Credere

I Risvegli di Richard Dragon sono sempre stati variegati: lenzuola sfatte, odore di sesso, bottiglie vuote, mozziconi di canne sparsi nei posaceneri e hotel a cinque stelle. Perfino grida, discussioni, borbottii incomprensibili – vuoti come il fondo del barile raschiato la sera prima. Tra tanti, però, c'è ancora quello che profuma d'infanzia. Biscotti, pancake, la colazione di quand'era ragazzino.

Per un attimo pensa di essere tornato indietro nel tempo. Arriccia le labbra in una smorfia strana, ignora il fastidio delle spalle contratte e quello dello zigomo violaceo che preme sul bracciolo del divano. Si crogiola nell'idea di poter sentire la voce di Fidelia mormorare un Buongiorno latinizzato e tiene gli occhi chiusi, serrati, con le ciglia che tremano appena sotto lo sguardo attento di Chase.

«Bell'addormentato...» mormora questi. La voce bassa, ancora impastata dal sonno mattutino, e un vago cinismo di sottofondo. «Non fingere di essere ancora nel mondo dei sogni e alza il culo dal divano.»

Richard sbuffa, cerca di tirarsi le lenzuola fin sopra la testa, ma poi mugola qualcosa e si rigira con il viso contro lo schienale. «Cinque minuti» dice.

«O anche no...» replica. «Oggi lavoro, Rich. Non ho voglia di starti dietro, né di fare le veci della tua governante, perciò alzati e basta.»

«Cos'è quest'odore?» Mugola in tutta risposta, frizionando la fronte contro lo schienale del divano. «Hai bruciato qualcosa?» Gracchia. Cinico di prima mattina, irritato dal primo secondo di mal di testa.

Chase raccoglie uno dei cuscini che Richard ha fatto cadere nel sonno e lo colpisce su una spalla. «Non ho bruciato niente, idiota!»

«Piano, cazzo!» Sbotta questi, sbuffando e mettendosi a sedere con fatica. «Mi sono appena svegliato, vuoi farmi prendere un colpo?» Schiocca la lingua e si passa una mano in faccia per portare via il sonno che, tuttavia, rimane lì – e ben ancorato.

«Lascio le chiavi appese all'ingresso» lo avvisa in un soffio. «In cucina c'è qualche pancake già pronto» continua meccanicamente, lanciando sul divano il secondo cuscino perduto sul pavimento. «In cucina c'è sempre la macchinetta del caffè, il bollitore, il latte...»

«Sì, mamma» biascica ironicamente Richard, venendo subito colpito dal terzo e ultimo cuscino disperso. «Ehi!»

«Non accettare caramelle dagli sconosciuti» dice Chase, seguendo la scia divertita di Richard. Si chiude il cappotto, infine s'incammina verso il corridoio e alza la voce per farsi sentire: «Torno per pranzo, vengo a prendere le chiavi e riesco per il turno del pomeriggio. Fatti una copia in mattinata, altrimenti siamo nella merda con gli orari.»

Richard batte le palpebre un paio di volte, si guarda attorno e non riesce nemmeno a rispondere, a salutarlo, perché subito dopo sente la porta sbattere e chiudere ogni discorso. «Sì, mamma» ripete tra sé e sé. Cerca di raddrizzare la schiena e indossa una maschera di fastidio. Il dolore alle spalle inizia a farsi sentire subito, prepotentemente. Deve aver dormito male, scomposto, o almeno così si dice nell'ammucchiare le coperte da un lato. «Una copia delle chiavi, eh...» Si gratta la nuca, scombina i capelli già scompigliati e dopo un sonoro sbadiglio si sposta in cucina. L'idea di restare da Chase è sua, certo, ma dopo la stizza che ha incontrato la sera prima stenta quasi a credere che gli sia stata offerta la possibilità di restare. «E dormirò per chissà quanto su quel fottuto divano» dice. Siede al tavolo della cucina dopo essersi versato un po' di ACE in un bicchiere pulito e si strofina gli occhi per dare più vigore alle immagini appannate che lo circondano. «Meglio di niente...» constata infine, assaggiando un pancake affatto bruciacchiato. «Non fai così schifo in cucina, Chase, te ne do atto!»

La fortuna è un concetto astratto. Jae lo sa, lo ha sempre saputo. Dopo aver sognato per anni una bella dea armata di cornucopia, infine, si è arreso all'idea che sia l'uomo a renderla tale – a crearla dal nulla proprio come Pigmalione ha fatto con Galatea. Da qui ne consegue il fatto che sia un concetto astratto, un'idea, un'archè. E potrebbe citare una sequela di autori o luminari per definirla, ma non lo fa e solo perché farlo significherebbe sminuire ciò che ha di fronte. Allora socchiude le labbra, non pronuncia una sola parola. Non una sillaba, non un suono. Osserva, perché osservare è ciò che sa fare meglio. Tuttavia è la voce di Olivia Dragon a riscuoterlo dal suo torpore contemplativo:

«Che ne dici?» Domanda. Ha gli occhi puntati sulla nube di fumo che attornia la figura di Jae e le braccia conserte. Un lieve sorriso di complicità si dipinge dolcemente sul suo viso, mentre quello ancora confuso e incredulo di Jae si solleva nella sua direzione. «Ti piace l'idea?»

Non è proprio quello che Jae si sarebbe aspettato dopo le premesse fatte a tavola qualche tempo prima, ma a dirla tutta pare un buon compromesso. Batte le palpebre una sola volta, osserva Olivia e poi torna a fissare i fogli spillati che ha in mano. «È una buona idea» mormora con fare impacciato. Quasi balbetta. Sente le dita tremare appena e la fibrillazione assalirlo. Dalla colonna vertebrale fin dietro la nuca, nel cervello. Le vene gelano, paiono improvvisamente artificiose. Sangue freddo, così si dice, come un pesce.

«Una buona idea?» Olivia si lascia sfuggire un'esclamazione divertita. «Solo?» Incalza. «È un'ottima idea, un'idea fantastica!» Sorride ancora e vede Jae scostare la sigaretta dalle labbra per ciccare nel posacenere. «Il tuo romanzo è immediato, è fluido. Segui un unico filone narrativo che intreccia vite diverse – storie diverse – e le catapulta in un vortice di parole e concetti che lasciano senza fiato» inizia a dire. Solleva una mano e si puntella la guancia, dopodiché si china un po' in avanti e sfila una sigaretta dal pacchetto di Winston accanto al posacenere.

Jae solleva lo sguardo una seconda volta. È ancora impacciato, continua a sentirsi un pesce fuor d'acqua mentre chiede: «Davvero?»

«Lo stile è fresco, è in continuo divenire, e la punteggiatura scandisce le pause in modo perfetto. Non è scolastica, è avanguardistica: un battito cardiaco, ecco cosa!» Sostiene la sua tesi dopo essersi accesa la sigaretta, dopodiché butta via il fumo denso della prima boccata e continua: «Tum, tum... Tum-tum.» Sorride, aspira ancora e dice: «Capisci? Segue il senso, gestisce il nesso, trasporta nel vortice. Prima il tornado, poi l'occhio del ciclone e le case che volano, il bestiame impazzito, le macchine... Oh, Jae, è fantastico!»

«Il bestiame impazzito?» Cita con una risatina confusa. Sa che Olivia sta parlando per metafore, ma l'idea che un suo concetto possa essere una pecora o una mucca lo fa sorridere.

«Sai accettare dei complimenti?» Si lamenta Olivia con fare fintamente offeso. Gli dà una pacca sulla spalla, un colpetto gioviale, e poi sorride ancora. Smette di arricciare le labbra nella sua piccola disapprovazione della modestia esagerata e genuina che ha di fronte.

«Sì, so farlo» mormora Jae, ancora troppo impacciato per prendere la proposta di Olivia in considerazione.

Lei lo guarda. La Winston appena scostata dalle labbra rosso corallo. «Hai paura, forse?» Domanda appena. Un sorriso materno le si dipinge in viso, mentre scuote appena il capo.

«Non dovrei?» Jae solleva entrambe le sopracciglia. Osserva il bando del concorso e si umetta le labbra. «Nonostante c'è chi tesse le mie lodi, in fondo, non conosco l'opinione globale...»

Ancora l'espressione fintamente offesa di Olivia Dragon, poi la sua voce che dice: «La mia opinione conta così poco?»

«No, è solo che...» inizia, cerca delle giustificazioni per non offenderla ancora e poi si rende conto di essere caduto nella sua trappola di psicologia inversa. Come un ragazzino, si dice, che sciocco! «Ho paura, sì» ammette in un soffio. Si mordicchia l'interno delle guance e sospira.

«Un po' di sana competizione aiuta a crescere» mormora lei, aspirando poi un'altra boccata di fumo dalla Winston accesa che fa ondeggiare con un gesto fluido della mano. «E aiuta a farsi le ossa, a farsi un'opinione veritiera di sé...» continua. «Non credi nelle tue potenzialità, ecco cosa. Ma dovresti farlo, perché non sono solita dare pareri tanto ottimisti a chi non li merita davvero.»

La domanda impellente di Jae prende vita in un soffio e prima ancora che possa rendersene conto. «Se la previsione è tanto ottimista, perché non una pubblicazione diretta?»

«Perché ottenere tutto e subito ti renderebbe meno dolce la vittoria.»

«Affatto...» soffia. Scuote la testa, troppo memore dei propri fallimenti. La paura – perché adesso ha un nome – non vuole abbandonare i suoi nervi tesi e continua a fargli mordere le labbra.

«Vincerai» dice Oliva di getto. E ci crede, perché sa di non essere l'unica a pensare certe cose al riguardo del romanzo di Jae. «Se ti fidi di me, se credi anche solo la metà di quanto io credo che valga il tuo lavoro... Vincerai» ripete.

Jae sospira, osserva ancora il primo foglio del bando. Il mozzicone quasi spento gli brucia tra le dita, ma quasi non ci fa caso. «Ci credo» soggiunge. La voce strozzata, il cuore in gola e ancora il sangue gelato che prende a pompargli nelle vene, in ogni muscolo. «Voglio crederci...»

«Ci credo» mormora Olivia. «Devi soltanto dire: Ci credo

«Ci credo» ripete Jae. Sorride e inizia a crederci davvero, perché la sua fortuna non è una dea bendata, bensì Olivia Dragon.

Per Tera Evans è difficile distogliere lo sguardo dall'anulare sinistro. Quando si sofferma sul luccichio del diamante incastonato nella fede, quando fa scorrere un polpastrello sull'oro bianco, perfino quando chiude gli occhi, continua a ricordare le parole taglienti di Richard e al suono beffardo di quella confessione a bruciapelo: Tuo padre è così pieno di debiti da non farsi scrupoli ad accettare i soldi di noi Dragon dopo che me ne sono andato a Liberty Avenue per succhiare il cazzo di uno spogliarellista. Perfino adesso riesce a sentirne l'eco. E serra i denti, deglutisce, batte le palpebre una sola volta – per scacciare i brutti pensieri, per andare avanti, o almeno così crede.

Un sorriso di circostanza, poi il profumo dell'erba appena potata e quello delle rose in boccio sul retro della residenza cui è relegata. Allunga la mano destra, sfiora i petali umidi di rugiada mattutina e inclina appena il capo da un lato. Con aria assorta, osserva.

«Sono rose ibride.»

Tera socchiude le labbra e aggrotta appena le sopracciglia. Nel voltarsi, però, riconosce la profonda eco di Nolan Dragon. E sorride, sì – con fare cordiale, di circostanza. «Il colore dei petali è molto bello...» mormora.

«Un capriccio di mia madre» minimizza, allargando il sorriso e avvicinandosi di qualche passo. «Era davvero ossessionata per la botanica, sosteneva che le rose ibride avessero un fascino particolare...» accenna. Poi scuote la testa, si lascia sfuggire un lieve suono divertito e sorvola con un: «Non voglio annoiarti con discorsi giurassici.»

«Giurassici?» Echeggia lei, non mancando di sorridere con più naturalezza. Allora trattiene una risatina, batte le palpebre e scuote la testa. «Non dica così...» Si blocca subito, incrociando lo sguardo di Nolan, dopodiché distoglie il proprio e torna a osservare il bocciolo vicino. «C'è davvero un'età per parlare della bellezza delle rose?»

«Non essere così formale» la rimprovera bonariamente. Solleva un sopracciglio e la vede stringersi appena nelle spalle.

Le mani giunte e le ciglia basse. Tera osserva ancora il bocciolo di rosa ibrida senza il coraggio di sollevare gli occhi su Nolan Dragon. «Va bene» dice.

«Soltanto Va bene?» Domanda con un cenno d'ironia. «Devono averti traumatizzata in mia assenza...»

E Tera vorrebbe rispondere: Non sai quanto! Tuttavia tace, si tormenta le dita intrecciate e sfrega appena un polpastrello contro la fede. Infine prende un bel respiro, rilassa le spalle e scrolla appena il capo. «Non ho avuto molte occasioni per parlare con qualcuno, ecco» ammette piano. La voce riotta a un soffio, quasi timorosa. «Eccezion fatta per la signora Cassandra, ovviamente... Ma è partita per New York dopo la morte di suo marito.» Si trattiene dall'aggiungere altro, dall'affrontare il discorso nella sua interezza, così sorride all'indirizzo di Nolan e sorvola. «Mi sarebbe piaciuto parlare con qualcuno di botanica» vira.

«Non sono un grande intenditore di botanica» ridacchia Nolan. «Ma conosco ogni pianta di questo giardino...» continua, congiungendo le mani dietro la schiena e piegandosi appena in avanti. «Ho superato il test?»

Tera ride a sua volta, scioglie le dita e lascia scivolare le braccia lungo i fianchi. «Superato a pieni voti» dice. «Dopotutto non conosco granché di botanica» aggiunge con tono colpevole. «Mi piacciono le rose, ecco tutto.»

Nolan la osserva attentamente. Il sorriso ben stampato in volto e una consapevolezza latente dal retrogusto agrodolce. Dice: «Dovrebbe esserci un'intera enciclopedia di botanica...»

«Fantastico» soffia Tera.

«Non sei convinta» constata Nolan con una lieve smorfia indecisa. Non è affatto irritato, anzi. Si lascia scappare un'altra risata asciutta e dice: «Neppure io.» vede Tera battere le palpebre e distogliere lo sguardo. Allora si chiede se sia delusa, se abbia davvero voglia di chiudersi nello studio a studiare le tecniche d'innesto delle rose. La risposta arriva poco dopo e con un lampo di genio, perché Nolan continua: «Ammetto che l'idea di leggere tutti quei volumi non sia entusiasmante... Ma potremmo andare al Giardino Botanico.»

«Davvero?» Gli occhi di Tera s'illuminano subito, seguiti dall'annuire di Nolan e dal rossore improvviso che le imporpora le guance. Allora modula il tono di voce, cerca di contenere l'euforia e dice: «Mi piacerebbe tanto.»

«Allora andiamo.» Nolan fa un passo indietro e la osserva. «Ti aspetto, vai a prendere il cappotto.» La vede annuire, così torna a fiancheggiare le aiuole con aria assorta. Poi solleva lo sguardo verso il portico del retro e solleva la voce per farsi sentire da Tera. «Ti aspetto all'ingresso!» Non aggiunge altro, ma infila le mani in tasca e s'incammina lungo il viale laterale della villa. Dopo aver dato disposizioni all'autista, allora, accenna con il capo nella direzione di Olivia.

Questa spegne la sigaretta nel posacenere, da un piccolo colpetto alla spalla vicina di Jae e si avvicina alla scalinata del portico principale. «Stai uscendo?» Domanda. Incrocia le braccia al petto e sorride all'indirizzo di Nolan. «Non resti per pranzo?»

«Porto Tera al Giardino Botanico» spiega brevemente.

«Tera?» Echeggia con fare confuso. Solleva un sopracciglio fino e arriccia appena le labbra. Poi posa una spalla sulla colonna vicina e attende in silenzio.

Nolan annuisce, infine conferma con un semplice: «Sì.»

«E da quando in qua te la intendi con Tera Evans?» Indaga. Sposta lo sguardo su Jae, lo vede alzarsi dalla poltroncina di vimini e ritrarsi in casa senza battere ciglio. Allora torna a osservare Nolan e sospira. «È sposata con Richard...» gli ricorda con fare laconico. «Ha appena vent'anni, Nolan» continua. Lo vede fare spallucce, perciò sospira e scuote la testa. «Prima Linette, adesso Tera... Hai una vera predilezione per le relazioni impossibili, vero?»

L'ammonisce con lo sguardo, poi si umetta le labbra e le serra con colpevolezza. «Non nominare Linette» dice. «Non ancora, non adesso...»

«Dovresti parlare con Benjamin» soffia. Si stringe nelle spalle sposta lo sguardo sulla porta d'ingresso. «Prima o poi verrà a saperlo comunque.»

«Non è il momento» taglia corto lui.

«E quando?» Insiste. «Zackary lo sa, non è vero?» Sospira. Nemmeno si gira per guardare Nolan, sa già che il suo sguardo di disapprovazione è fisso su di lei – può sentirlo bruciare sulla pelle del viso.

«Olivia...» inizia. E si ferma, perché dalla porta d'ingresso vede uscire Tera. Allora sorride, si affretta a salire le scale per raggiungerla nel portico e offrirle il braccio. «Rimarremo fuori per pranzi» dice, continuando a sorridere all'indirizzo di Tera. «Ti va?»

«Certo, mi farebbe piacere» conferma. È smagliante, raggiante, mentre saluta Olivia e s'incammina sottobraccio a Nolan lungo il viale. «Gli unici pranzi fuori casa a cui ho partecipato ultimamente sono stati quelli di mia zia» aggiunge piano. «Quasi non credevo possibile che qualche Dragon avesse voglia di mettere il naso fuori Shadyside...» mormora, sentendo ridacchiare Nolan in tutta risposta.

«Esistono sempre delle eccezioni, Tera» le suggerisce sottovoce. Allora fa un cenno all'autista e lo vede risalire in auto. «Prego» dice, aprendo la portiera posteriore dell'auto. Attende che sia Tera a salire per prima, dopodiché gira attorno all'Audi e prende posto accanto a lei. Olivia ha occhio per certe cose, si dice. Le capisce perfino prima di me! E sorride, lascia che i pensieri scivolino via quanto le parole. Poco gl'importa dell'età o dei vincoli che legano Tera Evans a suo nipote Richard, perché la verità è che non riesce a staccarle gli occhi di dosso.

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