6.3

ᴅɪᴀʀɪᴏ ᴅᴇʟ ᴅᴏᴛᴛᴏʀ ꜱᴇᴡᴀʀᴅ

5 giugno - Il caso di Renfield si fa più interessante via via che lo sondo. Il paziente possiede certe caratteristiche molto salienti: egoismo, riservatezza, determinazione. Mi piacerebbe tanto capire quale sia l'obiettivo di quest'ultima. Si direbbe che egli abbia un suo preciso proposito, ma quale, lo ignoro. La qualità che lo riscatta è l'amore per gli animali, ancorché a volte questo si manifesti in forme così singolari, da farmi pensare che sia solo mostruosamente crudele. I suoi beniamini sono di strane specie. 

Al momento attuale, il suo passatempo preferito consiste nel catturare mosche, e ne ha ormai una tale quantità che sono stato costretto a fargli le mie rimostranze. Con mia grande sorpresa, non ha avuto un'esplosione d'ira, come mi aspettavo, ma ha preso la cosa con tranquilla serietà. Ci ha pensato su un istante, e quindi ha chiesto: "Mi concedete tre giorni? Le farò sparire tutte". Naturalmente gli ho detto di sì. Ma devo tenerlo d'occhio.

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18 giugno - Adesso si dedica ai ragni, e in una scatola ne tiene alcuni molto grossi. Continua a nutrirli con le sue mosche, che diminuiscono sensibilmente di numero, anche se metà delle sue razioni alimentari le usa per attrarne altre nella sua stanza.

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Primo luglio - I suoi ragni stanno diventando non meno fastidiosi delle mosche, e oggi gli ho detto che deve sbarazzarsene. È sembrato molto rattristato, per cui mi sono affrettato a soggiungere che deve per lo meno eliminarne alcuni, e lui ha accondisceso tutto lieto; gli ho concesso, per procedere allo sfoltimento, lo stesso periodo di tempo. 

Sono rimasto profondamente disgustato perché, proprio in quel momento, un moscone schifoso, gonfio di fetido cibo, è entrato ronzando, e Renfield l'ha catturato, per qualche istante l'ha tenuto, tutto esultante, tra indice e pollice e, prima che mi rendessi conto delle sue intenzioni se l'è infilato in bocca e l'ha inghiottito. 

Gli ho dato una lavata di capo, ma lui ha replicato, con tutta tranquillità, che il moscone era buonissimo e assai nutriente; che era vita, vita piena di energia, e che dava vita a lui. Questo mi ha suggerito un'idea, o per lo meno un barlume di idea. Devo vedere come si sbarazza dei ragni. 

Con ogni evidenza, al fondo della sua mente c'è un problema che lo assilla, perché tiene un taccuino in cui di continuo annota qualcosa. Ci sono pagine e pagine fitte di cifre, per lo più singoli numeri sommati a gruppi, i totali a loro volta raccolti a gruppi, come se si trattasse di quelli che i contabili chiamano riporti.

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8 luglio - C'è metodo nella sua follia, e nel mio cervello un'idea rudimentale prende corpo. Tra poco anzi, sarà un idea bell'e fatta; e poi, inconscia attività cerebrale, dovrai cedere il posto alla tua conscia sorella. 

Ho evitato il mio amico per qualche giorno, in modo da poter notare se si verificano mutamenti. Tutto resta come prima, salvo il fatto che si è sbarazzato di alcuni dei suoi beniamini e ora ne ha uno nuovo. È riuscito a procurarsi un passero, e in parte almeno l'ha addomesticato. Per farlo, ricorre a un metodo assai semplice: i ragni sono già in diminuzione. Quelli che rimangono, in compenso, sono ben nutriti, perché continua a catturare mosche attirandole con il suo cibo.

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19 luglio - Facciamo progressi. Il mio amico ha ora a disposizione un'intera colonia di passeri, e mosche e ragni sono quasi scomparsi. Quando sono entrato, mi è corso incontro e mi ha detto che aveva da chiedermi un grande favore - un grandissimo favore, anzi; e parlando, mi scodinzolava attorno come un cane. Gli ho chiesto di che si trattasse, e lui, con voce ed espressione rapite:

"Un gattino, un bel gattino, un micino giocherellone, perché possa baloccarmici, e istruirlo, e dargli da mangiare, mangiare, mangiare!" Non ero impreparato alla sua richiesta avendo notato come i suoi beniamini crescano in dimensioni e voracità, ma non mi piaceva l'idea che quella lieta famiglia di passerotti addomesticati venisse spazzata via allo stesso modo delle mosche e dei ragni; ragion per cui gli ho risposto che ci avrei pensato e gli ho chiesto se non preferiva un gatto adulto a uno cucciolo. L'impazienza lo ha tradito, e la sua risposta è suonata:

"Oh, sì, mi piacerebbe sì, un gatto! Vi ho chiesto un gattino soltanto perché temevo che un gatto me lo rifiutaste. E un gattino, nessuno me lo rifiuterebbe, vero?" Ho scosso il capo, dicendo che per il momento temo sia impossibile, ma che ci avrei pensato. Il volto gli si è incupito, e vi ho letto un'avvisaglia di pericolo, perché c'è stato un'improvvisa occhiata sbieca, torva, assassina. Quest'uomo è affetto da mania omicida repressa. Terrò sotto controllo questo suo nuovo ghiribizzo per seguirne gli sviluppi; così ne saprò di più.

Ore 22 - Sono stato di nuovo da lui, e l'ho trovato immusonito in un angolo. Come mi ha visto, mi si è gettato alle ginocchia, implorandomi di concedergli un gatto: ne andava della sua salvezza! Ma sono stato irremovibile, e gli ho detto che era impossibile, e lui allora si è allontanato senza una parola, morsicandosi le dita e accoccolandosi nell'angolo dove stava prima. Lo rivedrò domattina presto.

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20 luglio - Ho visitato Renfield molto presto, prima che l'infermiere facesse il suo giro. L'ho trovato in piedi che canticchiava. Era intento a spargere lo zucchero che aveva messo da parte sul davanzale della finestra: evidentemente, ha ricominciato ad acchiappar mosche, e lo fa tutto allegro, di buona lena. 

Mi sono guardato in giro, alla ricerca degli uccelli, e non vedendoli gli ho chiesto dove fossero. Ha risposto, senza voltarsi, che erano volati via tutti. Qua e là nella stanza c'erano delle piume e, sul suo cuscino, una goccia di sangue. Non ho detto nulla, ma sono uscito e ho dato ordine al sorvegliante di avvertirmi subito se durante il giorno avesse notato qualcosa di strano.

Ore 11 - L'infermiere è venuto un momento fa a dirmi che Renfield è stato malissimo e ha vomitato un mucchio di piume. "Secondo me, dottore", mi ha detto l'infermiere, "ha mangiato gli uccelli, buttandoli giù crudi, così come erano."

Ore 23 - Questa sera ho somministrato a Renfield un potente sedativo, sufficiente a farlo dormire della grossa, e mi sono impadronito del suo taccuino per esaminarlo. Il pensiero che mi frullava nella mente da un po' di tempo in qua aveva preso finalmente forma, e la teoria risulta comprovata. Il mio maniaco omicida è di un tipo particolare. 

Dovrò elaborare una nuova classificazione a suo uso e consumo: lo chiamerò "zoofago", vale a dire mangiatori di esseri vivi; ciò cui aspira, è di ingurgitare quante più vite gli riesce, e si è proposto di farlo per graduale accumulo. Ha dato molte mosche a un unico ragno, e molti ragni a un unico uccello, e poi voleva un gatto perché mangiasse i molti uccelli. E il passo successivo? Quasi quasi, varrebbe la pena di portare agli estremi limiti l'esperimento. Lo si potrebbe fare, ci fosse solo un motivo sufficiente. 

Gli uomini hanno sempre protestato contro la vivisezione, ma guardiamone oggi i risultati! Perché non far progredire la scienza in quello dei suoi campi che è il più arduo e decisivo: la conoscenza del cervello? Se mai riuscissi a cogliere il segreto di almeno una mente siffatta - se possedessi la chiave delle fantasie di almeno un lunatico -, potrei far progredire la branca della scienza che mi è propria, portandola a un livello rispetto al quale la fisiologia di Burdon Sanderson(*) o le conoscenze del cervello di Ferrier sarebbero quisquilie. 

Ah, ci fosse un motivo valido! Non devo pensarci troppo, altrimenti potrei sentirmene tentato; una causa sufficiente rischierebbe di indurmi al gran passo, perché come escludere che anch'io sia in potenza dotato di un cervello eccezionale?

Come ragionava bene, quell'uomo! I pazzi sempre lo fanno, nel contesto che è loro proprio, e mi chiedo quante vite secondo lui valgono un uomo, o se questo ne vale una sola. Ha compiuto il suo calcolo con la massima precisione, e oggi ne ha cominciato uno nuovo. E quanti di noi ogni giorno della nostra vita non cominciano un nuovo computo?

Mi sembra soltanto ieri che la mia vita precedente è finita in una con la mia speranza, e ho cominciato un nuovo computo. E così sarà finché il Grande Calcolatore non avrà tirato le somme che mi riguardano, chiudendo il mio conteggio con un bilancio di profitti e perdite. Oh, Lucy, Lucy, non posso essere adirato con te, né avercela con il mio amico la cui felicità è la tua; non mi resta che continuare ad attendere senza speranza e lavorare. Lavorare, lavorare!

Se almeno avessi uno scopo valido come quello del mio povero amico pazzo - un valido motivo altruistico che mi sproni a lavorare: e allora sì che sarei felice. 

Curiosidracula#1: nel capitolo il dottor Seward cita Burdon Sanderson, uno dei fondatori della sintesi moderna evoluzionistica, una teoria nota anche come neodarwinismo, che rappresenta la teoria evoluzionistica attualmente più accreditata.
Mi ha sempre fatto sorridere una sua famosa battuta:
"Le teorie attraversano quattro stadi di accettazione: 1) è una sciocchezza priva di valore; 2) è un punto di vista interessante, ma erroneo; 3) è vera, ma del tutto irrilevante; 4) l'ho sempre detto!"

Riflessioni: la conclusione del capitolo è molto interessante.
Il dottor Seward paragona il cervello ad un calcolatore e gli obiettivi e i desideri ai calcoli da compiere. Nel caso Renfield, il paziente aveva questo obiettivo: "ciò cui aspira, è di ingurgitare quante più vite gli riesce, e si è proposto di farlo per graduale accumulo. Ha dato molte mosche a un unico ragno, e molti ragni a un unico uccello, e poi voleva un gatto perché mangiasse i molti uccelli."
Quando però il rifiuto di ottenere un gatto gli ha impedito di continuare, egli ha iniziato un nuovo computo, ovvero ha cambiato obiettivo/desiderio e ha mangiato egli stesso gli uccellini.
Allo stesso modo Seward guarda alla sua vita, il suo computo, il suo precedente desiderio di sposare Lucy, si è infranto sul rifiuto della giovane, quindi anche per lui è il momento di iniziare un nuovo computo.
E infondo, dice, non è forse questa la vita? Andare avanti per nuovi computi, e quando si arriverà alla fine si farà un bilancio tra i successi e i fallimenti. Non incolpa né Lucy, né il suo amico Arthur e quindi possiamo dire che in queste ultime righe il nostro dottore ha superato la "batosta".
Ricordate cosa scriveva nel capitolo 5.3? Non aveva appetito e non riusciva a dormire per la delusione (era il 25 maggio, qui siamo al 20 luglio).
E non solo! Termina con una frase emblematica: "Se almeno avessi uno scopo valido come quello del mio povero amico pazzo - un valido motivo altruistico che mi sproni a lavorare: e allora sì che sarei felice."
Tutto questo che vi ho sottolineato, cari lettori, è per evidenziarvi un momento di evoluzione del personaggio che sarà importante nel prosieguo della storia.
E poco prima ha citato lui stesso uno dei fondatori della teoria moderna dell'evoluzione... che strano!

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