19.3

ᴅɪᴀʀɪᴏ ᴅɪ ᴍɪɴᴀ ʜᴀʀᴋᴇʀ

Primo ottobre - Mi fa una strana impressione che quest'oggi mi si sia tenuta all'oscuro; dopo aver goduto per tanto tempo della piena confidenza di Jonathan, è strano vederlo di proposito evitare certi argomenti, e per giunta i cruciali. 

Stamane ho dormito fin tardi dopo le fatiche di ieri e, sebbene Jonathan si sia svegliato tardi anche lui, pure l'ha fatto prima di me. Prima di uscire, mi ha parlato teneramente e affettuosamente come non mai ma senza fare il minimo cenno a quanto è accaduto durante la visita alla casa del Conte. E pensare che non può aver ignorato quanto ansiosa fossi. Povero caro! Suppongo che debba averlo angustiato ancora più di quanto non abbia angustiato me. Gli uomini sono tutti d'accordo che è meglio, per me, che io non continui a occuparmi di questa spaventosa impresa, e mi sono rassegnata. Ma pensare che Jonathan mi nasconde tutto! Ed eccomi qui a piangere come una povera sciocca, quando invece so con certezza che la causa ne va attribuita al grande amore di mio marito e alle buone, anzi ottime intenzioni di quegli altri uomini forti. 

Piangere mi ha fatto bene. Be', un giorno Jonathan mi dirà tutto; e, perché mai accada che pensi, neppure per un istante, che io gli ho nascosto qualcosa, continuo a tenere come il solito il mio diario. Così, se mai ha dubitato della mia fiducia in lui, glielo mostrerò, e i suoi cari occhi potranno leggere ogni pensiero del mio cuore. Quest'oggi mi sento stranamente triste e abbattuta. Dev'essere la reazione alla terribile tensione. 

Ieri sera mi sono coricata mentre gli uomini uscivano, soltanto perché me lo avevano ordinato loro. Non avevo sonno mi sentivo in preda a un'ansia tormentosa. Continuavo a pensare a tutto quanto era accaduto dacché Jonathan è venuto qui a Londra, e tutto sembra un'orrenda tragedia sospinta spietatamente dal fato verso una fine predestinata. Tutto ciò che si fa, per quanto giusto possa essere, si direbbe che comporti proprio le conseguenze più deplorevoli. Se io non fossi andata a Whitby, forse la povera, cara Lucy sarebbe ancora tra noi. Non aveva preso l'abitudine di recarsi al cimitero prima del mio arrivo, e se non ci fosse andata di giorno con me, non ci si sarebbe recata neppure nei suoi accessi di sonnambulismo; e se non vi fosse andata nottetempo, nel sonno, quel mostro non avrebbe potuto distruggerla come ha fatto. 

Oh, perché mai sono andata a Whitby? E rieccomi a piangere! Mi chiedo che cosa mi sia accaduto, quest'oggi. Devo tenerlo nascosto a Jonathan, perché se viene a sapere che due volte, nel corso di una sola mattinata, mi sono messa a frignare - proprio io, a cui mai è accaduto di farlo da sola, e alla quale lui non ha mai fatto versare una lacrima -, il povero caro si tormenterebbe chissà quanto. Cercherò di farmi forza, e se ho voglia di piagnistei, lui non se ne avvedrà. Penso che sia una delle lezioni che noi povere donne non possiamo fare a meno di imparare... 

Non riesco assolutamente a ricordare come ieri mi sia addormentata. Rammento di aver udito all'improvviso abbaiare i cani e tutta una serie di strani rumori, le si sarebbero dette preghiere, come se qualcuno invocasse e implorasse a gran voce, provenienti dalla stanza del signor Renfield che è situata quasi sotto la mia. E poi, il silenzio è calato su tutto, un silenzio così profondo da lasciarmi stupefatta, e mi sono alzata e sono andata a guardare fuori dalla finestra. Tutto buio e immoto, e le nere ombre proiettate dal chiar di luna sembravano anch'esse piene di un silente mistero. Niente si muoveva, tutto sembrava cupo e immobilizzato come dalla morte o dal fato, ragion per cui un lieve velo di bianca bruma, che scivolava quasi impercettibilmente sull'erba in direzione della casa, sembrava dotato di volontà e di vita propria. 

Ritengo che queste mie divagazioni m'abbiano fatto bene perché, tornata a letto, è stato come se un letargo si impadronisse di me. Sono rimasta immota per un po',senza però poter dormire, e nuovamente sono scesa dal letto e sono andata alla finestra. La nebbia stava avanzando, e ormai era giunta alla casa, tanto che potevo vederla fitta contro il muro, quasi stesse salendo di soppiatto alle finestre. Il poveretto là sotto gridava più che mai, e sebbene non riuscissi a distinguere una parola di quanto diceva, bene o male avvertivo, nel suo tono, un'appassionata implorazione. Quindi c'è stato rumore di lotta, e mi sono resa conto che gli infermieri erano intervenuti. 

Ero a tal punto spaventata, che sono tornata a letto, tirandomi le coperte sulla testa e ficcandomi le dita nelle orecchie. Non avevo affatto sonno, almeno così mi sembrava, ma devo essermi addormentata perché, a parte sogni, null'altro ricordo fino al mattino, quando Jonathan mi ha svegliato. Deve essermici voluto uno sforzo e un po' di tempo per rendermi conto di dov'ero, perché solo allora mi sono resa conto che a star chino su di me era Jonathan. Il sogno che ho fatto è stato assai singolare, soprattutto per la maniera con cui i pensieri della veglia si sono inseriti o prolungati nelle immagini del sonno. 

Mi pareva di essere addormentata e di attendere il ritorno di Jonathan. Ero molto preoccupata per lui ma nell'impossibilità di agire: mi sentivo i piedi, la mente, il cervello, gravati da un peso al punto che nulla in me obbediva ai soliti ritmi. E così dormivo agitata e pensavo. Poi mi è balenata l'idea che l'aria era pesante, umida e fredda. Ho allontanato il lenzuolo dal viso e, con mia sorpresa, mi sono accorta che tutt'attorno a me era nebbioso. La lampada a gas che avevo lasciato accesa per Jonathan, sia pure abbassandola, appariva quale una minuscola scintilla rossa nella nebbia che evidentemente si era infittita penetrando nella stanza. Poi mi sono sovvenuta di aver chiuso la finestra prima di tornare a letto. 

Avrei voluto andare ad accertarmene, ma sembrava che una plumbea pigrizia mi incatenasse le membra e persino la volontà. Sono rimasta immobile, in attesa: che altro potevo fare? Ho chiuso gli occhi, ma potevo pur sempre vedere attraverso le palpebre. (Davvero sorprendente quali scherzi ci giocano i sogni, e quanto fertile sia la nostra immaginazione!) 

La nebbia diveniva più fitta, e ora m'avvedevo di come entrava: era simile a fumo - o, meglio, al vapore che esala dall'acqua bollente - e s'intrufolava nella stanza, non dalla finestra, ma dalle fessure dell'uscio. E diventava sempre più densa finché mi è parso che si fosse concentrata in una sorta di ovattata colonna in mezzo alla camera, e attraverso la sua sommità vedevo la luce della lampada a gas brillare come un occhio rosso. Tutto ha preso a girarmi nella testa, così come la colonna di nebbia vorticava adesso nella stanza, e mi è parso ne uscissero le parole delle Scritture: "Una colonna di fumo durante il giorno, e una colonna di fuoco la notte".(*)

Possibile che a venire a me dormente fosse una guida spirituale del genere? Ma la colonna era composta del segnale sia diurno che notturno, che il fuoco era nell'occhio rosso, e non appena l'ho pensato ecco che ha preso a esercitare su di me un nuovo fascino; e mentre guardavo, il fuoco si è diviso, e mi è sembrato che adesso a sovrastarmi attraverso la nebbia fossero due occhi rossi, come quelli descrittimi da Lucy durante i suoi saltuari vaneggiamenti quando, sulla falesia, la luce del sole al tramonto ha colpito le vetrate della chiesa di Saint Mary.

All'improvviso, l'orrore mi ha colto: era stato così che Jonathan aveva visto quelle spaventevoli donne trasformarsi in realtà nel pulviscolo vorticante nei raggi della luna, e in sogno devo essere svenuta perché tutto è divenuto negra oscurità. L'ultimo sforzo cosciente compiuto dall'immaginazione è consistito nel mostrarmi un livido volto bianco che calava su di me uscendo dalla nebbia. 

Devo stare attenta, con questi sogni, perché potrebbero sconvolgermi la ragione se fossero troppo frequenti. Vorrei chiedere al dottor Seward o al dottor Van Helsing di prescrivermi un sedativo che mi faccia dormire tranquilla, ma temo di allarmarli. Un sogno come questo al momento attuale riacutizzerebbe i loro timori nei miei riguardi. Questa notte mi sforzerò di addormentarmi spontaneamente. Se non ci riesco, domani sera mi farò dare da loro una dose di cloralio; per una volta non mi farà male e mi assicurerà una notte di buon sonno. Quella passata mi ha stancata più che se non avessi dormito affatto. 

♥♥♥

2 ottobre, ore ventidue - La notte scorsa ho dormito, ma non ho sognato. E il mio sonno deve essere stato profondo, perché non mi sono svegliata quando Jonathan è venuto a letto; il sonno però non mi ha ristorata affatto, perché oggi mi sento terribilmente debole e abbattuta. Ho passato l'intera giornata di ieri sforzandomi di leggere oppure distesa a sonnecchiare. Nel pomeriggio, il signor Renfield ha chiesto di vedermi. Poveretto, è stato molto gentile e quando me ne sono andata mi ha baciato la mano e ha invocato la benedizione di Dio su di me. Chissà perché, ne sono stata molto colpita; se penso a lui, mi metto a piangere. È una nuova debolezza, dalla quale devo guardarmi. Jonathan sarebbe desolato se sapesse che ho pianto. 

Lui e gli altri sono rimasti fuori sino all'ora di cena, e sono tornati stanchissimi. Ho fatto del mio meglio per rianimarli, e penso che lo sforzo mi abbia fatto bene, perché ho dimenticato la mia stanchezza. Dopo cena mi hanno spedita a letto, e se ne sono andati a fumare assieme, così almeno hanno detto, ma sapevo che invece volevano parlare di ciò che ciascuno di loro aveva fatto durante la giornata. Mi rendevo conto, dai modi di Jonathan, che aveva qualcosa di importante da riferire. Non ero assonnata come avrei dovuto essere, ragion per cui prima che uscissero ho chiesto al dottor Seward di darmi un leggero oppiaceo, perché non avevo dormito bene la notte prima. Il dottore, molto gentilmente, mi ha preparato un sonnifero e me l'ha somministrato, assicurandomi che non mi avrebbe fatto male, blando com'era... L'ho bevuto e sono in attesa del sonno, che non si decide a venire. Spero di non aver commesso un errore, perché, non appena il sonno comincia a civettare con me, ecco insorgere una nuova paura, e cioè che sono stata sciocca privandomi, così facendo, del potere di svegliarmi. Potrebbe essere necessario. Il sonno avanza. Buonanotte. 

Curiosidracula#1: La frase che Mina cita "Una colonna di fumo durante il giorno, e una colonna di fuoco la notte" è tratta dal Libro di Isaia della Bibbia, precisamente dal Capitolo 4.
Leggendo non ho trovato particolari collegamenti con la scena che abbiamo letto qui in Dracula, ma è curioso sottolineare come nello stesso Libro di Isaia (Capitolo 34) si fa un riferimento a Lilith, un demone molto presente nelle storie dell'antichità sia nella cultura pagana, che la vedeva come un demone legato alla tempesta e alle disgrazie, sia poi nella cultura ebraica, come demone della notte.
Lilith venne inoltre strettamente legata a Lamia, un personaggio delle leggende greche, amante di Zeus, che per la vendetta di Era impazzì. Si dice vagasse di notte attaccando bambini e seducendo uomini per poi succhiarne il sangue. 
Esteticamente inoltre viene spesso rappresentata con le ali di pipistrello, cosa che l'ha resa un vero e proprio esempio di vampiro ante litteram.

Forse questo collegamento potrà sembrare un po' forzato, ma chissà, l'ho trovato davvero curioso e a modo suo interessante, anche se magari non legato a questo capitolo. Ma ehi, vampiri!

Fatemi sapere che ne pensate nei commenti. Grazie come sempre per il supporto a questa pubblicazione^^

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