di casa, si affretta a raggiungerlo a Liberty Avenue. Accosta di fronte casa sua dopo una mezz'ora di traffico e lo vede.
Chase è seduto sulle scalette dell'ingresso, sorseggia una tazza di tè caldo e punta lo sguardo verso di lui. Dice: «Sapevo che saresti arrivato.»
«Perché non mi hai risposto?» Domanda subito, scendendo dall'auto e chiudendo lo sportelo con un gesto brusco. «Ti ho chiamato sei volte...»
«Cinque» lo corregge Chase.
«Ti ho chiamato cinque volte e non mi hai risposto» riformula. Restringe lo sguardo e gli si avvicina. «Perché diavolo non lo hai fatto?»
«Perché avrei dovuto farlo?» Replica. Batte le palpebre una sola volta, lentamente. Sembra apatico, stanco. Ha gli occhi arrossati, segno evidente che ha dormito poco.
«Ti avevo detto che ci saremmo visti al Freeze» aggiunge in un soffio. Si china alla sua altezza, trattenendosi sulla punta degli anfibi slacciati. «Perché non sei venuto?»
«Neanche tu sei venuto al Freeze quando sono stato io a chiedertelo» dice. «Com'è che l'hai chiamata?» Usa un tono ironico, poi abbassa gli occhi e osserva il fondo della tazza fumante. «Ah, sì, ispirazione...» sibila.
«Sei ancora arrabbiato per questo?»
«No, Jae, sono arrabbiato per come mi hai trattato ieri» soffia. «Non voglio alzare la voce, non voglio litigare...» aggiunge. Ha la voce piatta, spezzata. Si contiene e trattiene le lacrime – forse ha pianto, almeno così si dice Jae. «Vattene, tornatene a casa tua.» non solleva lo sguardo, ma allunga comunque una mano e infila nella tasca di Jae i soldi che ha recuperato dai sedili posteriori della Golf. «Adesso ne hai una tutta tua, no? Hai quello che volevi: una casa, un lavoro, soldi a palate...»
«Chase, smettila» dice Jae. «Non vuoi quei soldi? Vuoi farmi sentire in debito? Va bene, lo accetto...» serra i denti, deglutisce, cerca di guardarlo negli occhi e non ci riesce. Allora abbassa la voce, mormora: «Ma ti prego, guardami.»
Chase solleva gli occhi, glieli punta addosso come per pugnalarlo. «Fatto» dice. La voce gli trema appena, ma non la blocca ugualmente. «Ti guardo.»
«Non vuoi vedermi più?» Domanda. Sente un nodo in gola e fatica a cacciarlo via, a ingoiarlo. «Se è questo che vuoi devi solo dirmelo, Chase. Ti lascerò in pace, non ti chiamerò e non mi presenterò qui... Ma almeno dimmelo e dammi una fottuta motivazione.»
«Lavori per Gordon Dragon» soffia. «Sai cosa significa lavorare per la famiglia Dragon, Jae?» Lo vede deglutire e scuotere appena la testa. «Inizi con cose da poco, poi sali, trascendi, ti sporchi le mani e neppure te ne accorgi.» Si umetta le labbra, deglutisce a sua volta. Continua a fissarlo negli occhi e sente le sue mani cercare un contatto, carezzargli le nocche fredde fin quasi a ustionargli i palmi contro la tazza di tè.
«Tu sei amico di Richard Dragon, conosci tutti...» inizia. Poi si ferma e sente Chase dire:
«Non ho mai lavorato per nessuno di loro, però.»
«Li conosci e basta, ci sei amico e basta?» Jae sembra incredulo, tuttavia lo vede annuire e serra di conseguenza i denti. «Non voglio sporcarmi le mani, non è per questo che ho scelto di lavorare per Gordon Dragon.» Deglutisce, poi sospira. China appena al testa, osserva a sua volta la tazza di tè e sente il calore sul viso, l'aroma nelle narici. «È tè verde al gelsomino?» Chiede, divaga, cerca la complicità di un Chase che sembra scomparso nel nulla. Quando lo guarda, infatti, sente l'intero mondo pesargli sulle spalle e inspira a fondo.
«Non cambiare discorso» lo rimprovera. «Tu mi hai chiesto una motivazione e io te la sto dando» mormora. «La motivazione è che ti sporcherai le mani, che finirai nei guai e che io non potrò fare niente per tirarti fuori dalla melma.» Resta in silenzio, l'osserva. «Non voglio stare male, Jae.»
«Scusami, Chase, ma ho come l'impressione che questa sia soltanto ipocrisia» dice di getto. Si alza in piedi e lo fissa. Gli occhi vuoti, privi di speranza. La voce gli esce di bocca con lieve cinismo quando continua: «Mi hai raccolto sotto un ponte, mi hai visto sniffare e non hai mai detto niente. Sarei potuto morire in qualsiasi momento, in qualsiasi altro modo...»
Chase lo interrompe subito e con un gesto secco della mano destra che gli rigira addosso il tè caldo. «Non per mano mia» sillaba. Lo sguardo irritato, frustrato. «Sono io che ti ho portato lì.» Non aggiunge altro, lo vede socchiudere le labbra e aggrottare le sopracciglia. Si alza, gli dà le spalle e retrocede verso la porta di casa prima di sentirlo imprecare a mezza bocca.
«Non sei tu che hai trovato la fede di Richard» schiocca allora Jae, ringhiando quasi. Sente i pantaloni zuppi, le gambe arrossate. Vorrebbe cambiarsi seduta stante, ma non può entrare da Chase e l'East Liberty dista una buona mezz'ora da lì. «Non sei tu che hai deciso di portarmi dai Dragon!» Alza la voce e digrigna i denti. Non ottiene alcuna risposta, perciò restringe gli occhi e sbuffa. «'Fanculo, Chase!» In un moto di rabbia schiaccia il filtro del tè e retrocede fino alla Toyota. «'Fanculo tu e le tue scuse del cazzo» borbotta ancora.
Per i pranzi importanti dei Dragon si attrezzano sempre scenari grandiosi, tuttavia quello che Richard scorge al suo arrivo non è altri che l'ingresso di casa di Keane. Trattiene il fiato quando Steven accosta con la Jaguar per far entrare l'Audi nel vialetto degli Evans e sembra allontanarsi dall'abitacolo con la mente, con le orecchie, forse con tutto il corpo. Deglutisce, ignora Cassandra e Tera, e punta dritto con gli occhi all'ingresso cui spicca l'intera famiglia.
«Cazzo» borbotta. Attira l'attenzione di sua madre, ma se ne accorge subito e cerca di montare un sorriso tirato. Dice: «Che bella villa!» E si volta verso Tera, la vede sorridere con fare civettuolo. Si dice di aver rischiato grosso, ma allo stesso tempo ghigna soddisfatto per lo scampato pericolo. Nella sua mente si accatastano le immagini frammentate della sera precedente: la fiamma accesa, la citazione di Hesse, il pensiero fisso della sua prima vota con Ben e ancora l'odore del lubrificante alla fragola. Trattiene una risatina nervosa e un conato. Ha come l'impressione di non voler vedere nemmeno una fragola per i prossimi due anni.
«Bella, vero?» Tera prende il discorso, si rivolge proprio a Richard e cerca d'instaurare con lui una sorta di dialogo – deve pur mantenere le apparenze di fronte alla sua famiglia, checché se ne dica a casa Dragon. Quando scende dalla Jaguar continua a parlare, a elencarne i pregi, a indicare i balconi e perfino le aiuole fiorite.
Richard non l'ascolta. Pensa, non fa altro che pensare. Cerca di capire con chi diamine sarà questo pranzo importante. Allora torna indietro nel tempo e ricorda i discorsi accennati di Adele, la questione dell'appalto e perfino le discussioni insindacabili di Gordon a tavola. L'appalto ha a che vedere con l'ospedale più famoso di Shadyside, quello a cui gli Evans hanno fatto una donazione dietro l'altra nel corso d'intere generazioni. Considerando l'ipotesi, allora, Richard non può fare a meno di scuotere la testa. È divertito, se ne rende conto perfino Cassandra.
«Cosa c'è, Rich?» Gli chiede piano, affiancandolo. «Ti senti bene?» E sembra preoccupata, perché nessuno ha detto niente di divertente.
«Tutto bene, sì» minimizza. «Mi è venuta in mente una cosa, tutto qui.»
«Cosa?» Cassandra arriccia le labbra, sembra incuriosita. Osserva Richard e lo vede scuotere di nuovo la testa, così incalza: «Per l'amor del cielo, Rich. Dimmi cosa diavolo ti è venuto in mente questa volta! Non ho intenzione di coprire un'altra tua fuga, non ho intenzione di farti mettere in difficoltà la famiglia...» Lo guarda dritto negli occhi e sorride, sì, perché spera che nessun Evans noti il problema data la distanza che li separa.
«Mi avete fatto sposare Tera per assicurarvi un nome con cui fare leva per l'appalto dello Shadyside Hospital» dice. «È divertente, no? Non lo trovi divertente, mamma?» Schiocca la lingua e restringe lo sguardo. La fissa, sorride. Con la coda dell'occhio vede Tera deglutire a vuoto. «Per me è divertente, davvero divertente.»
«Falla finita, Rich» sibila Cassandra. «Chiudi immediatamente il discorso. Il Dottor Parrish è già arrivato.»
«E chi dice niente» schiocca. Supera Cassandra, porge perfino il braccio a Tera. Vede Adele sorridere con nonchalance e segue il suo esempio per garantire una facciata perfetta.
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