Chiave
Da quando Jae è uscito dalla residenza dei Dragon non fa che tenere le mani in tasca e lo sguardo fisso, concentrato. Pare che osservi qualcosa d'invisibile, qualcosa che Chase ignora del tutto. E non un fiato gli esce dalle labbra, solo il respiro lento, quasi meditativo, che si alterna con le narici strette. Nel momento in cui apre bocca, però, fa inchiodare Chase lungo uno dei marciapiedi di Shadyside.
«Cosa?» Domanda. Le sopracciglia corrugate, mosse dal cipiglio del dubbio. Pensa di aver sentito male, di essersi sbagliato, ma lo sguardo di Jae è tutto fuorché ignaro. Così deglutisce, sente un brivido percorrergli la schiena e in silenzio osserva i sodi che Jae sfila dalla tasca sinistra.
«Sono per te» mormora. «Te l'ho detto, Chase: non voglio debiti.»
«Ripeti» dice. Lo guarda fisso negli occhi, con la mano ancora salda sul freno a mano appena inserito. E deglutisce, l'osserva, mentre Jae scandisce di nuovo quel Non voglio debiti che lo fa andare al manicomio. «No, intendo dire da capo. Ripeti dall'inizio, Jae!» Alza la voce, non si rende nemmeno conto di aver ordinato invece che richiesto. Gli occhi spalancati e le labbra socchiuse, tremanti. Si sente in bilico tra la sanità mentale e la follia.
«Gordon Dragon mi ha dato un lavoro. Non posso dirti in cosa consiste e in teoria non potrei nemmeno dirti di essere riuscito a ottenerne uno. Mi ha dato l'anticipo e questi soldi sono per te...» Prende un respiro, abbassa lo sguardo sulle banconote e infine le porge a Chase. «Mi hai ospitato per due settimane, mi hai dato da mangiare e mi hai portato in giro con la macchina. Non voglio debiti, davvero.» Il tono basso, quasi titubante. «Non ho mai avuto debiti con nessuno in vita mia, non ho intenzione di accumularli proprio adesso.»
Chase non afferra le banconote, anzi: fissa Jae ed è come un pesce fuor d'acqua. «Mettili via» scatta d'un tratto. Serra i denti, sposta gli occhi sul parabrezza e prega di non vedere nessun curioso con gli occhi puntati sulla Golf. Deglutisce a vuoto, poi, sentendo le dita di Jae aprirgli una tasca del cappotto per nasconderle lì. «Non li voglio, sono soldi tuoi...» sbotta. Le sopracciglia aggrottate e gli occhiali ben fissi sulla sommità del naso. Si gira a fissarlo e lo fa con i muscoli del viso induriti, marcati. Una dignità che non ha prezzo. «Ti ho ospitato perché volevo farlo, non per un tornaconto personale» dice.
«Lo so.» Annuisce, poi sospira e mormora: «Ma non voglio debiti.»
«Non hai nessun debito, non con me!» Chase trattiene a stento un'imprecazione e serra i denti. «Non voglio questi fottuti soldi» scandisce. L'irritazione lampeggia nel suo sguardo e penetra nelle ossa di Jae che, di rimando, torna a guardare fuori dal finestrino. «Riprenditeli» borbotta allora, sfilandosi dalla tasca per metterli in mano a lui.
Jae scatta, li getta sui sedili posteriori della Golf e sbuffa. «Non ti sto pagando se è quello che pensi» spiega.
«Ci mancherebbe!» Chase arriccia il naso con sdegno e si artiglia al sedile di Jae. In un attimo gli passano davanti tutte le giornate trascorse assieme a lui, perfino i momenti più intimi. E si dà dell'idiota mentalmente, ricorda il momento in cui Steven ha preteso il suo cognome fino a metterlo in difficoltà. La consapevolezza di non sapere granché su di lui lo annichilisce.
«Ci vediamo al Freeze questa sera?» Domanda Jae. Gli fa battere le palpebre dalla sorpresa e lo sente ridacchiare con irritazione latente.
«Fammi capire, Jae: io ti porto dai Dragon, tu mi riempi di soldi e poi abbandoni casa mia senza nemmeno rientrarci?» Una vena d'isteria nella voce, un velo di lacrime che gli appannano la vista. «Stai scherzando?» Chiede.
Jae solleva la mano destra e sfila dalla tasca una chiave. Dice: «Gordon Dragon mi ha chiesto di andare a Broad Street, nell'East Liberty...»
«Ti ha dato una casa o si tratta di lavoro?» Indaga. Nessuna risposta, quantomeno non subito, così incalza: «Rispondimi, cazzo!»
«Ambedue.» Sospira, poi torna a guardare Chase che, senza parole, non riesce a trattenere un ringhio frustrato. «Ci vediamo al Freeze» mormora. Si sgancia la cintura di sicurezza e scende dalla Golf solo per vederla partire come un razzo lungo Morewood Avenue. Allora sospira, si rigira la chiave fra le dita e schiocca la lingua. Sembra arrabbiato, forse perfino incazzato – a riprova di questo, il calcio all'albero più vicino.
Un appartamento disordinato, confuso quanto la mente del suo proprietario. I vestiti abbandonati un po' a destra e un po' a sinistra – sulle sedie, in cucina, in corridoio – e nell'aria il mormorio dello stereo con Führe mich dei Rammstein.
Zackary è in bagno, dinanzi allo specchio. Borbotta qualcosa, forse le parole della canzone o forse ancora delle frasi sconnesse. Una vera e propria lingua sconosciuta. E si friziona i capelli con l'asciugamano, storce al naso al ricordo di Richard Dragon. Sente ancora addosso il suo dannatissimo sguardo, il suo respiro, addirittura la saliva – oh, quella non riesce proprio a togliersela dalla testa. Ringhia un: «'Fanculo.» E percepisce il fremito che gli attraversa entrambe le cosce, il brivido lungo la schiena, il suo bisogno fisiologico che cresce a discapito della ragione. Sbuffa, infine abbandona l'asciugamano sul lavandino ed esce dal bagno. Lascia la porta socchiusa, diretto verso quella del salone. «Arrivo» sillaba. Alza la voce, finalmente conscio del trillo prepotente che supera Führe mich. Quando si presenta sull'uscio ha addosso solo un paio di boxer. «Ben, qual buon vento...» ironizza. Si scosta dalla porta e lo lascia entrare senza troppi giri di parole. «Pensavo che dopo il brunch saresti rimasto dai Dragon fino all'ora di cena» aggiunge piano.
«Ti ho chiamato mezz'ora fa» replica l'interpellato. Scuote la testa, infine chiude la porta e gli si avvicina in pochi passi. «Mi mancavi, sono venuto prima del previsto» ammette a mezza bocca. Le labbra posate sul collo bianco di Zackary e le mani posate sulle sue spalle nude. «Hai fatto la doccia?» Domanda. Sente il profumo del bagnoschiuma invadergli le narici – Sandalo e Vetiver.
«Cane da tartufo» schiocca cinicamente Zackary. E sorride, scosta appena il capo verso sinistra, si lascia vezzeggiare dal mormorio di Benjamin. Per un attimo dimentica Richard e le sue velate minacce.
«Come profumi, Zack...» soffia. Fa scorrere appena le dita lungo le braccia di Zackary e chiude gli occhi. Vorrebbe parlargli, dirgli di stare attento, magari accertarsi che non abbia aperto bocca sulla questione della gara d'appalto che gli ha accennato la settimana scorsa, eppure non ci riesce. «Quanti giorni sono passati?» Gli chiede. La voce rotta dall'emozione, dall'attesa, e la vicinanza che sembra farlo impazzire.
«Troppi» schiocca automaticamente Zackary. Si scosta subito e manda all'aria tutte le smancerie. Chissà come riesce a ritenerle superflue, delle blande intromissioni tra lui e Benjamin. Ha il fiato corto quando si gira a guardarlo. Gli occhi lucidi come smeraldi e le labbra appena umide. «Non ci vediamo da prima del matrimonio e non sei nemmeno passato a salutarmi al Karma-Log...» Si ferma un attimo, ricorda lo sguardo di Richard e mostra i denti bianchi. Una strana espressione a metà tra l'irritazione e l'eccitazione. Allora si avvicina alla bocca di Benjamin, al suo collo. E lo carezza con i palmi ancora umidi, freddi, mentre mormora: «Che cattivo, Ben.»
«Ho avuto da fare» replica. La voce mozzata, bassa, che si snoda nelle orecchie di Zackary e cerca le sue labbra.
«Sei stato cattivo lo stesso» dice. A un passo dal suo respiro, poi, chiede: «Ti hanno dato un pugno?» E lo sente sospirare, deglutire. Per un attimo tentenna, non è più certo di voler conoscere la risposta, così si getta a capofitto sulle sue labbra e lo zittisce. Un bacio rovente, infiammato, quasi disperato. Senza sé e senza ma, semplicemente il contatto che non si è concesso al Karma-Log tre sere prima. Le mani premute dietro la nuca di Benjamin e il suo mugolio che, strozzato, echeggia di passione. Non si scosta nemmeno quando lui muove un passo nella sua direzione, anzi: incalza sul posto, in piedi, mentre si avvicina al suo corpo per spogliarlo in uno scatto di euforia.
«Zack, calmati» ridacchia Benjamin, riuscendo a sfuggirgli un attimo quando questi prova a sfilargli la giacca.
«E perché?» Lo provoca, quasi grugnisce. «Hai detto che ti sono mancato, no?» Allora gli passa i palmi aperti sul petto, sulle spalle, e tira via la fastidiosa giacca scura. Sorride, si avvicina ancora alle sue labbra, infine gli allenta la cravatta. Mormora: «Hai idea di quanto tu mi sia mancato?»
«Più o meno.» Benjamin ghigna, lo lascia fare. Smette di opporsi e perfino di pensare. La testa lontana, sconnessa, e poi il gemito di fastidio che gli fluisce via come niente quando Zackary gli tira i capelli. «Piano, Zack» dice. Vede i suoi occhi imbrunirsi, tingersi delle tonalità indecifrabili di un fondo di bottiglia, così sospira. «Mi fa male la testa...»
«Hai fatto a botte con Gordon?» Schiocca. Ferma le mani sulle spalle di Benjamin e non si muove. Lo scruta in silenzio, con il cuore in gola, e quando lo vede scuotere la testa tira un sospiro di sollievo. «Oh, menomale.»
Neanche il tempo di dirlo che Benjamin lo corregge: «Con Rich.» E gli vede battere le palpebre, serrare le labbra. Sembra preoccupato, colpevole, mentre deglutisce a vuoto. Allora si affretta a spiegare la situazione: «Mi è saltato addosso a Railroad Street, prima ancora di raggiungerti al Karma-Log. Non è colpa tua. Zack, voleva solo darsela a gambe dalla festa...» Nel dirlo, però, sente un po' di amarezza.
«Non è colpa mia» ripete. Non sembra affatto convinto, anzi, ma annuisce e storce le labbra in una sorta di sorriso. «D'accordo, ho capito» soffia. Allenta la presa sulle spalle di Benjamin e gli carezza la nuca. Sente di nuovo la cute lesa sotto i polpastrelli e non riesce a fare a meno di sentirsi responsabile. «Non volevo farti male, Ben...»
«Colpa mia. Non ti ho detto niente per non farti preoccupare.» Fa spallucce, poi sente le dita di Zackary scivolare lungo le spalle e tornare ad armeggiare con la cravatta fin quando non la vede fluire via dal colletto.
«Avresti dovuto» borbotta l'interpellato. «Ti hanno visitato, almeno?»
«La sera stessa, sì.» Annuisce, poi manda al diavolo le raccomandazioni della guardia medica e si avvicina a Zackary per sollevarlo di peso. E lo sente ridacchiare, annaspare.
«Mettimi giù, Ben!» Gli batte una mano sulla spalla, ma non sembra affatto convincente. È divertito, ancora eccitato e confuso. Informazioni contorte e sensi di colpa che galleggiano sulle note di Führe mich, che battono sulle sue labbra e poi su quelle di Benjamin. Ancora un bacio, un lieve duello senza vittime e carnefici. Sulla porta, con le spalle schiacciate contro il montante della propria stanza, Zackary ansima piano. E propende il collo in avanti, si fa mordere con veemenza da Benjamin, continua a tenere gli occhi socchiusi.
«Assoluto riposo per almeno una settimana» borbotta Benjamin, citando delle parole che non gli appartengono. Mordicchia ancora la spalla nuda di Zackary e lo sente sospirare. «Al diavolo la guardia medica e il trauma cranico...»
«Trauma cranico?» Zackary cerca di parlare, di fare altre domande. Per un attimo mostra un barlume di preoccupazione, poi trattiene a stento un'esclamazione e sente i palmi di Benjamin scorrere lungo le cosce per trattenerlo in modo indecente. «Sei un cattivo ragazzo» sillaba a stento, appellandosi ancora alla propria ironia. «Un cattivo, cattivo, ragazzo troppo cresciuto...» si corregge in un soffio. E dietro i boxer di Zackary, perfino la stoffa dei pantaloni di Benjamin pare tirata, calda, opprimente. Cerca di spostarsi, ma non ci riesce. Ancora attaccato al montante, con i denti di Benjamin che lo fanno rabbrividire, annaspa. E si lascia scivolare in terra quando la sua presa manca per un attimo. Non oppone resistenza, non punta al letto poco distante, resta semplicemente lì, sul pavimento, con gli occhi socchiusi e languidi, mentre si artiglia ai pantaloni di Benjamin. «Spogliati» ordina. Un ghigno malizioso, una richiesta indecente. «Fallo per me, avanti...»
«Capriccioso» lo apostrofa Benjamin. Fa un passo indietro e lo vede incrociare le gambe. Allora scuote appena la testa, non è certo di saper replicare la sensualità di Zackary e neppure ci prova: si sfila la camicia dopo averla sbottonata, la fa cadere in terra e poi posa le mani sulla cinta.
«Non così!» Lo rimprovera Zackary. Le labbra arricciate e un gomito posato sulla coscia nuda.
«Accontentati, Zack» soffia in tutta risposta, vedendogli assumere l'espressione di un bambino indolente. Allora arrossisce appena, sgancia la cintura di pelle e la sfila con lentezza, catturando un sorriso complice da parte di Zackary.
«Hai anche la colonna sonora» si lamenta piano, continuando a osservarlo. E si sposta in avanti, si allontana dalla porta della propria stanza. Gattona appena verso di lui, frenandosi sulle ginocchia. Solleva il viso, lo guarda dal basso. Una mano sul collo, sul petto, che scivola piano verso il basso e si ferma in procinto dei boxer. «Si fa così» sostiene. E ghigna ancora, gli vede slacciare i pantaloni lentamente, secondo il ritmo di quella Führe mich a ripetizione. «Bravo» mormora compiaciuto.
«Smettila di guardarmi così, Zack» borbotta impacciato.
«Così come?» Lo provoca. Ha lo sguardo fisso sulle sue dita, sulla porzione di stoffa chiara che spunta dalla cerniera abbassata dei pantaloni eleganti. Quando si umetta le labbra lo sente borbottare qualcosa come:
«Sei un pervertito.»
E annuisce, allunga entrambe le mani sui pantaloni di Benjamin per tirarli verso il basso e soffiare sulla biancheria bollente che poi pizzica con le labbra e sprona verso il basso. «Lo sono» conferma sottovoce, divertito. Ma non aggiunge altro, lecca appena la punta dell'erezione di Benjamin, poi la fa scorrere piano nella sua bocca e lo sente sospirare.
«Mi farai impazzire, Zack» mormora. Gli carezza i capelli bagnati e sente le sue dita fredde sulle cosce. Rabbrividisce, reclina la testa all'indietro e fissa il soffitto attraverso gli occhi appannati d'eccitazione. Poco dopo, con l'incalzare di Führe mich, mentre Zackary inizia a suggere con veemenza, deglutisce e si sposta. Un passo indietro, lontano dalla bocca calda che è ancora umida di saliva. Si fossilizza lì, sulla lingua esposta e rosea, affascinante. E in un attimo perde il lume della ragione: si china in terra, lo afferra per una spalla, lo fa cadere all'indietro.
Zackary trattiene una risata, la sente riecheggiare nelle proprie orecchie e mozzarsi dentro la cassa toracica che, schiacciata tra il pavimento e il corpo di Benjamin, lo fa fremere. Poi socchiude le gambe, si fa sfilare i boxer e inarca appena la schiena per andargli incontro. Il suo sesso umido tra i glutei lo manda in visibilio, lo fa mugolare senza pudore.
Benjamin pare quasi non farci caso, è troppo su di giri. Con Führe mich nelle orecchie, l'eco degli ansimi di Zackary lo fa affondare piano, lentamente, fin quando questi non grugnisce e punta i talloni sul pavimento per incalzare nella sua direzione con un sorrisetto beffardo ed eccitato.
Torna a canticchiare piano, a mormorare suoni sconnessi e divisi da gemiti sempre più frenetici. Tanto più Benjamin spinge quanto più lui gli va incontro per non lasciarlo sfuggire. Si muove imperterrito, cocciuto, mentre il bacino batte sul pavimento e lo fa mugolare di fastidio. Ma non vuole spostarsi e non ha la benché minima intenzione di fermarsi proprio adesso.
«Non sei ancora pazzo?» Domanda d'un tratto. La voce rotta dalle spinte e la testa su di giri. «Non va bene, Ben, non va affatto bene...» Ansima. Le dita posate sul pavimento e le nocche bianche, tese. Si avvicina al suo volto e cerca di non sbattere ancora al suolo con il bacino, tuttavia non ci riesce e mugola appena. Arriccia il naso, infine ghigna e sposta la testa di lato. «Pensavo che fossi già pazzo di me» soffia. Si abbandona al piacere e fa scorrere una mano sull'addome muscoloso, mentre Benjamin l'osserva senza quasi vederlo davvero.
Allora si umetta le labbra, cerca di trovare la voce. In un rantolo dice: «Sono già pazzo di te, Zack.» E annaspa, chiude gli occhi, continua a spingere seguendo l'andatura indetta da Zackary fin quando non percepisce lo stesso ritmo. Führe mich decreta l'intensità, ora lo sa. Socchiude le palpebre e lo vede eccitato, con gli occhi stretti e le guance paonazze. Una mano chiusa sulla propria erezione e l'altra che cerca un appiglio sul pavimento umido di sudore che sa di Sandalo e Vetiver.
«Menomale» balbetta. La voce mozzata, febbricitante. E poi si spezza, grugnisce. Sente l'orgasmo farsi vicino e socchiude gli occhi per cercare quelli di Benjamin. Ma lo vede appannato, lontano, come sul fondo di un pozzo. «Ben...» lo chiama piano, trattenendosi a stento. Ritrae la mano a fatica, smette di masturbarsi e deglutisce. La testa ferma sul pavimento, i capelli umidi che si rattrappiscono in onde morbide e i polmoni pieni, saturi. Crede di poter esplodere da un momento all'atro, mentre le mani di Benjamin si stringono sui suoi fianchi e continuano a farlo ondeggiare sulle note di Führe mich. «Ben, per favore» singhiozza. Una supplica, una richiesta. Non ha alcuna intenzione di fare la bambola gonfiabile fin quando non viene, perciò si morde le labbra e ricaccia indietro l'apice d'eccitazione. Quando lo sente aumentare il ritmo, quando percepisce una serie di grugniti lievi, sa che Benjamin non ha voce e sorride tra sé e sé – forse non lo ha neppure sentito, chissà! «Così...» soffia. Si morde ancora le labbra, fa per raggiungere la sua erezione umida, ma viene preceduto dalla mano di Benjamin che segue lo stesso ritmo delle proprie spinte. E Zackary annaspa, si sente in bilico tra la luce e l'oblio. Viene con un gemito acuto, frenato dal palmo stretto di Benjamin, mentre questi si riversa in lui senza pudore, con un grugnito lieve, mozzato.
«Tutto bene?» Domanda a stento, cercando di riprendere fiato. Non è la prima volta che fanno sesso sul pavimento, ma ogni volta Zackary finisce con il lamentare un certo dolore all'osso sacro. Quando lo vede annuire, allora, si lascia andare a un sospiro di sollievo. Si allontana a malincuore, probabilmente intenzionato a replicare quell'andirivieni per ore e ore. E lo stesso vale per Zackary, perlomeno così si dice quando lo vede far scorrere una mano sull'inguine nella tanto chiara quanto imbarazzante ricerca del piacere che gli cola dalle natiche. «Zack, diamine!» Benjamin distoglie lo sguardo, lo sente ridacchiare con voce spezzata e infine si solleva. Non riesce più ad ascoltare Führe mich senza immaginare di sbatterlo con violenza sul pavimento di casa sua. «Dov'è lo stereo?» Chiede con fare impacciato – non ci ha mai fatto caso a dirla tutta. Non ottiene risposta, così si guarda attorno e lo vede sulla mensola accanto alla scrivania. Si affretta a raggiungerlo, a bloccarlo. Fermati i Rammstein, però, l'unico suono che lo attraversa da capo a piedi è il respiro agitato di Zackary.
«Era così bella» si lamenta in un mormorio. Il tonfo della sua testa sul pavimento è lieve, così come il suono della lingua sulla punta delle dita sporche del seme di Benjamin. «La colonna sonora perfetta...»
«Ma se non lo conosci neanche il tedesco» borbotta l'interpellato, sentendolo ridacchiare a fatica. E sospira, non si volta. Posa le mani sulla scrivania. Infine dice: «Zack, devo parlarti di una cosa importante.» Pur continuando a dargli le spalle, Benjamin è certo di poterlo vedere sobbalzare.
«Cosa?» Echeggia piano. La voce ancora rotta dall'eccitazione, dall'orgasmo. Storce appena le labbra e si rotola su un fianco. «Adesso?» Chiede ancora. Sbuffa, raggiunge i boxer e si riveste con quel briciolo di pudore rimastogli. «E di cosa, Ben?» Sente la paura attraversarlo, il timore di non andare bene farsi largo a spallate dentro il suo addome contratto. Deglutisce a vuoto e resta in silenzio. Gli occhi puntati sulle spalle nude di Benjamin Dragon.
«Mio fratello ha assunto un ragazzo di Liberty Avenue come informatore» schiocca. «Non dire a nessuno quello che sai, ti prego.» E non lo dice tanto per se stesso, quanto per lui. Si volta a guardarlo e tiene i pugni ben piantati sulla scrivania. Non riesce a muoversi, è quasi una statua di sale.
«Ma io non so niente» sussurra prontamente Zackary. Aggrotta le sopracciglia e infine si lascia andare a una risatina asciutta. «Davvero credi che possa commettere una simile idiozia?»
«La gara d'appalto a nome Evans è gestita con i sodi dei Dragon. Hanno fatto di tutto per aggiudicarsela, sono stati corrotti tanti uomini importanti...» inizia.
«Lo so già» dice Zackary. «O non ne ho idea, dipende da chi me lo chiede» fa evasivo. «Con te lo so, con altri no. Conosco il modus operandi, Ben» soffia.
«Non una parola» scandisce. «Con nessuno.»
«Neanche con te?»
«Neanche con me» conferma piano. «Dimentica quella storia...»
«E le atre?» Lo pungola. Si porta le braccia attorno alle ginocchia e posa una spalla sul montante poco distante. Lo fissa dal basso, incuriosito e in parte intimorito. «Non devo più aiutarti a far girare la roba al Karma-Log?» Domanda piano. E deglutisce, immagina già la moltitudine di clienti che si lamenteranno del servizio interrotto così su due piedi.
«No, non più.» Scuote la testa e sospira. Sa che la faccenda è molto più complicata di quanto sembri, ma non riesce a trovare altre soluzioni. «Un certo Jae ha fatto il tuo nome a Gordon, ha detto che ci frequentiamo e che tre sere fa si è presentato Rich a una sorta di tavolo vip...» Schiocca la lingua, infastidito. Solo il pensiero di quella sequela di avvenimenti gli fa salire il sangue al cervello. «Quindi no, non sai niente.»
«Ma è assurdo! E poi chi diavolo è questo Jae?» Storce il naso in una smorfia irritata. «Da dove salta fuori?»
«Si fa notare abbastanza» borbotta Benjamin. «Ha i capelli bianchi, decolorati fino alla radice, e gli occhi azzurri – due lame di ghiaccio...» Senza nemmeno saperlo, Benjamin echeggia la stessa metafora di Steven.
«Posso chiudergli la bocca» stabilisce. Sarebbe la prima volta che una proposta simile gli esce in modo così spontaneo, nonché la prima in assoluto che fa spingere Zackary a tanto, perciò l'occhiataccia di Benjamin è d'obbligo. Deglutisce, fa spallucce e infine sospira. «Come non detto» mormora.
«Adesso lavora per Gordon. A saperlo, teoricamente, siamo soltanto io e lui...»
«Quindi la faccenda si complica» concorda Zackary, cominciando a mordicchiarsi le labbra. Inizia a capire il filo del discorso e forse anche tutto il dramma che c'è dietro. Ingenuamente, poi, chiede: «Non puoi dire a Gordon che hai spacciato per Liberty Avenue? La storia della gara d'appalto non la conosce nessuno, in fondo...»
«Per il momento no, non posso.» Scuote la testa e schiocca la lingua. «Mi farebbe la pelle se sapesse quanto si è allargato il giro e quante entrate gli ho sottratto.» Sospira, infine dice: «Il tuo fornitore è uscito dal giro, puoi dire questo a chi ti chiede la roba.»
«Certo.» Annuisce, poi si tira in piedi con un mugolio di fastidio. Ancora una volta sente il dolore all'osso sacro farsi strada con lieve ritardo. «Vado a farmi un'altra doccia, Ben» dice. «Vuoi farmi compagnia?» Ghigna, poi si allontana verso il bagno e gli fa scuotere la testa.
«Che caso disperato che sei...» borbotta. E lo segue, chissà come non se lo fa ripetere due volte.
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