13.3

ᴅɪᴀʀɪᴏ ᴅɪ ᴍɪɴᴀ ʜᴀʀᴋᴇʀ

22 settembre - In treno, alla volta di Exeter. Jonathan dorme. Sembra soltanto ieri che ho redatto l'ultima annotazione, eppure quanti eventi, nel frattempo, a Whitby e nel resto del mondo, Jonathan lontano e io senza sue notizie; e ora, sposa di Jonathan, Jonathan procuratore, socio, ricco, titolare del suo studio, il signor Hawkins morto e sepolto, e Jonathan in preda a un'altra crisi che può essergli fatale. Un giorno, chissà che non mi ponga domande in merito. Metto tutto qui nero su bianco. La mia stenografia è arrugginita - colpa della nostra improvvisa prosperità - per cui tanto vale che io la rinfreschi con un po' di esercizio... 

Il servizio funebre è stato molto semplice e insieme molto solenne. Non c'eravamo che noi e i domestici, un paio di suoi vecchi amici di Exeter, il suo agente di Londra e un signore giunto in rappresentanza di Sir John Paxton, presidente della Incorporated Law Society. Jonathan e io ci tenevamo per mano, e sentivamo che il nostro amico migliore e più caro si era dipartito da noi... 

Siamo tornati a Londra in silenzio, prendendo l'omnibus(*) per Hyde Park Corner. Jonathan ha pensato che mi potesse piacere stare per un po' al Row(*), e così abbiamo fatto; ma c'erano pochissime persone, e tutte quelle sedie vuote davano un'impressione di tristezza e desolazione. Ci facevano pensare alla poltrona vuota a casa, per cui ci siamo alzati e siamo scesi per Piccadilly. 

Jonathan mi teneva a braccetto, come ai vecchi tempi, prima che cominciassi a insegnare. Io ero molto a disagio, perché non si può certo continuare a impartire per anni lezioni di etichetta e decoro ad altre ragazze, senza che la pedanteria contagi un tantino noi stessi; ma si trattava di Jonathan, di mio marito, e non conoscevamo nessuno di quanti ci vedevano andar così, e del resto non ce ne curavamo affatto. 

Stavo guardando una bellissima ragazza con un grande cappello a larghe tese a bordo di una victoria davanti a Giuliano's, quando ho sentito la mano di Jonathan serrarmi il braccio tanto forte da farmi male, e l'ho, udito sussurrare a mezza voce: "Mio Dio!". Sono sempre stata in ansia per Jonathan perché temo l'eventualità di una nuova crisi di nervi, e ho subito girato il capo e gli ho chiesto che cosa l'avesse turbato. 

Era pallidissimo, con occhi che sembravano letteralmente schizzargli dalle orbite per il terrore e lo sbalordimento insieme, mentre li fissava su un uomo alto, magro, dal naso a becco, baffi neri e barba a punta, che del pari era intento a osservare la bella ragazza. Lo faceva anzi con tanta intensità, che non ha notato nessuno di noi due, e così ho avuto modo di guardarlo a mia volta ben bene. 

Non aveva certo un volto onesto: il suo era un viso duro, crudele, sensuale, e quei grandi denti candidi, che tanto più bianchi apparivano perché così rosse erano le labbra, erano aguzzi come quelli di un animale. Jonathan continuava a fissarlo, tanto che temevo che quegli se ne accorgesse, che se la prendesse a male, con quell'aria feroce e maligna che aveva. Ho chiesto a Jonathan perché fosse così sconvolto e, persuaso che ne sapessi in merito quanto lui, Jonathan mi ha risposto: "Non hai visto chi è?". 

"No, caro" gli ho risposto. "Non lo conosco. Chi è?" La sua replica mi ha turbata e spaventata, si sarebbe detto che Jonathan non avesse coscienza che era con me, Mina, che stava parlando. "È lui, è quell'uomo!".

Il poverino era evidentemente atterrito, terribilmente atterrito non so di che; e sono certa che, non avesse avuto accanto a sé me a sostenerlo, sarebbe caduto in deliquio. Continuava intanto a fissare lo sconosciuto, un tale è uscito dal negozio con un pacchetto che ha consegnato alla fanciulla, la quale è ripartita. L'uomo scuro l'ha seguita con lo sguardo e visto che la carrozza risaliva Piccadilly, si è avviato nella stessa direzione e ha fermato un "hansom"(*)

Jonathan non gli aveva tolto gli occhi di dosso e, come se parlasse tra sé, ha borbottato:
"Sono certo che è il Conte, ma lo si direbbe ringiovanito. Mio Dio, se fosse vero! Oh, mio Dio, mio Dio! Se potessi saperlo, se potessi esserne certo!".

Era a tal punto sottosopra, che non avevo il coraggio di insistere sull'argomento ponendogli domande, e ho preferito starmene zitta. Con tranquilla energia l'ho tirato via, e Jonathan, attaccato al mio braccio, mi ha seguito senza opporre resistenza. Abbiamo fatto ancora qualche passo, e poi siamo entrati nel Green Park. Era una giornata calda, per essere autunno, e abbiamo trovato una comoda panchina in un sito ombroso. Dopo essere rimasto per qualche istante a fissare il vuoto, Jonathan ha chiuso gli occhi e pian piano è sprofondato nel sonno, la testa sulla mia spalla. Ho pensato che gli avrebbe fatto bene, e non l'ho disturbato. 

Dopo una ventina di minuti, si è ridestato e m'ha detto con tono decisamente allegro:
"Ehi, Mina, mi sono addormentato! Oh, ti prego di scusarmi per essere stato scortese. Vieni, andiamo a bere una tazza di tè da qualche parte". Evidentemente, aveva scordato, non solo il tetro sconosciuto, sofferente com'era dalla sua malattia, ma fin l'ultima traccia dell'episodio. Non mi piacciono questi suoi vuoti di memoria: possono essere il sintomo, acuto o cronico, di qualche lesione cerebrale. Non posso domandargli nulla, perché temo di fare più male che bene, e d'altra parte devo assolutamente conoscere i particolari di quel suo viaggio. Temo che sia venuto il momento in cui mi toccherà aprire quel pacchetto, leggere quello che c'è scritto nel taccuino. Oh, Jonathan, lo so che mi perdonerai se commetto un errore, perché lo faccio per il tuo bene. 

♥♥♥

Più tardi - Triste ritorno a casa, tale da ogni punto di vista: l'abitazione vuota, senza più quella buon'anima che è stata così generosa con noi; Jonathan ancora pallido e intontito per una lieve ricaduta della sua malattia; e per giunta, un telegramma di un certo Van Helsing, chiunque egli sia, così concepito: 

Dolente_informarvi_morte_signora_Westenra_avvenuta_cinque_giorni_fa_et_morte_Lucy_avvenuta_altro_ieri_Stop_Entrambe_seppellite_oggi_Stop

Oh che somma di dolori in così poche parole! Povera signora Westenra! E povera Lucy! Dipartite, scomparse per mai più tornare! E povero, povero Arthur, che ha perduto un simile tesoro di dolcezza! Dio aiuti tutti noi a sopportare le nostre pene! 

Immagine capitolo: ad inizio capitolo Mina e Jonathan vanno in treno ad Exeter (sud dell'Inghilterra) al funerale del signor Hawkins. Ritornano a Londra prendendo l'omnibus, ovvero l'autobus che vedete sopra nell'immagine del capitolo. Comodo, no?
(Immagine presa da Wikipedia)

Curiosidracula#1: "Siamo tornati in città, prendendo l'omnibus per Hyde Park Corner. Jonathan ha pensato che mi potesse piacere stare per un po' al Row, e così abbiamo fatto". Intende il Rotten Row, una strada storica vicino appunto all'Hyde Park, un tempo via per il passeggio dei londinesi benestanti.
Questa strada venne fatta costruire per volontà del Re Guglielmo III e pertanto avrebbe dovuto chiamarsi Route du Roi, Strada del Re, ma la cattiva pronuncia negli anni l'ha trasformata in Rotten Row (Il nome non va tradotto, ma volendo in italiano suonerebbe come "riga marcia", non proprio un nome degno di un Re!)
La strada è particolarmente celebre poiché fu la prima in assoluto in Inghilterra ad essere illuminata (con dei lampioni ad olio).

Curiosidracula#2: l'Hansom è la tipica carrozza londinese che trasportava i passeggeri nell'800. Cambiò nome solo con l'invenzione del tassametro per calcolare i prezzi, in inglese taximeter. Ovvero, la nascita del nome Taxi! 

Commento: Jonathan sembra essersi dimenticato quello che visto, come se la sua mente non voglia accettare l'idea di aver visto il Conte a Londra (ricordiamo che lui non lo vede dai tempi del Castello Dracula in Transilvania). La parte razionale della sua mente, segnata dal trauma, non riesce ad accettare l'esistenza di simili creature sovrannaturali e pertanto si auto convince di essere preda di allucinazioni.

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