20.2
(Continua dal diario di Jonathan)
2 ottobre, sera - Una lunga, faticosa ed emozionante giornata. Con la prima posta mi è giunta la busta indirizzata a me stesso, contenente un sudicio foglietto sul quale era scritto, con una matita da falegname e con incerta grafia:
La lettera è arrivata che ero ancora a letto, e mi sono alzato senza svegliare Mina. Sembrava affranta, sonnacchiosa e pallida, e nient'affatto in forma. Ho deciso di non svegliarla e anzi, tornato da questa nuova indagine, di provvedere a farla tornare a Exeter. Penso che sarà più a suo agio in casa nostra, con le faccende quotidiane a tenerla occupata, anziché dover restare qui, tra noi,all'oscuro.
Ho visto il dottor Seward solo per un istante e gli ho detto dove andavo, promettendogli di tornare al più presto e di riferire a lui e agli altri non appena avessi scoperto qualcosa. In carrozza mi sono recato a Walworth e, con una certa difficoltà ho trovato la Potter's Court, che Smollet aveva indicato come Poterscort: il suo errore m'aveva messo fuori strada e avevo insistito a chiedere di una Poter's Court con una sola T.
Comunque, una volta trovato il cortile, non ho avuto difficoltà a risalire alla pensione Corcoran (anziché Korkrans). All'uomo che è venuto ad aprirmi, ho chiesto del "Gente" ma quello ha scosso il capo e ha risposto:
"So mica. Un tale con questo nome c'è mica, qua. Mai sentito in tutta la mia vita, ma non credo che nessuno che si chiama così sta da queste parti".
Ho cavato allora di tasca la lettera di Smollet, e rileggendola mi è parso che la lezione di pronuncia a proposito del cortile potesse servirmi da guida.
"Chi siete voi?" gli ho chiesto.
"Io sono il girente" ha risposto, e allora ho capito di essere sulla buona strada: le diversità di pronuncia tipiche delle varie classi sociali mi avevano messo ancora una volta fuori strada.
Una mezza corona di mancia ha convinto il gerente a dirmi quanto sapeva, e così sono stato informato che il signor Bloxam, che aveva smaltito al Corcoran i fumi della birra della sera prima, alle cinque del mattino era uscito per andare al lavoro al Poplar. Il "girente" non è stato in grado di dirmi dove questo si trovasse, ma aveva una mezza idea che si trattasse di una specie di "magazzino di nuovo stampo", ed è stato questo il mio viatico nella cerca del Poplar.
Soltanto verso mezzogiorno ho avuto l'indicazione di un edificio del genere, e precisamente a una caffetteria dove alcuni operai stavano pranzando. Uno di loro mi ha detto che stavano costruendo un nuovo edificio "refrigerante", e questo sembrava corrispondere all'indicazione di un "magazzino di nuovo stampo", per cui mi sono diretto subito a quella volta. Quattro parole con un custode scorbutico e un ancor più arcigno capomastro, i quali però si sono lasciati ammansire da monete recanti l'effigie di Sua Maestà, mi hanno messo sulle tracce di Bloxam. L'hanno mandato a chiamare quando ho fatto sapere che ero disposto a pagare al suo capomastro il salario della giornata solo per avere il privilegio di rivolgergli un paio di domande di natura privata.
Bloxam si è rivelato un tipo abbastanza sveglio, ancorché di lingua e di modi assai rozzi. Quando gli ho promesso di compensarlo per il disturbo e gli ho dato un anticipo, mi ha spiegato che aveva fatto due viaggi tra Carfax e una casa a Piccadilly, e che dalla prima alla seconda aveva portato nove grandi casse - "Urca se pesavano" con un carro e un cavallo da lui noleggiati appunto a quello scopo.
Poteva fornirmi l'indirizzo della casa di Piccadilly? E Bloxam:
"Be', capo, il numero me lo sono dimenticato, comunque era solo qualche porta più in là di un chiesone bianco che c'è là, o qualcosa del genere, che hanno tirato su mica tanto tempo fa. Era una vecchia casa con tanta polvere drento, ma niente a che fare con la polvere che c'era dove che siamo andati a prendere quei cassoni della malora".
"E come avete fatto a entrare nelle case, se erano ambedue disabitate?"
"C'era quel vecchio che mi ha ingaggiato e che ha stato a spettarmi nella casa di Purfleet. Mi ha anche dato una mano a sollevare i cassoni e a metterli sul carro. E porcaccia zozza, se non era il tipo più robusto che mai mi sono incontrato, ed era vecchiotto, sapete, con i mustacci bianchi, così magro che uno pensava che gnanche poteva avere l'ombra."
Quella sua uscita, che scossa è stata per me!
"'Nsoma, lui prende su le casse da quella parte come se sono scatole da tè, e io ero lì che sbanfavo come una locomotiva e gnanca l'avevo sollevata, la mia, e mica sono un mingherlino, io, no?"
"E nella casa di Piccadilly, come ci siete entrato?"
"Il vecchio era anche là. Deve aver fatto prima di me, perché quando ti suono il campanello, chi ti vedo aprirmi la porta? Lui, ti vedo, che mi 'iuta a portare i cassoni fin drento l'atrio."
"Tutti e nove?" ho domandato.
"Già, tutti nove. Erano cinque col primo carico e quattro col secondo. Un sgobo della malora, e non so gnanca dire come che sono tornato a casa e..."
L'ho interrotto:
"E le casse sono state lasciate nell'atrio?"
"Già, era un atrio grande, e non c'era altro drento."
Ho insistito ancora: "E non avevate nessuna chiave?"
"Mai avuto di bisogno. Il vecchio la porta l'ha 'perta lui, e poi l'ha chiusa quando che io ho telato. L'ultima volta però non mi ricordo, ma ha stato per via della birra."
E non vi ricordate neanche il numero della casa?"
"Nossignore, ma per questo non è mica difficile. È una alta, col davanti di pietra, colle finestre che vengono fuori, e poi c'è i gradini per arrivare alla porta. Ciusca, se li conosco quei gradini!, ho dovuto portarci su le casse insieme con tre facchini che hanno stati pronti a venire a dare una mano per guadagnarsi un po' di grana. Il vecchio gli ha dato non so quanti scellini, e visto che avevano beccato tanto, loro ne volevano ancora, ma lui allora ne ha preso uno per la collottola, e stava per buttarlo di sotto giù per i scalini, e loro via a gambe biastemando"
Ho pensato che, in possesso di quella descrizione, sarei riuscito a trovare la casa, e così, ricompensato l'amico per le sue informazioni, mi sono diretto alla volta di Piccadilly. Avevo avuto una nuova, spiacevole notizia: il Conte, quest'era chiaro, era in grado di maneggiare da solo le casse di terra, e se questo corrispondeva al vero, il tempo era prezioso. Infatti, ora che le aveva sparpagliate, in una certa misura almeno, poteva scegliere il momento opportuno e completare l'opera senza venir notato.
A Piccadilly Circus ho licenziato la carrozza e ho proseguito a piedi verso ovest; superato il Junior Constitutional, mi sono imbattuto nella casa descrittami, e mi sono convinto che era l'ultima delle tane apprestate da Dracula. L'edificio sembrava disabitato da lunga pezza: vetri polverosi, persiane aperte, infissi anneriti dal tempo, e la vernice scrostata a rivelare le serrande. Era chiaro che, fino a poco tempo prima, al balcone era stato affisso un grande cartello che era stato strappato malamente: i paletti che lo avevano sostenuto erano ancora visibili. Dietro la balaustra del balcone, c'erano, ho notato, assi sconnesse, con i margini irregolari e dilavati dalle intemperie.
Non so quanto avrei dato per poter vedere il cartello intatto, perché forse avrebbe potuto portarmi al proprietario dell'edificio. Mi sono ricordato dell'esperienza fatta con la ricerca e l'acquisto di Carfax, e mi sono convinto che, se fossi riuscito a trovare il vecchio proprietario, forse avrei anche scoperto il modo di entrare nella casa.
Per il momento c'era ben poco da ricavare a starmene lì a contemplare la facciata, e allora sono andato sul retro dell'edificio, nella speranza di scoprire qualcosa d'altro. Le scuderie sul retro erano in piena attività perché le case di Piccadilly erano per lo più abitate, data la stagione. Ho chiesto a un paio di palafrenieri e stallieri in cui mi sono imbattuto se potevano dirmi qualcosa a proposito della casa vuota. Uno di loro mi ha risposto che, a quanto ne sapeva, era stata acquistata di recente, ma ignorava da chi. Ha però soggiunto che, fino a poco tempo prima, c'era un cartello con la scritta "Vendesi", e che forse la ditta Mitchell, Figli & Candy, Agenzia immobiliare, ne sapeva qualcosa: se non andava errato, aveva visto sul cartello proprio il nome di quella ditta.
Non volevo sembrare un ficcanaso, né d'altra parte far supporre o intuire troppo al mio informatore, per cui, limitandomi a ringraziarlo, me ne sono andato. Ormai era il crepuscolo, la notte autunnale stava per calare, e non ho perduto tempo. Trovato l'indirizzo della Mitchell, Figli & Candy in un annuario al Berkeley, ben presto eccomi negli uffici situati in Sackville Street.
Il signore che mi ha ricevuto era di modi particolarmente cortesi, ma anche altrettanto riservato. Dettomi che la casa di Piccadilly - che durante tutta la nostra conversazione ha continuato a definire "dimora" - era stata venduta, evidentemente ha considerato chiuso l'argomento. Gli ho chiesto da chi fosse stata acquistata, e lui, alzando le sopracciglia, dopo un istante di silenzio ha ribattuto: "È venduta, signore".
"Vi prego di scusarmi" ho insistito con altrettanta fredda cortesia "ma ho buoni motivi per desiderare di sapere chi l'ha acquistata."
Altra pausa di silenzio da parte sua, questa volta più lunga, mentre le sopracciglia si sollevavano dell'altro.
"È venduta, signore" è stata la sua risposta, altrettanto laconica della prima.
"Ma immagino" ho detto "che non vi dispiaccia dirmi a chi."
"Certo che mi dispiace, invece" ha replicato. "Gli affari della clientela sono assolutamente al sicuro e in buone mani alla Mitchell, Figli & Candy."
Si trattava evidentemente di un pedante della più bell'acqua, e non c'era niente da ricavarne.
Ho pensato allora che fosse meglio scendere sul suo stesso terreno, e gli ho detto:
"I vostri clienti, caro signore, possono dirsi fortunati di avere un così solerte custode dei loro segreti. Sono io stesso dedito a questa professione." E a questo punto gli ho teso il mio biglietto da visita. "Nel caso specifico, non sono mosso da semplice curiosità. Agisco per incarico di Lord Godalming, il quale vuol sapere qualcosa dell'immobile che, come gli risulta, fino a poco tempo fa era in vendita."
Queste parole hanno impartito una nuova piega alla conversazione, e l'uomo ha replicato: "Sarei ben lieto di poterla accontentare, signor Harker, se potessi, e soprattutto mi piacerebbe rendermi utile a Sua Signoria. A suo tempo ci siamo interessati per suo incarico a una questione di piccolo conto, l'affitto di un appartamento, quand'era semplicemente Sir Arthur Holmwood. Se volete favorirmi l'indirizzo di Sua Signoria consulterò i miei soci in proposito, e in ogni caso farò sapere qualcosa a Sua Signoria con la posta di questa sera. Sarà un vero piacere, se potremo derogare alle nostre norme tanto da fornire a Sua Signoria le informazioni desiderate."
Volevo procurarmi un amico, non certo farmi un nemico, per cui l'ho ringraziato, gli ho dato come recapito di Lord Godalming l'indirizzo del dottor Seward, e me ne sono andato. Ormai era buio, ero stanco e affamato. Mi sono concesso una tazza di tè alla Aerated Bread Company e sono tornato a Purfleet col primo treno.
Gli altri erano tutti a casa. Mina appariva stanca e pallida ma si è bravamente sforzata di apparire allegra e briosa. Mi doleva il cuore al pensiero di doverle nascondere qualcosa e, così facendo, di causarle inquietudini. Grazie a Dio, questa sera sarà l'ultima volta che sarà esclusa dalle nostre riunioni e che proverà il disappunto di non godere della nostra fiducia. C'è voluto tutto il mio coraggio per attenermi alla saggia decisione di lasciarla fuori da questa brutta faccenda. Mi è parsa, del resto, un po' più rassegnata, o forse l'argomento stesso le è divenuto ripugnante, perché quando accidentalmente lo si menziona, la cosa la fa letteralmente rabbrividire. Sono soddisfatto che questa nostra decisione sia stata presa in tempo perché, dati questi suoi sentimenti, l'accrescersi delle nostre conoscenze in merito le procurerebbe nuove torture.
Non ho potuto mettere al corrente gli altri delle mie scoperte finché non siamo stati soli; ragion per cui dopo cena - previa un po' di musica, per salvare le apparenze persino tra noi - ho accompagnato Mina nella sua stanza lasciando che andasse a letto. La cara ragazza era più affettuosa che mai con me, e mi ha abbracciato quasi volesse trattenermi; ma c'era molto da discutere, e mi sono distaccato da lei. Grazie a Dio, il silenzio sceso tra noi non ha comportato nessuna differenza.
Dabbasso, ho trovato gli altri riuniti nello studio davanti al caminetto. In treno avevo scritto il mio diario quotidiano, che ho letto loro considerandolo il mezzo più efficace di metterli al corrente di quanto avevo appreso; come ho finito, Van Helsing ha commentato:
"È stato un grande lavoro questo di voi oggi, amico Jonathan. Indubbio che noi siamo su tracce di casse mancanti. Se noi troviamo esse tutte in quella casa, allora nostra opera è vicina alla fine. Ma se è qualcuna mancante, noi dobbiamo cercare fino a che noi troviamo esse. Quindi noi faremo nostro finale "coup", e daremo la caccia all'infame fino a sua vera morte".
È seguito un silenzio, interrotto dal signor Morris che ha chiesto:
"Già, ma come faremo a introdurci in quella casa?"
"Come siamo entrati nell'altra" si è affrettato a rispondere Lord Godalming.
"Ma Art, il caso è diverso. A Carfax siamo entrati di straforo, ma avevamo dalla nostra la notte e un parco circondato da un muro. Mentre commettere un'effrazione a Piccadilly, di giorno o di notte che sia, sarebbe assai diverso. Confesso che non riesco a vedere come potremmo riuscire a mettervi piede, a meno che quel tipo dell'agenzia non ci procuri una chiave; ma forse lo sapremo domattina con l'arrivo della posta."
Lord Godalming ha aggrottato le sopracciglia e, alzatosi in piedi, si è messo a passeggiare per la stanza.
Finalmente si è fermato e, rivolgendosi volta a volta a questo o quello dei presenti, ha detto: "Quincey ha ragione. L'idea di entrare mediante scasso non mi va; una volta ci è andata bene, ma adesso siamo alle prese con un compito assai più arduo - a meno di non trovare il mazzo delle chiavi del Conte".
Poiché nulla si poteva fare sino all'indomani mattina, ed era per lo meno opportuno attendere finché Lord Godalming non avesse avuto notizie dalla Mitchell, Figli & Candy, abbiamo deciso di rimandare ogni iniziativa a dopo colazione. A lungo ce ne siamo stati a fumare, esaminando il problema sotto le più disparate angolazioni; ho colto l'occasione per redigere il diario fino a questo momento. Adesso ho un gran sonno e me ne andrò a letto... Una riga ancora. Mina dorme della grossa, il respiro regolare, ma ha la fronte corrugata, come se pensasse anche nel sonno. È troppo pallida, non però così emaciata come appariva stamane. Domani, spero, sarà diverso: Mina si ritroverà a casa sua a Exeter. Oh, ma quanto sonno ho!
Commento: Povero Jonathan, si è girato tutto il centro di Londra in questi ultimi due capitoli! Tuttavia sta lavorando bene e questa volta ha localizzato un altro nascondiglio di Dracula. A Piccadilly!
Se ricordate, nel capitolo 13.3 quando per la prima volta Jonathan vede il Conte a Londra erano proprio a Piccadilly. Lui stava passeggiando con Mina ed era ancora in stato di shock tornato dall'ospedale. Tuttavia oggi possiamo arrivare ad una conclusione ovvia: si trovava a Piccadilly perché era interessato ad avere un nascondiglio proprio lì!
Intanto Mina presenta dei sintomi preoccupanti. Non trovate?
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