13.4

ᴅɪᴀʀɪᴏ ᴅᴇʟ ᴅᴏᴛᴛᴏʀ ꜱᴇᴡᴀʀᴅ

22 settembre - Tutto è finito. Arthur è tornato a Ring portando con sé Quincey Morris. Che bravo ragazzo è questi! In fondo al cuore, sono persuaso che ha sofferto non meno di noi per la morte di Lucy; ma ha retto il colpo con la forza morale di un vichingo. Se l'America continua a generare uomini del suo stampo, diverrà davvero una potenza mondiale. 

Van Helsing si riposa prima di mettersi in viaggio. Questa sera ritorna ad Amsterdam, ma ha promesso di essere nuovamente qui domani sera: desidera solo prendere alcune disposizioni che non può affidare ad altri. Poi, se può, verrà a stare con me; dice che ha da compiere a Londra del lavoro che richiederà un po' di tempo. Povero vecchio! Temo che gli strapazzi della scorsa settimana abbiano infranto persino la sua ferrea fibra. Durante tutto il funerale si è imposto, l'ho visto benissimo, un formidabile autocontrollo. 

E quando la cerimonia è finita, ci siamo ritrovati accanto ad Arthur il quale, infelice!, stava parlando dell'operazione nel corso della quale il suo sangue è stato trasfuso nelle vene della sua Lucy, e vedevo il viso di Van Helsing passare di continuo dal pallore al rosso acceso. Arthur stava dicendo che, da quel momento, ha avuto la sensazione che loro due fossero davvero sposati, e che Lucy fosse sua moglie davanti a Dio. Nessuno di noi ha fatto parola con lui delle altre trasfusioni, e nessuno di noi mai lo farà. 

Poi Arthur e Quincey sono andati assieme alla stazione, e Van Helsing e io siamo tornati qui. Non appena siamo stati soli in carrozza, si è lasciato andare a un vero e proprio attacco isterico. Dopo, ha negato che di isteria si sia trattato, proclamando che era semplicemente il suo senso dell'umorismo che veniva a galla in una situazione atroce. Ha riso tanto da farsi venire le lacrime e ho dovuto abbassare le tendine per tema che qualcuno lo vedesse e lo giudicasse male. Poi ha pianto, e quindi ha ricominciato a ridere, e a piangere e a ridere insieme, proprio come fanno le donne. Mi sono provato a mostrarmi energico, appunto, come si fa con una donna in simili circostanze, ma è stato invano. Uomini e donne sono così diversi, nelle manifestazioni di forza o di debolezza nervosa! 

Poi, quando il volto di Van Helsing si è finalmente ricomposto, gli ho chiesto la ragione di tanta allegria, e perché proprio in quel momento. La risposta che m'ha data è stata, in un certo senso, tipica di lui, perché logica, fantasiosa e misteriosa insieme. Ha detto:
"Ah, voi non comprendete, amico John. Voi non dovete pensare che io non sono triste perché io rido. Vedete, ho pianto anche sebbene il riso mi soffocava. Ma voi neppure dovete credere che io sono tutto triste quando piango, perché il riso lui viene ugualmente. Tenete sempre a mente che riso che bussa a vostra porta e chiede: "Posso entrare?" non è vero riso. No! Il riso è un re e va e viene quando e come lui pare. Lui non chiede a nessuno, lui non sceglie momento più adatto. Lui dice "Io sono qui!"

Vedete, per esempio mio cuore sanguina per quella così cara giovane ragazza; io dato mio sangue per essa, sebbene io sono vecchio e logoro; ho dato mio tempo, mia abilità, mio sonno; ho trascurato necessità di miei altri malati, per dedicarmi tutto a essa. Eppure, io posso ridere su sua stessa tomba, ridere quando la terra da vanga di becchino cade su bara di lei e dice: "Bum bum!" a mio cuore tanto da risucchiare il sangue da mie guance. 

Mio cuore ha sanguinato per quel povero ragazzo, quel caro ragazzo che tanto avrebbe età di mio proprio figlio che io avrei se fosse stato benedetto che vivesse, e con suoi occhi e suoi capelli esattamente gli stessi. Ecco, voi ora sapete perché io amo lui tanto. 

Eppure, quando dice cose che toccano mio cuore di padre nel vivo, e fanno mio cuore di padre spasimare per lui come per nessun altro uomo - neppure per voi, amico John, perché siamo più vicini per esperienza che non padre e figlio - ecco che, persino in momento simile, Re Riso viene a me e grida e strepita in mio orecchio: "Eccomi qui, eccomi qui!", finché il sangue torna a danzare e riporta a mia guancia un po' del sole che ha con sé. 

Oh, amico John, è uno strano mondo, un triste mondo, questo, un mondo pieno di dolori di mali e di guai eppure, quando Re Riso arriva, lui fa loro tutti danzare al suono di sua musica. Cuori sanguinanti e ossa spolpate nel cimitero, e lacrime che bruciano mentre che cadono - tutti danzano insieme alla musica che lui fa con quella sua bocca senza sorriso. E credete me, amico John, che lui è buono a venire, e gentile. Ah, noi uomini e donne siamo come corde tese che forze opposte tirano in diverse direzioni. Poi lacrime vengono; e, come la pioggia che cade sulle corde, esse ridanno energia a noi, finché forse lo sforzo diviene eccessivo, e noi crolliamo. Ma Re Riso, lui viene come raggio di sole, e reca sollievo a fatica; e noi sopportiamo di tirare avanti con nostro travaglio quale che esso è." 

Non volevo ferirlo dandogli a vedere che non capivo i suoi ragionamenti. Ma, siccome la causa della sua ilarità in effetti mi sfuggiva, gliel'ho chiesta, e nel rispondermi il volto gli si è fatto severo, ed è stato con tono ben diverso che ha detto:
"Oh, è stata la tragica ironia di questo tutto, quella così graziosa fanciulla inghirlandata con fiori, che sembrava bella come vita stessa, tanto che uno per uno noi chiedevamo se era davvero morta; e giace in quella bella casa di marmo in quel solitario cimitero, dove riposano tanti altri di sua stirpe, deposta accanto a sua madre che amava lei e che essa amava; e quella sacra campana che faceva: "Dong, dong, dong", così triste e lenta; e quegli santi uomini, con i bianchi parati degli angeli, che fingevano di leggere libri, ma tutto il tempo mai loro occhi sulla pagina; e tutti noi con teste chine. E tutto questo perché? Perché è morta. Dico io bene?". 

"Be', sul mio onore, professore" ho ribattuto "non ci vedo proprio niente da ridere. Vi dirò anzi che la vostra spiegazione non fa che confondermi vieppiù. Ma se persino il servizio funebre era da ridere, non mi direte che lo erano anche Arthur e la sua disperazione. E che, non ha forse il cuore spezzato?"

"Proprio così. Non ha forse detto che trasfusione di suo sangue in vene di lei ha fatto di essa sua vera sposa?"
"Già, e per lui era un pensiero dolce e consolante."
"Esattamente. Ma questa è difficoltà, amico John. Se così è, e gli altri allora? Oh, oh! Perché se così è, quella tenera fanciulla è poliandrica, e io, con mia povera moglie - morta per me, ma viva per la legge della Chiesa, perché completamente pazza, tutto suo cervello andato - persino io, che sono marito fedele di questa ormai non più moglie, sono bigamo."
"Non vedo che cosa ci sia di tanto comico neanche in questo" ho ribadito, e confesso che ero piuttosto irritato di sentirgli dire certe cose. 

Mi ha posato la mano sul braccio e ha ripreso:
"Amico John, perdonate me se io voi addoloro. Io non ho messo a nudo miei sentimenti ad altri che sarei potuto far loro male, ma soltanto a voi, mio vecchio amico, cui io posso fidare. Se voi avreste visto in mio vero cuore quando sentivo bisogno di ridere; se avreste potuto fare così quando il riso è arrivato; e se potete fare così adesso che Re Riso ha preso su sua corona e tutte altre sue cose - perché è lontano, ormai assai lontano da me, e per lungo, lungo tempo - forse voi avete più compassione di me che di tutti altri". 

Sono rimasto commosso dal suo tono, e gli ho chiesto perché dovessi provare pietà per lui. "Perché io so!" 

Ed eccoci ora tutti separati; e, diuturna, la solitudine resterà appollaiata sui nostri tetti con lugubri ali. Lucy giace nella tomba di famiglia, una maestosa casa dei morti di un solitario cimitero, fuori dalla brulicante Londra, in un luogo dove l'aria è fresca e il sole si leva sopra il colle di Hampstead, e fiori selvatici sbocciano liberamente. 

Sicché, posso mettere fine a queste annotazioni; e solo Dio sa se ne aggiungerò mai altre. Se lo farò o se mai riaprirò questo diario, avrò a che fare con altra gente e con altri problemi; perché qui, dove la romanza della mia vita si conclude, torno a riprendere il filo del mio lavoro quotidiano, e dico, triste e senza speranza: 

Finis.

Commento: Capitolo estremamente introspettivo che ci rivela tantissimo su Van Helsing che qui dimostra il suo lato umano. Si era sempre mostrato come un uomo ferreo, imperturbabile, instancabile, sempre con una parola pronta nei momenti di difficoltà, sempre pronto a mettersi a disposizione per le persone a lui care.

Ora vediamo il suo crollo emotivo e il recupero della compostezza subito dopo. Coscientemente si lascia andare solo con John, suo allievo e caro amico fidato, e tra i giri di parole dice chiaramente: "Perché io so!". Lui sa cosa sta per succedere e cosa sarà suo fare. Un peso che attualmente sta ancora portando sulle sue spalle.
Spalle già gravate da settimane dure (ha citato la fatica, le ore di sonno perse, l'impegno) e da grandi dolori nella sua vita personale. Parla della moglie pazza che probabilmente nemmeno lo riconosce e del figlio che ha perduto e che assomigliava tanto ad Arthur, ecco perché soffre ancora di più per non essere riuscito ad evitargli questo dolore!

I personaggi di Bram Stoker nascondono una parte profondamente tragica, cosa che -a mio parere- ce li fa amare ancora di più.

Voi che ne pensate di questo capitolo? La parlantina di Van Helsing ha confuso anche voi insieme al povero John? 

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