22.1
CAPITOLO XXII
ᴅɪᴀʀɪᴏ ᴅɪ ᴊᴏɴᴀᴛʜᴀɴ ʜᴀʀᴋᴇʀ
3 ottobre - Poiché devo far qualcosa per non impazzire, mi dedico al diario. Sono le sei, tra mezz'ora ci riuniremo nello studio e faremo colazione - il dottor Van Helsing e il dottor Seward sono concordi nell'affermare che, se non mangiamo, non riusciremo a dare il meglio di noi stessi. E Dio sa se quest'oggi non avremo bisogno di tutte le nostre energie. Devo continuare a scrivere a ogni costo, perché non oso soffermarmi a pensare. Ogni particolare, piccolo o grande, deve venire qui registrato: può darsi che, a lungo andare, siano i particolari minuti a risultare soprattutto eloquenti. Ma la lezione, piccola o grande che sia, non avrebbe potuto rivelarsi peggiore di quel che è stata per Mina e per me. Ciononostante, dobbiamo aver fiducia e sperare. La povera Mina mi ha detto, appena un momento fa, con le lacrime che le scorrevano lungo le dolci guance, che la nostra fede è messa alla prova proprio dalle avversità e dal dolore, e che dobbiamo continuare a credere perché Dio ci aiuterà fino alla fine. La fine! Oh, mio Dio, quale fine?... Lavorare! Lavorare!
Quando il dottor Van Helsing e il dottor Seward sono tornati dall'aver visto il povero Renfield, ci siamo consultati sul da farsi. Per prima cosa, il dottor Seward ha riferito che egli e il professore hanno trovato Renfield disteso sul pavimento, le membra scomposte, il volto tutto contuso e tumefatto, l'osso del collo spezzato. Il dottor Seward ha chiesto all'infermiere di guardia nel corridoio se aveva udito qualcosa. L'uomo ha detto di essere rimasto sempre lì, ma ha confessato di essersi appisolato; a un certo punto ha udito voci concitate nella stanza, e poi Renfield che gridava a più riprese: "Dio, Dio, Dio", e poi il rumore di una caduta; entrato nella stanza, aveva trovato il paziente bocconi sul pavimento, nella posizione in cui l'hanno poi visto i medici.
Van Helsing gli ha chiesto di precisare se aveva udito una o più voci, ma l'infermiere ha risposto di non esserne certo: dapprima gli erano parse due, ma siccome nella stanza non si trovava nessun altro, doveva essere stata una sola. Pronto tuttavia a giurare che la parola "Dio" era stata pronunciata a più riprese dal paziente. A noi, il dottor Seward ha precisato che aveva preferito non andare troppo a fondo nella faccenda: bisogna tener conto della possibilità di un'inchiesta, e sarebbe vano dire la verità perché, tanto, nessuno la crederebbe. Alla luce dei fatti, è sua opinione che, in base alla testimonianza dell'infermiere, può stilare un certificato di morte causata da accidentale caduta dal letto. Qualora il giudice istruttore sollevasse obiezioni, l'inchiesta formale non potrebbe che portare alle medesime conclusioni.
Quando poi si è intavolato il problema di quale dovesse essere il nostro prossimo passo, per prima cosa abbiamo deciso che Mina deve essere tenuta al corrente di tutto: nessun particolare, per quanto penoso, le va sottaciuto. Lei stessa ha approvato la decisione come saggia, e faceva pena vederla così coraggiosa e così addolorata, in preda a una simile disperazione. "Nulla deve essermi più nascosto" ha detto. "Ahimè, già fin troppo ci è accaduto. E poi, non c'è nulla al mondo che possa causarmi maggior dolore di quello che ho già sopportato - che ancora sopporto! Qualsiasi cosa accada, deve essere fonte di nuova speranza e di nuovo coraggio per noi!"
Van Helsing, che mentre parlava la guardava fissamente, ha interloquito pacato:
"Ma cara Madame Mina, non avete voi paura, non tanto per voi, ma per altri, dopo tutto che è accaduto?". Il volto di Mina si è indurito, ma è stato con occhi in cui splendeva lo zelo della martire che ha risposto:
"No, ormai ho deciso".
"Deciso che cosa?" ha chiesto sempre pacato il professore, tra il silenzio di tutti gli altri; perché, ciascuno a suo modo, avevamo tutti una vaga idea di ciò cui intendeva arrivare. E la risposta di Mina è giunta con semplice fermezza, come se lei non facesse che costatare un dato di fatto.
"Vedete, se dovessi notare in me stessa - e terrò gli occhi bene aperti - una minaccia di pericolo per le persone che amo, morirò!"
"Non vorrete mica uccidere voi?" ha esclamato Van Helsing con voce roca.
"Lo farei se non ci fosse un amico che, amandomi, sia pronto a risparmiarmi questo dolore e quest'atto disperato!"
E, così dicendo, lo guardava con occhi supplici. Il professore è allora balzato in piedi, le si è avvicinato e, posandole una mano sul capo, ha pronunciato in tono solenne queste parole: "Bambina mia, se fosse per vostro bene, quest'amico esiste. Per quanto riguarda me, saprei come rispondere di esso davanti a Dio per giustificare vostra eutanasia, anche in questo momento se sarebbe cosa migliore. Se sarebbe bene, dico, ma, bambina mia...". Per un istante è parso non riuscire a continuare, e un singhiozzo gli ha fatto nodo alla gola; ma l'ha soffocato e ha proseguito:
"Qui sono uomini disposti a mettersi tra voi e morte. Voi non dovete morire. Voi non dovete morire per mano di nessuno, e tanto meno per mano vostra. Finché l'altro che ha contaminato vostra dolce vita è davvero morto, voi non dovete morire; perché se è ancora tra i Non-morti, vostra morte farebbe di voi come esso è. No, voi dovete vivere! Voi dovete lottare e sforzare voi di vivere, sebbene la morte può sembrare un sollievo che non si può dire. Voi dovete combattere morte stessa, che questa viene a voi in dolore o in gioia, di notte o di giorno, in sicurezza o in pericolo! Per vostra anima vivente io vi chiedo di non morire, e anzi di non pensare voi a morte, finché questo grande male non sia passato". La povera cara si è fatta bianca come un lenzuolo, e tremava e rabbrividiva come una canna al vento. Stavamo tutti in silenzio, e del resto, che potevamo dire? Un po' alla volta, si è calmata e ha detto al professore con dolcezza ma, oh, con quanto dolore nella voce, porgendogli la mano:
"Vi prometto, mio caro amico, che, se Dio mi concederà di vivere, io mi sforzerò di farlo a mia volta, finché, quando a Lui piacerà, questo orrore non si sia allontanato da me". Era così buona e coraggiosa che abbiamo tutti sentito in ostri cuori rafforzarci nella decisione di operare e resistere per lei, e abbiamo iniziato a discutere sul da farsi. Le ho detto che doveva conservare tutte le carte nella cassaforte, insieme con i diari e le registrazioni fonografiche che potranno servirci in seguito, e che era necessario che continuasse il suo diario. È parsa lieta della prospettiva di avere qualcosa da fare, sempreché "lieta" sia un aggettivo che si confà a situazioni così tristi.
Come al solito, Van Helsing aveva precorso il pensiero di tutti noi, e aveva già abbozzato uno schema delle iniziative da prendere.
"Forse è stato bene" ha esordito "che a nostra riunione dopo nostra visita a Carfax noi abbiamo deciso di nulla fare con casse di terra che vi si trovano. Se noi abbiamo fatto, il Conte deve aver arguito nostro proposito, e indubbiamente lui allora ha preso misure in anticipo per frustrare tentativi del genere per riguardo ad altre casse; ora invece lui non sa di nostre intenzioni. Più ancora: con tutte probabilità, lui non sa che esiste per noi un potere tale che noi possiamo sterilizzare suoi nascondigli, per modo che lui non può usarli come prima. Adesso noi siamo tanto più avanti in nostre conoscenze circa loro distribuzione che, quando abbiamo esaminato la casa di Piccadilly, possiamo, chissà, rintracciare fino a ultima di esse. Giornata di oggi è dunque decisiva, e in essa resta nostra speranza. Il sole che sorge a illuminare nostro dolore poi ci protegge lungo tutto suo corso. Finché l'astro non cala questa sera, il mostro deve mantenere qualsiasi forma che esso ha ora. Esso è confinato entro limiti di sua forma terrena. Lui non può dissolversi in aria sottile né disparire attraverso fessure, fori o spiragli. Se attraversa una porta deve aprire suo battente come un mortale. Per cui questo oggi noi dobbiamo individuare tutti suoi nascondigli e sterilizzarli. In tale modo, se ancora non abbiamo catturato e distrutto lui, costringeremo lui a cercare di rifugiarsi in luogo in cui cattura e distruzione saranno in seguito certi."
A questo punto mi sono alzato, incapace di contenermi ulteriormente al pensiero che i minuti e i secondi così preziosi per la vita e la felicità di Mina volassero via inutilmente: finché si parlava, nulla si faceva. Ma Van Helsing ha alzato una mano ammonendo: "No, amico Jonathan, in questo caso, come dice il vostro proverbio, via più corta è più perigliosa. Poi agiamo tutti e agiamo con disperata rapidità, quando il tempo è venuto. Ma pensate che con ogni probabile la chiave di situazione è in quella casa in Piccadilly. Il Conte può disporre di molte case che lui ha comprato. In esse avrà documenti di compravendita, chiavi e altre cose. Ha carte su cui scrive, ha suo libretto di assegni. Molti sono suoi beni che lui deve tenere in qualche parte, e perché no in quella casa in posizione così centrale, così tranquilla, dove lui va e viene di porta anteriore e di porta posteriore a tutte le ore, quando nel traffico intenso nessuno nota lui? Noi lì dobbiamo andare a perquisire quella casa. E quando sappiamo che cosa essa contiene, ecco che noi, come dice nostro amico Arthur in suo gergo di cacciatore, "bloccheremo le tane" e metteremo il sale sulla coda a nostra vecchia volpe, sì?"
"E allora andiamo subito!" ho gridato. "Stiamo perdendo tempo prezioso!" Il professore non si è mosso, limitandosi a chiedermi: "E come facciamo a entrare in quella casa di Piccadilly?".
"In qualsiasi modo!", ho esclamato. "Mediante scasso, se occorre."
"E vostra polizia? Dove è poi essa e che cosa essa dice?"
Sono rimasto muto; ma sapevo che, se il professore tirava in lungo, aveva i suoi buoni motivi per farlo, e allora ho replicato, cercando di controllarmi: "Per lo meno, non indugiamo più del necessario. Sono certo che voi vi rendete conto del tormento che mi divora".
"Ah, figliolo, senza dubbio, questo. E non desidero certo accrescere vostra angoscia. Ma giusto pensate: che cosa possiamo noi fare finché pochi vanno e vengono? Nostro tempo poi viene. Ho pensato e pensato, e a me sembra che soluzione più semplice è anche migliore. Ora, noi desideriamo entrare dentro la casa, ma noi non abbiamo chiave, sì?"
Ho annuito.
"Ora voi supponete che siete vero proprietario di quella casa e voi non potete entrare in essa; e in voi non è animo di scassinatore, che cosa dunque voi fate?"
"Andrei da un fabbro come si deve, e lo chiamerei ad aprire la serratura."
"E vostra polizia? Non interferisce, sì?"
"Oh, no, se sapesse che si tratta di un autentico fabbro, noto come tale."
"Quando è così" e dicendolo mi scrutava con attenzione "in dubbio è solo la coscienza di chi dà incarico, e la convinzione dei vostri poliziotti se datore di lavoro ha buona coscienza oppure no, sì? Vostra polizia deve essere davvero uomini zelanti e intelligenti, oh, tanto intelligenti, nella lettura di cuori, che si preoccupa di queste cose. No, no, amico Jonathan, voi potete andare a scassinare serratura di cento case disabitate di questa vostra Londra o di ogni città di mondo, e se voi fate queste cose come giustamente vanno fatte, e nel momento che queste cose vanno giustamente fatte, nessuno interferisce. Ho letto di un signore proprietario di una così bella casa a Londra, che quando lui è andato per mesi di estate in Svizzera e ha chiuso questa sua casa, ecco che è venuto ladro e ha rotto finestra su retro ed è entrato. Poi ha aperto le persiane sul davanti, e andava e veniva attraverso la porta, sotto veri occhi di poliziotti. Quindi lui ha fatto un'asta in quella casa, e ha messo annuncio di asta, e un grande cartello di essa; e quando viene il giorno, lui svende per mezzo di un grande banditore tutti oggetti di quell'altro uomo che possiede loro. Quindi lui va da impresario edile, e vende lui quella casa, con accordo che deve essere abbattuta e deve portare via ogni cosa entro un certo tempo. E vostra polizia e altre autorità lo aiutano meglio che possono. E quando quel proprietario viene di ritorno di sua vacanza in Svizzera, lui trova soltanto un buco vuoto dove sua casa era stata. Tutto era stato "en règle". E in nostra opera noi dobbiamo essere "en règle" anche. Non dobbiamo andare così presto che i poliziotti, che allora hanno poco da pensare, pensano esso strano; ma andremo dopo le dieci, quando molta gente è per strade, e cose simili si fanno come se saremo veri proprietari della casa."
Non ho potuto che arrendermi all'evidenza, e persino il volto di Mina si è un po' rischiarato: il consiglio era ottimo, sufficiente a far rinascere qualche speranza. Van Helsing ha proseguito: "Quando una volta dentro in quella casa, forse noi possiamo trovare altre tracce; comunque, alcuni di noi possono rimanere in essa mentre gli altri trovano gli altri luoghi dove sono ulteriori cassoni di terra, a Bermonsday e Mile End". Lord Godalming si è alzato. "In questo caso, posso essere di qualche utilità. Posso mandare un telegramma ai miei domestici perché tengano pronti carrozze e cavalli dove saranno più utili."
"Vecchio mio" ha interloquito Morris "è una grande idea quella di avere tutto pronto, nel caso si debbano usare i cavalli; non credi però che le tue eleganti carrozze con tanto di stemma ferme in un vicolo di Walworth o di Mile End attirerebbero un po' troppo l'attenzione sui nostri veri scopi? Mi sembra che dovremmo invece servirci di carrozze a nolo per recarci nei quartieri meridionali od orientali, e anche in questo caso lasciarle a una certa distanza dal luogo in cui dobbiamo recarci."
"Amico Quincey ha ragione!" ha esclamato il professore. "Sua mente è come si dice a livello perfetto. È impresa difficile quella cui noi accingiamo, e noi non vogliamo che nessun agente osserva noi se questo è possibile, sì?"
Mina si interessava sempre più a tutto quanto si diceva, ed ero sollevato costatando come i preparativi la stessero distraendo dal ricordo della terribile esperienza notturna. Era pallida, molto pallida, quasi spettrale, e talmente smagrita che le labbra raggrinzite rivelavano denti un tantino prominenti. Non gliel'ho detto, nel timore di darle un altro inutile dolore; ma mi sono sentito gelare il sangue all'idea di ciò che le dev'essere passato per la mente e il cuore, quando il Conte le ha succhiato il sangue. Pure, non sembrava affatto che i denti fossero più aguzzi; ma il tempo trascorso era breve, e chi poteva dirlo? Siamo poi passati a discutere l'ordine delle nostre attività e la distribuzione dei compiti. Sono insorte nuove difficoltà, ma alla fine si è deciso che, prima di muovere alla volta di Piccadilly, conveniva distruggere la tana del Conte a portata di mano. Qualora se ne fosse avveduto troppo presto, saremmo stati sempre in notevole anticipo su di lui nella nostra opera di annientamento; e chissà che addirittura non ci si imbattesse nel vampiro in forma puramente materiale, e dunque in condizioni di massima debolezza.
Per quanto riguarda la distribuzione dei compiti, il professore ha suggerito che, dopo l'irruzione a Carfax, si entri tutti nella casa di Piccadilly; qui rimarranno i due medici e io, mentre Lord Godalming e Quincey, andranno a rintracciare le tane di Walworth e Mile End, procedendo alla loro distruzione. Era possibile se non probabile, ha fatto notare il professore, che il Conte si facesse vedere a Piccadilly durante la giornata, e in tal caso avremmo potuto affrontarlo seduta stante. In ogni caso, saremmo stati in grado di seguirlo in gruppo. Piano, questo, al quale mi sono strenuamente opposto: ero riluttante ad andare; intendevo, ho detto, restare a proteggere Mina. Non volevo sentire ragioni, ma Mina ha respinto ogni mia obiezione, dicendo che potevano presentarsi situazioni di carattere legale, a proposito delle quali potevo rivelarmi utile. Tra le carte del Conte, ha soggiunto, potevano trovarsi indicazioni che sarei stato in grado di comprendere grazie alla mia esperienza in Transilvania; e infine, che tutte le nostre forze erano necessarie per affrontare gli straordinari poteri del Conte.
Ho dovuto cedere, perché Mina aveva risolutamente puntato i piedi: l'unica sua speranza, mi ha fatto notare, era che agissimo tutti di conserva. "Per quanto mi riguarda" ha detto "io non ho paura. Peggio di così non potrebbe andare, e qualsiasi cosa accada non può non portare un barlume di speranza e di conforto. Va', marito mio! Dio, se lo vuole, può proteggermi sia che mi trovi sola o con qualcuno al mio fianco."
A questo punto, sono balzato in piedi esclamando: "E allora in nome di Dio, andiamoci subito, non perdiamo altro tempo. Il Conte può tornare a Piccadilly prima del previsto".
"Non così!" ha replicato il professore alzando una mano.
"Ma perché?" ho chiesto.
"Voi forse dimenticate" ha replicato Van Helsing, e sulle labbra gli si è disegnato un sorriso appena percettibile, "che la notte scorsa lui ha pesantemente banchettato, e che quindi lui dorme tardi?"
Dimenticarlo! E anzi, lo dimenticherò mai? Chi di noi riuscirà mai a dimenticare quella terribile scena? Mina si sforzava bravamente di mantenere il controllo, ma il dolore l'ha sopraffatta, e si è portata le mani al volto, con un gemito e un brivido. Non era certo stata intenzione di Van Helsing quella di richiamarle alla mente la terribile esperienza; era accaduto soltanto che, nel suo sforzo di riflessione, per un istante non aveva pensato a lei e alla parte che aveva in tutta la faccenda; ma come si è reso conto di ciò che aveva detto, è rimasto lui stesso orripilato dalla propria sbadataggine, e ha cercato di confortarla.
"Oh, Madame Mina" ha preso a dire "cara, cara Madame Mina. Ahimé, che proprio che tanta reverenza nutro per voi che ho detto una cosa così frutto di mia dimenticanza! Queste stupide vecchie labbra mie e questa stupida vecchia testa a volte non fanno loro dovere; ma voi dimenticate esse, nevvero?"
E così dicendo, le si è inchinato profondamente davanti; e lei gli ha preso la mano e, guardandolo fra le lacrime, ha replicato con voce rauca: "No, non dimenticherò perché è bene che io ricordi, e d'altra parte, di voi ho memorie così dolci, che va tutto bene. Orsù, tra poco dovete partire. La colazione è pronta, mangiamo per essere forti". È stata, per tutti noi, una strana colazione. Tentavamo di essere allegri e di incoraggiarci a vicenda, e Mina era la più allegra e vivace di tutti. Come abbiamo finito, Van Helsing si è levato e ha detto: "E adesso, miei cari amici, noi partiamo per nostra terribile intrapresa. Noi siamo tutti armati come eravamo quella notte quando abbiamo visitato prima tana di nostro nemico: armati contro attacchi terreni e ultraterreni?"
Abbiamo annuito. "Allora è bene. E adesso, Madame Mina, in ogni caso voi qui siete del tutto al sicuro fino a tramonto; e noi saremo di ritorno prima, se... Saremo di ritorno! Ma, prima che noi partiamo, fate me voi vedere armata contro attacchi personali. Io stesso, dopo che siete scesa da basso, ho preparato vostra camera col mettere in essa le cose che noi conosciamo, per modo che lui non possa entrare. Permettete me ora di difendere vostra persona. Io tocco vostra fronte con questo frammento di ostia consacrata in nome del Padre, del Figlio e..."
Un urlo spaventoso ci ha raggelato il cuore. Era bastato che il professore posasse l'ostia sulla fronte di Mina, perché il sacro simbolo la scarificasse, bruciando la carne quasi in un marchio rovente. La mente della mia povera cara le aveva svelato il significato dell'evento con la stessa rapidità con cui i suoi nervi avevano registrato il dolore fisico; e questo, e la consapevolezza, a tal punto l'avevano sconvolta, che la sua natura troppo provata aveva dato fuori in quello spaventoso grido. Ma le parole sono tornate ben presto a soccorrere il suo pensiero; l'eco del grido non s'era ancora spenta, che ecco sopravvenire la reazione, ecco Mina cadere in ginocchio preda di un'angoscia senza nome e, tirandosi i bei capelli sul volto, quasi il lembo di un mantello, gemere:
"Contaminata! Contaminata! Persino l'Altissimo rifugge dalla mia carne maledetta! Dovrò portare questo marchio d'infamia sulla fronte sino al giorno del Giudizio!"
Tutti gli altri erano pietrificati; io mi ero precipitato al suo fianco in un empito di dolore, stringendola forte tra le braccia. Per qualche istante, i nostri sconfortati cuori hanno battuto all'unisono, mentre attorno a noi gli amici volgevano altrove gli occhi che in silenzio versavano lacrime. Poi Van Helsing si è girato e ha detto con tono di tale gravità, che non ho potuto impedirmi di pensare che fosse in qualche modo ispirato e che, più che parlare, egli venisse parlato:
"Può essere che questo marchio voi dovete portare finché Iddio stesso ritiene opportuno, quando, come senza dubbio poi fa, il giorno del Giudizio Lui raddrizza tutti i torti sulla terra e dei Suoi figli che Egli su essa ha posto. E, oh, Madame Mina, cara, cara Madame Mina, noi che vi amiamo forse saremo lì a vedere quando quella rossa cicatrice, il segno della conoscenza di Dio di ciò che è stato, essa scompare, e lascia vostra fronte altrettanto pura del cuore che noi conosciamo. Perché, certamente come noi viviamo, quella cicatrice poi scompare quando Dio vede giusto di togliere il fardello che pesa sopra di noi. Fino a quel momento noi reggiamo nostra Croce, come Suo Figlio ha fatto in obbedienza di Sua Volontà. Esso può essere che noi siamo prescelti istrumenti di Sua buona volontà, e che dobbiamo salire nostro calvario a Suo piacimento, come quell'altro attraverso degradazione e vergogna, con lacrime e sangue, tra dubbi e paure, ed è in questo la differenza tra Dio e uomo".
C'era speranza, nelle sue parole, e c'era conforto; e l'una e l'altro inducevano alla rassegnazione. Sia Mina che io l'abbiamo avvertito, e contemporaneamente ciascuno di noi ha preso una mano del vecchio e, su di essa chinandoci, l'abbiamo baciata. Poi, senza una parola, tutti assieme ci siamo inginocchiati e, dandoci l'un l'altro la mano, abbiamo giurato di essere l'un per l'altro. Noi uomini abbiamo fatto voto a noi stessi di togliere la cappa del dolore dalla testa di lei, la quale era da noi tutti amata, da ciascuno a modo suo e abbiamo pregato per avere aiuto e guida nel terribile compito che ci attendeva.
Ormai era tempo di muovere. Ho preso congedo da Mina, un saluto che né lei né io mai più dimenticheremo; e poi, via.
Una decisione era ben ferma nella mia mente: se avessimo dovuto arrenderci all'evidenza che Mina si era ormai trasformata in vampiro, ebbene, non sarebbe entrata in quella terra sconosciuta e terribile da sola.
Ritengo che è per questo motivo che, ai vecchi tempi, un vampiro ne faceva proliferare molti; esattamente come i loro schifosi corpi potevano giacere solo in terra consacrata, così accadeva che il più santo degli amori fosse il sergente reclutatore che ne riempiva le orride fila.
Siamo entrati a Carfax senza difficoltà: tutto era come la volta precedente. Difficile credere che, in quella così prosaica atmosfera di abbandono e polvere e sfacelo, fosse la fonte di paure quali quelle che già ci erano note. Non avessimo già preso la nostra decisione, e non vi fossero state atroci memorie a spronarci, difficilmente avremmo continuato nella nostra opera. Non abbiamo trovato carte di sorta, né segno che la casa era stata usata; e nell'antica cappella, i cassoni sembravano tali e quali li avevamo ultimamente visti.
Mentre stavamo a essi di fronte, il dottor Van Helsing ci ha detto con tono solenne:
"E ora, miei amici, noi abbiamo un dovere qui da compiere. Noi dobbiamo sterilizzare questa terra così sacra di sante memorie, che lui ha portato da un molto distante paese per un uso tanto funesto. Lui ha scelto questa terra perché essa è stata santa. Così noi sconfiggiamo lui con sua propria arma, perché noi facciamo essa più santa ancora. Essa era santificata per uso di uomo, noi ora santifichiamo essa per Dio". E, così dicendo, ha cavato dalla sacca un cacciavite e una leva, e ben presto una delle casse era scoperchiata. La terra odorava di muffa e di chiuso; ma noi non ci badavamo, la nostra attenzione essendo tutta per il professore. Il quale, tolto dalla sua scatola un frammento di ostia consacrata, con gesto revererente l'ha deposto sulla terra e quindi, rimesso a posto il coperchio, l'ha riavvitato con il nostro aiuto.
Una a una, lo stesso abbiamo fatto con tutte le grandi casse, lasciandole, in apparenza, tali e quali le avevamo trovate: solo che in ciascuno era un frammento dell'ostia consacrata.
Mentre ci serravamo l'uscio alla spalle, ha detto, sempre solenne, il professore:
"Ecco, questo è fatto. Se potrà essere che con tutto il resto abbiamo non minore successo, allora il tramonto di questa sera può splendere su fronte di Madame Mina bianco come avorio e senza macchia veruna!" Mentre attraversavamo il prato diretti alla stazione, abbiamo scorto la facciata del manicomio e, guardando attentamente, alla finestra della mia stanza ho visto Mina. Ho agitato la mano nella sua direzione, facendole capire a gesti che lì a Carfax la nostra opera era compiuta. E anche lei ha agitato la mano in risposta. È stato col cuore greve che siamo entrati in stazione, appena in tempo per prendere il treno che già sbuffava accanto alla banchina.
Queste righe le ho scritte sul convoglio.
Nota: Capitolo lunghetto, vero? Con il prossimo aggiornamento concluderemo anche il capitolo 22, ormai siamo ben avviati verso la parte conclusiva! Il gruppo ha elaborato il piano e ha deciso come portarlo a termine. Dracula però non è uno sprovveduto, non sarà affatto facile braccare una creatura così potente!
Non so se dirvi quante pagine mancano a questo punto, che dite, vorreste saperlo? :D
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