Il Quadro.

"Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l'occasione per comprendere. "
— Pablo Picasso

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La fine di Settembre si era annunciata con i venti freddi invernali, tirandosi con se Ottobre e Novembre, ed ora alle finestre si affacciavano i primi fiocchi di neve di Dicembre.

Erano proprio quelli che Draco stava tentando di contare mentre era seduto nei pressi del Lago Nero, al riparo sotto dei rami spogli.
Riusciva a vedere le sponde del lago iniziare a ghiacciarsi, creando piccole ramificazioni che scomparivano poi al tocco delle acque scure.
Non vi era vento, ma il freddo che si percepiva forse era addirittura peggiore, il mantello che aveva sulle spalle e la sciarpa verde-argento non bastavano a riparlarlo, ma era intenzionato a non muoversi da lì, convinto che se fosse riuscito a gelare la sua pelle, magari non avrebbe più sentito il freddo pungente che aveva dentro.

Si sentiva arido, congelato e vuoto.

Cosa poteva ancora dare a quel mondo che ormai non lo voleva più?
E cosa ancora quel mondo chiedeva a lui se, in realtà, sapeva che qualunque cosa avrebbe fatto non sarebbe mai stata abbastanza.

Non era successo più nulla da Settembre, e all'incubo che condivideva con quel invasato di San Potter, si erano aggiunti tutti i suoi incubi personali. I ricordi del suo passato non lo lasciavano chiudere occhio.

Aveva anche provato una Pozione Soporifera, per cadere in un sogno senza sogni, ma loro, ogni notte soventi tornavano. Sempre più forti e più esigenti per essere rivisti e riascoltati.
E Draco era stanco. Stanco di non dormire, stanco di non capire cosa stesse succedendo ma soprattutto, Draco era stanco di non avere il controllo.

Era stato convinto, per anni, che l'unica cosa che in realtà volesse dalla vita era la fama, la gloria e la ricchezza.
Senza rendersi conto che la prima, per quello che era diventato, la teneva già, ma che la seconda non poteva andarci d'accordo e con la terza ci era nato.

Si era scoperto curioso un giorno, quando da solo, pensava a come ci era finito a quel punto. Curioso di capire cosa realmente lui volesse dalla vita ma soprattutto da se stesso.
E come un lampo che squarcia il cielo all'improvviso, cosi era arrivata la risposta.
Si era seduta sulla punta della lingua, affacciandosi al foro che si era creato dalle sua labbra dischiuse e poi con forza e prepotenza era balzata fuori.

Il controllo.

Voleva, anzi, pretendeva avere il controllo di se stesso, delle sue azioni e della sua vita.
La concretezza di pensiero fu cosi forte e dura che lo fece vacillare.
L'aveva sempre saputo di essere stato una bambola di pezza in mano a molti burattinai, ma saperlo e accettarlo sono due cose differenti.
Avevano giocato con la sua vita, modellandola a loro piacere fino a che non l'avevano disintegrata come foglie secche strette nelle mani.
E avevano lasciato cadere i pezzetti di lui sul pavimento freddo senza curarsi se qualcuno lo avrebbe ricomposto oppure no.

Nella sua breve, ma intensa e pesante, vita, Draco Malfoy era sempre stato molto melodrammatico e vittima indiscussa. Decantare le sue gesta ogni qual volta avesse avuto anche solo un graffio insignificante era ormai diventato un lavoro a tempo pieno. Cosi tanto abituato che non ci faceva più neanche caso.

Questo solo nei mesi che soggiornava al Castello, chiaramente.
Nei mesi in cui la sua residenza tornava ad essere il Manor a stento respirava, timoroso che il padre potesse riprenderlo con i suoi soliti modi non particolarmente comprensivi.

Quando ricevette il primo schiaffo era un bambino di otto anni che era caduto dall'albero, che vi era nel giardino,  sbucciandosi un ginocchio e che piangendo aveva cercato conforto nella madre, che premurosa voleva accoglierlo.

"Non si piange, Draco. E non si cerca compassione.
Sei un Malfoy. I Malfoy devono cavarsela da soli."

Questo gli aveva detto, quella volta.

Ma con il tempo gli schiaffi si tramutarono in parole pregne di amarezza e disgusto, e si poteva dire, erano ancor peggio degli stessi.
Ma in tutti quegli anni che erano passati l'unica cosa che aveva capito della frase del padre era che i Malfoy, sono soli.

Come era solo lui, ormai.

Non aveva mai chiesto aiuto, prima di quel momento, anche se cercava di dirsi che chiedere aiuto a Potter era stato come tentare di uccidere un drago con una forchetta, ma non faceva altro che sentirsi un inetto.

Era pur vero che ormai non credeva più a molte cose che il padre si era premurato di ripetergli in continuazione, ma una vita passata in quei concetti era dura da estirpare.
Ma estirparla voleva anche significare cancellarla. Cancellarla per ricominciare, e Draco non era sicuro di volerlo davvero.

Non meritava di poter ricominciare, e soprattutto, non meritava di cancellare il passato. Cancellarlo voleva significare dimenticarlo. Dimenticare il male che aveva fatto e il dolore che sentiva, e lui era fermamente convinto di dover subire quel dolore continuo, poiché solo con esso riusciva ancora a sentirsi vivo.

Doveva soffrire per sentirsi giusto.

E lui, che si era sempre creduto giusto, ormai sapeva di non esserlo mai stato.

«Si gela qui, cosa stai facendo?»

Ma Draco non accennava a scomporsi, immerso a contare i fiocchi di neve adagiarsi al suolo.

«Ti ho cercato ovunque nel castello, e tu non ti degni neanche di rispondermi adesso?»
«Daphne, mi hai fatto perdere il conto, devo ricominciare ora.» Mormorò stanco, rimanendo a fissare il lago.

In realtà il conto lo aveva perso già un paio di volte, visto che i suoi pensieri non facevano altro che distrarlo.

«Entriamo dentro, Potter ha delle novità.»

Draco fece volare il capo in uno scatto fulmineo, posando gli occhi sul volto femminile della sua compagna serpeverde.
Lei intanto già si stava alzando, sistemandosi il mantello e la sciarpa, per poi voltassi e incamminarsi senza neanche aspettarlo.
Per mesi interi non era successo nulla ed ora Potter se ne usciva con una novità.
In un lampo era già in piedi, all'inseguimento di Daphne che correva veloce tra i corridoi.

*

Harry Potter era sempre stato un bambino timido. Solitario per costrizione della vita, abituato a convivere con l'unica compagnia della voce dentro la sua testa.
Ma era anche stato un bambino capace di cogliere la bellezza della vita, di apprezzarne i sapori e di perseverarne la sicurezza.

Fino a che non aveva conosciuto Ron e Hermione.
Fino a che non aveva scoperto l'esistenza di un mondo di cui lui faceva parte. Di una scuola che gli aveva insegnato tanto, oltre alle nozioni che ogni mago avrebbe dovuto sapere, quella scuola gli aveva lasciato in dono ricordi.

Ricordi che lui non pensava di poter avere.
Ricordi felici, nonostante tutto, di momenti passati all'insegna dell'avventura e del divertimento.
Ricordi di risate e di lacrime, anche di gioia.
Ricordi dei suoi genitori, che lui non aveva, e che grazie a quella scuola era riuscito a vedere attraverso gli occhi di persone che li avevano conosciuti.

Credeva di aver scontato il suo debito con la società.
Di aver saldato i conti con la vita in sospeso che gli era toccata nel momento in cui Voldemort aveva ucciso i suoi genitori e involontariamente aveva trasferito una parte della sua anima dentro di lui.
Credeva fermamente di essere riuscito a preservare la sicurezza di quella vita che lui tanto amava.

Ma a quanto sembrava no, non ci era riuscito.

Le persone intorno a lui erano ancora in pericolo, la vita che lui sognava ancora non poteva esistere e il mondo che avrebbe voluto godersi non era ancora pronto.

Erano mesi che cercava di mettere insieme i pezzi, quei pochi frammenti che avevano tra le mani, in cerca di una possibile soluzione.

Pensando a come avrebbe potuto fare si chiese cosa faceva quando, in passato, era a un punto di blocco.
Quando non sapeva come andare avanti o dove andare a chi chiedeva consiglio e udienza?

Continuava a camminare nel castello senza meta, rimuginando sugli avvenimenti, quando si fermò al centro di un corridoio.

I suoi ricordi avevano agito per lui, rispondendo alle sue domande, e quando con il sorriso sulle labbra capì cosa avrebbe dovuto fare si avvicinò ai due imponenti e massicci Gargoyles e parlò.

«Scarafaggi al galoppo.»

Un rumore di ingranaggi fece eco tra le mura spoglie e la porta si aprì, facendo comparire delle scale in movimento che Harry si apprestò a prendere.

Giunse nell'ufficio della preside McGranitt e, dopo aver controllato che quest'ultima non vi fosse, si fece vicino al quadro del professor Silente.

«Harry caro, che piacevole sorpresa.»

il tono sempre gioviale ma arrocchito dal tempo del professore lo accolse, e il moro sorrise nostalgico.

«Salve, Signore.» Rispose a tono basso.
«Caro ragazzo, cosa ti porta qui? La Preside al momento non c'è.»
«Si Signore, in realtà lo speravo. Avrei bisogno di parlare con lei,»
«Cosa può fare un quadro per te?»

Quella costatazione, anche se detta in modo allegro e quasi scherzoso, finì soltanto per amareggiarlo ancora di più.
La mancanza della presenza fisica del professore aleggiava dentro di lui come una costante impossibile da spezzare.
Rimase in silenzio con lo sguardo fisso sulla cornice d'oro del quadro, perdendosi in ricordi e fantasticando su come le cose sarebbero potute essere diverse se il professor Silente fosse stato ancora in vita.

Più che ricordi, quelle supposizioni sul possibile futuro, erano sogni. Bellissimi e impossibili sogni di un ragazzo che non aveva agito in tempo.

«Caro ragazzo, mi pare di averti già detto che non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere

Il professore lo riportò alla realtà, ogni volta come se gli avesse letto nella mente, avendo centrato il punto dei pensieri del giovane mago.
Harry lo guardò con ancora più nostalgia e sorrise lieve.

«Signore, ma come posso dimenticarmi di vivere se non riesco a tenere al sicuro le persone che amo?»

Si susseguirono attimi di silenzio. I pulviscoli della polvere volteggiavano in una danza antica illuminati dal fascio di luce che entrava dalle vetrate. Era l'unico movimento percettibile all'interno della stanza. Il tempo sembrava immobile, come se quel luogo fosse protetto da un incanto che ne conservasse la bellezza.

«L'amore di per se è la più grande protezione che un essere umano può ambire a ricevere.»
Silente riprese parola con voce leggera, come aveva sempre fatto, mentre si accomodava alla poltrona di velluto dipinta di un rosso che richiamava i colori della vecchia casa a cui era appartenuto.

«Ma se non dovesse bastare? Se fosse proprio il mio amore per loro a metterli in pericolo?»

Il giovane era inquieto, muoveva dei passi frenetici avanti e indietro, mente con le mani vagava dai capelli agli occhiali, nel tentativo di darsi un contegno, risultando solo più stanco e spossato di quanto voleva dar a vedere.

«Il male non ha una fine, caro Harry. Si annida in posti impensabili e, silenzioso, attende di poter tornare in scena. Ma questo non significa che è indistruttibile. Chiunque creda ad un mondo immerso nella tranquillità è uno sciocco che tenta di convincersi di una verità dolce, ma falsa.»

Harry si fermò e lo guardò di nuovo, in silenzio. Se ne stava seduto su un elegante e maestosa poltrona rossa al centro di quello che sembrava un salotto con il camino acceso.
Vestito con una tunica raffinata di colore azzurrina e gli occhiali a mezzaluna poggiati sull'arco del naso. Le mani giunte al petto che intrappolavano la lunga barba bianca, e un sorriso sbieco a completare la visione.

«Cosa posso fare per capire, Signore?» Supplicò, come quando non si ha altra scelta che chiedere perdono.

«Caro, dipende tutto da cosa tu realmente vuoi sapere.»

Harry soppesò le sue parole, come faceva sempre ogni volta che lo ascoltava. Il professore era noto per il suo modo di esprimersi attraverso frasi velate, coperte da un telo che stava all'interlocutore alzare per capire cosa realmente volesse intendere.

«Io voglio mettere al sicuro le persone che amo.»

E il suo pensiero volò a Ron ed Hermione, alla piccola Ginny che si era mostrata più donna e coraggiosa di quanto lui fosse stato capace di vedere, ma troppo lento per poterla accogliere. E inconsapevolmente anche a Daphne.
Quella costatazione quasi gli mozzò il fiato, e prontamente fece scuotere la testa a destra e a sinistra, nella speranza di scacciarla fuori.

Il professore seduto alla sua poltrona lo vide, e sorrise impercettibile.

«Ragazzo, non basterà agitare la testa per far uscire i pensieri scomodi. Anche perché quelli non risiedono lì, ma nel cuore. Come tutte quelle cose belle che però sono difficili da ammettere.»

Harry gli rivolse uno sguardo confuso e quasi spaventato. Non perché avesse paura del professore, ma perché ebbe paura di quello che aveva detto.

«Signore, stanno succedendo delle cose.»

Silente socchiuse gli occhi, amareggiato, mente lasciava che un piccolo sbuffo di sconforto uscisse dalle sue labbra. Si strofinò gli occhi con la punta dei polpastrelli, dopo essersi spostato momentaneamente gli occhiali e riprese parole: «Lo so, anzi mi sembrava strano che tu non fossi già venuto da me.»

«Ma come, Signore? Io...—»

«Oh, credi che io rimanga tutto il giorno in questo quadro? Ho bisogno di sgranchire anch'io le gambe e un bel giro per il castello alle volte aiuta.» E gli sembrò quasi che il vecchio professore avesse ammiccato in sua direzione.

Si ammutolì per un secondo, arrossendo quasi, nella speranza di essersi immaginato tutto e che il professore non alludesse ad altro.

Volendo cambiare la piega che quel discorso stava prendendo a qualunque costo, e pervaso dal suo coraggio indiscusso che forgiava la sua anima, cominciò il racconto di tutto quello che era successo, dall'inizio e senza omettere nulla.

Dal sogno, dalla scomparsa della ragazza di Tassorosso, delle loro ricerche, della quarta signora Black e di tutto ciò che era successo fino a quel punto.
Anche della loro improbabile e alquanto strana collaborazione con le serpi e del coinvolgimento di Malfoy.

Il professore ascoltava silenzioso, attento a tutti i dettagli e seguendo con gli occhi i movimenti che il ragazzo aveva preso a fare in giro per la stanza mentre parlava.

«Signore, ormai ne sono sicuro. La quarta sorella Black era un Maledictus. Però ora io non so cosa fare.»

Silente ebbe un sussuto quasi impercettibile ad occhi poco attenti, ma quelli di Harry non erano tra questi che prese a guardarlo in attesa di una risposta.

«Ci sono cose che è meglio non conoscere, ragazzo.»

«È la stessa cosa che ci ha detto Andromeda.» Commentò quasi brusco.

Il professore sospirò pesantemente prima di rivolgergli uno sguardo quasi compassionevole.

«Harry Potter, tu sei il bambino che è sopravvissuto, sei il ragazzo che ha visto tanti ostacoli sul suo cammino e sei il giovane uomo che ha ucciso Voldemort. Ma prima di tutto, sei un mago, un mago che ha avuto coraggio nell'affrontare la vita e proteggerla. E non dare troppo credito al tuo essere Grifondoro, perché si è la casata del coraggio, ma il tuo è fuori dal comune.»

Harry ascoltava in silenzio, ancora, lusingato come poche volte nella vita da quelle parole.

«Ma Harry, la vita non sarà mai come tu vuoi che sia.
Essa è imprevedibile e, a tratti, spaventosa. Ma se saprai coglierla nel modo e nel momento giusto essa saprà sconvolgerti e ricompensarti.»

Silente sì fermò, occhieggiando il suo vecchio e amato studio. La fù professoressa McGranitt non aveva spostato neanche un granello di polvere da come lo aveva lasciato il fu Preside. Persino il trespolo della sua amata Fanny era rimasto al suo posto. Gli occhi gli si adombrarono al ricordo della sua amata amica mentre i fotogrammi di lei si susseguirono nella sua mente. Tornò alla realtà con un lieve sorriso e rivolse la sua attenzione al ragazzo che attendeva paziente e in silenzio, e sopirò pesantemente.

«Era la seconda volta che incontravo un essere del genere.
In passato, la prima volta che mi capitò un'esperienza del genere ero professore di Trasfigurazione ma al tempo della seconda volta ero già Preside, e fu in quel periodo che feci la conoscenza della famiglia Black. Di tutta, la famiglia Black. — Fece uno sguardo eloquente a moro e riprese a parlare.— Con il susseguirsi degli anni vidi entrare nella scuola una nuova sorella per volta, ma la prima... La prima aveva un qualcosa di particolare. Lei... Lei poteva mutare.
Avevo già visto quel cambiamento in un'altra persona, ma al tempo ero giovane e ancora non capivo. Ma sapevo che non era un Animagus e sapevo che c'era qualcosa di oscuro.
Un giorno, vagavo in Biblioteca e davanti a me si presentò un libro... —»
«Maledizioni del Sangue?» Chiese Harry, ma essendo quasi certo.

«Come fai a conoscerlo?» Commentò l'uomo barbuto, circospetto.

«Si è presentato ad Hermione, è quello il libro di cui vi parlavo.» Rispose, educato ma concitatamente Harry.

«La signorina Granger lo ha aperto?»

Silente tentava in tutti i modi di mostrarsi rilassato, ma il guizzo sorpreso degli occhi lo tradì subito.
Per questo Harry non fu tanto sicuro nel pronunciare il resto delle sue spiegazioni, mormorandole appena: «Si Signore, insieme a Malfoy.»

«Oh...»

Silente ripiombò in un silenzio carico di pensieri che correvano veloci, lasciandone però Harry al di fuori. Si alzò dalla sua comoda postazione e si appresto a pulirsi le lenti a mezzaluna, mente prendeva a girare intorno alla poltrona, posizionandosi alle spalle di essa.

«Ho sempre pensato che la signorina Granger possedesse un'astuzia impagabile e che il Signor Malfoy potesse fare... altro.» Commentò solo.

«È grazie a Hermione che abbiamo potuto iniziare ad assemblare i pezzi.» Ci tenne a lodare l'amica il grifone, con un sorriso dolce in viso.

«Non mi stupisce. — Sorrise orgoglioso. — Allora già saprai di cosa parla immagino. Bene, con quel libro riuscì a capirci di più e ad indagare. Si Harry, la quarta sorella Black era un Maledictus.»

«Signore, ma come ha fatto ad aprirlo? Il libro chiedeva due persone per... —»

«Harry, non lo aperto da solo.» 

«E allora chi?» Domandò perplesso.

«Era cosi piccola quando successe. Era il 1966 quando iniziò il suo primo anno ad Hogwarts. Non potrò mai dimenticare il suo guardo fiero, e la sua postura elegante. Una vera Serpeverde, devo dirti. Giurammo solennemente di non rivelare mai nulla di  quel libro, ragazzo. Non posso tradire il mio giuramento.»

«Signore, la prego. È importante, lo sa meglio di me.»

Si susseguirono attimi infiniti di silenzio, dove neanche il rumore degli studenti riusciva a penetrare nelle mura dell'ufficio.
Silente lo guardava, lo studiava, come se cercasse le giuste parole, come se dovesse capire e convincersi di quanto fosse importante quell'informazione.
Se fosse necessaria.
Ma il fu Preside di Hogwarts era ben conscio che quell'informazione era vitale, e anche che, se i suoi studenti erano arrivati a quel punto e stavano lavorando tanto per proteggere gli studenti e la scuola, quasi glielo doveva.

«Era Narcissa Black, la Regina del sangue. Lei una purosangue ed io un mezzosangue.»

«Cosa? Ma Signore, è impossibile, il libro ha detto che il Re doveva essere purosangue e la Regina... —»

«No mio caro ragazzo. Il libro richiede dei Custodi o Sovrani del Sangue, ma non specifica mai chi deve essere chi e cosa. Spesso le due situazioni si presentano in persone diverse. Come ben saprai i Sovrani possono porre una domanda e i Custodi leggere il libro. Raramente si riescono a trovare queste due combinazioni in un unica persona. E a quanto pare cosi successe me e alla Signora Malfoy, e cosi è stato per Hermione e Draco.»

Harry lo fissava sconvolto.
Apprendere quelle informazioni lo aveva soltanto confuso ancora di più e si rese presto conto di aver bisogno del cervello di Hermione per poter fare pulizia sulle faccenda.
Poi però una domanda gli venne spontanea.

«Signore, mi scusi signore, ma lei ha detto che era la seconda volta che vedeva una cosa del genere. La prima qual è stata?»

Silente si alzò dalla sua comoda poltrona e lo guardò da sopra gli occhiali a mezzaluna, in un modo cosi intenso che Harry credette che il fu preside fosse capace di usare il Legiliments anche in quella situazione.

Al contrario, il professore non aveva bisogno di quell'incanto per riuscire a leggere, vedere e sentire i pensieri del giovane mago che aveva difronte.

«La prima volta che vidi un Maledictus era nel 1927, mi trovavo a Parigi per delle... faccende. Comunque, fu lì che la incontrai, ragazzo.»

«Chi, Signore?»

«Nagini.» Fu un sussurro. Un sussurro cosi lieve che il moro, pensando di essersi fatto suggestionare troppo dagli eventi, credette di averlo immaginato.

«Signore, credo di non aver... —»

«Hai capito benissimo, Harry. — Lo guardo quasi severamente. — Come credevi che io fossi a conoscenza del nome del serpente di Voldemort senza che tutti noi lo avessimo mai visto?»

«Non lo so, Signore, io non... — Iniziò a balbettare. — Io non me lo sono mai chiesto. Lei sa sempre tutto!»

«Io so ben poco, mio caro ragazzo. So poche cose rispetto a quello che il mondo ha da offrire.»

Harry non aveva più cosa dire, era andato lì convinto di trovare almeno una risposta alle sue domande ed invece si sentiva solo più soffocato da quest'ultime.
Il bisogno che sentiva di voler parlare con Hermione si stava facendo sempre più concreto, doveva raccontare a lei tutto e magari, grazie alle sue illuminati idee, riuscire a fare chiarezza almeno su qualcosa.

«Io... Signore, io credo di dover andare, la ringrazio per il suo tempo.»

«Piacere mio, ragazzo. Ah... un'ultima cosa prima che tu vada.»

Harry tornò indietro, essendosi già diretto alla porta quasi di corsa e prese di nuovo posizione difronte al quadro.

«Certo, Signore.»

«Mio caro Harry, tieni a mente che i più improbabili alleati spesso di rivelano i più incredibili amici.»

*

Erano dentro alla Stanza delle Necessità ormai da quelle che sembravano ore e ogni minuti che passava serviva soltanto a far agitare i ragazzi e arrabbiare Draco Malfoy.
Si era convinto a seguire Daphne nella vana speranza di avere qualche notizia ma se ne stava già pentendo amaramente.

Da quando Potter aveva iniziato a parlare erano venute a galla notizie sempre più assurde e alla fine, in poco più di dici minuti dalla fine del racconto, la situazione si era trasformata in uno scontro verbale aperto tra il Re delle Serpi e i grifondoro.

«Ho già detto che nessuno di voi parlerà con mia madre!»

«Malfoy, qui la questione non fa altro che infittirsi e non so te ma io sono stanco di non dormire la notte, quindi tua madre potrebbe essere una pista da seguire. Ed io non me la farò sfuggire cosi!» Rispose infervorito Harry.

«Potter, non me ne frega nulla delle tue idee o cosa dice quel vecchio strampalato in un quadro. Non... —»

«Non osare parlare cosi di Silente! Hai capito? È morto per colpa tua!» Tuonò il moro.

Il tempo, quel personaggio invisibile agli occhi di tutti, parve fermarsi, come ferito anche lui dalle parole di Harry Potter.

Ferito, come lo era Draco.

Ferito perché quello che aveva detto il moro era la verità.
A differenza di altri che gli rinfacciavano che era stato lui ad ucciderlo, Harry aveva scelto le parole giuste, quasi studiate con cura, per perforare il cuore della serpe.
Perché lui non lo aveva ucciso, ma era comunque morto per colpa del biondo.

«Harry...»

Il sussurro di Hermione giunse al Grifone come la nenia di una dolce mamma, come qualcosa che lui non aveva mai provato e la guardò, vedendo i suoi occhi sgranati e le labbra schiuse, che gli si avvicinava piano per poi posargli una mano sul braccio, in un tacito segno di ammonimento.

Harry tornò in se, cose se fosse stato fino a quel momento in un mondo parallelo. Uguale ma diverso.
E respirò forte.

Al contrario, il respiro di Draco si era fermato.
Avrebbe voluto urlare che lo sapeva. Che sapeva che era colpa sua, e che si portava dietro il peso di quella notte ogni giorno che passava, insieme al peso di tutte le altre cose che erano successe.
Avrebbe voluto urlargli che si, anche lui era stanco di dormire, ma finita questa storia a differenza del moro che sarebbe tornato alla sua gloriosa vita, lui non avrebbe chiuso lo stesso occhi. Perché aveva ben altri incubi con cui combattere, infiniti e mai possibili da estirpare.

«Malfoy, io credo che, per il momento, sia l'unica soluzione.»

«Granger, no!»

«Malfoy!» Quasi urlò, stringendo i pugni lungo i fianchi.

«Pur volendo, non ci può aiutare!»

«Ma perché?» Continuò ad urlare la riccia.

«Perché lei non esiste più. Non parla! Non si muove dal soggiorno. È un vegetale che si tiene su per inerzia! Non risolveremo nulla!» Draco urlò più forte.

Ma se ne pentì subito dopo, quando percepì gli sguardi di tutti su di lui. Solo Blaise era a conoscenza della situazione delicata in cui vigeva la madre, e non aveva avuto bisogno neanche di doverglielo spiegare. Era successo un giorno, prima della lettera per Hogwarts. Blaise, preoccupato per Draco che non si faceva sentire da mesi era giunto al Manor trovandovi una Narcissa come morta e un Draco solo, e disperato.

Ora tutti lo guardavano nei modi più diversi.

Dai suoi amici che erano dispiaciuti a Ron che quasi lo guardava vittorioso.
A Ginny e Harry che lo guardavano come se tutto si aspettassero tranne che quello, fino alla Granger.

Ma lo sguardo di lei era diverso da tutti gli occhi che aveva puntato addosso.
Non era dispiaciuta, non era felice e non era sconvolta.
Era lo sguardo di qualcuno che quasi ti capisce. Di qualcuno che ti sta dicendo qualcosa ma tu non sai cosa significa.

Gli fece un cenno impercettibile, indicandosi la testa, e lui corrucciò le sopracciglia.
Aveva capito cosa gli stesse chiedendo, ma gli sembrava assurdo anche solo pensarlo.
Gli stava dicendo di entrargli nella mente.
Draco non sapeva neanche se avrebbe funzionato di nuovo, se avrebbe potuto parlarle, ma il solo fatto che lei lo stesse invitando lo incuriosì abbastanza da provare.

Cosi sotto lo sguardo e gli occhi ancora muti dei presenti chiuse gli occhi, recitando la formula dell'incanto mentalmente.

«Malfoy, mi senti?»

Fece un cenno con la testa il biondo, in modo che lei potesse vederlo.

«Fa male, lo so! Ma soprattutto fa paura. E va bene, Malfoy. Va bene che fa paura. Ma dobbiamo farlo. Noi dobbiamo provare. Non permetterò che qualcos'altro di oscuro comprometta la nostra vita. Sii coraggioso!»

Hermione mantenne lo sguardo fisso in quello della serpe e intorno a lui quasi sentì il mondo scomparire.
Non c'erano più i grifondoro o i serpeverde, non c'era più il rumore del camino acceso, non c'erano più le mura della Stanza delle Necessità e poi non c'erano più le mura del castello.

Si sentiva sospeso in aria, ad un'altezza tremendamente pericolosa tenuto su soltanto dagli occhi della Granger.

E quelle parole gli suonarono tanto come un appiglio abbastanza saldo a cui potersi aggrappare.
Un appiglio incredibilmente pericoloso ma allo stesso tempo reso sicuro da quegli occhi che non si spostavano dai suoi.
Non aveva intenzione di rispondere, non ne aveva la forza.

Gli aveva chiesto di essere coraggioso, a lui!

Come se non lo conoscesse, come se non spesse che lui fosse l'ultima persona al mondo a cui poter chiedere una cosa del genere.

Ma le parole sono uno strano strumento, e hanno uno strano potere sulle persone.

Quel "nostra" suonò nelle orecchie di Draco come se fosse stata la più bella nota di una melodia sconosciuta.

Era consapevole che lei intendesse quella sua e dei suoi amici, ma aveva bisogno di credere che, in quel immaginario che sembrava cosi bello in cui la Granger credeva, ci fosse compreso anche lui.

Che volesse lottare per permettere anche a lui di poter avere una vita al sicuro.
Ne aveva bisogno per trovare quel tanto coraggio di cui la Grifona era a disposizione e di cui chiedeva a lui.

Non staccò gli occhi dai suoi quando parlò, ma uscì dalla sua testa, in un muto segno di rispetto per la sua privacy.

Ma la voce della riccia si era ormai incastonata nella sua di testa, e lui non era ancora certo di volerla fare uscire.

«Andremo da mia madre.»


Ciao, maghi e streghe.
Spero stiate bene e al sicuro.
Prima di parlare di questo capitolo, volevo chiedere scusa a tutti voi per la mia assenza.
Chi ha letto l'ultimo angolo autrice saprà già le motivazioni, per cui non mi dilungherò oltre.
Spero possiate essere comprensivi.
Spero, inoltre, che abbiate passato un sereno Natale con le vostre famiglie e un felice anno nuovo, all'insegna del miglioramento di se stessi e nella speranza di un futuro migliore per tutti.
Parliamo del capitolo, finalmente!
Devo dire che l'avevo già scritto da parecchio ma non avevo la testa per divisionario e correggerlo. E mi sono sentita profondamente colpita dalle parole di Silente.
Voi? Cosa ne pensate di tutta questa situazione?
C'è poca Dramione... poca ma intensa! Ahah.
Abbiamo ancora altre vedute introspettive da pere di Draco e poi da parte di Harry.
Cosa possiamo fare per sollevare l'animo del nostro biondo? Sembra che per lui non ci sia mai pace! E prima la zia, e poi l'altra zia, ed ora la madre che apre i libri con Silente. Oh mamma mia, che confusione! Ahah.
Amici miei, spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante tutto, e che ne sia valsa l'attesa. Grazie ancora per la vostra pazienza e comprensione. A chiunque sia rimasto in attesa, aspettando una piccola notifica da parte mia. Grazie mille, di tutto cuore.
Lasciate un commento e una stellina cadente al vostro passaggio, se vi va. Sapete quanto mi fa piacere parlare con voi. Risponderò a tutti prima possibile.
Ci vediamo per i corridoi
del Castello, miei cari.
Fatto il misfatto.

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