20.3

ᴅɪᴀʀɪᴏ ᴅᴇʟ ᴅᴏᴛᴛᴏʀ ꜱᴇᴡᴀʀᴅ

Primo ottobre - Sono nuovamente perplesso a proposito di Renfield. I suoi umori cambiano così rapidamente, che mi riesce difficile seguirli, e siccome significano sempre qualcosa d'altro, che trascende le sue condizioni di salute, costituiscono un argomento di studio più che interessante. Stamane, quando sono andato a trovarlo dopo che si era rifiutato di parlare con Van Helsing, aveva i modi di chi domina il destino. 

E così era, infatti: ma da un punto di vista soggettivo. Non si preoccupava minimamente di quanto accadeva su questa terra; era tra le nuvole e guardava di lassù alle debolezze e miserie di noi poveri mortali. Nella speranza di riuscire ad approfittare dell'occasione per sondarlo, gli ho chiesto:
"E le mosche?". 

Mi ha rivolto un sorriso di superiorità - un sorriso quale avrebbe potuto disegnarsi sulla faccia di Malvolio(*) - e ha replicato:
"La mosca, caro signore, presenta particolarità assai interessanti, vale a dire ali che sono l'espressione dei poteri aerei delle facoltà psichiche. Ben avevano ragione gli antichi, paragonando l'anima a una farfalla!" 

Mi son detto che valeva la pena di spronarlo a portare questa sua analogia fino alle estreme conseguenze logiche, e mi sono affrettato a replicare:
"Oh, dunque è dell'anima che vi occupate adesso, vero?" 

La sua follia ne ha frustrato la ragione, e un'espressione sorpresa gli si è dipinta in volto mentre, scuotendo il capo con una risolutezza che di rado avevo notato in lui, diceva:
"Oh, no, oh, no! Non voglio anime, io. La vita è tutto quello che voglio". E a questo punto, accalorandosi leggermente: "Ma al momento sono piuttosto indifferente a quest'aspetto. Di vita ne ho quanto basta. Dovete cercarvi un nuovo paziente, dottore, se volete studiare la zoofagia". 

L'uscita mi ha un po' sconcertato, e l'ho incalzato:
"Quindi, voi siete padrone della vita; siete un dio, dunque?".
Ha sorriso con ineffabile, benigna superiorità. "Macché, lungi da me di arrogarmi gli attributi della Divinità. Non mi interesso neppure alle Sue azioni spiccatamente spirituali. Se mi è lecito definire la mia posizione intellettuale, per quanto concerne cose meramente terrestri, mi trovo suppergiù nella posizione che Enoch(*) faceva propria a livello spirituale!". 

Un bel rompicapo, per me. Sul momento, non ho afferrato la puntualità della citazione, ragion per cui non mi è rimasto che formulare una semplice domanda, sebbene comprendessi che, così facendo, mi abbassavo agli occhi del lunatico:
"E perché proprio Enoch?".
"Perché Enoch camminava con Dio." 

Proprio non la coglievo, l'analogia, né d'altro canto mi andava di ammetterlo, e così sono tornato alla sua affermazione di poc'anzi. "Sicché, non vi importa della vita e di anime non ne volete. E perché dunque?" 

La mia domanda era stata pronunciata a bruciapelo e con una certa imperiosità, al preciso scopo di sconcertarlo. Tentativo che è stato coronato da successo: per un istante, suo malgrado Renfield è riprecipitato nei vecchi modi servili, mi ha fatto un inchino, ed è stato addirittura scodinzolando che mi ha risposto:
"Non ne voglio, di anime, non ne voglio proprio, eh, no! Assolutamente. Non saprei che farmene, se le avessi. Non mi servirebbero a nulla. Non potrei né mangiarle né..." 

Qui si è arrestato di colpo, mentre la vecchia espressione astuta gli riappariva in volto, una folata di vento sulla superficie dell'acqua. "E poi dottore, quanto alla vita, in fondo, che cos'è? Quando si ha tutto quello che si vuole, e si sa che non ci mancherà mai nulla, che altro si può desiderare? Io ho amici... Buoni amici... Come voi, dottor Seward" e questo l'ha detto con un sogghigno di insondabile furbizia. "Io so che a me i mezzi per vivere non mancheranno mai!" 

Credo che, attraverso le nebbie della follia, avvertisse in me una certa sospettosità, perché all'improvviso eccolo ritrarsi nell'estremo suo rifugio: un testardo silenzio. Ben presto, mi sono reso conto che, al momento, era inutile continuare la conversazione con lui ormai chiuso come un pugno, e l'ho lasciato. 

Più tardi, mi ha mandato a chiamare. Di solito non ci sarei andato senza motivi validi, ma adesso Renfield mi interessa a tal punto che sono stato ben lieto di accondiscendere. Senza contare che non mi dispiace aver qualcosa che mi aiuti ad ammazzare il tempo. Harker è fuori, alla ricerca di indizi, e così dicasi di Lord Godalming e di Quincey. Van Helsing è nel mio studio, a passare in rassegna la documentazione preparata dai coniugi Harker, persuaso, a quanto sembra, che una conoscenza approfondita di tutti i particolari gli permetterà l'individuazione di qualche traccia. 

Non gli piace essere disturbato mentre lavora, se non per motivi urgenti. Vorrei portarlo con me dal paziente, ma temo che, dopo l'esperienza negativa che ha già fatto, non abbia voglia di ritentare. C'è anche un altro motivo: può darsi che Renfield non parli altrettanto liberamente, davanti a una terza persona, come fa quando siamo a quattr'occhi. 

L'ho trovato seduto nel bel mezzo della stanza, sul suo sgabello, posizione che di solito è sintomatica, in lui, di un'attività mentale particolarmente intensa. Come sono entrato, ha chiesto immediatamente, quasi avesse la domanda sulle labbra:
"E le anime?". Era evidente che la mia supposizione era stata esatta. L'ideazione inconscia era all'opera anche nel pazzo. Ho deciso di andare a fondo. "E voi, che ne dite?" 

Non ha risposto subito, ma per un istante si è guardato attorno, alzando e abbassando gli occhi, quasi alla ricerca di un'ispirazione. "Io di anime non ne voglio!" ha detto finalmente con tono flebile, quasi di scusa. L'argomento sembrava monopolizzarne la mente, e ho deciso di approfittarne, fedele al detto "medico pietoso fa la piaga verminosa"(*). Ho chiesto:
"A voi piace la vita, e volete la vita, vero?". 

"Oh, sì, ma su questo non c'è niente da eccepire, e neppure voi dovreste preoccuparvene."
"E tuttavia" ho insistito "come fate a pretendere la vita senza prendere anche l'anima?"
La domanda è parsa lasciarlo perplesso, e io allora: "Sarà proprio divertente, quando ve ne andrete da questo mondo con le anime di migliaia di mosche, ragni, uccelli e gatti che ronzano, cinguettano e miagolano tutt'attorno a voi. Voi vi siete impadronito delle loro vite, dico bene? E dovete rassegnarvi anche alle loro anime!". 

Qualcosa sembrava avergli colpito la fantasia perché si è infilato le dita nelle orecchie e ha chiuso gli occhi, strizzandoli come fa un bambino quando gli si insapona la faccia. C'era qualcosa di patetico, nel gesto, che mi ha commosso; e in pari tempo per me è stata una lezione, perché era come se davanti a me avessi un bambino - null'altro che un bambino, sebbene i tratti siano segnati e bianca la stoppia sul mento. 

Era chiaramente in preda alla confusione mentale e, ben sapendo come certi suoi modi passati fossero stati la traduzione di eventi apparentemente a lui estranei, ho pensato che sarei stato capace di entrare almeno in parte nella sua testa, seguendone le elucubrazioni. Ma per farlo dovevo innanzitutto ristabilire rapporti di fiducia, ragion per cui gli ho chiesto, parlando a voce piuttosto alta, in modo che potesse udirmi nonostante le orecchie tappate:
"Volete dello zucchero per richiamare le mosche?". 

È stato come se si svegliasse di colpo e ha scosso il capo, poi ha replicato ridendo: "Ma no! Le mosche in fondo sono ben poca cosa!". Una pausa, e quindi ha soggiunto: "Comunque, non mi piace che le loro anime mi ronzino attorno".
"E ragni?" ho soggiunto.
"Macché ragni! A che servono, i ragni? In quelli non c'è niente da mangiare o da..."
E si è zittito di colpo, come se si fosse sovvenuto che si trattava di un argomento interdetto. 

"Eh, eh" mi sono detto: "Ecco la seconda volta che si arresta di colpo davanti alla parola 'bere'. Che cosa potrà mai significare?". Anche Renfield sembrava consapevole di aver commesso un errore, perché si è affrettato a soggiungere, come a distrarre la mia attenzione: "No, no, non mi interessano per niente. "Ratti e topi e marmaglia del genere", come dice Shakespeare, "tritume della dispensa": definizione azzeccata. Me le sono lasciate alle spalle tutte quelle sciocchezze. Cercare di interessarmi ai piccoli carnivori è come pretendere da uno che mangi molecole con i bastoncini da riso, quando io so quel che m'aspetta". 

"Capisco" ho commentato. "Volete qualcosa di grosso in cui piantare i denti, vero? Che ne direste di mangiarvi un elefante per colazione?"
"Ma che razza di stupidaggini state dicendo!"
Stava riacquistando la lucidità, e ho deciso che non bisognava dargli requie. "Chissà" ho detto come soprappensiero "com'è l'anima di un elefante?" 

Ho ottenuto l'effetto desiderato, perché di colpo Renfield è caduto di sella ed è tornato bambino. "Non voglio l'anima di un elefante, io, e anzi nessuna anima!" ha protestato, e per qualche istante è rimasto seduto, imbronciato. Poi, all'improvviso, è balzato in piedi, gli occhi fiammeggianti, con tutti i sintomi di una violenta eccitazione mentale. "Al diavolo voi e le vostre anime!" ha gridato. "Perché venite a rompermi le scatole con le anime? Non ho già abbastanza preoccupazioni, tormenti e angosce, senza che occorrano anche le anime!" 

Aveva un atteggiamento di così decisa ostilità, che ho temuto fosse sull'orlo di un nuovo accesso omicida, e ho soffiato nel mio fischietto. Ma allora, eccolo di colpo calmarsi e dirmi in tono di scusa: "Perdonatemi, dottore. Mi sono lasciato andare. Non avete bisogno di aiuto. Ho tante e tali preoccupazioni, che sono facile all'irascibilità. Se solo sapeste il problema con cui sono alle prese e che mi sforzo di risolvere, avreste compassione di me, e mi tollerereste e scusereste. Vi prego di non farmi mettere la camicia di forza. Ho bisogno di pensare, e non posso farlo liberamente se sono legato. Sono certo che mi capite!". 

Con ogni evidenza, aveva ripreso il pieno controllo di sé, ragion per cui, quando sono arrivati gli infermieri, ho detto loro che non servivano più, e quelli se ne sono andati. Renfield li ha seguiti con lo sguardo; come l'uscio si è chiuso, ha esclamato con tono fermo e sincero:
"Dottor Seward, voi siete stato assai gentile con me. E credetemi quando vi dico che ve ne sono enormemente grato!". 

Ho preferito lasciarlo in quello stato d'animo, e sono uscito a mia volta. Indubbiamente, le condizioni in cui si trova offrono il destro a molte considerazioni. Parecchi sono i particolari che compongono quella che i giornalisti americani definiscono "una storia", solo che bisognerebbe riuscire a collocarli nel giusto ordine. 

Eccoli qui: Evita di pronunciare la parola "bere". Il pensiero di assumersi il peso dell'"anima" di checchessia, lo spaventa. Non teme che in futuro gli manchi "vita". Disprezza tutte quante le forme di vita inferiori, ancorché tema di essere tormentato dalle loro anime. Mi sembra logico che questi elementi seguano tutti un preciso orientamento: Renfield ha in qualche modo la certezza di pervenire a una vita più alta. Ma gli ripugnano le conseguenze, il gravame di un'anima. Quindi, è a una vita umana che mira! E quanto alla certezza... Buon Dio! Ma dunque il Conte è stato da lui, e un'altra, orrida trama è stata imbastita! 

♦♦♦

Più tardi - Dopo il giro di visite, sono andato da Van Helsing e gli ho comunicato il mio sospetto. Si è fatto estremamente grave; e, dopo aver riflettuto a lungo, mi ha chiesto di accompagnarlo da Renfield. Ho acconsentito. Giunti all'uscio, abbiamo udito all'interno il pazzo cantare allegramente, come faceva in tempi che adesso sembrano tanto lontani. Entrati, abbiamo costatato, sbalorditi, che aveva sparso come in precedenza lo zucchero e le mosche, insonnolite dall'autunno, cominciavano a ronzare nella stanza. 

Abbiamo cercato di riportarlo all'argomento della conversazione che poc'anzi avevo avuta con lui, ma non ha fatto orecchio da mercante, ha continuato a cantare, quasi non fossimo lì. Si era procurato un foglio di carta e lo ripiegava per farne un taccuino. Non ci è restato che andarcene, senza saperne più di prima. Un caso davvero singolare; questa notte dobbiamo tenerlo attentamente d'occhio. 

Curiosidracula#1: "un sorriso quale avrebbe potuto disegnarsi sulla faccia di Malvolio". Poteva forse mancare una citazione a Shakespeare? Certo che no! Ormai sappiamo bene come a Bram Stoker piacesse fare riferimenti alle opere del celebre autore inglese. Ho quasi perso il conto delle citazioni trovate!
Qui, Seward cita Malvolio, il maggiordomo della commedia "La dodicesima notte".
E sapete dirmi un attore che interpretò Malvolio a teatro?
Bravi, Henry Irving. Il grande amico di Bram Stoker, colui che con i suoi modi raffinati e carismatici ispirò lo scrittore per la personalità del Conte. Abbiamo parlato del loro rapporto nel curiosidracula del capitolo 3.1! Coma passa il tempo!

Curiosidracula#2: Enoch è un personaggio biblico antico, discendente di Adamo ed Eva, padre di Matusalemme e nonno di Mosè.
Si dice che "Enoch visse in tutto 365 anni, e camminò con Dio, poi non fu più veduto, perché Iddio lo prese."
Come leggiamo, Renfield ha citato esattamente questa parte. Secondo l'interpretazione, Enoch piaceva così tanto a Dio che lo portò in cielo. 
Qui Renfield, dice di non essere degno di essere considerato una divinità, ma che si vede come Enoch, ovvero colui "scelto" per "salire" ad un livello superiore di quello umano.
Cosa che poi alla fine Seward riesce a capire, infatti dice: "Renfield ha in qualche modo la certezza di pervenire a una vita più alta" e finalmente lo collega al Conte.

Curiosidracula#3:"medico pietoso fa la piaga verminosa" è un proverbio popolare col quale viene segnalata l'opportunità che il medico intervenga come è necessario nel curare il paziente, a dispetto delle sofferenze che le circostanze richiedono.
Infatti un medico troppo "buono" non riuscirebbe a curare efficacemente il malato perché a volte le cure non sono una passeggiata!
Con questo proverbio Seward giustifica il suo stuzzicare e mettere all'angolo il paziente Renfield.

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