2.3
8 maggio - Accingendomi a scrivere questo diario, temevo che riuscisse troppo prolisso; ora però sono lieto di essermi soffermato fin dall'inizio sui particolari, perché v'è qualcosa di così strano, in questo luogo e in quanto vi si trova, che non posso non sentirmi a disagio. Vorrei essere via di qui, al sicuro, vorrei non esserci mai venuto.
Può darsi che io risenta di quest'insolita vita notturna; ma fosse tutto qui! Se avessi qualcuno con cui parlare, mi riuscirebbe tollerabile, ma non c'è nessuno. Non ho che il Conte con cui conversare, e... be', temo di essere l'unica creatura vivente in questa casa. Mi sia permesso di essere prosaico quanto i fatti stessi: mi aiuterà a sopportarli, né l'immaginazione prenderà il sopravvento su di me. Se così accadesse, sarei perduto. Voglio dire subito qual è la mia situazione - o quale mi sembra che sia.
Coricatomi, ho dormito solo poche ore e, con la sensazione di non poter dormire dell'altro, mi sono alzato. Avevo appeso lo specchietto alla finestra e ho cominciato a radermi. E d'un tratto, mi sono sentito una mano sulla spalla eh o udito la voce del Conte che mi diceva: "Buongiorno". Ho sussultato, stupito com'ero di non averlo visto, dal momento che lo specchio rifletteva l'intera stanza alle mie spalle. Nel sobbalzo, m'ero fatto un piccolo taglio ma non l'ho notato subito.
Dopo aver riposto al saluto del Conte, ho girato lo specchio per rendermi conto di come non lo avessi notato. Ma questa volta, impossibile l'errore: mi stava vicino, lo vedevo da sopra la spalla, ma nello specchio egli non si rifletteva! Scorgevo l'intera stanza dietro di me, ma in essa non v'era traccia di creatura umana, a parte me. Era sorprendente e, aggiungendosi a tante altre stranezze, non faceva che accrescere quella vaga sensazione di disagio che avevo sempre provato in presenza del Conte; e proprio in quella mi sono accorto che dalla ferita era uscita qualche goccia di sangue, e che questo mi colava sul mento.
Ho deposto il rasoio, volgendomi a mezzo alla ricerca di un cerotto. Come il Conte ha scorto il mio volto, eccone gli occhi accendersi di una sorta di demoniaco furore, eccolo fare un gesto, come per afferrarmi alla gola. Mi sono ritratto, e la sua mano ha sfiorato il rosario cui è appeso il crocifisso. Un subitaneo mutamento si è verificato in lui: il furore è scomparso con tanta rapidità, da farmi dubitare che ci fosse stato.
"Attento" mi ha detto "attento a non tagliarvi! È più pericoloso di quanto non crediate, in questo paese." Quindi, dato di piglio allo specchio, ha soggiunto: "È questo dannato oggetto che ha combinato il misfatto. È un lurido strumento di umana vanità. Via!". E, aprendo la pesante finestra con uno strattone solo della mano possente, ha lanciato fuori lo specchio che si è andato a frantumarsi in mille pezzi laggiù, sul selciato del cortile. Quindi, senza aggiungere verbo, se n'è andato. È una faccenda molto irritante, perché non so come farò a radermi, a meno di non servirmi della cassa del mio orologio o del fondo della scodella per il sapone, che per fortuna è di metallo.
Quando sono entrato in sala da pranzo, la colazione era pronta; ma del Conte, nessuna traccia. Ho mangiato da solo. Strano, ma finora non ho visto il Conte né mangiare né bere. Dev'essere un uomo assai singolare! Dopo colazione, mi sono dedicato a una piccola esplorazione del castello. Sono uscito sul pianerottolo e ho trovato una stanza che guarda a sud.
Un panorama stupendo, che dal punto in cui mi trovavo potevo scorgere in tutta la sua magnificenza. Il castello si erge proprio sull'orlo di un orrido precipizio: una pietra gettata dalla finestra cadrebbe per mille piedi prima di toccar fondo! Fin dove giunge lo sguardo, null'altro che un mare di verdi cime d'alberi, interrotto di quando in quando da una profonda fenditura, ov'è un abisso. Qua e là, si scorgono argentei fili, fiumi che serpeggiano in profonde gole tra le foreste.
Ma non sono dell'umore più adatto a descrivere la bellezza. Ché, ammirato il panorama, ho proseguito nelle mie esplorazioni: porte, porte, porte dappertutto, e tutte chiuse e sbarrate. Nelle mura del castello, eccezion fatta per le finestre, non esistono vie d'uscita praticabili.
Il castello è un vero e proprio carcere, e io ne sono prigioniero!
Immagine capitolo: ancora il magnifico Castello di Bran, effettivamente bisogna ammettere che le descrizioni del'autore lo ricordano molto.
Ah, e ovviamente da bravo malato di castelli sono contento di avere la scusa di riempirvi di foto!
Curiosidracula#1: Specchi e vampiri. Perché esiste questa leggenda secondo cui i vampiri non hanno un riflesso?
Non si sa con precisione da dove derivi questa singolare caratteristica, probabilmente è legata ad alcune antiche tradizioni popolari secondo cui il riflesso rappresenti l'anima ed il Vampiro, appartenendo al regno del Male e dei morti, non ne possiede una.
Secondo alcuni il concetto di "doppio" (l'ombra, il riflesso, lo specchio, il gemello...) rappresenta il proprio contrario e quindi il lato oscuro. Il vampiro però non ha un lato oscuro perché è egli stesso oscurità. Volendo si potrebbe fare un paragone con Dante che ha descritto i morti come "ombre senza corpo".
Un'altra teoria ritiene che lo specchio abbia il ruolo di mostrarci per quello che siamo, per cui una creatura del male non sarebbe in grado di sostenere il proprio riflesso.
Infine c'è chi ipotizza che sia dovuto al fatto che in origine gli specchi erano creati con una lamina di argento lucidata ed, essendo l'argento un metallo potente contro le creature sovrannaturali, sia nata da qui l'idea che potesse essere usato per smascherare un vampiro.
Vi convincono queste spiegazioni? Quale vi sembra la più plausibile?
Note: dopo la lunga parte 2.2 vi do un po' di respiro con un capitolo wattpaddiano più breve, ma non meno interessante. Jonathan si è finalmente reso conto che qualquadra non cosa, meglio tardi che mai stellina! Cosa farà adesso?
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