☽ ~ 𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 𝖔𝖙𝖙𝖔

ʟ'ᴀɴɪᴍᴀ ᴏɢɴᴜɴᴏ ꜱᴇ ʟᴀ ꜱᴀʟᴠᴀ ᴄᴏᴍᴇ ɢʟɪ ᴘᴀʀᴇ.
ꜰᴀʙʀɪᴢɪᴏ ᴅᴇ ᴀɴᴅʀé
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Sono stanca di scappare, di correre e di combattere ogni giorno per la mia vita. Non ce la faccio più.

Solo che non posso farmi arrestare, anche se l'idea mi stuzzica la mente. Starei decisamente meglio in carcere.

Giuro che non era mia intenzione colpire di nuovo lo sbirro sui gioielli di famiglia. L'ho fatto solo per mettermi in salvo. Sinceramente non so neanche da dove provenga tutto questo coraggio. Mi metto persino a picchiare i poliziotti. È proprio vero che la mela non cade mai troppo lontana dall'albero. Sono come mio padre. Forse meno cattiva e psicopatica, ma sono come lui. Infrango le leggi, spaccio, rubo... E picchio gli sbirri!

Questa volta pensavo di averla fatta franca. Quando mi sono recata al centro commerciale, pensavo di averli seminati, sicuramente la signora deve avermi vista impalata davanti al frigo delle torte, trovandomi sospetta. Be', lo ero. Solo che non ho saputo resistere a quel pezzo di torta, era buonissima, cavolo. E poi... Quei due hanno rovinato il mio unico momento di gioia.

Sinceramente non so per quale motivo Lucifer si sia accanito con me in questo modo. Certo, commetto dei piccoli reati, ma ogni volta che mi guarda... Non lo so. C'è qualcosa in lui che mi agita. Mi guarda come se fossi il peggiore essere umano sulla faccia della terra.

Ora come glielo dico a mio padre che non sono riuscita a procurare la cena? Andrà su tutte le furie, e io non so se potrò farcela a subire nuove percosse. Le ferite non si sono certo rimarginate. Se me ne procurerà di nuove, non ce la farei.

Cammino per i vicoli ormai bui con il capo chino e il cappuccio sulla testa. Anche ora, non so come tornarci a casa.

Non faccio altro che guardare oltre le mie spalle per paura che possa sbucare Lucifer da un momento all'altro. Era davvero arrabbiato quando l'ho colpito per la seconda volta in mezzo alle gambe. Qualcosa nel suo sguardo mi ha suggerito che, se fossi stato un uomo, non avrebbe esitato a stendermi con un pugno sul viso. Giuro che non ho più intenzione di aggredire un poliziotto. Non riesco ancora a capacitarmene.

Continuo a vagare senza una meta. Fa freddo, e io sto tremando come una foglia. Ad ogni movimento che sento alle mie spalle trasalisco come un piccolo topo spaventato.

Finirà mai questa tortura? Avrò mai una vita normale dove la violenza, il furto, lo stupro, non esisteranno più?

Non ne ho idea.

Ma dubito che se dovessi liberarmi di quei due, potrei anche solo vivere una vita normale. Non so niente sulla vita, se non la parte marcia e malsana. Riuscirei davvero a lasciarmi alle spalle tutto lo schifo che ho vissuto sino ad ora?

Sarò in grado di prendere la mia vita in mano e viverla come merita?
E se, riuscendo ad avere una vita normale, scoprissi che non è fatta per me? Che sono esattamene come Ray? Forse il mio destino è questo: essere quello che sono. Un fantasma. Un corpo come un altro su cui quegli uomini sfogano le loro fantasie più perverse. Una ladra. Forse Lilith Moon è davvero questo, non c'è nessun'altra parte di me che devo ancora conoscere.

I pensieri si arrestano con l'arrivo di una macchina, che riconosco subito come quella di Ray. Lui trova sempre il modo di raggiungermi, come un'ombra. Si ferma a pochissima distanza da me, il mio braccio entra in collisione con lo specchietto, dandomi una leggera spinta in avanti.

Il finestrino si abbassa, gli occhi di Chris sono la prima cosa che vedo. Non ha una bella espressione stampata su quel viso che credevo essere angelico. Ha la mascella serrata e lo sguardo di chi vorrebbe spaccare tutto.

Ray si piega leggermente in avanti e mi guarda. Lui ha la solita espressione, niente che non sia già abituata a vedere. «Sali in macchina.» È il tono della sua voce però, a farmi venire la tachicardia. Il cuore sembra dimenarsi, come se stesse cercando di liberarsi da delle catene invisibili.

C'è qualcosa che non va. In entrambi.

Non oso emettere nemmeno un sospiro mentre Chris apre lo sportello e abbassa il sedile per farmi entrare. Lo richiude con un colpo secco che mi fa sobbalzare.

Ogni cosa dentro di me è in allerta. Ogni singolo nervo del mio corpo si tende come una corda di violino.

Nessuno fiata, per tutto il tragitto che ci separa da casa, non dicono niente. La cosa è più grave di quanto pensassi. Se tacciono in questo modo, non è normale.

Fremo contro il tessuto logoro e sporco del sedile posteriore. Vorrei spaccare il finestrino e gettarmi dall'auto in corsa. Mi farei davvero male, ma sarebbe niente in confronto a quello che potrebbero farmi loro due. Ho paura.

Di tanto in tanto sento lo sguardo di fuoco di Ray che mi guarda attraverso lo specchietto retrovisore. Perché non parlano?

Quando ferma la macchina davanti a casa nostra, smetto di respirare per qualche secondo. Entrambi scendono, Ray sbatte lo sportello con rabbia e si affretta a raggiungere casa. Chris invece, solleva il sedile permettendomi di uscire. Appena lo faccio, e provo a compiere un passo in avanti, lui mi blocca afferrandomi il polso.

Non lo guardo, continuo a tenere lo sguardo fisso sulla porta di casa, o dell'inferno.

«Questa volta sei nella merda fino al collo, Lilith», il tono sprezzante e compiaciuto della sua voce mi fa venire il voltastomaco. «Prega Dio che non ti ucciderà.» È l'ultima cosa che dice prima di entrare dentro casa.

Resto impalata davanti alla macchina, dovrei scappare, ora che entrambi sono dentro casa. Eppure, come sempre, non riesco a fare niente. Mio padre sa qualcosa. Ma cosa? Non credo di aver fatto niente di male, oltre che non riuscire a prendere qualcosa per cena. Per il resto però, che ho fatto? Sono persino riuscita a sfuggire di nuovo dalla polizia.

Sussulto. La polizia. Ray lo sa. Sa che mi stanno dando la caccia perché non sono stata attenta? Sa che ho attirato la loro attenzione su di noi?

A fatica riesco a deglutire la saliva, con passo incerto mi avvicino alla porta di casa. Salgo il piccolo gradino di legno marcio, sollevo il piede per salire anche l'altro, ma la mano di Ray mi acciuffa dai capelli e mi spinge dentro casa. Fa male, ma non emetto nessun suono.

Mi obbliga a guardarlo in quegli occhi indemoniati. «Che cazzo pensavi di fare, eh?»Sbraita, alcune gocce della sua saliva colpiscono il mio viso.

«Non ho fatto niente», mormoro.

Mi strattona la testa. «Ah no? Allora dimmi per quale cazzo di motivo quei due sbirri ti girano attorno! Pensavi che non me ne fossi accorto? Ricordati che io ho occhi e orecchie dappertutto, puttana.» Il primo colpo mi arriva sullo zigomo destro, dove sono presenti già lividi e graffi.

Fa male, mi rifiuto però di urlare dal dolore. Non farei altro che invogliarlo a picchiarmi ancora più forte. A far accrescere qualunque cosa sadica ci sia dentro quest'uomo.

Chris mi raggiunge, mentre una ciocca dei miei capelli è ancora stretta nel pugno di Ray. Quella parte ancora stupida e ingenua di me, pensa che adesso prenderà le mie difese. Invece, dopo avermi rifilato un'occhiata dalla testa ai piedi, sogghigna. «Vuoi farti scopare anche da loro, Lili?»

Io non riesco più a credere che un ragazzo sia capace di dire tali assurdità. Scuoto il capo. «No assolutamente no. Sono loro che mi girano intorno, erano loro anche il giorno dell'imboscata. Ma io non c'entro niente. Lo giuro», chiudo gli occhi cercando di impedire alle lacrime di uscire. Piangere non avrebbe senso.

Inclina la testa di lato e mi guarda con quel ghigno sempre stampato sulle labbra. «Io credo proprio che tu abbia voglia di farti sfondare da quei due. Dopotutto, sono giovani.»

Scuoto il capo. «Non lo farei mai.»

Ray rafforza la presa sui miei capelli. Vengo tramortita da un altro colpo che arriva sulla tempia, talmente forte che per qualche secondo la vista si offusca.

Mi preparo mentalmente a ricevere l'ennesimo colpo, quello che probabilmente mi farà perdere i sensi. Invece, la mano di Ray resta sospesa a mezz'aria quando qualcuno bussa contro la porta di casa.

Sul viso di mio padre compare un sorriso diabolico. Poco dopo si allontana per aprire la porta.

Per un attimo ho pensato che fossero i due poliziotti, e giuro che gli avrei preferiti a quello che invece ha appena varcato la porta di casa mia.

Lui e il suo pancione da birra. Quella barba lunga che lo fa sembrare un Babbo Natale alcolizzato. North Wallace puzza come un bidone della spazzatura. Tra tutti i "clienti" di mio padre, è quello che odio di più. Odio tutto di lui. Da quelle mani luride e grassocce che mi toccano come se fossi un pezzo di tenera carne. Il suo alito che sa di alcool e chissà cos'altro. I peli scuri che ha su tutto il corpo che lo fanno sembrare uno yeti, e forse, avrei preferito lo yeti. Odio le sue gambe corte e grasse. La sua voce... Tutto.

Chris si avvina in prossimità del mio orecchio. «Questa volta ti è andata bene. Te la caverai con solo una scopata.» Si allontana da me con un sorriso stampato sulle labbra.

Per l'ennesima volta caccio via le lacrime e deglutisco quel groppo che raschia in gola. «Avevi detto che non l'avresti più permesso», la mia voce è un sussurro quasi inudibile. Mi fa male la testa.

Alza le spalle con non curanza, minimizzando al nulla le mie parole. «Ho cambiato idea, piccola. Te lo meriti.»

Me lo merito? Perché?

Si allontana da me lasciandomi da sola, in balia di quell'uomo ripugnante che si avvicina sempre di più a me. Ray mi sfila accanto, entra nella sua stanza e poco dopo sbatte la porta. Chris invece, attraversa il salotto ed esce di casa senza nemmeno guardarsi indietro. Sta lasciando la ragazza che dice di amare nelle grinfie di un perfetto sconosciuto che abuserà di lei.

L'amore fa schifo. Ora ne ho la conferma.

North si piazza davanti a me, mi scruta con quegli occhietti da ratto e con quel sorriso viscido. «È da un po' che non ci vediamo, bambolina.»

Il solo suono della sua voce mi fa accapponare la pelle. Non rispondo, distolgo lo sguardo. Mi rifiuto di guardarlo. A lui tanto neanche importa di sentirmi parlare, si prenderà ciò che vuole, che io lo voglia o meno. Del mio consenso a lui non frega niente, così come a tutti gli altri. Non ho voce in capitolo. Sono solo il loro giocattolo personale. Io vengo abusata, mio padre ingrana soldi. È da tutta la mia vita che funziona così.

Le dita grasse di North si intrecciano alle mie sudaticce e molli. Tira il mio braccio invitandomi a seguirlo nella mia stanza. Mi muovo per inerzia, non perché lo voglio. Le conseguenze del mio rifiuto sarebbero ben peggiori.

Lascia la presa della mia mano per richiudere la porta alle sue spalle, poi si volta a guardarmi dalla testa ai piedi, con uno sguardo che mi fa venire la nausea. Inclina leggermente la testa di lato, procurandosi ulteriori rotoli di ciccia intorno al mento già grasso. «Ti hanno proprio ridotta male, eh? Che hai combinato?»

Non rispondo.

«Ti hanno tagliato anche la lingua?» ride. «Stasera ho voglia di provare nuove cose con te. Tuo padre riceverà un bel po' di soldi» aggiunge, continuando a guardarmi come se fossi un cioccolatino irresistibile.

Ray avrà i suoi soldi. E io? L'ennesimo abuso.

Resto come paralizzata quando lui compie alcuni passi verso di me. Solleva quelle luride mani e come se fosse la cosa più naturale del mondo, inizia a toccarmi dove preferisce.

Cerco di divincolarmi ma il basso ringhio che gli risale dalla gola, mi desiste dal farlo. Non esiterà a picchiarmi. Nella mia vita tutti sono padroni del mio corpo, dei miei pensieri, della mia intera esistenza.

Inizia a spogliarmi, con quello sguardo famelico mentre sfiora la mia pelle, pregustandosi quello che verrà dopo.

L'unica cosa che mi resta da fare è quella di chiudere gli occhi e dissociarmi da tutto questo fino a quando non avrà finito.

Con il polpastrello accarezza il contorno del mio reggiseno di due taglie più grandi. Quegli occhi sporgenti e rotondi brillano di pura perversione, cosa che a me fa venire solo voglia di vomitare.

«Sei proprio bella Lilith, lo sai? Il tuo nome, i tuoi occhi, il tuo bellissimo corpo sono una piacevole tortura per me. Vorrei che mi torturassi con queste belle dita», afferra la mano che tengo inerte lungo il fianco e accarezza una per una le mie dita.

Se avessi più coraggio lo torturerei a modo mio. Con un colpo di pistola su quel verme viscido che ha tra le gambe.

Si abbassa leggermente per abbassarmi anche i jeans. Cerco di smetterla di tremare, ma è impossibile. Io odio tutto questo. E quando succede, odio anche me stessa, con tutto il cuore. Dopo ogni abuso che ricevo vorrei solo strapparmi di dosso la pelle e bruciarla. Ci sono giorni in cui non riesco nemmeno a guardarmi o a lavarmi, perché persino toccarmi mi fa schifo.

North mi spinge sul letto dove ricado rimbalzando come una bambola inanimata. Poco dopo, salendo con le ginocchia sul materasso, mi sovrasta con il suo peso schiacciandomi ancora di più.

Sorride, mostrando quei denti ingialliti dal troppo fumo. «Oggi vorrei farti provare il piacere di prenderlo anche nell'altro ingresso», si china su di me per posarmi un bacio sul collo. Il suo fiato caldo e puzzolente mi obbliga a voltare la testa dall'altra parte. «Sai cosa intendo, vero?»

Vorrei poter dire di no. Ma ho capito perfettamente quali siano le sue intenzioni.

Annuisco solamente. Che altro potrei fare? Ribellarmi? Ray non esiterebbe nemmeno un secondo a piombare in questa stanza e pestarmi, o peggio: a uccidermi.

Continua a toccarmi ovunque, come se avesse il pieno possesso del mio corpo, come se fosse suo, e non di una persona con un'anima e una coscienza. Insinua una mano tra i nostri corpi. Trattengo istintivamente il respiro quando tenta di infilarla dentro le mie mutandine.

Ti prego Dio, aiutami.

Ce l'ha fatta. La sua mano ora è a contatto con la mia pelle. La muove come se stesse cercando qualcosa che ha perso. Tento di divincolarmi ma lui, con la mano libera, agguanta una ciocca dei miei capelli e inclina la mia testa di lato. Avvicina la bocca al mio orecchio. «Non ti è concesso scappare, Lilith. Stai ferma: altrimenti userò le maniere forti» quasi lo ringhia, come una bestia.

Molla la presa dai miei capelli prima di afferrare una mia mano e posarsela sul fianco. Con i polpastrelli tocco il lardo che straborda dai jeans che ancora non si è levato. Ma lui non se li leva mai, altrimenti impiegherebbe troppo tempo per farlo, in quanto la sua agilità è inesistente. Si limita solo ad abbassare la cerniera.

«Toccami anche tu, dolce Lilith», la sua voce è un rantolo concitato. Gli uomini provano davvero così tanto piacere nel dominare una ragazza in questo modo? Che schifo. Odio gli uomini.

La mano che tengo sul suo fianco resta immobile. Lui ha già dimenticato la richiesta che mi ha appena fatto. Si concentra su quello che sta facendo con la mano sepolta dentro i miei slip. Continua a muoverla con movimenti veloci e scoordinati, provocandomi solamente bruciore.

Dio, aiutami. Ti prego.

Continuo a fissare il muro davanti a me senza neanche sbattere le palpebre. Neanche lo vedo più quel maledetto muro. Un pensiero totalmente inaspettato, quanto spaventoso, attraversa il mio cervello dandomi una sorta di scossone interiore. Volto il viso verso North, lecco le labbra screpolate prima di parlare. «Posso provare una cosa?»

Mio Dio, ma che mi è venuto in mente?

Lui mi guarda, aggrotta la fronte, ma per fortuna smette di muovere quella dannata mano. «Che cosa?» Chiede un po' sospettoso.

Non ho ben capito ancora che voglio fare. Ma oggi, non me la sento proprio di fare sesso con lui. Né ora, né mai più. Forse l'incontro con quei due sbirri ha sbloccato qualcosa dentro di me. Se non ho avuto paura nel colpire due persone armate, perché dovrei averne ora? North non è armato.

Mi scosto appena e scivolo di lato liberandomi del suo peso opprimente. «Voglio stare sopra», mormoro.

Le sue labbra sottili si increspano appena. «Mi piacerebbe. Era ora che prendessi l'iniziativa, piccola.»

Chiudo per mezzo secondo gli occhi cercando di racimolare un altro po' di coraggio. Lui si sistema sul materasso con quell'aria sognante, pronto a pregustarsi lo spettacolino che ho in mente per lui.

Salgo a cavalcioni su di lui, ignorando la protuberanza grassoccia che preme contro la mia intimità. Le sue mani fremono in preda all'impazienza e comincia di nuovo a toccarmi ovunque. «Dai, fammi vedere che sai fare. Dopo tutti questi anni dovresti essere esperta», ridacchia.

Come se lo avessi voluto io. Maledetto. E sarò maledetta anche io quando farò ciò che ho in mente. Spero solo di avere la forza. Spero che quel Dio che ha dimenticato la mia esistenza, abbia pietà di me.

La nausea che provo diventa sempre più insopportabile. Odio il modo in cui mi sta guardando in questo momento, mi sento ancora più sporca. Quelle manacce continuano a toccarmi in punti dove non dovrebbero.

«Allora, che stai aspettando?» Dice, perdendo la pazienza.

Devo darmi una mossa, altrimenti andrà in escandescenza e io perderò quel barlume di coraggio.
Inizio a strusciarmi su di lui, ignorando la crescente nausea che mi rivolta lo stomaco.

I versi che emette North non fanno altro che peggiorare la situazione. Che schifo.
Non so bene come muovermi, tanto meno sono sicura che quello che ho in mente funzionerà.

Sollevo entrambe le mani e accarezzo il corpo di North attraverso i vestiti. Persino sfiorarlo in questo modo mi disgusta.
Lui è così preso che chiude gli occhi, beandosi del mio tocco incerto.
Le mie mani scivolano fino a su e si fermano vicino a quel collo lardoso.

Lui apre gli occhi. «Che vuoi fare, Lili? Vuoi fare sesso violento?» Quegli occhietti da ratto si illuminano di pura perversione.
Annuisco solamente, perché non so che altro dire e non voglio perdere la concentrazione.

Piega le labbra in un sorriso. «Bene, non vedo l'ora», mormora conciato.

Ora o mai più.
Con entrambe le mani premo sul suo collo, facendo quanta più pressione possibile.
Apre di nuovo gli occhi rendendosi conto di quello che sto facendo. «Che fai?» dice in un rantolo.

Non rispondo. Continuo a premere con tutta la forza che ho contro il suo collo. Ma non basta, non sono abbastanza forte. In men che non si dica si libera delle mie mani e mi sbatte contro il letto. Mi guarda con quegli occhi offuscati dalla rabbia. «Che cazzo volevi fare?» sbraita.

Striscio sul letto cercando di sfuggire alle sue mani. Inutile, perché agguanta entrambe le mie caviglie e mi riporta sul bordo del letto. Sì china su di me, schiacciandomi fino a toccare il materasso con la pancia. Ho solo peggiorato la situazione.

Con rabbia tira giù le mie mutandine fino alle ginocchia. Con una manata mi colpisce sul sedere facendomi un male tremendo. Poi afferra i miei capelli attorcigliandoseli al pugno. «Sei solo una puttana!» Ringhia. Si sistema dietro di me. Quando sento la cerniera abbassarsi, il cuore mi finisce in gola.

No, ti prego.

«Adesso te lo faccio vedere io, stupida troia!»
Anche se ho gli occhi chiusi, sento che strappa la carta del preservativo. No, per favore.

Preme le dita contro i miei fianchi smorzandomi persino il respiro. Mi attira a se, facendomi inarcare la schiena.
Sono totalmente esposta alla sua mercé.

Con una mano strizza una mia natica facendomi ancora male.
Si sistema ancora una volta prima di provare ad entrarmi dentro. Senza pietà. Senza delicatezza.

Il dolore lancinante che provo mi obbliga a urlare. Strizzo il lenzuolo sotto le dita e stringo i denti.

Ti prego Dio, fermalo.
Ti supplico.
Non farmi questo.

Tutte le lacrime che ho cercato di trattenere vengono fuori, abbattendo ogni cosa. Piango in silenzio però. Perché so che se lo facessi in un altro modo, invoglierei solo North a farmi ancora più del male.

Lui emette versi gutturali, un misto di godimento e sofferenza.
Sento la mia carne lacerarsi lentamente.

«Ti prego, non farlo!» Strillo quando prova a penetrarmi con più forza.
Strattona i miei capelli obbligandomi a reclinare il viso nella sua direzione. «È quello che si meritano le puttane come te!» Ringhia, muovendo con più forza i fianchi.

Non è del tutto dentro, credo. Ma fa malissimo.
Molla la presa sulla mia nuca e sposta la mano sul retro del mio collo.
Ed è lì che le vedo. Le forbici che brillano sotto il chiarore latteo della luna.

Cerco di afferrarle mentre lui continua a spingersi su di me. Le sue dita affondano nella mia pelle ormai sensibile e martoriata.

Con la vista offuscata dalle lacrime, tendo una mano verso le forbici, mentre con l'altra resto aggrappata al lenzuolo sotto di me come se ne valesse della mia vita.

Riesco a prenderle e senza nemmeno ragionarci troppo, le stringo con decisione nella mano e lo colpisco sulla coscia ancora fasciata da jeans.
Lui urla e si allontana da me ancora confuso per quello che ho fatto.

Abbassa lo sguardo sulla chiazza rossa che si espande rapidamente sul tessuto dei jeans. Poi guarda me. È furioso.
Cerca di afferrarmi da collo ma io lo colpisco di nuovo, questa volta sul fianco. Devo fare più pressione per oltrepassare lo spesso strato di lardo.

Lui annaspa, ma non cede. Mi afferra i capelli e con l'altra mano prova a soffocarmi.
Inizio ad annaspare anche io, anche se cerco in tutti i modi di liberarmi della sua presa.
La vista si offusca ancora una volta, faccio fatica a respirare.

Ma la disperazione che provo è più forte. Sollevo la mano per aria prima di affondare le forbici sulla sua guancia. Il suo sangue schizza ovunque, persino sopra di me.
Si porta entrambe le mani sul viso e cade a terra come un sacco di patate.
Resto immobile sul letto respirando in modo convulso. Ma che ho fatto?

North smette di contorcersi, ma non è morto. Sta ancora respirando. Forse ha solo perso i sensi.
Cerco di scacciare via il panico e mi alzo. Mi vesto più rapidamente possibile, per quanto le mie mani tremolanti me lo permettono.
Ho sangue ovunque, sulle mani, sul viso, sulle cosce. Ma non importa.

Sento la porta della stanza di Ray aprirsi. Non deve entrare qui. Altrimenti mi ucciderà. I miei occhi saettano sulla piccola finestra.
La raggiungo con le gambe che tremano. La spalanco nell'esatto momento in cui Ray apre la porta con un colpo secco.

Guarda il corpo di North riverso a terra, poi me.
«Che cazzo hai fatto?» Sbraita.
Prima che possa raggiungermi scavalco la finestra e corro via.
Lo sento urlare dietro di me, ma non mi fermo, anche se mi fanno male le gambe.
Corro con tutta la disperazione e l'attaccamento alla vita che ho.
Ignoro i polmoni che bruciano. I muscoli che chiedono pietà. Ignoro persino il cuore che minaccia di squarciarmi il petto. Corro e basta. Senza sapere quale sia la meta.

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Non so dove mi trovo e nemmeno da quanto tempo sto correndo. So solo che non ce la faccio più.
Mi abbasso per riprendere fiato, posando le mani sulle ginocchia.
Sollevo appena la testa per controllare l'ambiente intorno a me. Sono finita in un quartiere pieno di pub, dove fuori da ognuno di loro ci sono gruppetti di persone che ridono e che parlano tra di loro. Si divertono, mentre io sto cercando disperatamente di tenermi viva.

Prendo un bel respiro e tiro il cappuccio sulla testa per nascondere i lividi e le macchie di sangue che ho sul viso. Infilo le mani nelle tasche e decido di proseguire camminando, dando quanto meno possibile nell'occhio. Non voglio attirare l'attenzione su di me.

Sorpasso i vari gruppetti di persone che nemmeno si rendono conto della mia presenza. Sono un fantasma per il resto della gente.

Mi guardo intorno con fare allarmato, ho paura che Ray possa raggiungermi da un momento all'altro, o Chris, che non so nemmeno che fine abbia fatto. So che frequenta locali e spero vivamente che non sia uno di questi.
Ho così tante cose per la testa che non so nemmeno cosa pensare su quello che ho fatto. Ho quasi ucciso una persona. Ora sono a tutti gli effetti una criminale. Sono come mio padre, andrò all'inferno.

Arresto i passi quando oltre il vetro intercetto un viso fin troppo famigliare. I capelli color grano e quell'espressione bonaria sul volto. È accompagnato da una bellissima ragazza dai capelli scuri. Stanno bevendo da degli enormi boccali strapieni di birra. Sembrano così felici.

Qualcosa cattura l'attenzione del biondino su di me. Sussulto per la sorpresa e mi affretto a proseguire. Però mi fermo di nuovo.
Forse lui... Potrà aiutarmi.

Mi volto pronta a tornare indietro, ma quando lo faccio, lui mi sta venendo incontro. Appena mi raggiunge i suoi occhi mi scrutano con... Non lo so, non riesco a capire in che modo lo stia facendo.

«Che cavolo è...» prova a dire, ma io lo interrompo subito.
Deglutisco l'enorme groppo che ho in gola. «Ti prego, Shane. Aiutami», sussurro.


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Spazio autrice

Forse questa è la volta buona che Lilith riuscirà a fuggire via da quella casa degli orrori.
Secondo voi, Shane l'aiuterà?🥹
Poverina , le sto facendo patire le pene dell'inferno😶
Comunque, mi scuso per eventuali orrori grammaticali 🖤
A mercoledì ✨

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