Il colore dei fulmini.

"Dei fulmini mi piace
il fatto che non hanno un loro posto nell'universo e
lo cercano ovunque."
Fabrizio Campagna.

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Mancavano pochi giorni alle vacanze natalizie, poco meno di una settimana, e la caduta della neve era aumentata di giorno in giorno, coprendo come un mantello i giardini di Hogwarts.

I giovani maghi avevano concordato di recarsi al Manor durante le festività, essendo che ognuno di loro sarebbe tornato a casa propria e non avrebbero dovuto chiedere nessun permesso speciale alla McGranitt, che sicuramente si sarebbe insospettita non poco.

Harry aveva insistito affinché si avvertisse la preside delle loro scoperte, ma Blaise e le altre serpi avevano asserito che era ancora troppo presto, non avendo nulla in mano di concreto, e poi cosi facendo avrebbero potuto solo alzare un polverone o peggio, la Preside avrebbe potuto bloccarle le loro ricerche e rallentare le indagini, convinta di doverli tenere al sicuro.

Il bambino sopravvissuto si era lasciato convincere soltanto al sentire la voce della sua migliore amica e della sua ormai ex ragazza, che si erano trovate, a malincuore, costrette a dover dare ragione alle serpi.

Fu proprio Ginny a prendere in mano la situazione e, con solo uno sguardo, riuscire finalmente a farlo capitolare.

Blaise a quella scena non seppe spiegarsi la sensazione di disagio e fastidio che aveva avvertito all'altezza del petto.

Era ormai di dominio pubblico la relazione che la rossa aveva avuto con il Salvatore del Mondo Magico, iniziata poco prima della guerra ma conclusasi con essa.

Ma non riusciva a spiegarsi il perché a lui importasse cosi tanto.
Sentiva la necessità di dover sapere a che punto erano rimasti, come si erano salutati e, soprattutto, qual era il sentimento che li legava ancora in quel modo.

In quei mesi, si era ritrovato spesso, suo malgrado, a guardarla durante i pasti, le lezioni e a sperare di vedere una chioma rossa per i corridoi.

Avevano parlato, dopo quella volta nella Stanza delle Necessità. Si erano visti in giardino, dopo gli allenamenti di Quidditch, a volte anche durante i cambi d'ora che non avevano in comune.

All'inizio era convinto che erano tutti incontri casuali, ma poi si era dovuto ricredere quando, appoggiato alla parete del corridoio dove sarebbe dovuta passare per andare alla lezione successiva, non l'aveva trovata.

Si era reso conto di sembrare, a tutti gli effetti, un ragazzo in attesa.

In attesa di cosa poi, ancora non lo sapeva.

Una cosa però l'aveva capita.
Aveva capito che con lei riusciva ad essere compreso senza bisogno di parole.

Era sempre stato un tipo taciturno, a tratti quasi brusco e si potrebbe dire schivo alla vita, ma il temperamento di Ginny, che ardeva di un fuoco caldo e dello stesso colore dei suoi capelli, rossi, come la passione che riusciva a leggerle negli occhi per ogni cosa che le interessava, o la sensualità dei genti — che lei inconsciamente, compiva in modo naturale — lo facevano sentire come le falene che, attratte dalla luce, quasi corrono in sua direzione.

E lui sentiva il bisogno di correre verso di lei.

E non gli piaceva. Non gli piaceva la piega che i suoi pensieri stavamo prendendo, perché conscio del fatto che se avesse lasciato entrare qualcuno nella sua vita, avrebbe distrutto anni e anni di lavoro che aveva esercitato su se stesso.

Nei suoi ideali, i sentimenti non erano ammessi.

Non poteva lasciarsi trasportare da loro. Ma sapeva anche che lei non gli avrebbe mai detto di si. E, soprattutto, non le avrebbe mai permesso di danneggiarsi, camminando al suo fianco.

Erano quelli i pensieri che, dopo tanto tempo che si portava dentro, stava esponendo a Draco, nella sua camera da letto.
Il biondo lo ascoltava in silenzio, attento ad ogni parola che il suo amico stava dicendo con meticolosa calma.

Poteva capirlo.

Poteva capirlo perché erano le cose che ripeteva ogni qual volta i suoi amici si immischiavano con lui.

Avrebbe fatto qualunque cosa per proteggerli, e capiva i turbamenti dell'amico perché anche lui sapeva cosa voleva dire aver paura di far avvicinare qualcuno troppo a se.
Però Draco si rese conto di un'altra cosa anche, che lui, a differenza di Blaise, era un codardo in tutto.

L'amico era metodico e calcolatore, ma anche se diceva di non provare sentimenti, sembrava proprio non avere la paura di amare qualcuno.

Non si poteva certo dire che Blaise fosse innamorato della Piattola, quello no.
Ma si poteva dire che Blaise era innamorato dei suoi modi, dei suoi pensieri, delle sue gesta e delle sensazioni che provava con lei vicino.

Blaise era innamorato dell'idea, e forse, dell'essenza di quella persona.

E, si chiese Draco, l'amore non è forse quello?
Ma non poteva darsi risposta.

Perché lui l'amore non lo conosceva. Non sapeva che forma avesse o di che colore fosse, non ne conosceva il sapore o l'odore.

Perché il Re delle Serpi era un codardo. E aveva paura di amare.

Anche se in cuor suo si odiava, doveva ammettere che anche lui bramava qualcuno che lo guardasse in un determinato modo, che gli regalasse determinate attenzioni o certe parole. Si odiava certo, ma una piccola parte di lui gli diceva che forse lo meritava, l'amore.

Draco non potette dire nulla a Blaise per cercare di aiutarlo, perché quello era un argomento a lui ignoto.
Gli rimase vicino tutto il tempo, mentre l'amico si apriva, nella speranza che, quel silenzio, fosse sufficiente.

*

Erano le luci dell'alba quelle che, come una mano dalle dita sottili, accarezzavano il volto di Hermione addormentata in Biblioteca.
I capelli sparpagliati ovunque sul tavolo, la camicia bianca stropicciata sulle braccia che se ne stavano sotto la testa, dove vi aveva appoggiato una guancia.
I lineamenti distesi e rilassati, le labbra schiuse che premevano leggermente all'infuori e le lunghe ciglia se ne stavano chiuse privando a Draco di poter osservare il colore dei suoi occhi.

Cosi l'aveva trovata quella mattina. Si era svegliato presto, troppo — dopo che aveva chiuso occhio solo verso le tre di notte — alle cinque era già sotto la doccia, nella speranza che l'acqua lavasse via anche i suoi incubi.

Aveva deciso di rendersi utile a se stesso, continuando le ricerche fino all'ora di colazione, e cosi si era recato in biblioteca.

Ed ora se ne stava lì, davanti a quel tavolo con il fiato quasi sospeso, e con l'ansia di fare un movimento di troppo e svegliarla.
Non riusciva a staccare gli occhi dalla sua figura, che esile e minuta, se ne stava rannicchiata su se stessa in quella posizione scomoda.

Si chiese da quanto tempo era seduta a quel tavolo.
Se, come lui, la notte ancora non dormisse.

Dopo il giorno del suo compleanno si erano parlati poco, quasi niente.
Lui l'aveva evitata nel migliore dei modi, cercando di dileguarsi ogni qual volta lei entrasse in una stanza dove c'era anche lui.

Ma la sensazione calda che i suoi occhi gli lasciavano ogni volta che si posavano sulla sua figura, era cosi forte che non poteva ignorarla.
Sapeva che lo guardava, sapeva che con lo sguardo lo seguisse e sapeva anche che quella sensazione gli lasciava un senso di protezione addosso come mai gli era capitato nella vita.
Si sentiva come vegliato da un angelo custode per la maggior parte della sua giornata.

Ed era proprio cosi che ora gli appariva sotto gli occhi, illuminata dai primi raggi timidi di un sole avaro che, non vedendo l'ora di toccare quella pelle che sembrava cosi liscia, le lambiva la guancia esposta.
Le sopracciglia le si incurvarono e la bocca le si piegò in un'espressione quasi di dolore, mentre le mani le si chiusero in due pugni stretti.

«No... no, non abbiamo preso niente.»

La sentì sussurrare e piano le si avvicinò, attento a non farsi sentire.
Ma ad ogni passo il respiro della Granger diventava più pesante e lei riprese a parlare.

«No... lasciami. No...»

La voce saliva di tono e le spalle si muovevano, come scosse da fremiti di freddo.

«Draco...»

Il biondo si bloccò nel momento esatto in cui il suo nome uscì dalle labbra screpolate della ragazza ancora con gli occhi chiusi.
Il cuore gli salì in gola con la stessa forza di un bolide in movimento.

Era la prima volta che lo chiamava per nome.
E lei non se ne era accorta.

Questa costatazione lo turbò e lo riscaldo allo stesso modo.
Lo riscaldò perché il suo nome detto cosi, in quel modo, gli arrivò all'orecchio come il richiamo per un animale dal suo padrone. Lo riscaldò perché gli sembrò il nome più bello che avesse mai sentito in vita sua, e lo riscaldò perché lei in quel momento lo stava sognando e lo aveva chiamato senza accorgersene. Ma lo turbò per le stesse identiche motivazioni.

«Draco... ti prego. Aiutami

Un tremito più forte le scosse le spalle, ma niente era paragonabile alla scossa che aveva avvertito lui per tutto il corpo.
Si rese conto che voleva aiutarla. Per la prima volta in vita sua voleva aiutare qualcuno che non fosse se stesso ma non sapeva come e cosa fare. E si rese conto di essere impotente, ancora.

Ma era una sensazione completamente diversa rispetto a quella che aveva sempre avvertito. L'impotenza di non avere scelta era quasi circoscritta ad un perimetro introno a lui. Era claustrofobica certo, ma ti ci rassegnavi presto.

L'impotenza che sentiva in quel momento era di gran lunga diversa, e superiore.
Sapere di avere la possibilità fare qualcosa ma non sapere cosa fare o come lo faceva sentire un incapace. Non era circoscritta solo a lui, ma il perimetro si estendeva fino a raggiungere l'altra persona, che in quel momento era la Granger.
La claustrofobia si sentiva uguale ma più forte, come se lo sterno si stesse stringendo e stesse comprimendo i polmoni.

Rimase fermo, immobile. Perché era l'unica cosa che era capace di fare.

Furono gli occhi della grifondoro a farlo tornare alla realtà e lo scatto furioso che fece per tirarsi su a sedere.

Gli occhi sbarrati e lucidi lo inchiodarono al pavimento e prima ancora di riuscire ad aprire bocca si trovò catapultato in aria, schiantandosi contro uno scaffale, facendo cadere parte dei libri a terra.

«Granger, ma sei impazzita?»

Si rialzò a fatica, mentre la riccia era ancora con la bacchetta alla mano, puntata in sua direzione. Non parlava, sembrava in un altro mondo e ben presto Draco capì che era come se lo fosse.

«Granger, sei sveglia. Sei in biblioteca. Abbassa la bacchetta.»

Cercò di mantenere un tono freddo ma deciso nella speranza che funzionasse ma si ritrovò di nuovo con la schiena contro la libreria.

Emise un mormorio di dolore, prima di tentare di alzarsi ancora, sta volta senza successo. Portò un braccio avanti a lui, come a proteggersi, mentre il braccio della grifona prese a tremare.

«Riccia, non sei nel tuo incubo.»

Questa volta sussurrò, la voce quasi una nenia dolce che raggiunse Hermione e le fece lo stesso effetto di un secchio d'acqua gelata.

La vide abbassare la bacchetta di colpo e portandosi una mano alla bocca, desolata e quasi schifata da se stessa per quello che aveva fatto.

Era già in ginocchio di fianco al biondo quando prese a parlare con voce piccola e roca.

«Io... oh Malfoy, scusa! Io non volevo. Mi dispiace...—»

«È tutto okay.» Mormorò

«No... lascia che ti aiuti. Sono cosi desolata.»

«Granger, lascia stare.»

«No. — Urlò, costringendolo a guardarla negli occhi. — Lasciami rimediare.»

Draco le guardò il viso, vedendolo provato e distorto dalla smorfia che l'incubo le aveva lasciato alla sua fine. Aveva lo sguardo basso, mentre ancora in ginocchio avvicinava le sue mani al braccio di lui, in un vano tentativo ad aiutarlo ad alzarsi.
Il tocco della sua mano attraversò la stoffa della camicia di Draco come se dal suo palmo fosse uscita una lama pronta a perforargli anche la pelle.
Una lama che però non faceva male.

Quasi gli bruciava, quel tocco.

La studiò attentamente, intenzionato a prolungare per quanto possibile la sensazione di quelle mani su di lui.
Negli anni passati solo il pensiero che lei avesse potuto toccarlo gli provocava brividi di schifo e sgomento.

Ma in quel momento si chiese cosa avesse di diverso rispetto agli anni passati.
Cosa aveva di diverso la Granger rispetto a prima?

Oltre ad essere cresciuta e aver cambiato il suo aspetto esteriore, Draco si chiedeva cosa potesse portarlo a non provare più ribrezzo nel averla vicino.
Come aveva supposto mentre la osservava dormire, la sua pelle — ora che poteva vederla ad una distanza ravvicinata — gli sembrava veramente liscia.
Le ciglia erano scure come i suoi capelli, che al contrario di come credeva in passato, gli sembravano morbidi e soffici. Ed ebbe il desiderio di volerli toccare.

Si rese conto che era magra, magra in un modo non sano, e cercò nella sua memoria immagini di lei in Sala Grande, rendendosi conto che con il cibo ci giocava, spostandolo con la forchetta.

Come facessero quei tre a non accorgersi che li stava solo ingannando? Che non mangiava realmente e che i piatti li lasciasse pieni?

Le labbra erano screpolate e gonfie, rosse di sangue che affluiva tutto lì ogni volta che lei smetteva, per pochi secondi, di torturarle con i denti.
Rosse di quel sangue sporco, che lui aveva contributo ad annientare in quella guerra senza senso.

Cosa aveva la Granger in quel momento, che non aveva mai avuto prima?
Cos'era cambiato in lei?

Alzò lo sguardo e si accorse che i suoi occhi non erano più puntati verso il basso ma che lo stavano fissando.

E finalmente capì.

Non era la Granger ad aver cambiato qualcosa in lei. Era sempre la stessa. Uguale a come l'aveva vista negli anni, con il suo sporco sangue impuro.

A cambiare, era stato lui.

Gli occhi di Hemione lo fissavano attenti, lo scrutavano quasi.

E da quella vicinanza Draco si accorse di quanto in realtà erano semplici occhi marroni.
Niente di particolare, eppure in quel momento l'unico pensiero che gli passò per la testa fu che, i suoi occhi, erano dello stesso colore della terra baciata dal sole.
Marroni, che venivano illuminati da una luce d'orata, come il sole.

«Cos'è l'amore?»

La bocca si mosse prima che lui potesse anche solo concretizzare il pensiero nella mente, e giunse alle orecchie di Hermione come una carezza rude.

Lo guardò inclinando la testa di lato, e si prese dei minuti per pensare a quanto quella domanda suonasse stonata.

«Dipende da che amore intendi tu.»

Draco la guardò inarcando le sopracciglia, confuso.
Ormai la domanda era stata fatta, tanto valeva continuare a chiedere.

«Perché quanti tipi di amore esistono?»

«Esistono vari tipi di emozioni, ma la base è sempre quella. C'è l'amore per gli amici, l'amore per le cose, l'amore per la vita, l'amore di una madre e l'amore tra persone. Sta a noi decidere per quale ne valga la pena.»

Draco si rese conto che poteva provare amore. Perché lui amava sua madre. Amava i suoi amici e amava le sue cose personali.
E si rese conto che decidere per quale ne valeva la pena gli risultò facile proprio come era stato facile quel pensiero e proprio nella scala in cui li aveva pensati.
Ma si rese conto anche di non conoscere il resto delle cose che la Granger aveva elencato.
Lui non aveva amore per la sua vita e non sapeva cos'era l'amore per qualcun altro.

«Allora cos'è l'amore tra persone?»

La conversazione si era ridotta a sussurri gentili, lui ancora su quel pavimento e lei piegata sulle ginocchia. Hermione spostò un paio di libri da sotto di lei e si accomodò al suo fianco, quasi come se non fosse conscia delle sue azioni.
Prese tempo per pensare ad una giusta risposta da dargli, per diversi motivi.

Il primo era che, in base alle sue infinite letture, l'amore veniva descritto come qualcosa di dolce, di positivo, come qualcosa capace di far ritrovare due metà combacianti e rendere cosi complete. Ma non si sentiva di dare quella risposta.
Non se la sentiva perché per lei le persone non erano a metà. Lei non si era mai sentita a metà o alla ricerca di una parte che le mancava. Lei sapeva di essere una donna completa, nelle sue imperfezioni. Sapeva di non aver bisogno di qualcun altro per sentirsi giusta, o appagata. Non doveva ricostruirsi con qualcuno.

E il secondo motivo era che per porre una domanda di quel peso, voleva dire che Draco Malfoy non aveva mai amato.

«Non so spiegarti l'amore, però so che ci vuole coraggio, so che ci vuole forza e so che ci vuole pazienza.
So che per ogni persona ha un colore, che per ogni persona ha un odore, un sapore e un gusto, non è mai uguale. E so che, dopo averto trovato, per quanto tu voglia ingannare te stesso, tentando di cercare altri odori e sapori, nessuno sarà mai quello che sai essere adatto a te.
Non so spiegarti l'amore, però so può essere pericoloso. Ti fa fare cose che tu non credevi di poter fare.
So che dentro c'è molto perdono e tanta cura, so anche che non ti completa, al contrario, ti accompagna. — Si fermò un attimo, cercando le parole giuste, senza mai guardarlo. — Ognuno di noi nasce completo, non perde parti di se in giro. Lascia volontariamente o meno pezzi d'anima, ma questo non ci rende la metà combaciante di un'altra persona. L'amore ti porta da qualcuno che sa cosa significa perdersi, ma non ti vuole riempire di se. Ti abbraccia e ti cammina di fianco.
So che è fiducia per poter dire cose di se, anche quelle di cui ci vergogniamo.
Non so spiegarti l'amore, però so che è sentirsi al sicuro nel condividere le proprie paure. — Si convinse a girarsi verso di lui, trovandolo ad ascoltarla attento, mentre i suoi occhi chiari non la perdevano di vista un attimo. — Non so spiegarti l'amore, però so che è quando non riesci più a dormire perché, finalmente, la realtà che vivi è migliore di quella che ti crei nei sogni.»

Il silenzio che ne seguì fu più assordante delle urla.
Rimasero a scrutarsi muti, Hermione chiedendosi se avesse scelto le parole giuste e Draco capendo che lui non avrebbe mai trovato una persona del genere per se stesso, perché non la meritava.

«E se sia i sogni che la realtà non fossero belli?»

«Per questo è perdono. Nessuno ti perdonerà mai se prima non lo fai tu.»

Hermione sorrise lieve nella sua direzione, scrutandolo con occhi da cerbiatta e trovandolo incredibilmente fragile.
Non aveva mai pensato che quella porta poetesse essere usata nello stesso contesto in cui si metteva anche il nome del Serpeverde, ma in quel momento, lì davanti a lei, c'era un ragazzo spesato, completamente in balia di se stesso. Una persona che forse neanche si conosce bene, trascinato dalla corrente alla disperata ricerca di una boa a cui aggrapparsi.

Ecco cosa erano diventati, disperati e alla ricerca di un appiglio sicuro.

«Non merito il perdono, ne il mio ne di nessuno.»

Hermione rimase in silenzio, sentendo dentro di se tutto il dolore che portavano quelle parole.
Ora lui non la guardava più, al contrario, puntava lo sguardo alla finestra al loro fianco, dove ormai il sole era scomparso, spazzato via da un furioso temporale.

«Malfoy.»

Lo chiamò con l'intenzione di farlo girare verso di lei, e nel momento in cui il biondo piantò gli occhi nei suoi, alle sue spalle un lampo colorò il cielo di un blu cosi chiaro da rendere il grigio del temporale solo più accecante.
Ed Hermione quasi non boccheggiò quando si accorse che quel colore, era perfettamente identico a quello dei suoi occhi.

«I tuoi occhi...» balbettò spaesata.

«Cos'hanno i miei occhi?» Il biondo inarcò le sopracciglia, confuso. Un attimo prima parlavano di una cosa, e quello dopo...
Ah! L'aveva sempre detto che quella grifondoro era una matta!

«Sono chiari.»

«E dire che ti credono intelligente...» roteò gli occhi, Draco.

Si, la Granger era decisamente matta! Matta da legare.

«No, intendevo dire...— fece un respiro profondo. — Che sono dello stesso colore dei fulmini del temporale.»

Draco la guardò spaesato per due secondi, prima che il forte rumore di un tuono non lo facesse voltare di scatto vero la finestra, consapevole che a breve sarebbe comparso un lampo.

E cosi fu. Un fulmine si ramificò nel cielo di un blu cosi forte da illuminare di bianco tutto intorno.

Aveva sentito tante cose sui suoi occhi: da chi li definiva azzurri, ai più audaci, che li definivano grigi.
Per lui erano sempre stati vuoti. Nulla di più. Vuoti perché dentro di lui non aveva più niente, era arido.

Tornò a guardare la riccia di fianco a lui, trovandola con la stessa espressione sorpresa che aveva poco fa.
Nessuno gli aveva detto una cosa genere, ma si rese conto che quella era la miglior definizione che avesse mai sentito.
E quasi non si accorse di aver iniziato a parlare.

«Io mi ricordo di aver pensato che i tuoi sono dello stesso colore della terra che viene baciata dal sole.»

Draco la vide arrossire e abbassare gli occhi, e si rese conto che quello era il primo complimento che le riservava dopo anni di insulti.
Non sapeva perché le avesse detto quella cosa ma sentiva soltanto il bisogno di farglielo sapere.
Rimasero in silenzio, seduti su quel pavimento in biblioteca per quelle che potevano essere ore.

Nessuno dei due ebbe più il coraggio di aprire bocca. Draco perché di coraggio non ne aveva mai avuto, ed Hermione perché non sapeva più cosa dire.

In un modo o nel altro Draco Malfoy era l'unico che sapeva sempre zittirla.

Capita, nell'istante che precede la fine di un temporale, che un raggio di sole, prepotente e con forza, perfori la nube scura del cielo per poter accarezzare di nuovo la sua amata terra e colorarla d'oro. Ed è in quel momento che l'ultimo fulmine di quella tempesta grigia si schianta al suolo.

Il blu del fulmine si mischia con l'oro del sole, incrociandosi e sfiorandosi, toccando la terra insieme, proprio come era successo ai due maghi su quel pavimento.

È quell'attimo impossibile da vedere ad occhio nudo, che sancisce la fine della tempesta.
Di ogni tipo, di tempesta.

Ebbene, sono tornata.
Ciao a tutti, maghi e streghe.
Spero che queste mie parole vi trovino in salute e felici.
Non sto pubblicando più tanto frequentemente, lo so. Vi devo tante giustificazioni e tante scuse, come sempre, ma non posso più promettervi una frequenza assidua..
La mia vita è un po' sottosopra, al momento. Scusatemi immensamente.
Parlando del capitolo: TANTA, TANTA DRAMIONE... finalmente.
Lo so che aspettate questo momento da tempo... birichini. Ma con calma. Ci vuole tanta calma.
Sarà una storia d'amore in crescendo, promesso.
Piccoli passi, verso un futuro... grande!
Basta non dirò più nulla, altrimenti poi scoprirete tutto, ahah.
Fatemi sapere come sempre cosa ne pensate, mi raccomando. E
E lasciate una stella cadente al vostro passaggio, sapete quanto mi farebbe piacere.
Ebbene, più finisce il mio parlare ed inizia il mio zittire, ahah.
Ci vediamo per i corridoio
del castello, miei cari.
Fatto il Misfatto.

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