La leggenda.

"Non è tanto l'aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che essi ci aiuterebbero nel caso ne avessimo bisogno."
Epicuro.

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Queen Camel, Somerset.
South Cadbury, Camelot.
Battaglia di Camlann.

La pioggia imperversava sulle teste di molti guerrieri britannici.
Il rumore delle acque del fiume Cam era assordante, mentre scrosciava in discesa, ma non abbastanza da coprire il fragore delle lame che trapassavano corpi. Le urla dei combattenti arrivavano a toccare il cielo ammantato da nuvole e frecce dalle punte di fuoco.
Terra a coprire gli occhi e ad oscurare la vista, a sporcare le guance gonfie di urla di dolore e di gloria mentre, ancora, la pioggia non lavava via il sangue dalle vesti rosse dei guerrieri bretoni.

Un uomo si faceva spazio tra i cadaveri, con il cuore pesante e l'anima dilaniata. Sorpassava teste mozzate, uomini divisi in due. Si inginocchiava su quella terra di morte e sangue per chiudere gli occhi dei suoi soldati caduti, in segno di riconoscimento e chiedendo perdono per quella guerra che aveva esortato lui stesso a combattere, sapendo di non poter fare altrimenti.

La mano destre serrata sull'impugnatura della sua spada, amica e nemica allo stesso tempo, che brillava d'oro e d'argento nonostante non ci fosse un singolo spiraglio di sole.

Avvertì un leggero movimento alle sue spalle accompagnato da un urlo rabbioso, e con un movimento fluido del polso roteò la sua arma, — facendo sembrare come se pesasse piume,— girandosi e parando un primo colpo. Strinse l'impugnatura con due mani e si alzò in piedi, parando un secondo colpo che era diretto al suo fianco destro. Schivò, si abbassò e poi, come solo un abile cavaliere potrebbe, affondò la sua lucente lama nel petto dell'uomo.

Cadde rovinosamente al suolo, agonizzante e grondante di sangue, e Re Artù girò gli occhi per non dover guardare.

«Mio Re, state bene?»

I suoi occhi chiari vagarono sulla figura di fronte a lui: la maglia di metallo coperta dalla corazza, a sua volta rivestita con la tonaca dai colori della Bretagna.
Si fermò a osservare il volto stanco e sudato del suo guerriero, del suo cavaliere, del suo amico.

«Lancillotto, voglio che tu e tutti i cavalieri difendiate la strada verso nord. Non devono arrivare alla cittadella! Camelot non cadrà oggi.» si annunciò, sicuro.
Ma il suo cuore tramava ancora.

«Come comandate, mio Re.» il cavaliere si inchinò, ma prima che potesse andar via guardò nuovamente nei suoi occhi. «Artù, sta attendo.»

Perché, Artù e Lancillotto, prima di essere Re e Cavaliere, erano amici. E gli amici vanno protetti.

E proprio perché Re Artù era ricordato come colui non solo dotato di un invalicabile onore ma anche come un uomo con un'anima e un cuore che straripavano di bontà, non glielo disse.
Guardò negli occhi l'amico che l'aveva sempre accompagnato con cieca fiducia in ogni impresa e gli mentì: non gli disse che, in battaglia, aveva perso il fodero della sua spada. L'unico mezzo in grado di proteggerlo davvero dai colpi inferti dagli avversari.

«Non preoccuparti, so cavarmela.» E gli sorrise.

Lancillotto lo osservò ancora, poi chiamando a gran voce i Cavalieri della Tavola Rotonda, andò via.

E fu cosi che accadde, Artù troppo preso a guardare il suo amico di una vita correre a proteggere le mura della sua amata Camelot, che una spada lo trafisse da parte a parte.

La vista si offuscò, mentre cadeva in ginocchio. La bocca aperta da cui colava sangue rosso vivo come le sue vesti, nello orecchie solo un lungo fischio assordante.

Si lasciò cadere al suolo, esamine, mentre a stento riusciva a sentire delle mani avvolgersi intorno alle sue spalle.

«Mio Re, no! — le mani si strinsero a lui,— Aprite gli occhi! Aprite gli occhi Artù!»

E il Re cosi fece, e riconobbe Merlino. Con immenso sforzo, allora, incominciò a parlare: «Merlino, prendi Excalibur, portala di nuovo ad Avalon e ridalla alla sua roccia. Questa spada è tanto sacra quanto letale e non può finire in mani non degne.»

Il sangue zampillava dal buco nel suo petto e Merlino ci premette una mano, nella speranza di dare più tempo al suo amato Re.
Lo aveva sempre protetto, aveva vegliato su di lui come le stelle nella notte, in silenzio.
Ma Merlino sapeva che doveva andare cosi.
Merlino sapeva che, per avere un mondo giusto ed eguale, Re Artù doveva morire.

«Quando i dodici Cavalieri saranno riuniti intorno alla Tavola Rotonda, e una battaglia per la supremazia delle razze sarà vinta dai buoni, solo allora, Excalibur sarà pronta per il figlio di un vero Re.»

Il terreno tremò, il vento mulinò ancora più ferocemente e la pioggia si era trasformata in diluvio.
La terra, da cui la magia era nata, assorbì le parole di Artù, ed Excalibur si illuminò nelle mani del suo padrone.

La profezia era rinata.

Artù sorrise mesto al suo compagno Merlino, poi la presa sull'impugnatura si allentò.

La spada cadde e Re Artù con lei.

*

Se da una parte fu traumatico ritornare a scuola, dopo le vacanze di natale, per Draco, fu anche catartico.
Il suo cervello si era autoconvinto che quello che aveva vissuto durante le vacanze Natalizie era stato soltanto un lapsus del tempo. Un ricordo lontano di come si era sentito nella sua vita passata.
Eppure, una parte di lui tremava ancora.
Era stato enormemente difficile lasciare sua madre al Manor da sola, dopo la minaccia che aveva ricevuto, e sapendo che gli artefici erano ancora a piede libero e avrebbero potuto attaccarla in qualunque momento. In più, Lady Malfoy si era rifiutata categoricamente di abbandonare la villa di famiglia, per trasferirsi in un luogo più sicuro e magari sconosciuto ai più.
Aveva detto che non aveva intenzione di scappare, e non voleva abbandonare l'unica cosa che le era rimasta di suo marito.
Lo aveva rassicurato, dicendogli che le mura del Manor erano impegnate di magia antica e potente e che nessuno avrebbe potuto metterci piede, anche se mentre lo diceva gli occhi le tremavano al ricordo di quanti maghi oscuri e pericolosi ci avevano effettivamente vissuto dentro solo poco tempo prima.
Draco comunque non aveva ceduto, e aveva deciso di tornare a scuola soltanto dopo che Potter gli aveva spedito una missiva via gufo dove confermava che aveva parlato con il Primo Ministro della Magia e lui concordava con loro nell'idea di far mettere dagli Auror speciali lungo tutto il perimetro della casa.
Solo allora si era lasciato andare ad un sospiro, accasciandosi sulla poltrona nello studio del padre. Le mani che correvano a scompigliarli i capelli e i palmi a strofinare sugli occhi stanchi.

Ora percorreva i corridoi a grandi falcate verso la Torre Nord del castello, diretto alla lezione di Divinazione della Cooman.

Aveva sempre trovato affascinante quella materia, nonostante non provava molta simpatia verso quell'insegnate nello specifico,— cosa che, negli anni, non aveva certo tenuto per se,— ma si sentiva completamente affascinato da tutto ciò che prevedeva il futuro.

Forse perché, il suo di futuro, era sempre stato incerto.

I corridoi brulicavano di studenti quel pomeriggio e raggiungere l'aula in cima alla torre fu un calvario. C'erano maghi e streghe che correvano in ogni dove, alcuni in ritardo per le lezioni, ancora troppo rilassati dalle vacanze per poter riprendere il giusto ritmo, e chi invece, come i primini, rideva con gli amici, gli occhi scintillanti, mentre raccontavano cosa avevano ricevuto quel natale in dono.

Saliva le scale a due a due, cercando di farsi spazio tra un ragazzo e l'altro, quando arrivò di fronte a due ragazze che camminavano a passo lento, come in un'infinita processione.

Notò uno spazio vuoto al fianco di una di loro, quello necessario per permettere ad una persona di starci, e senza alzare gli occhi dal pavimento si diresse a passo spedito in quella direzione.

Solo ad un gradino di distanza alzò gli occhi per trovarsi di fronte a due gonnelline dai bordi rossi svolazzare lentamente, fece scorrere gli occhi verso l'alto notando le mani intrecciate in una stretta ferrea le braccia tese come se fosse uno sforzo immane anche solo farle ondeggiare leggermente, sali ancora e vide capelli scuri chiusi in una treccia strettissima, le spalle di una erano ricurve e guardava il pavimento, l'altra alla destra della prima guardava avanti a se.
Riconobbe le sorelle Patil, e si rese conto che quello spazio vuoto non veniva occupato da nessuno studente che passava loro di fianco.
Anzi, lo schivavano, ci giravano intorno. Ma non lo invadevano mai, come se effettivamente ci fosse qualcuno lì e ci fosse il rischio di urtare quella persona e farle male.

Lavanda Brown.

Draco si fermò appena con il piede a mezz'aria, pronto al sorpasso, e lo riabbassò con la stessa velocità.

L'ansia prese a divoragli il petto, mentre avvertiva la difficoltà a respirare.
Rimase immobile, non avvertendo su di lui le spallate degli altri che cercavano di passare, le voci concitate che gli intimavano di muoversi. Rimase immobile, non avvertendo più nulla.

Era ormai solo sulle scale mentre una mano piccola e fredda gli si poggiò delicata sulla spalla destra.

«Malfoy, andiamo.»

E in silenzio mosse il primo passo, camminando al fianco di Hermione Granger.

*

«Benvenuti a tutti, prendete posto e rilassatevi, ecco si, cosi... Abbiamo migliorati gli schienali delle sedie e i vari cuscini per aumentare la concentrazione.»

La Cooman aveva conservato quell'aria distante e un po' assente. Anzi, di potrebbe dire, che con la fine della guerra queste sue caratteristiche erano aumentate disdicevolmente.

Draco prese posto in fondo all'aula, tra i componenti della sua casa d'appartenenza.

Appena era arrivato davanti alla porta d'ingresso aveva fatto entrare per prima la Granger, ancora in religioso silenzio, e solo dopo un paio di minuti, era entrato anche lui.
E fu soltanto in quel momento che si rese conto che la grifondoro era ad una lezione della Cooman.

Che diamine ci faceva li?

«Oggi parleremo dei due tipi di classificazione della divinazio — Si, signorina Granger?»

«Quando studieremo la lettura dei tarocchi?»

Hermione fece ricadere il braccio lentamente, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio e cercando di non arrossire davanti a tutta la classe.

Harry e Ron si scambiarono un'occhiata confusa e incuriosita prima di volgere, entrambi, il capo nella sua direzione, mantenendo le stesse espressioni sul viso.

Lei lo guardò appena e scrollo le spalle, mimando un: «È solo curiosità.» con le labbra nella loro direzione.
I due si riguardarono ancora, prima che Ron chiudesse il tutto con un espressione quasi ovvia alle parole dell'amica di una vita.

Che potevano saperne loro, dei tormenti di Hermione, quando nelle notti in cui non riusciva a dormire, si rigirava quelle carte tra le mani.

Che ne potevano sapere loro, dei tormenti di Hermione, quando nelle notti in cui non riusciva a dormire, si rigirava nel suo letto riascoltando nella testa le sue parole.

Hai bisogno di ricordare che non sei solo quello. Non sei solo dolore.

Che ne potevano sapere loro, dei tormenti di Hermione, quando nelle notti in cui non riusciva a dormire, ed erano tante, e succedeva sempre, si rigirava le emozioni nel cuore, nelle vene. Si rigirava i sentimenti, e non capiva perché le sembrava stessero andando al contrario.

Non si azzardò a guardarlo, nonostante da quel giorno, non avesse fatto altro, questa volta mantenne salda la vista sulla professoressa e concentrò tutta sé stessa nel non arrossire come una scolaretta.

Era stato più forte di lei, il continuamente cercarlo. Giusto un occhiata, si diceva. Uno sguardo veloce, per vedere se stava mangiando. Se aveva fatto colazione, o pranzo. Se avesse saltato la cena. Per controllare, a lezione, se le occhiaie erano più profonde del giorno prima, o se avesse trovato un po' di riposo, quella notte.

Per vedere se stesse bene, se stesse meglio.

«Signorina Granger, se avesse partecipato ad una mia sola lezione, in questi anni, saprebbe che la lettura dei tarocchi è stata studiata due anni fa.»

E con quella stoccata finale Hermione non potete nulla contro l'arrossarsi delle sue guance.

Che umiliazione.
Che disgrazia.
Che orrore.

Sbuffò indispettiva e si alzò dal proprio posto: «Bene, allora non ho motivo di restare qui!»

Indisponente come era sempre stata, raccattò le sue cose e voltò le spalle alla professoressa Cooman che la fissava con occhi spalancati; come in realtà tutti i suoi compagni di corso.

Draco nascose un ghigno divertito sotto le sue dita pallide e la guardò con la coda degli occhi.

La Granger era sempre stata fuoco vivo che non si conteneva, che non si spegneva mai, e si rese conto, che da quando erano ritornati ad Hogwarts, quello era stato il primo momento in cui le era sembrata quella di una volta. Quella di prima.

Hermione aveva il mento alto mentre, a passo di marcia, si dirigeva alla porta per uscire in gran carriera, quando un rumore improvviso di vetri rotti e gridolini terrorizzati la fecero voltare di nuovo.

La professoressa Cooman aveva fatto cadere la sfera di cristallo che aveva sul tavolino rotondo al centro della stanza, per poggiarci una mano e sorreggersi, mentre gli occhi le erano diventati di un blu opalescente.

Harry si alzò in piedi di scatto e tremò, ricordandosi quando era successo a lui.

Ormai Harry Potter aveva imparato a riconoscere tante cose, e si preparò mentalmente a quello che, da lì a poco, sarebbe potuta diventare una condanna.

«E al calar del sole, giunse
Lasciando scie di morte.
Un sacrificio sarà necessario per colui che è sopravvissuto, perché per lui non esiste pace.
Un sacrificio sarà necessario per colei che porta la corona.
E al calar del sole, giungerà
lasciando scie di morte.
L'arma che fende l'aria, imbevuta di coraggio potrà sconfiggere il male.
Ma un sacrificio sarà necessario, immemore nel tempo.
Quando i dodici Cavalieri saranno riuniti intorno alla Tavola Rotonda, e una battaglia per la supremazia delle razze sarà vinta dai buoni, solo allora, Excalibur sarà pronta per il figlio di un vero Re.»

La Cooman parlava con voce lontana e sdoppiata, quella in alto era la sua, ma quella di sottofondo, sembrava provenire dal fondo della sua gola. Raschiava e grattava i timpani di tutti, facendo venire la pelle d'oca.

Harry tremò e la cicatrice bruciò come aveva sempre bruciato. Con la mano si strofinò la fronte nel tentativo di alleviare quella pena e la bocca si contrasse in una smorfia di dolore. Rilasciò un lamento estenuantemente lungo, che attirò l'attenzione della classe su di lui.

Gli alunni iniziarono tutti a tremare, e ben presto si alzarono in piedi. Tutti, ormai, sapevano cosa poteva significare ed era solo preludio di terrore.

Un altro lamento e i ragazzi spostarono l'attenzione alla loro destra, sul lato dei serpeverde.

E se con i lamenti di colui che è sopravvissuto avevano solo tremato, quello che videro tutti, scatenò il panico.

«È tornato.»

«Non è mai morto! Ci avete mentito tutti!»

«Merlino, salvaci!»

E via così con le urla e la paura.

Draco Malfoy se ne dava in piedi dietro al suo banco, le labbra serrate tra loro, come incollate per non far fuoriuscire neanche un sibilo di dolore. I lineamenti duri non sembravano aver subito nessun mutamento ma Hermione vide chiaramente i suoi occhi lucidi, mancava poco e avrebbe pianto dal dolore che sentiva. E la grifondoro non l'aveva mai visto così.

Con quegli occhi spogli e dal colore dei fulmini pieni di lacrime che stava trattenendo con tutte le sue forze per non versarle. Per non cadere davanti a tutti e mostrarsi fragile, dolorante, umano.

E la mano destra chiusa come una morsa sul suo avambraccio sinistro, coperto dalla camicia bianca, ora rossa del suo sangue che fuoriusciva dalla manica e colava al pavimento, in piccole e veloci gocce.

Gli alunni erano impazziti, le urla imperversavano e non cessavano, ma al contrario aumentavano a dismisura.

La Cooman parve riprendersi solo in quel momento, guardando la classe e non capendo cosa stesse capitando da un momento all'altro.

Un attimo prima la Granger stava prendendo la strada per la porta e quello dopo... cosa?

Sembrava appena essersi svegliata da un lungo sonno quando chiese, con voce assorta e un po' stralunata: «Cosa... Cosa succede?»

*

Hermione aveva appena chiuso alla sue spalle la porta dell'ufficio della preside McGranitt, soltanto quando il sole ormai era calato, e a passo lento si dirigeva nel corridoio diretta neanche lei sapeva dove.

Si era armata di coraggio, come sempre, e aveva raccontato alla fu professoressa di trasfigurazione quello che era successo.

Non tutto, ovviamente. Quello no. Solo qualcosa, le cose più importanti come i sogni di Harry e Malfoy e l'attacco alla Tana. Aveva tenuto per se quello che il libro le aveva confessato. Aveva tenuto per se le scoperte sul maledictus. Si era tenuta per se la paura che l'attanagliava il cuore e che la notte le impediva di respirare. Si era tenuta per se le lacrime e le mani tremanti.

Si era tenuta per se l'angoscia di sapere di nuovo Harry in pericolo, di saperli tutti in pericolo... anche Malfoy.

Si accorse che i piedi l'avevano portata al Lago Nero soltanto quando il freddo che sentiva alle ginocchia fu sufficiente a riscuoterla dai suoi pensieri. Non si era accorta che era entrata direttamente nelle acque gelide del lago.

Lasciò che le ginocchia le cedessero, sprofondando nelle acque fino al busto. La gonna ormai fradicia e le braccia a peso morto immerse anch'esse fino ai gomiti. La camicia bianca ormai era diventata trasparente, e aveva freddo, ma non se ne curò minimamente.

Il petto le si alzava e si abbassava in ansiti pesanti, l'aria le mancava nonostante il vento che soffiava impetuoso. Gli occhi spalancati e persi a non guardare nulla di fronte a se, ad osservare qualcosa dietro le sue pupille. Non era pronta ad un'altra guerra. Non era pronta a risentire quella paura. A porsi tutti quei forse che aveva cercato di lasciarsi alle spalle: se forse avesse perso Harry, se forse avesse perso Ron, Ginny. Ed ora il suo povero cuore era occupato anche dai ragazzi di serpeverde. I sorrisi dolci di Astoria, gli occhi lucenti di Daphne. Le battute di Pansy e Theo. Blaise con le sue interminabili moltitudini di cravatte. E Malfoy.

C'era anche Draco adesso, in quel suo cuore cosi piccolo ma cosi grande che faceva cosi male.
E se forse avesse perso anche lui, adesso? I ghigni sarcastici, gli occhi schivi. Le parole sussurrate, le poesie.

Sei più del tuo passato.

È questo fece ancora più male, al suo cuore così piccolo ma immenso e malandato: prendere conoscenze del fatto che, adesso, Draco Malfoy, aveva preso residenza in un angolino di lei.

Ansimò più forte, e si portò le mani ai capelli, artigliandoli con forza, bagnandoli e lasciando che le gocce d'acqua le colassero sul viso e urlò forte, con tutto il fiato che aveva in corpo.

Urlò e urlò e urlò forte, ancora e ancora.

Le mani a tirarsi i capelli e la faccia bagnata non sapeva se dall'acqua del lago o dalle sue lacrime. Lo stomaco era chiuso in una morsa stretta, la paura che le invadeva le viscere era cosi tanta che poteva sentirla far scorrerle il sangue al contrario nelle vene e lei, la ragionale, logica e con sempre una soluzione pronta ad ogni cosa, Hermione Granger, in quel momento non riusciva fare altro che urlare con tutta la voce che aveva in copro, scossa dai singhiozzi e dalle lacrime.

«Che cosa diavolo stai facendo?»

Due braccia l'avevano circondata e alzata di peso, lasciandola sulla riva mentre gocciolava da tutte le parti. Ma lei neanche se ne era accorta, cosi presa da se stessa.

Si agitò, si dimenò e forse ringhiò anche, ma non riusciva a smettere.

Farfugliava frasi sconnesse, parole senza senso rotolavano sulla sua lingua e fuori dalle sue labbra. Gli occhi appannati dalle lacrime non le facevano vedere bene e l'unica cosa che sentiva era la presa stretta sulla sue braccia; forte, sicura, calda.

«Io non posso — non riesco...»

Si divincolò con forza, sgusciando fuori da quelle mani che ancora non sapeva riconoscere.

Hermione si era persa di nuovo chissà dove, in qualche parte del suo cuore frantumato e negli angoli più bui della sua mente.

Barcollò all'indietro, incurante di tutto, non prestando attenzione intorno a lei, sbattendo con le spalle ad un troncò d'albero dietro di lei, su cui si accasciò.

«Granger, cosa stai farneticando?»

Strizzò gli occhi con i pugni, e poi con i palmi aperti dissipò le lacrime sulle guance, nella speranza di prendere nitidezza introno a se.

Nel buio spezzato solo dal chiarire della luna, Draco Malfoy era davanti a lei. La camicia spiegazzata e bagnata fino ai gomiti, la cravatta allentata e i capelli disordinati.

Sembrava esausto. Come se in realtà non avesse mai dormito.

Il cuore le si strinse ancora di più, ne poteva sentire un male fisico tanto era forte la morsa in cui si era chiuso. E la paura tornò ancora più potente, facendole formicolare le mani.

Mormorava sottovoce, a stento si sentiva lei stessa, sembrava impazzita.

La voce del serpeverde la chiamava in continuazione, creando dentro di lei nient'altro che confusione.

«Mi dici che cosa ti prende?» urlò forte il biondo, ed Hermione non riuscì più a trattenersi.

«Ho paura!» Urlò lei di rimando.

Draco respirava a fatica, tanto che aveva urlato per richiamare la sua attenzione, ma ne era valsa la pena, alla fine.

La grifondoro era stravolta; i capelli ingarbugliati e bagnati, il viso rosso dalle lacrime e il collo anch'esso rosso dalle urla. Le mani raggrinzite dal freddo.

«Credi che tu sia l'unica ad averne? Tutti ne abbiamo!»

Hermione quasi sbuffò indignata, lui non capiva. Come poteva capire. E glielo urlò: «Tu non capisci!»

Respirò profondamente, ormai totalmente chiusa nella sua mente: «Io non posso perdere Harry, o Ron. Ginny. Ed ora anche i ragazzi: Daphne e Astoria, Blaise e Theo. Pansy. Non posso combattere. Io non —»

Il vento ululava forte intorno a loro, Hermione iniziava a sentire freddo, ma non era certa se il tremore alle ginocchia era dovuto a quello o alla paura che aveva.

Draco ghignò appena, più per abitudine che per altro, ma dentro fremeva.

Non poteva perdere i ragazzi di serpeverde, quelli di cui, neanche poco tempo fa, era diffidente. Una rivelazione non da poco.

Una morsa allo stomaco lo travolse. Pensieri scomodi ad annidarsi nella mente. Ma non avevano senso per cui scosse la testa energicamente e si convinse a parlare: «Cosa credi, che io sia disposto a perderli? Sono miei amici!»

«Tu non capisci!»

Hermione tremava preda dei suoi stessi pensieri. Si era lasciata troppo andare, aveva lasciato le briglie troppo sciolte e la sua mente correva veloce ora, in più di una direzione, tutte diverse tra loro. Si sentiva soffocare, sopraffatta da se stessa. Hermione che poteva vanare di se stessa solo quello: il suo cervello brillante e preciso. Schematizzato in scaffali, come in una libreria pulita e ordinata.

Ma adesso i suoi libri mentali si sfracellavano al suolo uno dopo l'altro come tirati da forze ignote e potenti. Le pareti cedevano, i muri crollavano e il legno cigolava in una litania lenta e triste.

Hermione si rese conto, in un momento di fugace lucidità, che forse non sarebbe mai più stata la brillante strega che era un tempo. Era troppo spezzata per potersi ricomporre. Alcuni dei cocci di lei che aveva perso non avrebbe mai potuto più ritrovarli, e quei pochi che erano rimasti si erano usurati lungo i bordi, non combaciavano più l'un l'altri, c'erano granelli di lei troppo piccoli da poter ammucchiare insieme.

E il mondo, la vita, le chiedeva ancora di sacrificare altro. Di combattere di nuovo, ancora e ancora finché anche quegli ultimi granelli non saranno spazzati via dal vento di un qualche incantesimo di difesa, nel migliore dei casi.

E poi?

Poi cos'altro le avrebbe richiesto la vita? Cos'altro avrebbe potuto mai dare ancora a questa vita infame che non faceva altro che prendere e prendere e prendere da lei?

Draco sospirò piano per poi abbassarsi sulle ginocchia, arrivando alla sua altezza, fronteggiandola.

Hermione lo fissò pronta ad un nuovo attacco di parole urlare al vento, cercando negli occhi dell'altro quello sguardo sprezzante e altezzoso con cui aveva fatto i conti sin da bambina, ma sorprendentemente, non ne trovò traccia.

Non trovò niente, negli occhi del biondo, che le facessero presagire quella furia a cui era abituata.
Al contrario, trovò occhi limpidi, gentili. Uno sguardo così pulito e compassionevole che le fece tremare il cuore.

«Allora spiegami.»

Draco allungò una mano verso di lei, un invito così candido. E silenzioso attese una reazione dalla grifondoro.

Lei allungò il braccio insicura. Un avvicinarsi di dita incerte, poi di palmi. I suoi tremanti e quelli di lui fermi, decisi, sicuri.

Hermione si chiese se non è così che si esce dal buio.
Quando si cade così in profondità di se stessi. Aggrapparsi ad una mano che si tende verso di noi e lasciarci trascinare in superficie, un passo alla volta.

Quella sera, Draco Malfoy la trascinò in superficie.

*

Erano passati un paio di giorni da quando Hermione, in accordo con il resto dei ragazzi di Grifondoro e Serpeverde, aveva raccontato alla ormai Preside McGranitt le varie scoperte che avevano fatto in merito all'attuale situazione in cui versavano.

Minerva non si era meravigliata più di tanto, quando la studentessa le aveva raccontato le varie indagini che avevano condotto, non aspettandosi niente di meno da quegli studenti. La cosa che l'aveva lasciata perplessa, in un modo inaspettatamente positivo, era stato apprendere il coinvolgimento da parte degli studenti verde-argento.

E non studenti qualunque, sia ben chiaro: gli eredi di famiglie purosangue d'élite. Ragazzi che erano pilasti di purezza e ricchezza della casata di Salazar Serpeverde di quegli anni.

Se in un primo momento si era chiesta il perché di quel coinvolgimento da parte di quei ragazzi, ora aveva smesso di farlo.

Non aveva avuto una vita facile, Minerva.

Aveva affrontato un percorso di sacrifici e rinunce, alcune fatte di sua spontanea volontà, altre dettate dalla vita che non era stata abbastanza clemente con lei.

Eppure si considerava una donna felice di ciò che aveva avuto.
Un'istruzione degna di quel titolo, era stata una brava giocatrice di Quiddith ai suoi tempi e aveva perseguito il suo sogno di diventare professoressa.

Aveva avuto un amore forte e travolgente che, nonostante avesse perso troppo presto, la teneva ancora aggrappata a quella parte meravigliosa che era la vita stessa.

Non aveva avuto figli però. Non aveva avuto figli suoi perché, appunto, il suo percorso era stato costellato anche da rinunce.

Forse era per colpa di queste ultime che Minerva McGranitt sembrava avere un cuore di pietra e una fermezza stoica in tutto il suo essere.
Ma la verità era ben lontana da tutto questo.

Il cuore di Minerva McGranitt era così grande e profondo in realtà. E doveva esserlo per forza, perché lei non aveva figli suoi, ma per fare entrare tutti gli studenti di quella scuola il suo cuore doveva, per forza di cose, essere il porto più grande e sicuro e profondo che mai era esistito. Perché tutti gli studenti di quella scuola,— i vecchi, i nuovi, e i futuri,— dovevano poter starci tutti.

Per questo aveva smesso di chiedersi il perché.
Perché i suoi ragazzi, erano solo ragazzi. E avevano affrontato cose che dei ragazzi non avrebbero mai dovuto affrontare, e questo il aveva cambiati, forse migliorati. Facendo uscire il loro vero potenziale, e non quello idealizzato dalle loro famiglie.

E fu per questo che, nel profondissimo cuore di Minerva qualcosa si mosse, facendola sussultare. Due gocce di thè sfuggirono dalla tazzina che aveva in mano, bagnandole la tunica, mentre si alzava e si avviava verso la biblioteca di Hogwarts.

Perché è questo che fa il cuore di una madre: sussulta e trema, ma protegge, ama e da sempre nuove possibilità.

*

C'era della magia nelle piccole cose, — una magia diversa da quella che aveva conosciuto poco più che undicenne,— era più sottile. Timida nel mostrarsi, ma maestosa agli occhi di chi era attento ai dettagli.
Harry non si era mai definito un tipo attento alle sottigliezze prima che la vita lo spingesse ad aguzzare la vista.
Aveva dovuto imparare in fretta, nel corso dei sui anni, a strizzare gli occhi e ad osservare intorno a se i vari cambiamenti.
E si poteva dire che, se da una parte non aveva ancora acquistato la capacità di farlo con discrezione, dall'altra almeno aveva imparato come guardare.

Era per questo che, quella notte, dalla finestra della sua camera nei dormitori Grifondoro, riusciva a vedere la magia nel freddo di gennaio che ghiacciava il vetro.
Riusciva a vedere della magia nella quiete che il cielo terso gli tornava.

E c'era magia nel silenzio intorno a lui.

Ma quella era una magia diversa, più forte, seppur invisibile. Una magia di legame profondo e consolidato, al centro tra i suoi migliori amici.

Eppure, nonostante questo, c'erano ancora cose che non riusciva a vedere con chiarezza.

«Non le hai più parlato, Harry.»  un'affermazione chiara e diretta, ma senza giudizio.

«Lo so, Ron.»

Un sospiro pesante ed Hermione gli poggiò la testa su una spalla, senza parlare.

Il silenzio li avvolgeva ma non era muto: il chiasso dei loro pensieri era palpabile.

«Non ho l'audacia di giustificarla, Harry. Ma ho l'audacia di provare a capire il perché.»

«Il perché di cosa, Ron?»

Ron sussultò appena, sempre scomodo quando provava a parlare con il cuore, ma mai codardo.

Ogni corda che componeva l'animo di Ron vibrava di compassione, gentilezza e tanto cuore. Impacciato nell'esprimere se stesso, ma mai vigliacco nel farlo lo stesso.

«Il perché di tante cose, Harry. — si aggiustò appena sul posto, unendo le mani tra loro. — Il Perché non te lo avesse detto, ancora. Per esempio.»  prese un respiro profondo prima di continuare « Mi sono sempre ritenuto un ragazzo fortunato, nonostante i pochi soldi e le poche cose che possiedo, mi sono sempre ritenuto un ragazzo fortunato perché, anche se la mia famiglia fa parte di quelle famiglie purosangue rimaste, i miei genitori non mi hanno mai fatto pressioni in nulla.»

Hermione alzò la testa dalla spalla di Harry, dove ancora era poggiata, per guardarlo con interesse sempre crescente.

Ron non era mai stato un tipo da chiacchiere serie, era più per le azioni. Ma quelle poche volte che Ron si lasciava andare e agiva in quel modo, Hermione sapeva che non avrebbe detto sciocchezze.

«Ci sono delle regole, Harry, nelle famiglie purosangue. Ci sono dei doveri. Per quanto io e la mia famiglia li abbiamo sempre ritenuti spregevoli, non posso dirti che non esistano o che la guerra li abbiamo eliminati. I miei genitori erano promessi da quando avevano sei anni.» Ron ridacchiò, guardando in basso, mentre Harry finalmente volgeva il capo verso di lui, attento.

«È stata solo fortuna che si siano amati lo stesso, prima ancora di sapere che erano promessi a loro insaputa. Quando mia madre rimase incinta di Bill, successe il putiferio. Mio padre me lo raccontò quando ero piccolo, allora avevo tantissime domande. In realtà ne ho ancora ora.» risero tutti a bassa voce.

«Non erano ancora sposati e una gravidanza fuori dal matrimonio era considerata un disonore. Pure vero che mia nonna fu diseredata per aver sposato mio nonno, non dimentichiamo che era una Black.»

Ron trasalì leggermente, increspando le labbra. Fortunatamente ricordava a stento la nonna, ma da quel poco che la sua memoria gli mostrava era sempre stata una persona... tesa.

Harry pensò ad Andromeda, a come era dolce e comprensiva con loro. Ma, aguzzando la vista alle sue memorie su di lei, ricordava anche come certi atteggiamenti strutturati non l'avevano mai lasciata, rendendola così simile a sua sorella Narcissa.

«Comunque, — riprese Ron,— si dovettero sposare in fretta e furia, prima che la pancia diventasse troppo pronunciata. Per questo dico che è stata una fortuna che loro si amassero già. Immagina passare una vita con una persona che non conosci. E nel tempo, scoprire che non l'amerai mai, o che lei non ti amerà mai. Noi abbiamo sofferto, tutti. Hermione tu... - e qui tremò visibilmente,— tu sei stata torturata, ma riuscite ad immaginarvi una tortura più dolorosa di questa? Una vita intera rinchiusi.»

Hermione trasalì, eppure si trovò d'accordo con il suo amico di una vita. E lei l'aveva assaggiato sulla sua pelle, ne potava ancora i segni in cicatrici.

«Nonostante i Signori Greengrass non si siano mai dichiarati favorevoli alle ideologie di Voldermot, non si sono neanche dichiarati contrari, apertamente. Loro sono tra i purosangue per eccellenza, Harry. Fanno parte delle sacre ventotto per un motivo. Hanno principi con cui crescono i figli. Con cui mia madre è stata cresciuta, e Andromeda anche. Principi che fanno accapponare la pelle. E noi ne abbiamo avuto qualche accenno tramite i ragazzi di serpeverde. Ma entrare in profondità delle loro idee, delle loro tradizioni... fa venire il voltastomaco.»

«Non capisco perché tu mi stia dicendo tutto quest—»

«Perché tu non capisci il perché, Harry. Ma io si. E anche Daphne. Probabilmente lei è promessa a qualcuno che neanche conosce dal giorno in cui è nata. Astoria mi ha raccontato che anche lei era promessa, ma poi, dopo la guerra, la controparte ha annullato. Malfoy, ha annullato.»

Hermione avvertii la terra tremarle sotto i piedi, nonostante fosse seduta.

Tornò con la mente a neanche mezz'ora prima, quando le aveva teso la mano, e lei l'aveva stretta prima di farsi trascinare su. Le aveva lanciato un incantesimo riscaldante e uno di asciugatura e poi l'aveva accompagnata fino all'ingresso della sua sala comune, a Grifondoro.

Il percorso verso la torre era stato silenzioso ma confortevole e, nonostante lei non avesse alzato gli occhi dal pavimento durante tutto il tragitto, aveva avvertito quelli di lui sulla sua figura per tutto il tempo. E ne aveva percepito il peso ad ogni passo. Ma, inaspettatamente, non si era sentita giudicata, sotto quello sguardo che era più che altro indagatore e forse anche premuroso, in un modo così criptico e insano che lo stomaco le si strinse di getto.

L'unico momento in cui aveva deciso di alzare lo sguardo per guardarlo e ringraziarlo era stato quando avevano raggiunto il ritratto della Signore Grassa. Ma i suoi occhi videro solo la schiena di lui, che aveva già preso la strada per tornare ai sotterranei.

Hermione non ebbe il tempo di dire nulla, ma notò un particolare: lui non si era asciugato.
Aveva lanciato l'incantesimo solo su di lei.

Poi era entrata, trovando Ron in attesa che con un solo sguardo le fece capire la situazione e si lasciò guidare nella stanza che condivideva con il moro.

Scosse la testa e cercò di riprende il filo di quello che stava dicendo Ron.

«... Se la sua famiglia lo avesse saputo, lei si sarebbe dovuta sposare. Annullare il suo vecchio contratto di matrimonio, perché si Harry, quello non è nient'altro che un contratto, e vi sareste dovuti sposare subito. Cosa pensi—»

«Io lo avrei fatto! Io l'avrei sposat—»

«Appunto!» Ron ansimò, un po' scosso dall'ammissione di Harry.

E forse se ne accorse anche Harry, sbarrando gli occhi.

Lui lo avrebbe fatto, eccome, senza pensarci due volte. Perché lui era così. Lui si sarebbe sempre preso le sue responsabilità, senza esitazione.

«Forse Daphne ti conosce meglio di quanto credi.» sussurrò Hermione, decisasi a parlare dopo tutto quel silenzio. Lo guardò con occhi comprensivi, prima di guardare di nuovo Ron.

«So che tu la vedi diversamente. Lo so perché ti conosco. Ma per lei... Lei ha una vita in gabbia già scritta. Come l'avrebbe vissuta, questa vita, pensando di essere semplicemente un'altra causa che il Salvatore del Mondo Magico deve abbracciarsi per forza di cose?»

«Io non la vedo così. Semplicemente—»

«Semplicemente, Harry, è una parola che non puoi usare in questa situazione.»

Hermione gli mise una mano sul ginocchio, stringendolo lievemente, ma affettuosa.

Harry preferì rimanere in silenzio, rimuginando su quanto detto.
Anche se con questa chiave di lettura nuova offerta da Ron, molte cose non gli erano ancora chiare.

C'erano così tante domande ancora senza risposta, e si sentiva così sopraffatto e confuso da non riuscire a mettere in ordine niente di sensato nella sua testa.

Sbuffò rumorosamente: «In ogni caso, ora non c'è più.»

Ron si lamentò sofferente, come se fosse stato colpito allo stomaco ed Hermione esitò appena, prima di cercare lo sguardo di Harry e dire la sua.

«Non mi è mai successa una cosa del genere, ma essendo donna posso immaginare cosa significhi. È sola, Harry. Con un dolore così atroce che non lo si può quantificare, o classificare in nessuna scala. Un dolore che non capirai mai, perché dove ora c'è solo vuoto, c'era qualcosa di vivo e reale. Io non pretendo di conoscere il tuo dolore, Harry. Ma tu sei arrabbiato per qualcosa che non sapevi. Lei piange qualcosa che non avrà più. Mai.»

«In che senso mai?» titubò appena.

«Non lo sai?» gli chiese Ron, sgranando gli occhi.

«Cosa non so?» insistette, sentendo un freddo scomodo ghiacciargli le vene. Un presagio orribile gli arrivò come brividi sulla pelle.

Ron sospirò forte, come se l'ammissione che stava per fare gli costasse ogni briciolo di ossigeno. Hermione guardò fuori dalla finestra, gli occhi velati da una tristezza infinita.

«Astoria mi ha detto che, quando ha preso la maledizione, è stata troppo cruenta e... qualcosa si è rotto. Qualcosa è andato storto. C'è una buona probabilità che non potrà avere più figli.» concluse il rosso, in una sospirò pesantissimo.

Il cuore di Harry tremò e poi precipitò bruscamente nel suo stomaco, seppellendosi nella bile che sentiva risalirgli dall'esofago.

«Sarà sempre più dura per lei, Harry. Se non potrà dare un erede sai cosa le succederà? Il promesso sposo potrà annullare tutto, rimarrà sola e se nessuno la sposerà, cosa che succederà perché è così che funzionano quei maledetti contratti. Se una donna non può dare un erede non serve. La sua famiglia la diserederà.»

«Devi andare da lei, Harry. Ti ha salvato da una maledizione senza perdono. Questo puoi farlo, per lei.»

Ed Harry poteva davvero.

*

«Siamo fermi su queste informazioni da mesi.»

«Lo sappiamo, Pansy.»

«Non rispondermi con condiscendenza, Blaise.» si imbronciò appena.

Blaise ridacchiò piano, sempre divertito nel profondo a stuzzicare quella povera strega, a cui toccava sempre sorbirsi le prese in giro dei suoi compagni.

Ma Pansy lo lasciava fare, in ogni circostanza.
Sapeva che, a modo loro, quello era come dimostravano l'affetto che provavano verso di lei. Mai offensivi davvero, Pansy si sorbiva ogni risposta o battuta alla sua persona, e rispondeva sempre nello stesso modo, ma alla fine sorrideva.

Erano di ronda come Prefetti dei serpeverde quella sera, e stavano perlustrando l'ala est del castello.
Erano da poco passate le undici di sera e tra un'ora avrebbero finito, potendo finalmente tornare nei loro dormitori.

Pansy agognava per potersi infilare nel suo comodissimo letto: era stata una giornata dura, un compito a sorpresa di Incantesimi l'aveva presa completamente impreparata, concludendosi con un esito così disastroso che l professor Vitius aveva deciso di farglielo rifare. Solo a lei.
E dopo quello che era successo neanche poche ore prima nella classe di divinazione si sentiva così scombussolata e esausta che non era riuscita a scendere neanche un boccone a cena, accontentandosi di un thè alle erbe per calmare i nervi, già pronta a infilarsi il suo pigiama sofficissimo.

Quando poi Blaise l'aveva a aspettata davanti alla porta della Sala Grande, lei lo aveva guardato stralunata, completamente dimentica di avere la ronda con lui quella sera.

Avrebbe preferito sprofondare nel sottosuolo.

Per qui si trascinava tra i corridoi come un condannato si accinge ai Dissenatori.

Senza speranza.

«Ho sentito un rumore, Blaise.»

«Dove?» sussurrò il compagno.

«Da quella parte.» Pansy indicò un corridoio alla loro sinistra, camminando spedita in quella direzione.

Sentiva i passi di Blaise dietro di lei mentre la seguiva con impeto.

«No,  Anthony. Ti dico che dobbiamo andare da questa parte. Ho avvertito una presenza intensa di Gorgosprizzi.»

Pansy franò sui suoi piedi, sbuffando, non appena vide la chioma luminosa di Luna Lovegood, intenta a trascinare un rassegnato Anthony nella loro direzione.
Per poco Blaise non la travolgeva, intento com'era a seguirla e non aspettandosi una frenata così brusca.

«È solo la Loovegood.»

«Ho notato, Pansy.» fece laconico.

Blaise sospirò, passandosi una mano tra i capelli e trattenendo un ghigno alla vista della biondina Corvonero forse più famosa di tutta Hogwarts.

Luna portava i capelli sciolti e un po' alla rinfusa, tenuti fermi sulla sommità del capo da un cerchietto con una grossa rosa che sembrava fatta di carta regalo e brillantini, degli occhiali assurdi sul naso, dalle lenti di due diversi colori che le facevano apparire il viso ancora più piccolo e scarno di quanto in realtà già non fosse, e li guardava come se non li avesse mai visti prima di allora in tutta la sua vita.

Poi, colta da quella che sembrava la realizzazione del secolo, gli sorrise serafica, mentre spostava gli occhi da lui a Pansy che era ancora lì di fianco, ma già pronta a cambiare direzione.

L'espressione di Luna fu repentina a cambiare quando i suoi occhi si spostarono sulla ragazza, esclamando: «Allora sei tu!»

Pansy aggrottò le sopracciglia confusa, mentre Blaise già sapeva dove stava andando quel discorso.

«Devi fare qualcosa. Hai le orecchie piene di Gorgosprizzi. Tu confondono la mente, lo sai?» Luna sembrava molto preoccupata. «Ho un rimedio efficacissimo per te: devi starnutire tre volte mentre salti su un piede solo e giri su te stessa verso destra.» concluse sicura.

La faccia di Pansy era sconvolta, le labbra dischiuse per lo stupore: «Per l'amor di Morgana, Lovegoood—»

Blaise, era risaputo, era un gentiluomo, per cui si affrettò a rispondere prima che Pansy usasse tutto il suo repertorio più fantasioso per risponderle. Cercando di non ridere, e sforzandosi oltre ogni immaginazione per mantenere un tono neutrale disse: «Grazie mille, Luna. Provvederò io stesso ad assicurarmi che Pansy segua la procedura alla lettera.»

E ci riuscì egregiamente, poiché sembrò così solenne e sicuro mentre parlava che Luna si tranquillizzò subito, facendogli un cenno con la testa. Pansy ormai era alla deriva della frustrazione e dello sgomento.

«Grazie che hai capito l'importanza della situazione, Blaise.»

«Non lo dire neanche.» proseguì, ormai avendoci quasi preso gusto.

Luna li osservò ancora per un po' come se stesse cercando qualcosa, ma poi li salutò e volto le spalle, trascinandosi nuovamente un Anthony sempre più rassegnato.

La guardarono andare via, finché ormai a metà corridoio, Luna non si voltò di nuovo verso di loro: «A volte le cose che cerchiamo le abbiamo davanti agli occhi e non riusciremo mai a trovarle, perché semplicemente non siamo ancora pronti.»

Blaise aggrottò le sopracciglia, confuso.

«Quando non trovo una cosa che cerco da tanto tempo, a volte, smetto di cercare. E quella all'improvviso compare poco dopo.» concluse Luna, prima di andare via definitivamente.

Rimasero in silenzio per un poco, ascoltanti solo il rumore di scarpe dei due ragazzi mentre giravano l'angolo in fondo.

«Cosa diamine è appena successo?» domando Pansy, ormai totalmente persa.

Alla non risposta di Blaise, scrollò le spalle, prima di aggiungere: «Andiamo dai, voglio solo finire questa giornata. E non ho tempo ne energie per le stramberie di quella dannata ragazza.»

Blaise ma seguì in silenzio, mentre ripercorrevano il tragitto a ritroso. Ma qualcosa dentro di lui gli faceva rimuginare intensamente a quello che Luna gli aveva detto poco fa.

Sarà un miraggio? Un miracolo con l'avvicinarsi della Pasqua? 
Tante domande senza risposte...
Ebbene, questo è davvero un capitolo nuovo. Vi avverto: non è revisionato, ne corretto! solo che non potevo più aspettare. La correzione avvera' in questi giorni.
Questa è davvero una svolta importante. 
NON E' UN ESERCITAZIONE! RIPERO: NON E' UN'ESERCITAZIONE!
Ora smetto di cazzeggiare e parliamo del capitolo. 
Dopo secoli immemori, finalmente, sono riuscita a partorire questo scempio.
Nella mia testa era diverso, ovviamente. Lo immaginavo più esplicativo, più appassionato, eccetera eccetera. Ma è quel che è. 
Vediamo un punto cruciale per lo svolgersi della trama.
C'è una bella introduzione al passato, una profezia che può significare tutto o assolutamente niente, (essendo che si capisce ben poco) e tanti piccoli momenti Dramione sparsi in giro, che ho adorato. 
Ma quanto sono dolci quei due? Poveri sciocchini che ancora non sanno.
Eh vabbè. 
Mi sono presa alcune licenze poetiche ai fini della trama. Sicuramente avrete notato delle incongruenza tra questa storia, i libri e i film, e vi avverto che probabilmente ce ne saranno ancora, ma non temete: niente di troppo assurdo o irrealistico, giusto cose piccole piccole, promesso.
Abbiamo ancora la McGranitt che fa pensieri di tanto cuore. Io la adoro! Amo il suo personaggio e tutto ciò che concerne alla sua vita. Donne forti! 
Chissà cosa va a fare in giro per il castello ogni tanto! Si vedrà. 
Abbiamo un momento tutto sul nostro Golden trio, che belli che sono! Non sono belli?
Concludo questo spazio autrice (Che sembra più uno spazio di preghiera e di strazio) per avvertirvi che non ho altri capitoli pronti, come già sapevate, che la stesura di questi sarà lunga! L'attesa per la pubblicazione estenuante. Ma vi prometto che ne varrà la pena. Anzi, ve lo garantisco. In più, spero di essermi almeno fatta perdonare con questo capitolo di almeno 10.000 parole.
Questo è tutto gente, come sempre vi invito a lasciare una stella cadente al vostro passaggio, e magari un commentino (anche solo per dirmi quanto sia una persona orribile e nel caso il capitolo vi abbia fatto schifo.)
Ci si vede per i corridoio
del Castello, miei cari.
Fatto il Misfatto. 

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