Ade

Olivia Dragon è quel tipo di donna che molti definirebbero leggendaria. È un nome, un volto, forse un ricordo offuscato e ancora il primo seme di ribellione sbocciato tra le mura di una famiglia maledetta come quella a cui appartiene.

Adele lo sa, non fa che ripeterselo. E mentre incrocia le braccia al petto, mentre osserva Benjamin, si chiede quando sarà il momento giusto per nominarla. Così si umetta le labbra, tace, socchiude le palpebre e vede il corpo di Gordon che, abbandonato dalle braccia di suo fratello, cade lungo le scale. Il rumore delle sue ossa pare scomposto, agghiacciante – è un dito, forse un gomito, a essersi fratturato post-mortem. A lei non importa, perché conosce tanti poliziotti quanti spacciatori – non è così che Drake Dragon ha costruito il suo impero di droga e corruzione? Però deglutisce, non sembra sicura di aver fatto la scelta giusta. Guarda la testa di Gordon lasciare un'impronta rossa sul pavimento del corridoio e sospira. «Ottimo» mormora. La voce bassa, lo sguardo fisso. «Grazie di tutto, Ben» soffia.

La prima risposta è un grugnito, poi un sospiro, infine una frase vera e propria: «Non importa quanto sia stato stronzo, Adele... Sappiamo entrambi che lo rimpiangerai.»

«Ci si affeziona subito alle persone, si dimentica con difficoltà il loro passaggio e alcune volte non si scorda più.» Evanescente come l'aria, si stringe nelle spalle. Non sa neppure se le proprie parole abbiano o meno un senso, perciò chiude gli occhi e si morde le labbra. Un attimo dopo li riapre e guarda Benjamin. Accenna un sorriso. «A me è già successo: posso conviverci.»

«E Richard saprà conviverci?» Schiocca. La vede battere le palpebre, così rincara la dose: «A Richard pensi che sia già successo?» È ironico, fin troppo pertinente. Adele lo sa, lui glielo legge negli occhi nel mentre che la vede deglutire a vuoto.

«Non ne ho idea» ammette piano. «Ma sarebbe accaduto – se non oggi, magari domani...»

«Meglio prima che dopo» borbotta cinicamente, per nulla convinto della tesi di Adele. «Perché lo hai fatto?» Chiede in un soffio. Abbassa lo sguardo, prova perfino un moto di disgusto verso se stesso – oh, lui non ha mai pensato di poter prendere parte a una cosa del genere!

«Per nostro padre» fa lapidaria. Ancora una volta sembra concisa, forse anche troppo, perché Benjamin serra i denti in una smorfia strana, incompleta, a metà strada tra l'indispettito e il compiaciuto. «Non fingere di disapprovare la mia vendetta, Ben» mormora. «Sapevi che lo avrei fatto, lo hai sempre saputo.»

«Non è vero» obietta e mente, scuotendo il capo. Tiene lo sguardo basso, lontano dal corpo di Gordon e fisso sulle scale cui lo ha lasciato cadere, rotolare come un sacco di patate.

«Sì, invece» schiocca. E sospira, solleva una mano, lo spinge a voltarsi. Occhi negli occhi, adesso, riesce a scorgere delle lacrime amare, trattenute a stento. «Quando ti ho chiesto una parte degl'introiti provenienti dal giro di droga, per esempio, hai pensato che stessi progettando qualcosa di assurdo. Hai riso, mi hai detto che era folle, eppure mi hai accontentata. Quindi lo sapevi, sì. Quel giorno mi hai guardata e hai capito che avevo intenzione di vincere...»

«Vincere?» Echeggia Benjamin. Deglutisce a stento, sente la voce morire laddove nasce e si trattiene dal grugnire qualcosa d'imprecisato. «Pensi che tutto questo si riduca al vincere o perdere?» Così attende, schiude le labbra e si ferma.

Adele lo interrompe con un: «Zackary sta bene.»

«Cosa c'entra Zackary?» Un balbettio confuso e la paura che, pallida, si dipinge sul viso di Benjamin in modo grezzo.

«Gordon aveva intenzione di usarlo contro di te» minimizza. «Ma sta bene, te l'ho detto.»

«Gordon?» Benjamin restringe lo sguardo. Sembra incredulo, spazientito, letteralmente angosciato. Il cuore gli balza nel petto a una velocità disarmante e non riesce a frenarlo, non riesce nemmeno a farlo ragionare lucidamente. «Sei sicura che sia stato lui a metterlo in pericolo e non tu?» Indaga. Non sa più cosa pensare, non sa nemmeno se Adele sia mai stata Adele.

«Dubiti di me, Ben?» Storce appena le labbra con fare contrariato, poi muove qualche passo lungo le scale, lo guarda dal basso e sospira. Dice: «Anch'io ho la mia piccola rete d'informatori, sai? Gli stessi sottoposti di Gordon non hanno impiegato più di qualche ora per decidere da che parte stare quando ho iniziato a gestire la mole di eroina che mi hai assegnato tu stesso.» E schiocca la lingua, distende le braccia lungo ai fianchi, non si preoccupa neppure di poter cadere e fare compagnia a Gordon per mano di Benjamin. Gli dà le spalle, le solleva appena, infine soffia: «Dovevano fargli la pelle questa sera stessa e sono io ad averli fermati.»

«Grazie.» Benjamin non dice altro. Ha ben chiaro in testa cosa Gordon sarebbe stato in grado di fare a un ipotetico traditore, perciò rabbrividisce sul posto e chiude gli occhi in un moto di sollievo improvviso. Chissà come, le crede.

«Dovere» soffia Adele. Scende ancora le scale, osserva il corpo di Gordon un'ultima volta, poi lo sorpassa e fa attenzione a non sporcarsi la suola delle scarpe con la chiazza di sangue. «Prima ancora di andare da lui, però, devi aiutarmi a eliminare Steven.»

«Non puoi chiederlo a Jae?» Domanda. Forse solleva un po' troppo la voce e la sente sbuffare con un cipiglio esasperato.

«Non so cos'abbia quel ragazzo, sembra sotto effetto di stupefacenti.» Schiocca la lingue e posa un pugno sul fianco. «Non mi stupirebbe, dopotutto» commenta tra sé e sé. «È sul divano con Rich, comunque, e non ho intenzione di parlare con nessuno dei due per il momento.»

«Perché?» Benjamin inizia a scendere le scale e si trattiene dal guardare Gordon. Fissa Adele, si dice che puntare a lei sia la scelta migliore, quella meno disgustosa e meno riprovevole – oh, se solo abbassasse lo sguardo continuerebbe a sentirsi in colpa!

«Lo sai perché» replica. «È difficile anche solo guardarlo in faccia, non mi sembra il momento adatto per spiegargli le cose per filo e per segno.»

«Quindi hai intenzione di farlo...» constata. La vede annuire e si lascia andare a un sospiro di sollievo. Allora sposta lo sguardo sulle gambe scomposte di Gordon, le sorpassa, raggiunge il corridoio e chiude gli occhi. Sente subito il palmo di Adele sulla guancia e serra i denti.

«Se mi aiuti a spostare il corpo di Steven dal salone al giardino sarai libero di scegliere chi soccorrere per primo» dice.

Benjamin aggrotta le sopracciglia e la fissa negli occhi. «Come?»

«Vuoi occuparti di Rich, capire come l'ha presa, oppure di Zackary?» Domanda piano. «Credo che siano entrambi molto scossi...» aggiunge, venendo subito interrotta da Benjamin:

«Hai detto che avresti parlato con Rich.»

«Giusto» mormora. «Ho anche detto che non lo avrei fatto subito» aggiunge. «Pensavo che fossi preoccupato per lui...» Lo vede deglutire, perciò si trattiene dall'indagare e fa spallucce quando questi riformula:

«Hai detto che gli avresti parlato tu stessa.»

«D'accordo» dice. «Prima Steven, poi Rich: mi sembra un buon compromesso...»

«Non parlare di compromessi» sibila Benjamin. Le abbassa la mano con un gesto secco e quasi ringhia a denti stretti: «Non parlare come Gordon, non comportarti come lui. Se lo facessi sarebbe tutto inutile.»

Adele restringe lo sguardo, lo frena per un braccio prima di poter essere sorpassata. Sillaba: «Non paragonarmi a lui.»

«Prima Steven, poi Zackary» borbotta. «Se non ti dispiace, devo ancora digerire il tuo colpo di stato...» Sente la presa di Adele abbandonarlo, poi i suoi passi andare in sincrono con i propri – sono svelti, agitati, concitati. Sulla soglia del salone domanda: «Una volta spostato in giardino?»

Ed è questo il momento perfetto, Adele lo sa. Sorride, poi solleva un indice con fare assorto – pare quasi essersene dimenticata, ma è tutta una montatura, ovviamente. «Ci penserà zia Olly» dice. Apre la porta d'ingresso e indica l'auto che costeggia il portico.

«Mio Dio, Adele...» Le parole di Benjamin muoiono nella sua bocca, escono in un grugnito basso. Quando sgrana gli occhi, poi, ritornano a farsi vive con più veemenza: «Hai chiamato Olivia!» La vede annuire, così scuote la testa e si avventa letteralmente sul corpo inerme di Steven. Lo solleva di peso, non aggiunge altro, dopodiché si appresta ad avvolgergli il capo con la sua giacca scura per non far gocciare sangue e cervella lungo il portico. E lo percorre in un moto d'irritazione, raggiunge la macchina parcheggiata, solleva il cofano aperto per incalcare malamente il cadavere nello spazio ristretto dell'utilitaria blu.

«Saluta zia Olly» lo sprona Adele, corrugando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto. Posa una spalla sul montante della porta, schiocca la lingua, lo vede spingere con foga il cofano e poi ringhiare alla sua chiusura.

«Ciao» dice soltanto. Storce il naso, neppure guarda la donna che sporge una mano dal finestrino in segno di saluto. «Contenta?» Chiede piano, passando accanto ad Adele e filando alla svelta verso il ripiano con le chiavi appese.

«Decisamente» soffia l'interpellata. Rimane fissa sulla porta per sorridere a Olivia Dragon, poi la saluta con un cenno del capo e le apre il cancello automatico. Attende di vederla uscire e fa lo stesso con Benjamin, certa che questi correrà a casa di Zackary. E sospira, si passa una mano sulla nuca rasata, socchiude gli occhi nel pieno di un vago mal di testa – il vuoto che martella, così lo definisce. «Patricia!» Solleva la voce, s'incammina verso la cucina e la vede lì seduta, subito scattante e con lo sguardo basso. «Patricia, hai già messo a lavare i vestiti di Jae?» Domanda. La vede annuire e non ode alcuna risposta. Si massaggia una tempia, poi un sopracciglio. «Adesso puoi pulire il salone...»

«Certo» soffia. Già armata di secchio e strofinaccio, si trascina fino al salone e non pronuncia una sola parola.

Adele rimane a guardarla per qualche minuto, si stupisce di non aver sporcato la parete e quasi ringrazia mentalmente Jae per aver parato gran parte degli schizzi di sangue. «Prendi il phon e asciuga tutto alla svelta» scandisce all'indirizzo di Patricia. «Domani mattina chiameremo qualcuno per il corpo di Gordon, perciò fai attenzione a non calpestare il sangue vicino alle scale» dice.

«Domani mattina?» Patricia impallidisce.

«Sì, domani mattina» conferma Adele, forse un po' spazientita. «È caduto dalle scale nel pieno della notte, nessuno se ne è accorto...» borbotta.

«Ho capito.» Patricia annuisce, poi si defila per cercare il phon e concludere il lavoro in salone.

Adele storce appena le labbra, poi sposta lo sguardo sul tavolo, sul fascicolo di Benjamin. Non le interessa aprirlo, tantomeno ficcanasare, ma annota mentalmente di doversene liberare al più presto per eliminare le prove che collegano al Dottor Parrish. Solo allora si ricorda di Jae e Richard. E sospira, si massaggia entrambe le tempie, perfino gli occhi chiusi. Raggiunge il salotto in totale silenzio e quasi stenta a varcarne la soglia. «Rich...» lo chiama piano, passandosi una mano sul viso e sospirando. Non sente nessuna risposta, così storce le labbra in una smorfia di fastidio e cerca di rilassarsi, di ricordare le note di Nisi Dominus. Lo chiama ancora: «Rich.»

«Mh?» Non più che un mugolio e uno sguardo stranito, assonnato, letteralmente confuso – non spaventato, non dispiaciuto.

«Tutto bene?» Chiede piano. Lancia un'occhiata a Jae, lo vede sulla poltrona vicina e probabilmente nel pieno della sua fase REM. Accenna un sorriso tirato e si rivolge a Richard, carezzandogli appena la testa.

«Tutto bene» echeggia.

«Dobbiamo parlare» dice.

«A che serve parlare?» Schiocca lui. Posa un gomito sul bracciolo del divano e solleva lo sguardo su Adele nel momento stesso in cui il rumore del phon gli giunge alle orecchie. «Vuoi liberarti anche di me? Vuoi uccidermi o mandarmi a Manhattan?» Storce il naso in una smorfia contrariata.

Adele scuote la testa, si siede accanto a lui e sospira. «Niente di tutto questo» dice.

«E allora cosa?» Domanda. Dapprima guarda Adele, poi Jae. Gli vede contrarre le sopracciglia nel sonno e si dice che forse è il suono del phon a disturbarlo. Così torna su Adele e le vede sollevare una mano per massaggiarsi una tempia indolenzita. «Hai detto che sarai tu a firmare l'accordo per l'appalto...» Prende una piccola pausa, infine sbotta con un: «Hai intenzione di tenermi per la firma di cessione?»

«Non solo per quella» precisa l'interpellata, sospirando di rimando. «Io ti voglio bene, Rich» dice piano. «La tua firma serve per cedere a me l'incasso dell'appalto, sì, ma non è per questo che sono venuta a parlarti.»

«Lo hai promesso a zio Ben?» Schiocca.

«Acuta osservazione» constata. «Ma volevo sapere come stavi...»

«Bene» ripete. «Cos'altro?» Pare stizzito, frastornato, e non si guarda neppure di nascondere la propria riluttanza.

«Non vuoi sapere perché l'ho fatto?» Chiede piano, in un soffio.

«No» ammette. La voce bassa, lo sguardo distante. «La verità è che avrei voluto avere la tua stessa forza per premere il grilletto del Revolver quando è stato lui a mettermelo in mano senza neppure una pallottola.» Deglutisce, chiude gli occhi e si passa le mani sul viso. «Avrei fatto la figura dell'idiota, ma almeno avrei fatto qualcosa...»

«Gordon ha ucciso Drake Dragon» dice Adele all'improvviso. Vede le dita di Richard scivolare via dal suo viso e sa di aver riscosso la sua attenzione. «Avevo solo otto anni, sai?» Si stringe nelle spalle, poi sospira. Si rilassa con la schiena sul divano e sposta lo sguardo sul daffare di Patricia nella stanza di fronte. «Nisi Dominus di sottofondo, poi l'agguato di Bruto. Per un attimo ho pensato che fosse impossibile, che lo stessi immaginando, ma poi ho capito che quello sparo era reale: Gordon aveva ucciso mio padre – nostro padre, tuo nonno.» Si umetta le labbra e intreccia le dita all'altezza del ventre. Poi incrocia le gambe con poca grazia, si sprona in avanti e puntella il polpaccio destro con entrambi i gomiti. Con la testa posata sui pugni chiusi, dice: «È un incubo senza fine, non lo dimenticherò mai.»

«Voleva il potere» schiocca Richard. «Anche tu lo volevi...»

«Io volevo giustizia» lo contraddice subito. «E volevo anche il potere, sì. Mio padre diceva sempre che avrei potuto controllare questa famiglia solo schioccando le dita, che la persona più giusta non sarebbe stata Gordon.» Si ferma, sposta lo sguardo su Richard, infine dice: «L'ho fatto per lui.»

«Potresti biasimarmi se un giorno facessi altrettanto?» Solleva un sopracciglio, neppure lui crede di aver davvero fatto una domanda del genere. In un primo momento ha paura perfino a deglutire, poi vede il sorriso tirato di Adele e riprende fiato nel sentirle dire:

«No, affatto.»

«Non lo farei» sentenzia. «Non è quello che voglio.»

«Ne sono felice.»

«Io voglio vivere decentemente» sibila. «Voglio vivere come una persona normale.»

«Lo voglio anch'io.» Annuisce alle sue stesse parole e quasi trattiene una risata amara. Sa che può farlo, sa che adesso non c'è più nessuno in grado d'impedire qualcosa del genere – no, adesso è tutto nelle sue mani. «Niente vestiti, niente collane di perle, niente acconciature elaborate...» soffia.

Richard la guarda, si umetta le labbra e non dice niente. Per certi versi riesce a comprenderla e non ha bisogno di fare domande – oh, sembra tutto così dannatamente chiaro! D'un tratto, però, chiede: «Cosa ti è successo?» Le vede spostare lo sguardo, battere le palpebre con fare confuso, così deglutisce e riformula: «So cosa mio padre ha fatto a me, ma a te cos'ha fatto?»

«Mi ha resa Adele» sillaba. «Non ha battuto ciglio quando nostra madre ha deciso cosa dovessi indossare, anzi. Diceva: Ha ragione lei, fattene una ragione!» Ci pensa su, non riesce neppure a digrignare i denti con rabbia – non adesso, no. Schiocca la lingua, storce le labbra e infine mormora: «Io volevo essere così come mi vedi adesso, però non ne ho mai avuto la possibilità – nel regno del terrore di Gordon non sono mai esistiti diritti.»

«Niente di così eclatante» borbotta Richard.

«Niente di così eclatante?» Echeggia Adele. Abbassa la braccia, si solleva in piedi e guarda Richard dall'alto. Lo fissa malamente, quasi lo trapassa con gli occhi. Poi lascia scorrere le parole e si trasforma in un fiume in piena: «Non essere sessualmente se stessi in pubblico non equivale a non essere se stessi con se stessi.» Inspira a fondo, quasi lo minaccia e sovrasta appena il rumore del phon di Patricia. «Ti sei sempre svegliato con la consapevolezza di essere Richard Dragon nei panni di Richard Dragon e la vita di Richard Dragon – pro e contro non contano, no. Immagina di svegliarti con addosso gli abiti di Tera, di sentirti chiamare Tera pur sapendo di essere Richard e di non poter dire: Io sono Richard Dragon, ridatemi i miei fottuti vestiti!» Quasi annaspa. Ha gli occhi in fiamme e il mal di testa che le perfora il cervello. «Immagina di sentirti chiamare Tera, fallo davvero, e immagina di non poter replicare – due settimane di clausura in casa sono cazzate al confronto.» E distoglie lo sguardo quando Richard abbassa il suo. Si porta una mano al viso, si massaggia le palpebre chiuse, sente un nodo stringerle la gola e quasi va in paranoia. Inizia a dirsi: È tutto finito, è tutto finito. Poi smette, perché è Richard a parlare:

«Mi dispiace.»

«Dispiace più a me» sputa in un grugnito. Infine sospira, si guarda attorno, dice: «Sveglia Jae e portalo di sopra. Domani mattina chiameremo l'ambulanza. Ci sarà un po' di caos per la caduta di Gordon dalle scale, ma non farci caso. Per le nove dovremmo riuscire a firmare il contratto...» Si ferma, deglutisce. «Non so se Ben sarà tornato per pranzo, ma ci sarà zia Olly.»

Richard tiene lo sguardo basso, si morde la lingua per non parlare. Ha una mezza idea su dove sia andato Benjamin, tuttavia non vuole fossilizzarsi sul Non so se Ben sarà tornato per pranzo di Adele. «Zia Olly» mormora. «Intendi Olivia Dragon?»

«Le piace essere chiamata così» minimizza Adele.

«E a te come piace essere chiamato, zietto?» Solleva appena lo sguardo e scopre la sorpresa pura e semplice sul viso di Adele. Non sa se abbia o meno sbagliato nell'usare il maschile, perciò deglutisce a vuoto.

«Figlio nobile» soffia. Ricorda l'unica volta che ha sentito quel significato, la voce di Drake Dragon. Rabbrividisce, a stento sorride. Dice: «Adelio significa figlio nobile

«Adelio è un nome orrendo!» Richard ridacchia e scuote la testa. «Ti chiamerò Ade – è più imponente, più divino.» Si alza a sua volta e fa spallucce. «Ad ogni modo la risposta è no: non m'interessa che tu lo abbia fatto ammazzare» dice. Torna a Gordon, al discorso principale, fa perfino un sorriso sincero e sembra rilassarsi. «Hai liberato tutti...» Non dice altro, si preoccupa di scuotere Jae fino a farlo sobbalzare nel dormiveglia. Poi lo trascina via, cercando di riscuoterlo giusto per non farlo capitolare sul corpo di Gordon ai piedi delle scale. E quando lo vede, stranamente prova l'impulso di calpestarlo – si trattiene a stento e solo per non rendere difficoltoso il lavoro di Ade. Tuttavia ghigna e soffia: «Bang!»

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