1.3
5 maggio. Al castello - Il pallore del mattino è trascorso, e il sole è alto sul lontano orizzonte che appare frastagliato, non so se da alberi o alture: è così remoto, che le cose grandi e piccole risultano indistinguibili. Voglia di dormire non ne ho, e poiché è inutile che me ne stia senza far niente, sveglio e in attesa di una chiamata, tanto vale che scriva finché il sonno non arriva. Ci sono molte cose strane da registrare e, per tema che chi le legge possa pensare che io abbia cenato troppo copiosamente prima di lasciare Bistrita, ecco di che è consistito il mio pasto: ho mangiato quella che chiamano "bistecca del ladro" - pezzetti di pancetta, cipolla e bue, insaporiti con pepe rosso, infilzati su spiedini e arrostiti sulla brace, proprio come si fa a Londra con la carne di manzo! Il vino era un Mediasch bianco, che lascia uno strano ma niente affatto sgradevole pizzicorino sulla lingua. Ne ho bevuti solo un paio di bicchieri, e basta.
Quando sono salito in vettura, il cocchiere non era ancora montato in serpe e l'ho visto chiacchierare con la locandiera. Stavano evidentemente parlando di me, poiché di quando in quando mi sogguardavano, e alcuni di coloro che stavano seduti sulla panca fuori dall'uscio - quella che qui indicano con un termine che significa "portaparola" - si sono avvicinati ad ascoltare, per poi squadrarmi, per lo più con aria compassionevole.
Sentivo ripetere più e più volte certe parole, strane parole, perché del gruppo facevano parte individui di varie nazionalità. E allora, zitto zitto, ho cavato dalla sacca da viaggio il dizionario poliglotta e ve le ho cercate. Devo ammettere che non mi sono piaciute affatto, perché tra esse erano "Ordog", "Satana", "pokol", "inferno", "stregoica", "strega", "vrolok" e "vloslak", entrambi aventi lo stesso significato: l'uno in slovacco e l'altro in serbo, vogliono dire qualcosa come lupo mannaro o vampiro. (Ric.: devo parlare con il Conte di queste superstizioni).
Al momento della partenza, quanti formavano capannello all'uscio della locanda - e nel frattempo era divenuto una piccola folla - si sono tutti segnati, puntandomi contro due dita. Solo con una certa difficoltà sono riuscito a convincere uno dei miei compagni di viaggio a spiegarmene il significato; dapprima quegli non voleva aprir bocca, ma poi, saputo che ero inglese, ha detto trattarsi di un incantesimo o scongiuro contro il malocchio. Non era una cosa molto lusinghiera per me che mi accingevo a partire verso un luogo sconosciuto, per incontrarmi con uno sconosciuto; ma sembravano tutti gente di buon cuore, e così rattristati e partecipi, che non potevo non esserne commosso.
Non scorderò mai l'ultima immagine del cortile della locanda con la sua folla di figure pittoresche intente a segnarsi al riparo dell'ampio portale, sullo sfondo del fitto fogliame di oleandri e aranci raccolti in verdi vasi al centro. Poi il cocchiere, i cui ampi calzoni candidi - "gotza", li chiamano - coprivano l'intero sedile, ha fatto schioccare la frusta sulle groppe dei quattro cavallini, e il viaggio ha avuto inizio.
Grazie alla bellezza del paesaggio che attraversavamo, ho ben presto dimenticato ogni ultraterrena paura, benché forse, se avessi conosciuto la lingua, o meglio le lingue parlate dai miei compagni di viaggio, non mi sarebbe riuscito altrettanto facile. Davanti a noi, una terra verde e ondulata, coperta di foreste e boschi, e di quando in quando erti colli coronati da folteti o da fattorie con il nudo retro aguzzo prospiciente la strada.
Ovunque, una rigogliosissima fioritura di alberi da frutto - meli, pruni, peri, ciliegi; e, passando, vedevo l'erba fresca ai loro piedi cosparsa di petali.Addentrandosi tra quei verdi colli, e sbucandone, la strada serpeggiava per questa che chiamano "Mittel Land" ora sparendo alla vista dietro una svolta erbosa ora nascosta dalle cime irregolari delle pinete che svettavano sui pendii come lingue di fiamma.
La strada era irregolare, pure sembravamo volarvi sopra con fretta febbrile. Non mi rendevo conto, allora, del perché di tanta furia, ma era evidente che il cocchiere voleva giungere a Borgo Prund, cioè a Passo Borgo, senza por tempo in mezzo. Mi è stato detto che codesta strada è ottima d'estate, ma che non è stata ancora riassestata dopo le nevi invernali. Da questo punto di vista, dunque, differirebbe dal modo in cui generalmente sono tenute le strade dei Carpazi, per tradizione assai trascurate. In antico, gli "hospadar" si rifiutavano di ripararle per tema che i turchi pensassero che le stessero apprestando all'arrivo di truppe straniere, in tal modo affrettando una guerra sempre in procinto di scoppiare.
Oltre le verdi colline ondulate della "Mittel Land" si levavano imponenti pendici boscose fino ai maestosi dirupi dei Carpazi veri e propri. Torreggiavano a destra e a sinistra, e la luce del sole pomeridiano, investendole in pieno, faceva risaltare tutti gli splendidi colori di codesta bella catena, l'azzurro cupo e il viola all'ombra dei picchi, il verde e il bruno là dove rocce ed erba si confondevano, e una prospettiva illimitata di rocce frastagliate e creste aguzze, che si perdeva in lontananza, dove picchi innevati si drizzavano maestosi.
Qua e là, imponenti crepacci spaccavano i monti, e in essi il sole ormai declinante di tanto in tanto rivelava il bianco schiumare di una cascata. Uno dei miei compagni di viaggio mi ha toccato il braccio mentre, aggirata la base di una collina, compariva l'alta cima incappucciata di neve d'un monte che, per via delle tortuosità del cammino, sembrava starci proprio di faccia.
"Guardate! "Isten szek" - il trono di Dio -, e si è segnato con reverenza. E via e via s'andava per la nostra lunghissima strada tutta curve, e il sole sempre più scendeva alle nostre spalle, mentre le ombre della sera cominciavano ad addensarsi all'intorno, rese tanto più cupe dal fatto che la cima innevata, ancora colpita dall'astro al tramonto pareva ardere d'un rosa delicato. Ogni tanto sorpassavamo cechi e slovacchi nei loro pittoreschi costumi ma, ho notato, per lo più affetti da gozzo.
Ai bordi della strada, si vedevano numerose croci e, transitando, i miei compagni non mancavano mai di segnarsi. Di quando in quando, davanti a una cappelletta sostava in ginocchio un contadino, una contadina, che neppure volgevano il capo al nostro passaggio, talmente assorti nella preghiera da non avere occhi né orecchie per il mondo esterno. Molte erano le cose per me insolite: per esempio, le biche di fieno tra i rami degli alberi, e qua e là bellissimi ciuffi di betulle resinose i cui bianchi tronchi splendevano come argento tra il verde delicato del fogliame.
A volte superavamo un carro a pianale - il tipico veicolo dei contadini - con la sua lunga spina dorsale serpentina, fatta apposta per adeguarsi alle irregolarità della strada. E sopra, contadini che tornavano a casa, i cechi con pelli di pecora bianche, colorate quelle degli slovacchi, e questi impugnanti, a mo' di lance, i lunghissimi manici delle loro scuri.
Col calare dell'oscurità ha cominciato a fare un gran freddo, e il buio avanzante sembrava sommergere in una sola fosca caligine le macchie cupe degli alberi, querce, faggi e pini, sebbene nelle vallate che si insinuavano profondamente tra i contrafforti delle colline, nel mentre che si saliva verso il passo singoli, neri abeti si stagliassero su residue chiazze di neve. Talvolta, là dove la strada tagliava per pinete che nell'oscurità sembravano sul punto di piombarci addosso, i grandi banchi di foschia, qua e là insinuantisi fra i tronchi, producevano un effetto singolare, lugubre e solenne, risuscitatore di pensieri e sinistre fantasie già evocati dalla sera incipiente, allorché il sole al tramonto aveva conferito strano spicco alle nuvole che nei Carpazi sembrano incessantemente sfilare per le valli.
A volte le salite erano così erte che, nonostante la fretta del nostro conducente, i cavalli dovevano andare al passo. Ho proposto di scendere dalla diligenza e seguirla a piedi, come si fa da noi, ma il cocchiere non ha voluto saperne. "No, no" diceva "qui non possibile andare a piedi; cani troppo pericolosi" soggiungendo poi - e doveva essere chissà che gran battuta, perché ha volto lo sguardo in giro, a cogliere il sorriso d'intesa degli altri - "e ne avete poi basta, di cose simili, prima che voi andare a letto." l'unica sosta che si è concesso, è stata quella, rapidissima, per accendere i fanali.
Quando si è fatto buio, i passeggeri sono parsi in preda a notevole agitazione, e continuavano a parlare con il conducente, uno dopo l'altro, quasi a sollecitarlo ad andare più in fretta. E quegli frustava spietatamente i cavalli con la sua lunga sferza, e con aspre grida li incitava a ulteriori sforzi.
Poi, nel buio ho scorto qualcosa come una chiazza di luce grigia davanti a noi, quasi nel colle s'aprisse un varco. Maggiore si è fatta l'agitazione dei passeggeri; la sgangherata carrozza ondeggiava sui molloni di cuoio, rollando come una imbarcazione sballottata da un mare in tempesta. Dovevo tenermi. La strada s'è fatta più piana, e pareva che adesso volassimo. Poi, i monti son parsi avvicinarcisi da ogni lato, guardandoci arcigni; stavamo per entrare in Passo Borgo.
Uno a uno, parecchi passeggeri m'hanno offerto doni, insistendo perché li accettassi con una partecipazione alla quale non si davano dinieghi; ed erano oggetti di specie varia e singolare, ciascuno però dato con semplice buona fede, accompagnato da una parola gentile, da una benedizione, e con quello strano miscuglio di gesti esprimenti paura, che già avevo notato davanti alla locanda di Bistrita - il segno di croce, lo scongiuro contro il malocchio.
E a un certo punto, mentre s'andava di carriera, ecco il cocchiere protendersi in avanti, e d'ambo i lati i passeggeri, sporgendosi dalla carrozza, spiare ansiosi nel buio. Era evidente che stava per succedere, o ci s'attendeva, qualcosa di assai emozionante, ma, per quanto ne chiedessi a ogni mio compagno di viaggio, nessuno ha voluto fornirmi la benché minima spiegazione. Uno stato d'animo che è durato per un certo tempo; e finalmente eccoci all'imboccatura orientale del Passo.
Sul nostro capo, nubi nere, trascorrenti, e, nell'aria, la sensazione greve, opprimente, che precede il tuono. Si sarebbe detto che la catena montana separasse due diverse atmosfere, e che ora noi fossimo entrati in quella tempestosa. Anch'io adesso scrutavo fuori dalla carrozza, alla ricerca della vettura che doveva portarmi dal Conte. Di momento in momento, m'aspettavo di scorgere nel buio il barlume dei fanali; ma tutto era tenebra. Unica luce, il riflesso tremolante dei lumi della diligenza, e nel suo alone il vapore dei nostri cavalli spronati senza requie si levava in nuvola bianca.
Ora si scorgeva la strada sterrata stendersi bianca di fronte a noi, ma su di essa nessuna traccia di veicolo. I passeggeri si sono ritratti con un sospiro di sollievo che è parso suonare beffa al mio disappunto. Già mi chiedevo che cosa mi convenisse fare, allorché il conducente, data un'occhiata all'orologio, ha detto agli altri qualcosa che ho afferrato a stento, tanto sommesso e appena udibile ne era stato il tono; mi è parso che fosse: "Siamo in anticipo di un'ora". Poi, volgendosi a me, in un tedesco peggiore del mio:
"Nessuna carrozza qui. Il "Herr" si vede che non è aspettato. Lui viene con noi avanti in Bucovina, e ritorna domani o il giorno dopo domani; meglio il giorno dopo domani". Mentre così diceva, i cavalli si sono dati a nitrire, sbuffare e scalpitare nervosi, sì che il cocchiere ha dovuto tirare fortemente sulle redini.
Poi, tra un coro di grida da parte dei contadini, tutti intenti a farsi gran segni di croce, un calesse tirato da quattro cavalli ci ha raggiunto, vi si è affiancato, si è arrestato accanto alla diligenza. Ho potuto vedere, al lume dei nostri fanali, come i raggi ne sono caduti su di essi, che i cavalli erano neri come carbone, ed erano splendidi animali. A guidarli era un uomo d'alta statura, con una lunga barba scura e un gran cappello nero, che sembrava volerne celare il volto. Ho scorto appena il luccichio d'un paio di occhi assai brillanti, che sono parsi rossi alla luce delle lampade, come si rivolgeva a noi dicendo al cocchiere:
"Siete in anticipo, questa sera, amico mio". L'altro ha balbettato in risposta: "Il "Herr" inglese aveva fretta" al che lo sconosciuto:
"Ed è per questo, suppongo, che volevate condurlo in Bucovina. Non potete ingannarmi, caro amico; so troppe cose, io, e i miei cavalli sono veloci". Parlando ha sorriso, e i fanali hanno rivelato una bocca dal taglio duro, con labbra assai rosse e denti aguzzi, bianchi come avorio. Uno dei miei compagni ha sussurrato a un altro quel verso della "Lenore" di Burger che dice:
"Denn die Toten witen schnell"
(Poiché i morti cavalcano lesti).(*)
Lo strano conducente evidentemente ha udito le parole perché ha volto gli occhi con il balenio di un sorriso, e il passeggero ha girato il viso, in pari tempo puntando due dita e segnandosi. "Datemi il bagaglio dell'"Herr"", ha ingiunto il nero conducente; e, con eccessiva alacrità, le mie valige sono state passate e poste sul calesse.
Poi sono disceso dal lato della diligenza vicinissimo al quale stava il calesse, aiutato dal nero conducente la cui mano mi ha afferrato il braccio in una stretta d'acciaio: doveva avere una forza prodigiosa. Senza una parola, ha scosso le redini, i cavalli hanno compiuto un giro, e ci siamo sprofondati nell'oscurità del passo. Volgendo lo sguardo all'indietro, ho scorto il vapore salire dalle rozze della diligenza, reso visibile dalla luce dei fanali e, su quello sfondo, le figure dei miei compagni di viaggio intenti a segnarsi e segnarsi; e poi il loro cocchiere ha fatto schioccare la frusta dando una voce alle bestie, e via sono corsi verso la Bucovina.
Immagine capitolo: nell'immagine potete osservare Isten széke, la montagna che Jonathan vede durante il viaggio e che uno dei viaggiatori chiama "il Trono di Dio". La sua forma squadrata sembra effettivamente un trono o un altare!
Curiosidracula#1: uno dei viaggiatori cita il poema "Lenore" di Burger.
La citazione, all'epoca, fu un altro indizio importante per il lettore, visto che Lenore influenzò grandemente la letteratura sui vampiri (pur non avendone al suo interno).
La storia narra di Lenore, una donna in pena per il suo amato William partito per la guerra.
Al termine del conflitto, William non fa ritorno, così la giovane incolpa Dio della sua sofferenza, ritenendo di essere vittima di un'ingiustizia.
Una notte però, un uomo bussa alla sua porta e le chiede di seguirlo. L'uomo è proprio identico a William e quindi la donna accetta con gioia.
I due cavalcano tutta la notte a velocità folle, tanto che Lenore, spaventata, chiede a William il motivo di tanta fretta. La risposta dell'uomo è proprio la frase citata "Poiché i morti cavalcano veloci".
All'alba i due arrivano in un cimitero, dove l'uomo mostra la sua vera forma: egli è la Morte e mostra alla donna la tomba del suo amato, morto in battaglia. A quel punto la terra si apre sotto i piedi della donna e gli spiriti la trascinano verso la morte per punirla della sua blasfemia.
Lenore, morente, spera infine nel perdono.
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