Alla Tana. Seconda Parte.
"È uno strano dolore...
Morire di nostalgia per
qualcosa che non vivrai mai."
— Alessandro Baricco.
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Erano accorsi tutti fuori soltanto dopo che Draco, Narcissa ed Hermione avevano preso a correre in direzione dei giardini esterni.
Ed ora erano schierati davanti alla casa, con le bacchette sguainate a osservare come il cielo si dipingeva di rosso, arancione o vedere ad ogni maledizione lanciata a caso.
«George, prendi Andromeda e Ted e portali al sicuro. — Urlò Harry, per cercare di coprire i rumori degli incantesimi che proveniva dall'erba alta. — Molly, Arthur e Ginny iniziate gli incantesimi di protezione intorno alla casa. Non la distruggeranno, non questa volta. Non di nuovo!»
Harry era davanti a tutti loro, lanciava occhiate di sfuggita alle sue spalle per individuare le persone che aveva chiamato e per vedere se avessero capito.
Subito tutti iniziarono a fare quanto chiesto.
George accorse alla porta principale e prese per mano Andromeda, che portava in braccio il piccolo Ted, trascinandola lontano da quello che sarebbe stato da lì a poco uno scontro.
I coniugi Weasley con la più piccola rossa iniziarono con gli incantesimi di protezione per evitare una replica della casa in fiamme dell'ultima volta.
Tutti gli altri si strinsero al giovane grifondoro dagli occhi verdi, impugnando le bacchette con forza.
«Harry, cosa sta succedendo?»
La voce di Daphne parve arrivare da un luogo lontano chilometri, mentre la testa del mago vorticava alla ricerca di spiegazioni.
I fragori intanto aumentavano ed Hermione non riusciva a capire da quale punto preciso venisse quella risata macabra e tanto odiata.
«La Sanguemarcio ha paura, la Sanguemarcio ha paura.»
Bellatrix Lestrange intonava le parole come una canzoncina allegra e raccapricciante. Lenta e inesorabile come la sua atrocità.
Hermione iniziò a tremare. I brividi si estesero rapidamente facendole sussultare le spalle e traballare le gambe, quasi non si accorse di essersi portate le mani alle orecchie, schiacciandovisi i palmi appiattiti contro.
«Fatela smettere! Fatela smettere!»
Sembrava preda delle convulsioni, tanto erano forti i suoi spasmi di terrore, mentre la tetra nenia della Mangiamorte continuava inclemente.
«Hermione ma non c'è.»
Ron le accorse di fianco, prendendole le spalle, tirandosela al petto per stringerla con forza, nella speranza di darle coraggio.
Ma Hermione non si calmava, persa ormai in un limbo che non conosceva bene e al contempo ne aveva una fervida memoria.
Narcissa Malfoy fu la prima a fare un passo avanti e lanciare uno schiantassimo al nulla.
«Esci fuori, strega.»
In poco tempo una decina di Mangiamorte si smaterializzarono davanti a loro, sparsi un po' alla rinfusa sul terreno.
La nube nera che li avvolgeva si distolse velocemente, mentre si mettevano chi in posizione di attacco, chi di difesa.
«La Sanguemarcio ha paura.»
Non era stata Bellatrix a parlare, ma una voce più profonda e maschile.
Il sorriso maligno e gli occhi neri di Amycus Carrow si posarono sul volto di Ron Weasley, mente sua sorella Alecto Carrow si affiancava a lui.
«Eri tu! — Asserì Ron, lasciando Hermione e affiancandosi al suo migliore amico. — Harry era lui, il Mangiamorte che ho visto.»
«Che intuito.» E rise forte Alecto.
Il fratello della Mangiamorte rise con lei, facendosi beffe del ragazzo, poi il suo sguardo volò alla ricerca di un volto ben preciso.
«Narcissa.»
«Signora Malfoy, per te.»
La donna si fece avanti, fiera e imperturbabile, il passo calcolato e la voce modulata per non far trapelare tutto il tumulto che albergava nel suo cuore.
«Ah Signora! Hai perso quel titolo molto tempo fa.» La schernì, Amycus.
«Come osi parlare così di mia madr—»
Uno schiantassimo colpì Draco in pieno petto, facendolo volare indietro, finendo col sbattere con le spalle sul petto di Hermione, che cadde insieme a lui.
L'urto e poi lo schianto al suolo le fu sufficiente per riprendersi, uscendo fuori da quello stato di trance in cui stava annegando.
«Non toccare mio figlio!»
Narcissa fece dei passi avanti, ancora, coprendo la figura di Draco con la sua, puntando la bacchetta dritta al petto del Mangiamorte.
Non si voltò a controllare come stesse. Non poteva rischiare di abbassare la guardia.
Conosceva quei Mangiamorte, ognuno di loro.
Lì guardò rapidamente in volto, oscurità della notte permettendo, e constatò con sdegno che tutti loro erano stati in casa sua, nel periodo della guerra. Ognuno di loro aveva preso parte a portare la miseria, la paura e l'oscurità in casa sua quando il Signore Oscuro soggiornava a Malfoy Manor.
Lì odiava tutti, uno ad uno.
Hermione intanto aveva sollevato il busto, facendo rotolare il corpo del serpeverde più un basso, la testa bionda stava sulle sue gambe mente, ad occhi chiusi, il ragazzo cercava di stabilizzare il respiro scosso.
La grifondoro aveva entrambe le mani in alto, come se avesse una pistola puntata in faccia, non osando toccarlo.
Gli parlò a bassa voce, chiamandolo e sperando si alzasse.
«Malfoy! Malfoy, riesci a sentirmi?»
Draco mormorò qualcosa, la voce incastrata nella bocca, mentre piano apriva gli occhi.
I ricci castani furono la prima cosa che percepì, gli solleticavano le guance in una carezza dolcissima e ruvida. Il respiro della strega sopra di lui gli si infrangeva sulla fronte mentre piano piano riprendeva i sensi.
Si sollevò di scatto, provocandosi un giramento di testa non indifferente.
«Fai piano.»
Il sussurro premuroso gli scivolò nelle orecchie, appiccicandosi come miele. Si ritrasse ancora di più, alzandosi in piedi.
Sembrava passata un'eternità, quando in realtà erano passati pochi secondi.
«Non preoccuparti, Narcissa—»
«Signora Malfoy!»
«Narcissa. — Calcò la voce Alecto. — Non siamo qui per lui, non ancora.»
«Se tu qual giorno non avessi detto "no". — Iniziò Amycus, la voce ora un rantolo di rabbia. — Se quel giorno tu non avessi mentito. Adesso lui sarebbe qui!»
Nessuno sapeva di cosa stava parlando il Mangiamorte, se non lei ed Harry Potter, che strinse la bacchetta ancora con più forza, nel suo pugno.
«Sei una traditrice, Narcissa Malfoy. E sai cosa facciamo noi, ai traditori?» Domandò retorica, Alecto.
«Lì uccidiamo.» Concluse Amycus, il volto una maschera d'ira.
«Expelliarmus.»
«Stupeficium.»
L'incantesimo di Harry scivolò sopra la spalla di Amycus, mentre Alecto schivò prontamente quello di Daphne.
«Parli troppo, Mangiamorte.»
Anche il resto della famiglia Weasley che era impegnato negli incantesimi di protezione per la sicurezza della casa era giunta al soccorso degli amici.
I Mangiamorte, con quel piccolo siparietto, avevano regalato loro momenti preziosi per ultimare gli incantesimi ed ora erano pronti a combattere.
Da lì, la battaglia ebbe inizio.
I Mangiamorte si riversarono su di loro, lanciando incantesimi e maledizioni, al contrario degli altri che rispondevano difendendosi.
Amycus scattò verso Narcissa, ma Hermione fu più rapida e le si parò davanti, lanciando uno schiantassimo che lo fece volare di diversi metri indietro.
Le due donne si scambiarono uno sguardo veloce, prima che la più giovane corresse da Ginny che era notevolmente in difficoltà.
La rossa intanto stava combattendo con Dolohov e Yaxley, in uno scontro a fuoco tra schiantesimi contro maledizioni senza perdono.
Hermione corse più veloce appena vide Yaxley lanciare la maledizione mortale alle spalle di Ginny, urlando a squarciagola una fattura che lo colpi in pieno petto.
La rossa si voltò appena dietro di lei, mente lanciava uno schiantesimo a Dolohov, facendolo sbattere con la schiena ad un masso lì vicino, lascando che si accasciasse a terra, perdendo i sensi.
Non erano molti, i Mangiamorte lì, ma neanche loro erano a sufficienza, e in più erano arrabbiati e senza scrupoli, una combinazione troppo rischiosa.
Harry intanto stava duellando contro Rookwood, ma quest'ultimo sembrava avere la meglio.
Il Mangiamorte scagliò un Dismundo, nel tentativo di distrarre il suo avversario per poi scagliargli una maledizione senza perdono, già pronta sulla punta della bacchetta, ma il Protego di Molly Weasley fu più forte e più rapido.
«Non mi porterai via un altro figlio.»
Poi, quasi in simultanea, scagliò una maledizione che colpì esattamente al cuore di Rookwood, uccidendolo. Un'esatta replica di un momento già vissuto, solo su un soggetto diverso.
Molly si girò verso Harry, carezzandolo dolcemente su una guancia, come solo una madre può fare. E il giovane dagli occhi verdi sentì il suo cuore spaccarsi e ricostruirsi contemporaneamente. In un dolore e in un amore che non credeva di poter sentire.
Capì che era così che ci si sentiva, ad avere una madre e a temere per la sua vita.
«Molly, manda un Patronus a Shackebolt. Fallo venire qui con gli Auror.» Poi corse via, non prima di farle uno sguardo pieno di gratitudine e di ricevere un sorriso pregno di affetto.
Draco e Narcissa combattevano spalle contro spalle contro Rowle, — che non era un abilissimo duellante, — e contro Travers, — che al contrario se la cavava molto meglio.
Ma l'avversaria più spietata era Alecto.
Scagliava maledizioni senza perdono come se non avesse bisogno neanche di guardare dove i suoi obbiettivi mettevano i piedi. Draco e Narcissa se la stavano cavando egregiamente nonostante le evidenti difficoltà, ma fu solo quando Ron si accostò a loro, entrando a far parte di quel duo, che riuscirono a schiantare due di loro e ad uccidere Rowle.
Amycus intanto si era avvicinato di soppiatto ad Herry, arrivandogli alle spalle. Si rivelò a lui lanciando un incantesimo che il bambino sopravvissuto evito per un pelo.
«Tu, insulso mago mezzosangue. Abbiamo un conto in sospeso, noi due.»
E poi, avvenne tutto troppo velocemente.
Harry si voltò troppo tardi, le labbra di Amycus si erano mosse troppo in fretta nel pronunciare: «Crucio.» senza nessuna pietà.
Ma Daphne più la più svelta di tutti, perché si era lanciata davanti al corpo di Harry un secondo prima che la maledizione lo colpisse, prendendosela lei, senza remore.
Rumore di smaterializzazioni e materializzazioni inquinarono l'ambiente, insieme al fragore degli incanti e alla voce del ministro Shacklebolt che urlava ai suoi Auror di arrestarli tutti.
Daphne si accasciò a terra, esanime, mente Alecto si era avvicinata al fratello, scomparendo entrambi in una nebbia nera.
Harry la seguì poco dopo, inginocchiandosi al suo fianco. Le sollevò il capo con mani tremanti, le tolse i capelli biondi dal viso, per cercare di farle prendere aria.
Con la bacchetta tra le mani provò innumerevoli volte l'incantesimo Reinnerva ma nulla sembrava cambiare.
Neanche si accorse di Astoria al suo fianco, inginocchiata vicino alla sorella.
Le controllò il polso, quando una paura folle lo investì, non trovandovi il battito.
«Non respira! — Iniziò ad urlare Harry. — Non respira!»
Urlava, tremando di terrore. Mentre la bacchetta lanciava più Reinnerva di quanti si potessero contare.
Si sentì sollevato dalle spalle, mentre il corpo ancora immobile di Daphne veniva fatto lievitare dolcemente.
Molly fù accanto alla giovane ragazza in un lampo, insieme al nuovo Ministro Shacklebolt, e nella stessa velocità scomparvero.
*
Le mattonelle del San Mungo che costellavano il pavimento salivano fino a riempire i muri, rilucendo di una luce quasi accecante. Angelica, si potrebbe dire.
Hermione le aveva sempre odiate. Così candide che a guardarle ribruciavano gli occhi. Dovevano fungere da catalizzatore, in teoria, per cercare conforto visivo da qualunque tipo di dolore.
Per Hermione accecavano e basta.
Una cosa che aveva sempre adorato invece era camminare tra una mattonella e l'altra, in quella striscia di cemento grigio che si intravedeva tre le giunture. Ci camminava come su una corda, seguendo una linea precisa, un piede avanti ad un altro.
Il gioco che faceva con se stessa era quello di non perdere l'equilibrio, e se si sbilanciava doveva ricominciare. Una piccola mania che aveva tenuto con se da quando era bambina.
Ed era quello che stava facendo adesso, in attesa di notizie sulla salute di Daphne. Le braccia strette ad stringersi sotto il seno e gli occhi fissi su quella striscia.
Erano tutti lì, dopo essersi fatti controllare e curare eventuali ferite, ad attendere un qualunque medimago che gli dicesse qualcosa.
Shackebolt stava parlando con Molly e Arthur, in piedi di fronte a lui visibilmente scossi, mentre due Auror stavano alle sue spalle, rigidi come si ci aspetta da dei militari.
Stava spiegando che erano riusciti a catturarne alcuni ma, purtroppo, in quell'assurda scala gerarchica erano di minor importanza. Ed esclusi i due deceduti, — Rookwood e Rowle, — gli altri erano fuggiti.
Ma Hermione non stava davvero ascoltando. La mente le era viaggiata lontana, ragionando su di lei.
Quella non era Hermione Granger, la coraggiosa grifondoro che aveva combattuto per un mondo migliore.
Quella era solo un surrogato malsano e insulso, un'ombra sbiadita e traballante di se stessa.
Come aveva potuto permettersi di diventare questo?
«E Bellatrix Lestrange?»
La voce di Malfoy le giunse come una pugnalata alle spalle, facendola sussultare e perdere l'equilibrio.
Il piede sinistro che aveva ancora poggiato sulla striscia grigia si scosse, il busto si protese leggermente in avanti quasi a cadere. Portò rapidamente il piede destro al suolo e si tirò dritta ma senza a voltarsi. Sentiva le orecchie fremere in attesa di una risposta.
«L'abbiamo cercata ovunque, davvero. Ma non c'era da nessuna parte.»
«Malfoy, ma possiamo capire di cosa state parlando? Bellatrix non c'era. Sicuro!» Intervenne Ginny, cercando un cenno anche da Ron e gli altri, che confermarono le sue parole.
«Vi dico che io l'ho sentita. E anche mia madre, e la Granger.» Asserì aspro, il biondo.
Hermione iniziò a far macchinare il cervello.
Era assolutamente impossibile che solo loro tre avessero sentito quella voce. Era impossibile non sentirla, e non riconoscerla soprattutto.
L'immagine di lei che sfiorava con il dito l'inchiostro sulla missiva mentre la esaminava alla Tana le fece spalancare gli occhi.
«Coclearia, levitisco, starnutaria.»
«Cosa, Hermione?»
La voce di Piton nella sua testa che spiegava come creare un Distillato di Confusione si fece più prepotente, per cui parlò di nuovo, a voce più alta, ripetendo gli ingredienti con più convinzione davanti al volto di Ron che aspettava una risposta.
«Hermione ma—»
«Il Distillato di Confusione.»
Gli occhi di Hermione atterrarono dentro quelli di Draco come un nuotatore che si lancia da un trampolino altissimo, lasciando che l'acqua lo inghiotta per intero.
E lei si fece inghiottire completamente: «Si.» sussurrò appena.
«E cosa c'entra questo?»
«Tra gli effetti che causa troviamo stati di confusione maniacale, potrebbe essere una pista Harry.»
«Ma quella la devi bene, Granger.»
«Non è detto, fammi vedere la lettera.»
Draco sfilò la missiva dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni. Per facilitare il lavoro, alzò il bacino verso l'alto, facendo peso sui piedi e bilanciandosi con il braccio sinistro poggiato al bracciolo della sedia su cui era seduto. I bicipiti si fletterono, allargandosi sotto la manica della camicia bianca che indossava. L'addome si spianò, schiacciandosi al tessuto. Aveva calato la testa, lasciando delle ciocche bionde a coprigli gli occhi.
Hermione dovette guardare altrove.
Gliel'allungò in uno scattò rapido, e la grifondoro la prese senza guardare.
Aprì la missiva con mani tremanti e osservò attentamente le lettere incise sopra. Se lo portò al naso, inspirando con forza, lasciando che un odore pungente misto a quello dell'inchiostro le incasinasse la testa.
Poi all'improvviso spalancò gli occhi, le orecchie riempite da quella risata maligna.
Vacillò sui suoi piedi, portando ancora le mani alle orecchie. Questa volta la voce di Bellatrix era più forte, più persistente, più cattiva.
Si lasciò cadere al suolo, ma non lo toccò mai perché Ginny la prese in tempo, stringendosela al cuore, parlandole in sussurrò sottilissimi che poteva sentire solo lei: «Sono qui. Sono Ginny. Non c'è. Lei non c'è, siamo solo tu ed io.»
Glielo ripetette finché i brividi non si fermarono, lasciandole aprire gli occhi e mettere a fuoco la vista di fronte a lei. Narcissa Malfoy era seduta elegantemente, solo un cipiglio, un accenno di un'espressione illeggibile rivolta alla sua persona.
Astoria la guardava da dietro le spalle di Ron, un occhio a lei e uno alla porta dove stava sua sorella.
Tutti gli altri in piedi, a guardarla. Anche Draco Malfoy.
«Credo, — prese fiato, cercando di rimettersi dritta sui suoi piedi, allontanandosi poco dall'abbraccio protettivo di Ginny. — credo possa essere stata manomessa.»
Il nuovo Ministro della Magia si fece avanti, prendendole la missiva tra le mani. Svolse gli stessi movimenti di Hermione, annusando l'inchiostro. Poco dopo alzò la testa di scattò verso l'alto, guardandosi in torno come se fosse uscito un nemico all'improvviso da dietro l'angolo.
«La porterò al Ministero e la farò esaminare da uno dei migliori Pozionisti.» Concluse, confermando la teoria della riccia.
Erano quasi le sei del mattino quando, dopo essersi sincerati della salute l'un l'altro, Shackebolt salutò Molly e Arthur come vecchi amici, non mancando di farsi avere al più presto notizie della primogenita Greengrass. Poi andò via seguito dai suoi due Auror di scorta.
Dopo neanche pochi attimi, la porta si aprì, lasciando uscire un medimago dal volto serio e affilato.
«È sveglia, ma vi avverto: non stressatela. Ha appena aperto gli occhi.»
Neanche finì la frase che Astoria e Draco erano dentro la stanza, subito dietro Harry con il fiato in gola. Al seguito, tutti gli altri.
*
La prima cosa che vide furono un mazzolino di fiori blu intenso in un vaso bianco posto vicino alla vetrata di fronte a lei.
I raggi del sole li colpivano in pieno, carezzandone i contorni. La luce baciava i petali in modo così dolce che sembrava far rilucere il colore. Blu profondo, con striature di viola in ogni petalo che correvano al centro di esso, concentrandosi tutto lì.
Daphne lo riconobbe come l'Anemone. E il significato lo sapeva bene: senso di abbandono e amore tradito.
Spostò gli occhi in un battito di ciglia irregolari, soffermandosi su un tessuto verde chiaro, con la vista risalì lentamente fino a specchiarsi negli occhi chiari del medimago di fronte a lei.
«È sveglia, signorina. Bene. Come si sente?»
La serpeverde mugugnò appena, le labbra secche e la voce incastrata in corde vocali che bruciavano.
Si rese ben presto conto che non era solo la sua gola a sentirsi così. Ogni arto, ogni muscolo, tessuto o legamento le bruciava come non mai. Si sentiva indolenzita e avvertì la forte necessità di alzarsi. Così fece, in un movimento troppo irruente che le fece strizzare gli occhi e aggitare il medimago.
«Non si agiti, la prego. Vado a chiamare la sua famiglia.» E con passo svelto svanì dietro la porta.
L'ansia di Daphne crebbe al pensiero di sua madre e suo padre dietro la porta bianca che aveva socchiuso il dottore. Non voleva vederli, non voleva dover dare spiegazioni a persone che non avrebbero capito.
Si rilassò appena quando vide entrare la sorella e il suo amico di una vita, e poi, definitivamente quando entrò Harry, gli occhi già a cercarla.
Il cuore le fece un salto nel petto così forte che il bruciore aumentò a dismisura, ma era un bruciore dolcissimo che avrebbe sopportato più che volentieri, se significava essere guardata sempre così, da lui.
Molly Weasley le si accostò a destra mentre Narcissa Malfoy alla sua sinistra, la prima le prese la mano dolcemente, sorridendole calorosa. La seconda le carezzò la fronte sudata e un po' sporca, accennando ad un piccolo cenno d'ansia.
Iniziarono a tempestarla di domanda, a cui lei avrebbe volentieri risposto, più o meno a tutte, se solo avesse avuto la forza di parlare.
Il bambino sopravvissuto si accorse presto di questo disagio, chiamando la prima medimago di passaggio per chiedere un po' d'acqua. Un bicchiere bello grande arrivò dopo poco, e con mani gentili l'aiutò a bere piccoli sorsi, prima di riprenderlo e sorreggerlo per lei.
«Daphne si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?»
Draco era imperturbabile nella sua postura austera e dritta. Il viso una maschera di pietra mentre fissava la sua amica d'infanzia stesa tra coperte bianche. I vestiti della sera prima non c'erano più, sostituiti da una veste da notte verde. Un braccialetto identificativo al polso e dei piccoli tubi luminosi incastrati nelle braccia, ad iniettare quale pozione.
«Io... — Iniziò balbettante. — Io non c'ho pensato. Non... Non ho pensato alle conseguenze.»
Fece di tutto per soffermarsi sul viso di Draco, senza neanche lasciare una minuscola occhiata al grifondoro. Aveva appena lasciato fuoriuscire un'ammissione troppo pesante.
Il volto del biondo rimase statuario se non per un guizzo della mascella, irrigiditasi per la stizza da quella risposta, per lui, completamente assurda.
«Avresti dovuto pensarci, invece.»
«E tu dovresti pensarci di meno, invece.»
La serpeverde scattò con il busto in avanti, della Daphne in convalescenza non c'era quasi più nulla, mentre le sue iridi azzurre si indurivano contro quelle grigie di Draco.
Un silenzio teso serpeggiò per la stanza dopo un'ammissione e un'accusa di quel calibro, ma, fortunatamente, una medimaga entrò nella stanza con un cartellina sospesa all'altezza della sua spalla, fermandosi di fronte al letto della giovane, cercando di farsi spazio in mezzo a quella folla di persone.
«Signorina Greengrass, ho qui i risultati delle sue analisi. — La cartellina volteggiò fino davanti al viso della strega, mentre lei si aggiustava gli occhiali sottili sul naso. — Nonostante sia arrivata, qui, quasi in fin di vita, siamo riusciti a ripristinare un battito regolare in tempo. Abbiamo preferito indurle un sonno senza sogni, con un po' di Pozione Soporifera, somministrato del Dittamo per le ferite superficiali che aveva sul copro e le abbiamo dato due dosi di pozione per placare il dolore.»
In tutta la stanza riecheggiava solo il rumore dei fogli che, allo scorrere della lettura della medimaga, si giravano automaticamente.
«Dovrebbe restare ancora in osservazione fino, almeno, oggi pomeriggio. Poi può tornare a casa.» Concluse leggera.
La cartellina di fogli scivolò di nuovo al suo fianco, mentre tutti i presenti tiravano un sospiro di sollievo e si rilassavano. Daphne però, osservava il volto della strega davanti a lei tendersi, gli occhi che si velavano di uno strato sottile di tristezza e compassione.
Le vene della sempreverde si tesero al massimo quando ricominciò a parlare.
«Un'ultima cosa, signorina Greengrass. — Sospirò appena, spostando gli occhi, per un attimo, sulle sue scarpe. — Il bambino... l'ha perso.»
Daphne era diventata un blocco di ghiaccio, immobile nel suo letto. Neanche gli occhi di tutti, sulla sua figura, che ardevano riusciamo a sciogliere il suo involucro protettivo.
Il silenzio durò poco, quando mille domande iniziarono a bombardarla.
«Che bambino?»
«Cosa? Un bambino?»
«Eri incinta?! Miseriaccia.»
«Daphne, per Salazar, che significa?»
La bionda lanciò uno sguardo alla sorella, che ricambiò con occhi pieni di lacrime e amarezza.
Anche se non aveva mai parlato di volerlo tenere, era una sofferenza che non credeva di poter provare.
Aveva ragione Draco: avrebbe dovuto pensare alle conseguenze.
E invece non lo aveva fatto.
Non lo aveva fatto perché la paura le aveva offuscato la mente.
Non lo aveva fatto perché non voleva vederlo soffrire. Torturato con quella brutalità.
Non lo aveva fatto perché lei, in cuor suo, sapeva che ne era perdutamente e sconsideratamente...
«Era mio?»
Si girarono tutti verso Harry, che se ne stava immobile con i pugni stretti lungo le braccia, senza battere ciglio. Neanche un Pietrificus Totalus avrebbe potuto renderlo così di pietra.
E Daphne non seppe mai se sentì il cuore spezzarsi perché lui aveva capito o perché aveva usato il verbo al passato.
«Era mio, Greengrass?»
La voce una stilettata di lama d'argento dritta a petto, così forte e dolorosa che lei riuscì solo a lanciargli un'occhiata di sfuggita, prima di abbassare gli occhi sulle sue mani. Mani che non si era neanche accorta stessero accarezzando il suo ventre ormai vuoto.
Si udì solo la porta sbattere con forza, ma le arrivò come suono lontano, concentrata a non pensare che lei adesso aveva perso qualcosa di molto più grande da riuscire a quantificare.
Aveva perso molto di più.
Cercò di trattenersi, di non cedere alla tentazione. Ma mente alzava il viso per osservare come un raggio di sole colpisse diretto al cuore dell'Anemone nel vaso bianco, una lacrima le sfuggì, rogandole la guancia.
L'Anemone: senso di abbandono e amore tradito.
«Signorina Greengrass, ora dovrei chiamare i suoi genitori per avvertirli di questo e magari—»
«No!» Quasi saltò, il cuore a correre nel petto.
«Non può chiamarli. Loro non... No, non può.»
«Signorina devo avvertire qualcuno che si prenda la responsabilità della sua persona. Non posso fare diversamente.»
«Non lì chiami, non loro, la prego. Astoria diglielo, non può chiamarli. Loro...—»
«Ci penso io.»
«Mi assumerò personalmente ogni responsabilità.»
Molly e Narcissa si guardarono per un secondo, prima che entrambe le mani corressero a stringere quella di Daphne.
Le guardò una alla volta, stupita e grata ad entrambe, e solo allora si concesse di piangere, finalmente, alternando singhiozzi a ringraziamenti a bassa voce.
Avvertì il letto piegarsi sotto di lei, e delle braccia che non conosceva stringerla forte. Cullarla come se fosse una bambina piccola bisognosa di attenzioni per tranquillizzare i suoi tumulti e, alla fine, risposare.
E forse, lo era davvero, una piccola bambina bisognosa di attenzioni.
Tutti i giovani maghi, e Arthur, lasciarono la stanza, silenziosamente, concedendo privacy alla loro compagna di scuola, lasciandola nelle mani di due madri che sapevano come dare l'amore giusto.
Narcissa le strinse forte la mano, mente con l'altra le accarezzava la fronte imperlata di sudore. Molly continuava a cullarla, stringendole la testa al petto, sussurrando parole di conforto.
La porta di chiese definitivamente, e solo allora Daphne si liberò; piangendo più forte e urlando di dolore.
Senso di abbandono e amore tradito.
Non aveva più Harry.
Non aveva più il suo bambino.
Era sola. Si sentiva sola, preda di un tormento in infinito che non le permetteva neanche di respirare, perché l'unica cosa che doveva fare era piangere e urlare e singhiozzare.
L'Anemone era ancora lì, nel vaso bianco vicino alla grande vetrata di fronte a lei, ma il sole non baciava più i suoi petali.
Senso di abbandono e amore tradito.
Ebbene, buonasera a tutti maghi e streghe, ahah.
Stasera mi sento molto Silente, per cui: immaginatemi davanti ad un leggio a parlavi e riscaldare i vostri animi con frasi profonde e dal dubbio significato, e pure 100 punti a Grifondoro, cosi, a caso, ahah.
No, in realtà sono solo distrutta, oggi sono andata a lavoro a pulire di tutto perché hanno deciso di ristrutturare, e lunedì si torna alla normalità, spero, ahah. Per cui, non fate caso a me.
Voi invece come state? Spero sempre bene.
Parliamo del capitolo... okay, sono pronta a ricevere le vostre maledizioni. Non siate timidi, scommetto che non vedete l'ora.
Perdonate questa sadica di un'autrice, ma si... sono una stronz*
Ma, in mia difesa, posso dire che un bambino non era il caso. Non lo era, fidatevi, ahah.
Per il resto? Cosa ne pensate del capitolo? Della battaglia?
La verità è che nella mia testa questo capitolo sarebbe dovuto uscire molto diverso, ma alla fine non so perché non ci sono riuscita. Per questo, vi chiedo, per favore, di farmi sapere cosa ne pensate. Mi sento molto insicura su questo, ahah.
Si iniziano a svelare i primi volti dei vari nemici. Ragazz* ci tengo a ricordarvi di non sottovalutare i dettagli. Ve ne ho sparsi un po' in questo capitolo.
Per oggi non ho molto da dire, scusatemi,
Lasciate un commento se vi va, e una stella cadente al vostro passaggio.
Ci vediamo tra i Corridoi
del Castello, miei cari.
Fatto il Misfatto.
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