I tarocchi.
"Legati a qualcuno
che trovi il modo per legarti alle stelle."
— Fabrizio Caramagna.
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Erano settantotto.
Erano settantotto i minuti passati da quando Draco si era fermato davanti al portone della Sala Grande.
Erano settantotto, come il numero atomico del Platino, come il colore della luna quella sera.
Erano settantotto come il numero delle carte dei tarocchi, il suo regalo.
Era arrivato li davanti alle dieci precise ed era passata un'ora e mezza in cui non faceva altro che ripetersi se era il caso o no. Se era giusto o meno. Se gli avrebbe dato fastidio la sua presenza oppure il contrario.
Non si era mai sentito cosi in dubbio in qualcosa come in quel momento.
Nella sua vita aveva passato tanti periodo a chiedersi "si o no?" ma alla fine non aveva mai dovuto prendere una decisione coscienziosa. Ci pensavano sempre gli altri e, anche se nella sua miserabile vita avevano preso tutti decisioni sbagliate per lui, si era reso conto che era più facile.
Era cosi semplice dover fare solo quello che ti dicevano, per quanto ti poteva dar fastidio, ripugnare, o essere completamente in disaccordo: era semplice.
Non era semplice invece quando doveva fare i conti con la coscienza che gli ripeteva in continuazione quanto fossero sbagliate quelle azioni. Quanto fosse ingiusto quel modo di agire e quanto facesse pena lui come essere vivente a non ribellarsi.
Ma in quel momento, davanti a quella porta, la decisione era solo sua.
Come era stata sua comprargli quel pensiero. Perché definirlo regalo era troppo eccessivo. Era più un pensiero. Un pensiero che gli aveva sfiorato la mente nel momento in cui aveva visto ad Hogsmeade quel mazzo di tarocchi. E allora aveva agito. Ma non se la sentiva di dire che aveva agito coscienziosamente.
Più che altro aveva agito di impulso, e si sa, quando si agisce di impulso spesso non si riesce a distinguere dove finisce la coscienza e inizia la pazzia.
Perché a quel punto, riusciva solo chiamarla cosi.
Continuava a chiedersi se le sarebbe piaciuto o le avrebbe riso in faccia.
E più di ogni altra cosa, non riusciva a capire per quale dannato motivo gli importasse tanto il suo giudizio o pensiero o parere o quel che sia!
Era solo la Granger, per Salazar!
Le spalle, fasciate da una sottile camicia nera, erano poggiate ad una colonna di marmo in prossimità dell'entrata della sala, semi nascosto dal buio si sentiva leggermente più sicuro, anche perché due ragazzi del sesto anno erano usciti da poco e non l'avevano notato.
«Cosa ci fai qui fuori?»
Si mosse non appena la voce gli arrivò alle orecchie, puntando gli occhi sulla figura esile che era appena uscita dalla porta, e che ora la stava richiudendo alle sue spalle.
Portava i capelli sciolti, che le cadevano in precisi ricci a spirale e le incorniciavano il viso, un vestito fin troppo succinto per una come lei, ma che a malincuore doveva ammettere, le stava fin troppo bene. Lo spacco laterale le lasciava la coscia nuda visibile fino a poco sotto linguine e i tacchi le slanciavano la figura. Ma la cosa che lo colpì più di tutto furono i suoi occhi.
Anche nel buio dove era nascosto riusciva a vedere quanto fossero grandi e quanta luce emanassero.
Non riusciva a capire se quello sguardo lo avesse sempre avuto oppure era nuovo, ma senza ombra di dubbio era uno sguardo che nell'ultimo periodo non aveva mai sfoggiato.
«Hai visto la luna stasera?»
Si staccò dalla colonna in marmo e fece un passo avanti, permettendo alle luci delle candele di illuminargli il volto.
Hermione corrucciò le sopracciglia, in un espressione confusa, e si girò su se stessa in direzione del cancello aperto che dava sullo spiazzale fuori, da dove si intravedeva una luna rotonda perfetta e luminosa a colorare il cielo.
«È bellissima, ma io sono più un tipo da stelle.»
Ancora di spalle a lui, riuscì vederle la schiena nuda, coperta solo parzialmente dai capelli e dalla fascia che chiudeva il vestito.
I suoi occhi l'accarezzarono fino al bacino, dove si chiudeva per poi scendere a gonna.
Risalì con gli occhi dal basso, l'arco leggero della colonna vertebrale, i movimenti accennati delle scapole, le spalle che piano si alzavano ai movimento del suo respiro. La pelle chiara risaltava grazie al colore scuro del vestito, mettendo in rilievo i suoi nei.
«Esiste un genere per queste cose?»
«Certo. Perché puntare alla luna quando puoi avere un numero infinito di stelle?"»
«Perché accontentarsi di tanti piccoli frammenti quando puoi avere il diamante più grande?»
«Perché limitarsi ad un solo diamante, quando puoi averne un'infinita?»
«Ma quello è il più grande e risplende di più.»
«Se tu togliessi la luna dal cielo, rimarrebbe comunque luminoso. Prova a togliere le stelle invece: la luce della luna arriva solo in prossimità della sua posizione, poi il buio.»
«E non ti piace il buio?»
«Non particolarmente... »
«Ci si può nascondere bene.»
«Ma nasconde anche chi potrebbe ferirti.»
Draco si era avvicinato, rimanendo ad un paio di passi dietro di lei, continuando a mantenere gli occhi puntati sulla sua schiena, disegnando linea immaginarie con gli occhi, collegano un neo all'altro.
«la tua schiena...»
«Cosa?» Girò solo il capo, guardandolo dubbiosa.
«La tua schiena... è costellata di nei.»
Hermione si girò completamente verso di lui, trovando il viso illuminato dalla luce delle candele.
I capelli biondi risaltavano, sembrando quasi bianchi. La camicia nera lo fasciava perfettamente come una seconda pelle, e la cravatta nera gli dava un aria molto elegante e raffinata. I pantaloni neri scendevano dritti, accompagnati in vita da un cintura anch'essa nera. La giacca del medesimo colore mantenuta in una mano sembrava perdere il suo peso.
Il capo le si piegò di lato, quando constatò che, oltre ai vestiti neri, era come avvolto da un'aurea scura. Scura come le occhiaie che gli cerchiavano il viso, mettendo in risalto gli occhi grigi.
«Lo so.»
«No... intendo dire che hai proprio una costellazione dietro la schiena.»
«Come scusa?»
«Ti piacciono le stelle e non sai che hai una costellazione sulla schiena?»
«Non è che riesca a vedermi cosi bene alle spalle, in più chi ha potuto vederla non mi ha mai detto nulla.»
Quell'affermazione risuonò fastidiosa alle orecchie di Draco, e la sua mente gli fece vedere immagini di quel pezzente Weasley mentre le baciava le spalle nude.
Si sentiva disgustato da quella visione e non mancò di sbeffeggiarla subito con il suo solito tono derisorio.
"Non credo che Weasley sia capace di riconoscere una stella normale nel cielo, figuriamoci addirittura collegare i nei in costellazioni. Mentre fate sesso, per giunta.» Rise beffardo.
Sentiva il dovere di mettere in evidenza che, a differenza del rosso, lui invece aveva notato i suoi nei e il disegno che formavano.
Doveva far sapere di essere il migliore, sempre. In ogni cosa. E sapere che con quel Weasley era estremamente facile, gli sembrava una partita già vinta senza aver dovuto giocare affatto.
E poi, quell'immagine cosi intima che gli mostrava la sua testa continuava a disgustarlo sempre di più.
Si aspettava delle urla, dei rimproveri, una Granger strepitante e nervosa. Insomma, la solita visione a cui aveva assistito per tutti quegli anni.
Al contrario, lei lo guardò rimanendo con il volto inclinato di lato, e gli sorrise lieve.
Si sentì destabilizzato e non sapeva cosa fare o dire, a quel punto.
Prendersi gioco di lei era stato cosi facile per tutti quegli anni che non sapeva neanche cosa significasse il contrario.
«Andiamo in giardino?»
Non gli diede tempo di rispondere che già gli aveva dato la schiena e si stava incamminando all'esterno.
Era ormai sulla soglie dell'ingresso principale quando lui si decise da incamminarsi al suo seguito, raggiungendola in poche ma lunghe falcate.
Camminarono in silenzio per parecchio tempo, lei osservando il cielo ricamato di stelle, lui osservando i fili d'erba che bucavano il terreno e fuoriuscivano come tanti spilli.
«Che costellazione è?»
«Cosa?»
«Quella che ho sulla schiena, che costellazione è?»
«La costellazione dello scorpione.»
«Oh...»
«Cosa?»
«No, niente.» Rispose lei, ancora osservando il cielo stellato.
«Granger, non ti pregherò per parlare.»
«Oh, lo so bene.» Ridacchiò in risposta.
Draco emise un piccolo sbuffo mantenendo gli occhi incollati al terreno sotto di lui.
«Dai, parla!»
Hermione fece un sorriso piccolo per evitare di farsi vedere.
Era la prima volta che aveva una conversazione con lui, del tutto pacifica e normale. Dire che non c'era abituata era un eufemismo.
Però si scoprì piacevolmente sorpresa di quanto fosse facile chiacchierare del niente con lui. Molto più che con Harry e Ron, con i quali riusciva a parlare solo di Quidditch, e quindi parlavano solo i due, o di cibo.
«Esiste una leggenda legata a quella costellazione.»
«Ti va di raccontarmela?»
«È molto lunga...»
«Ho tempo.»
«Si racconta che Orione era dotato di una forza e una ferocia smisurate e si vantò del fatto che al mondo non esisteva belva che non riuscisse ad uccidere.
La madre terra Gea e Artemide, che era la dea della caccia si indignarono per questo affronto e per il fatto che avesse fatto strage di animali nel bosco e decisero di punirlo mandandogli contro un piccolo ma molto velenoso scorpione.
Orione rise di lui e della sua insignificante mole ma l'animale lo punse a morte.
Zeus si commosse e trasformò i due in costellazioni. È cosi che sono nate queste due, nemiche giurate in terra come in cielo.
Infatti, quando Orione sorge di inverno la seconda tramonta, e viceversa d'estate.»
Si erano fermati sotto un albero dove la ragazza, durante il racconto, si era seduta tra le radici sporgenti. Draco invece era rimasto in piedi, il capo non più chino a guardare il terreno ma rivolto verso l'altro ad osservare le stelle.
Era sorprendente come ascoltarla gli venisse cosi semplice. Non l'aveva mai fatto, effettivamente.
Le loro conversazioni, se cosi poteva definirle il biondo, non si erano mai spinte oltre insulti e frecciatine cattive.
Ed invece, nel giardino della scuola, si era resto conto che non solo ascoltarla era estremamente facile ma era anche piacevole.
«Hai detto Orione?»
«Già.»
Draco rimase in silenzio, ragionando su come la vita, alle volte, può essere strana e sorprenderti in modi inaspettati.
Il nome della strega che aveva torturato la Granger difronte a lui, derivava proprio dalla costellazione di Orione.
Orione che era stato ucciso dallo Scorpione, la costellazione che i suoi nei formavano.
Nemiche in terra, come in cielo.
«So a cosa stai pensando.» Fu riportato alla realtà.
«Come?»
«È una buffa coincidenza, no?»
«Granger...—» Emise un lamento ed una supplica silenziosa, tutto racchiuso nella pronuncia del cognome
«Tua zia Bellatrix, Malfoy! So che stavi pensando a quello.»
«Ritengo sia impossibile che tu mi abbia letto la mente, sono un ottimo Occlumante.»
«Ed io una pessima Legiliments, ma a volte succedono cose che non sappiamo spiegarci, no?»
«Stai ammettendo di avermi letto la mente, Granger?»
«No, veramente sono pessima in quello. Solo non mi è stato difficile immaginare, tutto qui.»
Ne seguì un'alzata di spalle e Draco rimase in silenzio, non sapendo più cosa dire, ad osservare il cielo e a soppesare la situazione.
Era incredibile come, fino a poco tempo fa non riusciva neanche a guardarlo ed ora erano in quel giardino insieme, a parlare come se lo facessero da sempre.
«Perché ora mi parli?»
«Perché non sei entrato prima?»
Domandarono insieme, accavallando le voci. Draco aveva chiesto di getto, senza pensare o ragionarci troppo. Come era successo con il pacchettino che aveva ancora nel taschino della giacca. E sicuro era che non voleva rispondere alla sua domanda, per non dover ammettere che si stava ponendo troppe domande per una semplice festa di compleanno, di lei, per di più. Quindi si girò a guardarla, trovandola a fissare le stelle.
La luce della luna le baciava le guance, mentre le stelle di cui tanto parlava le truccavano gli occhi di nuova luce, rendendola quasi eterea.
Non l'aveva mai vista in quel modo.
Non aveva mai pensato a lei come figura femminile esistente in quella scuola. O addirittura nel Mondo Magico.
Era la seconda volta che si ritrovava a pensare che non l'aveva mai guardata come si dovrebbe guardare un donna.
Come la stava guardando ora.
Ma a differenza della prima volta, dove era andato via, questa volta non voleva privarsi di quella visione.
Si sarebbe domandato dopo il perché, magari nel letto, passando un'altra notte in bianco, ma in quel preciso momento non voleva far altro che lasciare ai suoi occhi il compito di osservarla con una certa attenzione.
Si accorse che anche la pelle dello sterno era costellata di nei, che finivano a cascata coperti dal corsetto del vestito.
Seguì il sentiero del collo snello, giungendo al mento piccolo e grazioso, le labbra sporgenti baciate dalla luce della notte sembrarono quasi invitanti ai suoi occhi e non riuscì a trattenersi dal chiedersi che sapore avessero. Il naso piccolo e leggermente all'insù, le lunghe ciglia a decorare gli occhi dorati in cui all'intero ora c'era nuova luce, dovute alle miriadi di stelle di quella notte, che sembravano affacciarsi tutte in quel letto dorato.
«Ogni notte vengo svegliata dalle mie urla e dai tuoi occhi.»
«Che vuol dire?»
Hermione respiro forte, e a Draco quasi tremò il cuore quando le rispose.
«La parte più dolorosa della tortura, sono stati i tuoi occhi.»
Rimase in silenzio nella speranza che continuasse a parlare, spaventato dal suo cuore che batteva veloce e dallo strano dolore che sentiva al petto.
«Il dolore del Cruciatus ad un certo punto era come se non ci fosse mai stato.
Era sempre li, ma io stavo cosi male che non sentivo più niente.
Non sentivo le urla di Bellatrix e non sentivo più le mille schegge che mi infilzavano da dentro. Non sentivo più neanche il dolore per il marchio o il sangue che colava. Perché vedevo solo i tuoi occhi che mi fissavano, immobili.
Immobili come lo eri tu.»
Hermione non aveva usato un tono arrabbiato o risentito o amareggiato. Non aveva usato un tono disgustato. Aveva parlato con voce ferma, decisa, calma e quasi dolce.
Come se dovesse essere il biondo quello confortato quando era stato proprio lui a ridurla a quello stato.
E questo servì soltanto a fargli aumentare il dolore nel petto che sentiva prima.
Non riusciva a riconoscerlo cosi come non riusciva a calmarlo, a farlo smettere.
Lei più parlava e più il dolore cresceva, come una costante impossibile da dividere.
«Sai che non potevo fare niente.»
«Questo non cambia il fatto che non avresti voluto comunque.»
«Cosa intendi?» Sussurrò il serpeverde.
«Che il fatto che non potevi non deve essere una facciata alla verità: che comunque non avresti voluto fare niente.»
«Per fermarla, intendi?»
«Si.»
Fu una risposta secca, netta, precisa.
Non c'erano ripensamenti, o voce incrinata nel tono della riccia. Nulla nella sua espressione avrebbe fatto intendere il contrario, comunque.
Convinta del fatto che a lui stava bene assistere a quella tortura. Che a lui aveva fatto quasi piacere essere presente.
«Credo sia normale dopotutto: tu mi odi. E stato cosi per sette lunghissimi anni. È l'equilibrio della natura.»
Draco non sapeva più cosa dire e sopratutto non sapeva perché sentisse il bisogno quasi vitale di dover smentire tutto.
Lui la odiava?
Non lo sapeva.
L'aveva mai odiata?
Non lo sapeva.
Tutte le convinzioni che avevano sempre albergato in lui erano morte con la Guerra.
Erano morte trascinate via una per volta da ogni vittima che facevano i Mangiamorte davanti a lui.
«Io torno dentro, ho freddo ora.»
Assorto com'era, non si era accorto che la riccia si era alzata e, senza aspettare risposta, si era già incamminata verso l'entrata al castello.
E, ancora una volta quella sera, agì prima di riuscire a pensare.
In poche falcate era già al suo fianco e le stava mettendo la sua giacca sulle spalle.
«Resta.»
«Come?» Chiese Hermione, girandosi a guardarlo. Il volto una maschera tra il confuso e lo scettico.
La sua giacca le stava grande e le arrivava poco più giù della vita stretta.
La reggeva con le mani ai bordi dove iniziava la cucitura del colletto.
«Ho una cosa per te.»
Draco gli diede le spalle e si riposizionò sotto l'albero, questa volta sedendosi, incurante dei che pantaloni si sarebbero macchiati.
Hermione camminò lenta, ma sicura.
Era la situazione più strana della sua vita, e non riusciva a capire il comportamento di Malfoy.
Quando gli aveva chiesto di restare si erano guardati negli occhi per il tempo minimo di due secondi, ma erano stati sufficienti a vederci un leggero cambiamento. Come quando la foschia della nebbia che copre i paesaggi si apre, lasciandoti vedere piccoli pezzi di cielo. Non sufficiente a poter vedere il quadro completo, ma abbastanza per incuriosirti a sufficienza da voler scoprire di più.
E visto che Hermione era una Grifondoro, come tale, non poteva lasciare la sua curiosità senza saziarla. Quindi si accomodò nuovamente al suo posto sotto l'albero, distante mezzo metro dal biondo.
«Nel taschino.»
Hermione infilando la mano nel taschino interno della giacca, fece cadere parte del tessuto che la copriva, scoprendo cosi la spalla.
Sfilò la mano dalla tasca, per potersi ricoprire ma quella di Draco era stata più veloce.
Il ragazzo, passandole un braccio da dietro la schiena aveva preso il lembo che pendeva della sua giacca e glielo aveva riadagiato sulle spalle, diminuendo cosi la distanza tra loro.
«Grazie...» Sussurrò con voce piccola la riccia.
Erano abbastanza vicini da poter vedere bene gli occhi l'uno dell'altra, ma non a sfiorasi.
Draco spostò in un gesto rapido il braccio che ancora aveva sulla sua spalla, — come se si fosse bruciato, — e si allontanò, facendole un cenno con la testa per incitarla a vedere cosa ci fosse nel taschino interno.
Hermione, questa volta, rimase attenta a non far cadere la giacca, mentre ancora sentiva un leggero calore imporporarle le guance.
Estrasse un cofanetto rettangolare, finemente incartato e lo guardò curiosa mentre se lo rigirava tra le mani.
«Vuoi stare tutta la sera a guadare la carta oppure hai intenzione di aprirlo?» Commentò brusco.
In realtà si sentiva mangiato dall'ansia. Divorato.
E non riusciva a spiegarsi il motivo. Lo stomaco gli si stava contorcendo come chiuso in un nodo di una corda che stringeva sempre di più e aveva smesso di dare la colpa alla fame ormai gia da un pezzo.
Hermione scartò il regalo con cura, sentendosi lievemente a disagio dallo sguardo del biondo su di lei.
Ormai era chiaro come il sole che quello fosse un regalo per lei.
Ma il semplice fatto che glielo avesse fatto le diede da pensare, e inspiegabilmente, da sorridere.
Ne tirò fuori un mazzo di tarocchi.
Li guardò dubbiosa e poi guardò lui allo stesso modo.
«Prima che tu possa aprire bocca, si! Sono tarocchi, e si so che non frequenti divinazione. La scena della Cooman che ti dice che la tua anima è arida e il tuo cuore raggrinzito come...—»
«Ehi ehi ehi, Malfoy frena! Me lo ricordo, grazie tante.» Sbottò infastidita.
«Se mi lasciassi finire... Dicevo, ricordo!»
«E allora visto che ricordi saprai che io non so neanche leggerli.»
«Lo so, ma io si.»
«Ti dispiacerebbe essere un tantino più chiaro?»
«I tarocchi possono parlarti del tuo presente e del tuo passato...—»
«Ricordo bene anche il mio passato, e vorrei dimenticarlo.»
«Ma... — Alzò la voce, facendo intendere di essere infastidito perché stato interrotto nuovamente. — Predicono anche il futuro.»
Hermione rimase in silenzio, continuando a non capire cosa stava cercando di dire il biondo davanti a lei.
Draco, vedendo il suo sguardo perso, si fece forza a spiegare.
«Ho pensato che tutti questi tuoi momenti ...—»
«Si chiamano attacchi di panico.»
«Granger, hai finito di interrompere, stasera?»Domando stizzito.
«Si.» Si convinse a mantenere il silenzio la riccia.
«Bene, visto che hai questi tuoi attacchi di panico, — Marcò le parole e fece le virgolette con le dita. — Ho pensato che ricordarti chi sei stata ti farà rendere conto che il tuo futuro sarà altrettanto glorioso.»
«Punto uno: il mio passato non è stato glorioso. Punto due: cosa c'entra con gli attacchi di panico?»
«Tu crolli perché ricordi di te solo la parte sofferta. Il dolore e le cose orribili che hai visto. Hai bisogno di ricordare che non sei solo quello.»
Hermione lo guardò sbigottita e ammutolita. Non sapeva più cosa dirgli e tanto meno si aspettava una cosa del genere proprio dal serpeverde.
Da quando era crollata davanti a lui non ne avevano più parlato, anche perché non le sembrava ci fosse motivo.
Ed ora le si presentava con un mazzo di tarocchi dicendole quelle cose.
Hermione non capiva. Non capiva cosa stava succedendo. Cosa stava dicendo Malfoy e non capiva perché lo avesse fatto. Ma non glielo chiese.
Non glielo chiese perché già sapeva che non avrebbe mai risposto, come per le domande che aveva inerenti al suo patronus, cosi fece con quelle, le sistemò da un lato, in attesa di un momento migliore.
«Io... io non so cosa dire.»
«Beh, direi che essere riuscito a zittirti è più che sufficiente.» Ridacchiò lui.
Draco sentiva ancora l'ansia che non le fosse piaciuto, essendo che non aveva ancora detto una parola a riguardo e non aveva intenzione di abbassarsi a chiederglielo.
Era tornato a guardare le stelle, poiché quella confessione gli era costata troppo, decisamente, e continuare a sentire il suo sguardo trapassargli l'anima, — sempre se ne avesse avuta una, — lo faceva sentire ancora troppo esposto.
«Però ti ripeto, io non so leggerli.»
«È un modo implicito per chiedermi di insegnarti?»
«Cosa? No! Ma cosa vai dicendo?» Si agitò lei.
«Calmati riccia, sto scherzando!» Ridacchiò a bassa voce.
«Come mi hai chiamata?» Chiese meravigliata.
«Cosa? Ah, riccia... perché non sei riccia?»
Il biondo avrebbe preferito sotterrarsi in quel momento. Quel nomignolo gli era uscito cosi spontaneo che non se ne era neanche accorto.
Continuava a guardare il cielo, nella speranza che il terreno sotto di lui si aprisse e lo trascinasse nelle profondità della terra.
«Io... io, direi di si!»
«Bene, allora non c'è da discutere mi sembra.»
«Si... credo di si.»
Hermione, d'altro canto, non sapeva cosa dire.
Rimasero in silenzio per un po di tempo, lei immersa nei suoi pensieri, lui ad osservare il cielo.
«Leggimeli tu.»
Il serpeverde portò lo sguardo su di lei, guardandola con un'espressione confusa.
«Io?»
«Si, leggimeli tu. Me li hai regalati tu, quindi...—»
«Io non lo definirei proprio un regalo.» Borbottò il biondo.
«Ah no?»
«No, prendilo come un pensiero... credo.»
«Sai che un pensiero è... —»
«Si Granger, so cos'è. Senti li ho visti e ho pensato quello che ti ho detto prima. Fine della discussione. Non è un regalo.»
«Va bene... allora, questo tuo non-regalo è bellissimo, grazie.»
Gli sorrise lieve e dolce, sinceramente contenta.
Il fatto che avesse appena confessato, anche se implicitamente, di aver pensato a lei solo alla vista le fece rivalutare tante cose.
Come i pensieri che aveva espresso poco prima.
Forse era davvero cambiato.
Forse si, prima la odiava, ma ora chissà... di certo non fai regali o pensieri a chi odi.
Aveva la testa cosi piena di forse che non sapeva più cosa pensare.
Non si era mai sentita cosi confusa in vita sua.
Lei che viveva di schemi e organizzazione. Che ragionava e sapeva farlo egregiamente. Che aveva soluzioni ad ogni tipo di domanda.
Lei che, in quel momento, non aveva più risposte per niente.
Draco sentì chiaramente il nodo che gli stringeva il petto sciogliersi lentamente, e si ritrovò a sorriderle di rimando appena si girò a guardarla.
Non un ghigno, o una smorfia sprezzante.
Un lieve accenno di labbra distese, cosi come quello della mora accanto a lui.
"Te le leggerò, ma non stasera... riccia."
Ciao maghi e streghe, eccomi qui.
Credo che ormai avrete capito che i tempi di attesa per i capitoli si sono allungati un po' .
Non avendo piu capitoli pronti, tra lavoro e altro, appena posso scrivo, e vado di correzione, rivisitazione e via dicendo.
Oggi, purtroppo non ho molto da dirvi, e mi scuso.
Ma stamattina mi ha chiamato mia madre per dirmi che mio zio è venuto a mancare questa notte, e con questo virus non posso neanche spostarmi.
Quindi credo che mi prenderò un po' di tempo per me. Ho bisogno di assimilare tutto e fare i conti con questa strana vita, che quest'anno sembra scivolarmi via dalle mani.
Spero possiate perdonarmi, e che il capitolo vi sia piaciuto.
Lasciatemi comunque i vostri meravigliosi commenti, mi fanno un piacere immenso.
E ringrazio tutti coloro che lasciano le loro stelline cadenti per me, e i loro messaggi.
Siete tutti meravigliosi, e vi ringrazio.
Ci vediamo per i corridoi
del Castello, miei cari.
Fatto il Misfatto.
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