7. sceneggiate e bocconi amari

Cenammo al country club, avevo provato a convincere lo zio a scegliere un altro posto, ma non aveva voluto sentire ragioni. Neppure quando gli avevo detto che in quel modo avrebbe messo a rischio la reputazione della famiglia, agli occhi di tutti i rispettabilissimi signorotti di Beverly Hills, aveva arretrato.

I capelli freschi di piega, avevo optato per il solito blowout anni novanta, degno della chioma rilucente di Brigitte Bardot. Almeno la frangia era la stessa. Il trucco mirato ad affilare gli occhi, incastrati da due righe di eyeliner e una dose abbondante di mascara waterproof, con la mia famiglia era meglio armarsi fino ai denti, che il mio equipaggiamento consistesse in Manolo Blahnik e Amiri era un altro discorso.

L'anticonformismo, quella sera, mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Invece del vestito morbido di Philosophy, puntai sull'ultimo arrivato della mia collezione, il mini-dress osceno spedito direttamente dal direttore creativo di Saint Laurent. Avrei dovuto indossarlo per un party all'ultimo grido, ma lo avevo già fatto il discorso sulle armi, no? Era un'occasione imperdibile.

Non c'entrava niente che volessi ricordare a Wolfe che stava preferendo quell'insipida di Amelia Baliol a me. Assolutamente niente.

Leggermente in ritardo sulla tabella di marcia, afferrai la borsetta argentata di Chanel ed infilai un elegante paio di sandali con il tacco. Li avevo comprati a Capri, durante una vacanza in Italia con Atlante e Badette. Il principe greco di cui parlavano i giornali e la stilista emergente più famosa di Parigi.

I ragazzi erano già tutti al piano di sotto, mi aspettavano davanti la porta fasciati dalle giacche eleganti e le camice sbottonate.

Wolfe se ne stava appoggiato allo stipite della porta d'ingresso, con le chiavi della Range Rover che gli penzolavano fra le dita, fasciato dal completo Tom Ford nuovo di ecca. I gemelli, intenti a parlottolare dell'allenamento di Lacrosse. Noel e Nate, invece, erano presi da una conversazione composta da bisbigli e smorfie.

Il mio arrivo li mise tutti sull'attenti.

Beccai Wolfe in flagrante, mentre studiava come era cambiato il mio corpo negli ultimi diciotto mesi, contro la sua stessa volontà. Non avrebbe voluto farlo e, soprattutto, che io me ne fossi accorta. Il suo sguardo acceso scivolava sulle curve del mio corpo, come quello di uno scalatore prima cominciare la salita dell'Everest.

Mi scostai i capelli sulla testa e gli rifilai un sorriso obliquo.

Il significato era molto chiaro: "jackpot."

Noel tossì un paio di volte rompendo quel silenzio inquietante. "Ahhh se non fossi mia sorella, Blake!" Pronunciò con la solita vena scherzosa.

"Non sei mio fratello, infatti" gli ricordai per la milionesima volta in quella vita. Noel non ne aveva mai voluto sapere, sangue o meno per lui eravamo fratelli.

"In effetti..." non fece in tempo a concludere la frase che Nate gli diede uno schiaffo pesante sul retro della nuca.

"Non pensarci nemmeno." Lo riprese.

I miei occhi corsero di nuovo a Wolfe, troppo impegnato a incenerire il fratello minore per rendersi conto che anche io stavo registrando il modo in cui era cresciuto. Un profilo degno delle statue di Michelangelo, marmo sotto la pelle. Occhi di un blu così intenso da essere stato rubato dalla tavolozza di Maxfield Parrish.  

Mi riscossi quando zio Killian arrivò a passi svelti dallo studio che aveva in casa, portando nelle mani un foglio piegato.

Si posizionò esattamente davanti a noi e prese a spiegarlo lentamente, poi si schiarì la voce prima di leggero con voce grave, presagio di pessime notizie.

"Nella famiglia più chiacchierata di Los Angeles qualcosa non va, lo riporta il Beverly Hills News nella sua piattaforma online. Il seguito giornale afferma che gli equilibri di casa siano cambiati, non di poco, a seguito del rientro dell'unico fiocco rosa. Ritorno inaspettatissimo (giurano i loro conoscenti) giusto quanto la fulminea e incompresa partenza per Parigi. Si parla di collegio, almeno a quanto dice la famiglia.

Killian Hastings, a quanto pare, non riesce a tenere a freno i suoi stessi nipoti. L'intera comunità si chiede come pensi di riuscire a curare i rapporti, già precari, con il consiglio di amministrazione della HB enterprise. Il problema è grave, dato che la compagnia distribuisce energia elettrica in tutto lo Stato.

Speriamo che i problemi in casa Hastings possano spegnersi velocemente come sono nati. Auguriamo comunque un buon ritorno a casa alla signorina Broadhurst."

"Questo non è uno stupido giornaletto di città che vi ha preso di mira!" Il tono grave e oscillante segnalava il suo buon proposito di mantenere un briciolo di controllo. "Si tratta del Financial Post. Non so se riuscite capire quanto i vostri dispetti da liceali stiano provocando alla compagnia. Però qualsiasi cosa sia deve finire. Adesso." Pronunciò sconvolto.

Non era la prima volta che si presentava quel problema, era già successo due anni prima che lo avessero accusato di non saper gestire gli affari di famiglia. In fondo era la verità, perché non era lui ad occuparsene.

"Stanno esagerando, non è successo nulla di grave, ultimamente." Provò a giustificare Dorian mentre gli altri rimanevano in assoluto silenzio. Wolfe aveva strappato il pezzo di giornale dalle mani di suo zio e lo stava rileggendo a bassa voce.

Daniel provò a sostenere il gemello.
"È colpa della redattrice del giornale locale. Ha tirato su qualche pettegolezzo, nemmeno importante a dirla tutta, siccome non uscivano notizie del genere da un po', il Financial ha pensato bene di riportarle."

"Non mi interessa cosa abbia portato il giornale a scrivere di noi, solo che lo abbia fatto. Era già abbastanza grave la piaga di marciume in cui eravate finiti due anni fa, ma una spaccatura interna potrebbe portarci alla rovina. Tutto quello che avete potrebbe sparire in un attimo, solamente perché non iniziate a comportarvi da adulti." Il tono di voce alto e severo, abbastanza da farmi venire voglia di tacere.

"Cosa vuoi?" Chiese Wolfe, stritolando il foglio nel pugno. Era schietto, diretto e preciso come il proiettile di un cecchino. Erano vietati i giri di parole, a meno che non servissero a suo puro divertimento.

"Che vi diate una regolata. Fate come volete in casa, scannatevi, picchiatevi pure. Fuori da qui, però, vi voglio con un bel sorriso stampato sulla faccia ed un sodalizio impossibile da spezzare." Precisò in modo cristallino che non gli importava veramente di noi, ma solo di quello che appariva all'esterno.

Cole avanzò di qualche passo.
"Chiedi l'impossibile. Wolfe e Blake non riescono ad avere nemmeno la parvenza di una conversazione civile. Per non parlare dei gemelli che non la vogliono nemmeno, una conversazione."

Dorian guardò me ed il gemello prima di inserirsi nel discorso.
"Io e Daniel uno sforzo lo possiamo fare."

"Ottimo, Wolfe?" Lo riprese lo zio.

Wolfe scosse bruscamente la testa e serrò la mascella, probabilmente avrebbe voluto staccarmi la testa.

"Non contate su di me" decretò, puntandomi lo sguardo addosso, come se avesse potuto vedermi attraverso. Ed io, sciocca, mi sarei fatta ammirare con gioia.

Alzai un sopracciglio, sperando che gli avrebbe comunicato un bel "vaffanculo."

Dylan lo prese per le spalle, spintonandolo all'indietro. "Wolfe, se lo faccio io allora puoi sforzare il tuo ego mastodontico anche tu. Nessuno ti dice che le devi parlare. La vuoi ignorare? Bene, ma basta stronzate. Finiscono qui. Lo devi fare per la famglia."

Wolfe ricambiò la spinta e lui arretrò bruscamente. Entrambi erano di corporatura robusta, ma mentre i gemelli spiccavano per l'agilità, Hastings era noto per la forza bruta.

"Non ho ancora fatto niente." Berciò prima di adocchiarlo con astio. E con la promessa seguente la temperatura della stanza scese sotto lo zero. "Ah, toccami ancora e ti spezzo le mani" lo avvertì.

Annichilita, mi passai le mani fra i capelli. Quella situazione era un vero disastro e non avevo idea di come sarei riuscita a porvi rimedio. Avvertii un peso alla bocca dello stomaco, quel continuo senso d'ansia che mi tormentava senza tregua.

Calma-calma-calma.

In ballo c'erano tante cose, troppe. A partire da quello per cui i miei genitori avevano lavorato per tutta la vita, commettendo sacrifici e rinunce. Arrivando a quello che si erano lasciati alle spalle una volta che avevano preso il volo: noi.

M'intromisi nel discorso, lasciando da parte l'idea di rimanere in un angolo, mentre gli altri continuavano a litigare.

"Basta!" Esclamai, guadagnandomi la loro completa attenzione. "Litigare fra di noi non ci porterà da nessuna parte." Mi massaggiai gli occhi con le mani e rivolsi a Daniel una lunghissima occhiata. Decise finalmente di mollare il colpo e si allontanò da Wolfe, ritornando vicino al gemello.

Noel sghignazzò nell'angolo in cui si era rintanato con Nate e prese la parola.
"Litigate come femminucce. Persino Blake è più feroce di voi, avete visto come ha conciato Gibson stamattina?"

Sapevo cosa stava facendo e allargai gli occhi, consapevole della posizione in cui mi aveva infilato per evitare che quel discorso potesse continuare. Peccato che stava solamente rimandando l'inevitabile. Prima o poi avremmo dovuto affrontare quel problema.

"Bastardo" mimai con la bocca quando solo lui poteva vedermi.

Zio Killian sembrò sorpreso e si rivolse a me in tono accusatorio.
"Cosa hai fatto, Blake?"

Indietreggiai di qualche passo e mi guardai intorno, ero sola, nessuno mi avrebbe spalleggiata quella volta. "Niente di cui tu debba preoccuparti" mentii.

Noel rigirò il dito nella piaga.
"Non fare la timida, sorellina. Prenditi i tuoi meriti" e m'incitò scherzosamente con un gesto della mano che mi invitava a continuare.

Mi voltai verso lo zio e presi un bel respiro lungo.
"Mi rivolgeva spiacevoli battute a sfondo sessuale" fu la mia premessa e Noel s'intromise "sì e lei gli ha battuto il diario sulla faccia, rompendogli il naso."

Killian mi scoccò un'occhiata truce.
"Cosa hai fatto?" Ripetè con maggior enfasi.

"Quello che dovevo." Dissi con eleganza, alzando gli occhi al cielo.

Non poteva di certo farmi la predica dopo aver lasciato sempre impuniti i suoi nipoti. Wolfe si era gia beccato tre denunce, due erano sparite magicamente, ma una pendeva ancora sulla sua testa come una spada di Damocle. Un altro cartellino rosso e sarebbe stato game off.

Noel cominciò a girarmi attorno.
"La violenza non è mai la risposta." Odiavo il modo in cui aveva deciso di tirarci fuori da quella discussione: processando me.

Assottigliai lo sguardo, rivolgendogli un sorriso velenoso, ma lo assecondai "non fare l'ipocrita!"

Si portò una mano al petto, come se lo avessi ferito e fece una smorfia, prima che potessimo continuare quella messa in scena bislacca, lo zio si frappose fra di noi.

"Finitela. Parleremo di questo domani, Blake. Ora stiamo facendo tardi a cena." Si allontanò a passi svelti fuori dalla porta ed entro cupo nella berlina nera di Mais lasciandoci da soli.

Gli altri iniziarono a dividersi nelle varie macchine, i gemelli entrano in quella di Wolfe, tutti e quattro.

Noel e Nate a passi baldanzosi erano diretti alla Range Rover blu.

Io non avevo la patente, non mi era mai servita. Wolfe mi accompagnava ovunque e quando non lo faceva lui avevo sempre un passaggio assicurato. Avrei dovuto ovviare anche al quel problema.

Una volta saliti sul SUV di Nate, il terzogenito Hastings mi fece un cenno da sedile del passeggero. Almeno non ero a piedi.

"Salta su, sorellina." Trillò, sporgendosi fuori dal finestrino con un sorrisetto divertito.
Aveva la tipica faccia da schiaffi, quella di uno scapestrato con le mani in pasta dovunque. Il cipiglio di chi era in grado di far cadere le ragazze ai suoi piedi. La battuta sempre pronta.

"Ma che ti è saltato in mente!" Esclamai una volta salita sul retro, dando uno schifo sul braccio di Noel.

"Preferivi rimanere lì tutta la sera a non concludere niente?" Domandò annoiato mentre controllava il cellulare.

Non gli riposi nemmeno. No, non volevo. Wolfe non avrebbe ceduto ed io mi sarei sentita umiliata ancora di più. Avremmo saltato la cena e saremmo rimasti ad urlarci addosso per un'ora buona. A seguire i più irascibili sarebbero usciti di casa, sbattendo la porta e diretti verso qualche festa privata. I paparazzi avrebbero svolto il loro lavoro, fotografandoli in situazioni compromettenti. Il che avrebbe solamente aumentato le voci che circolavano rispetto alla situazione familiare e ingrandito la portata del danno.

In quel modo, invece, ci avrebbero comunque visti tutti a cena insieme e, forse, se ci fosse stato qualche genitore curioso, mi avrebbe perfino giovato a scuola. Certo che lo scalpitio del cuore nel petto non potevo ignorarlo, quella voglia crescente di sistemare le cose o il desiderio di finanziare una ricerca per creare una macchina del tempo. Si, avrei dovuto compiere l'impossibile e tornare indietro.

Le macchine si fermarono nel parcheggio illuminato del country club, totalmente immerso nella vegetazione verde. La struttura era moderna, in vetro e pietra scura, mentre tutto intorno si estendevano le diciotto buche del campo da golf. I membri erano fra le più importanti famiglie del circondario e, molto spesso, posti quello diventavano i luoghi prediletti per ospitare gli eventi mondani.

Entrammo accolti dal personale che rivolse un cordiale benvenuto a tutti noi prima di farci strada al tavolo nella sala della cena.

La pietra scura era predominante anche all'interno e le vetrate affacciavano sul lago artificiale, decorato da piccole strutture luminose che emettevano una luce calda.

Gli occhi dei presenti erano tutti puntati sulla mia famiglia, ma diversamente dallo zio non mi dispersi in convenevoli e mi accaparrai un posto nella metà del tavolo. Odiavo essere messa all'angolo. In tutti i sensi.

"Che schifo" borbottò Cole che prese posto alla mia destra, i ricci neri e lunghi gli contornavano l'espressione di disgusto.

Aggrottai le sopracciglia "cosa?"

"Il modo in cui ti guarda il Signor Tarton" ammise, rivolgendogli un'occhiata torva che gli fece riportare l'attenzione sulla moglie.

Dorian, stranamente, si sedette alla mia sinistra e fece lo stesso, allungando un braccio sul retro della mia sedia.
"Magari, la prossima volta, le mettiamo un saio."

Noel, davanti a noi, non perse tempo e si versò un bicchiere di vino. Il preferito dello zio era gia stato lasciato in fresco accanto al tavolo.
"Non servirebbe a niente."

"Sono complimenti velati quelli che sento?" Domandai sconvolta, portando le mani ai lati della bocca per gioco.

Il nostro siparietto si concluse quando Wolfe prese posto accanto a Noel. Esattamente davanti a me. Mi chiesi cosa si fossero detti lui ed i gemelli durante il viaggio in macchina.

Arrivò da mangiare e, ahimè, anche altro da bere. Parlottavano tutti della partita che ci sarebbe stata il venerdì sera. La prima amichevole dell'anno prima dell'inizio del campionato, ma avremmo dovuto aspettare l'homecoming week per quello.

"Avete bisogno di una vittoria, per riprendervi dalla figuraccia che avete fatto l'anno scorso" disse Carter, pungolando i fratelli che gli scoccarono un'occhiataccia.

Daniel gli diede manforte, ridendosela di gusto.  "Giocate contro le Rose High, la stessa con cui avete perso ai play off. Buona fortuna ragazzi, vi servirà."

Rimasi sorpresa, la squadra del Beau Soleil Institute aveva sempre vinto negli anni passati, non c'era nemmeno paragone con la preparazione che avevano le altre scuole.

Noel guardò Wolfe con il fuoco negli occhi, tipica sua espressione di quando si ricordava un conto in sospeso.
"In realtà abbiamo perso solo per colpa di qualcuno seduto a questo tavolo."

"Ero infortunato" gli ricordò Wolfe, lavandosene le mani.

Il lupo del Beau Soleil strinse il bicchiere tra le dita e mi puntò gli occhi addosso, accompagnato dal solito sorrisetto strafottente. Mi chiesi se quel maremoto blu notte si sarebbe posato su di me, prima o poi, privo di quella scintilla d'odio, rivolgendomi invece tenerezza e conforto come aveva incessantemente fatto prima di allora.

Con alte probabilità quella domanda mi si lesse in faccia perché lui scosse la testa, muovendo le onde scure che gli incorniciavano il volto spigoloso.

La risata di Noel mi risvegliò dal mio stato di trance.

"Si, lo ricordiamo bene il tuo infortunio! Avevi deciso di trasformare la faccia di, hem, di quel ragazzo, in un quadro di Picasso perché..." non riuscì a finire la frase perché Wolfe gli tirò una botta violenta sulla testa. Si guardarono in cagnesco per qualche secondo.

Noel ritrattò, alzando le mani in segno di resa.
"Volevo solo dire che l'infortunio non è una giustificazione, siccome te lo sei cercato."

Era stato deciso che non dovevo essere messa a conoscenza del motivo dell'infortunio. Lo avrei chiesto a Ronnie.

Per la seconda volta in quella serata, Noel pensò bene di offrire me come vittima sacrificale per deviare la direzione che avrebbe preso il discorso.
"Tu vai ancora a cavallo?"

A quel punto il dibattito sull'infortunio fu dichiarato concluso e l'attenzione dei ragazzi ricadde su di me.

Indispettita mi portai il calice, straboccante di liquido rosso e denso, alla labbra prima di dargli una risposta. "No, a Parigi il maneggio non era abbastanza vicino, ma ho preso lezioni di danza." Feci una pausa ed un altro grande sorso "anche se non avevo molto tempo libero. Le lezioni duravano fino a tardi."

Mi limitai ad offrire poche informazioni. D'altronde non mi aveva fatto quella domanda mosso dalla curiosità, ma solo dalla necessità di levarsi da un impaccio.

Wolfe era deciso ad infastidirmi. Appoggiò i gomiti sul tavolo ci appoggiò sopra la testa. "Hai voltato le spalle anche alle tue passioni, è proprio nella tua natura allora."

Emisi un sospiro e copiai la sua posizione, rafforzando il mio sguardo e stringendo gli occhi per fargli recepire il messaggio.
"Tu menti e lo sai, ma preferisci raccontarti bugie più che affrontare un confronto con me. Di che hai paura Wolfe?"

"Io mento? Eppure i fatti parlano. Ti sei rivelata solamente una bambina codarda, eppure non lo avrei mai detto. Almeno devo riconoscerti di saperti vendere bene. " Disse lui, arricciando il naso in segno di disprezzo mentre riportava la schiena indietro sulla sedia. "Come diavolo facevo a passare tutto il mio tempo con una come te." aggiunse ridendo di se stesso.

La tensione a tavola cominciò a salire, lo zio se ne accorse, ma non si intromise.

"Una come me? Mi piacerebbe sapere chi sono per te siccome abbiamo due idee molto diverse al riguardo." Alzai il tono della voce e mi costrinsi a prendere un altro sorso.

Non volevo fare una sceneggiata.

Non potevo fare una sceneggiata.

Non dovevo fare una sceneggiata.

Era il mio mantra.

Wolfe mi regalò per un momento lo spettacolo del suo profilo squadrato, prima di atterrarmi con la sua riposta.
"Una vipera piena di se che non sa cosa sia la lealtà. Sei un dannatissimo Giuda."

Arretrai sulla sedia come se mi avessero appena dato uno schiaffo in faccia. Era eccessivamente serio, troppo convinto che quella fosse la verità. Non mi avrebbe mai perdonata.

"Vedermi così è una tua scelta, non mi dai nemmeno il beneficio del dubbio" provai a spiegare, ma lottavo con una forza più grande di me: il risentimento. Però dovevo provarci comunque, quando mi mettevo in testa una cosa andavo diritta per la mia strada, cercando di raggiungerla, a qualsiasi costo.

"Vedo ciò che mi hai mostrato. Ne prendo atto. Agisco di conseguenza." Spiegò con una calma disumana, che non gli apparteneva.

"Non c'è cieco peggiore di chi non vuole vedere." Sbottai, infilandomi le mani nei capelli per smorzare la tensione. Io ero tornata a casa anche per lui, mi ero buttata a capofitto nel fango, un' altra volta, anche per lui. Me ne rimanevo buona e assecondavo le sue mosse per-lui.

"Io ci vedo benissimo." Sentenziò, mollandomi un altro schiaffo metaforico. Perché doveva essere letalmente bello anche mentre mi cuoceva allo spiedo?

Intorno a noi nessuno osava proferire parola, non volevano infilarsi in quello scambio astioso, non volevano esserne travolti come da una valanga improvvisa, che ti trascinava senza concederti via di fuga. Seppelliti da quel gelido incanto letale.

"Io ti chiedo, scusa, vi chiedo scusa, non di dimenticare quello che ho fatto. Ti costa così tanto provare a capire? Poi potrai chiudermi fuori nuovo, se ti sembrerà la cosa giusta da fare." Cercai di contenere il tono supplichevole per non sembrare una disperata alla ricerca di affetto.

Intanto, il nostro, era diventato un discorso di dominio pubblico, le orecchie di tutti gli ospiti erano rizzate nella nostra direzione ed in tutta la sala il silenzio regnava sovrano. Perfino la moglie del Signor Tarton aveva voltato il capo sul tavolo imbandito dove albergava la disputa.

Wolfe serrò la mascella e sbatté una mano grande sul tavolo, l'impatto violento fece traballare i bicchieri di cristallo, uno cadde versando dello champagne.

"Merda, Wolfe che diavolo..." imprecò Nate quando le bollicine gli macchiarono il pantalone del completo di Armani.

Mi domandai entro quanto tempo avrebbe definitivamente perso la pazienza. Secondo i miei calcoli non mancava poi molto. Quei piccoli gesti irruenti erano solo il preludio di scene ben più cruente.

"Sei tu quella che non vuole capire, io ho sempre voluto il meglio per te e se mi avessi detto che andare a Parigi ti avrebbe resa felice, ti ci avrei accompagnata io stesso. " Fece una pausa e pronunciò il resto del discorso a denti stretti, alzando il tono di voce ad ogni parola nuova. "Ma tu sei scappata senza dire niente. Sono morto di paura perché pensavo che ti fosse successo qualcosa, ho messo sottosopra tutta Los Angels prima di scoprire che eri su in volo intercontinentale."

Noel gli strinse la mano sulla spalla cercando invano di farlo calmare, ma Wolfe si era trasformato in un fiume in piena, pronto a spazzare via chiunque avesse avuto la sfortuna di trovarsi sul suo cammino.

"Io non ti perdonerò mai la leggerezza con cui mi hai lasciato indietro, per avermi fatto affrontare da solo tutto quel casino. Sei stata egoista quando io con te non lo sono mai stato."

M'irrigidii sulla sedia pronta a ribattere.

"Hai idea di quanto abbia sofferto io in quel periodo? Quanta paura mi stessero provocando i tuoi guai?" Mi abbandonai ad una risata amara. "Parli di leggerezza quando ho dovuto prendere la decisione più difficile della mia vita. Dici che dovevo parlartene, ma quando? In quei dieci minuti quotidiani di sobrietà? Tra un anti depressivo ed un bicchiere di gin, magari."

Wolfe si alzò di scatto e premette i palmi sul tavolo.
"Complimenti, hai raggiunto il livello esperto in manipolazione. Ti sei dimenticata come stavi tu in quel periodo, evidentemente, tutte le volte in cui ti ho recuperata mentre eri avvolta dal terrore. Te le ricordi, o no? Lì però ero abbastanza lucido per prendermi cura di te, vero?"

Sbiancai e così fecero tutti i miei familiari. Aveva tirato fuori una carta speciale, rifilandomi un colpo basso troppo infimo. Persino per lui.

Soffrivo di un disturbo post traumatico da stress che tipicamente si manifestava nei bambini. Si chiamava: terrore notturno. Era iniziato con degli incubi nella fase del sonno profondo, mi risvegliavo urlando, zuppa di sudore, con tachicardia e tachiapnea. Totalmente terrorizzata da quello che quello che era un sogno così vivido da essere confuso per realtà.

Andando avanti si era sovrapposto al sonnambulismo; mi alzavo dal letto e vivevo il sogno, cadevo, mi ferivo, piangevo e strillavo allo stesso tempo.

Era un vortice oscuro dove le pareti tra sogno e realtà diventavano così sottili, fragili, da creparsi nel mezzo. Potevo passarci attraverso senza nessuna difficoltà, pagandone il prezzo il giorno dopo. Al risveglio: amnesia, stordimento. Faticavo a riconoscere chi avevo attorno.

E Wolfe era stato accanto a me, in ognuno di essi. Mi teneva stretta nel suo porto sicuro fino al risveglio. Cullandomi per ore mentre la sua voce mi richiamava alla realtà, si subiva ore di pianti isterici, di medicazioni se la pelle aveva subito escoriazioni per i gesti folli di cui ero fautrice.

Seguivano bagni d'acqua calda dove le sue dita mi scivolavano nei capelli per massaggiare lo shampoo, poi mi infilava in un pigiama di seta e dormiva con me per proteggere i miei sogni più cattivi. Il giorno dopo mi comprava il mio gelato preferito, quello alla fragola e andavamo a mangiarlo sul molo di Santa Monica mentre ascoltavamo le canzoni country.

Da quando ero partita erano completamente spariti, diventando solamente un lontano ricordo.

Rimasi ammutolita per qualche minuto, la bocca prosciugata come il deserto del Mojave e le parole arrotolate nella lingua ingarbugliata. Mi sentivo colpevole, sporca, ingrata ed ingiusta. Non avrei dovuto accusarlo, non lui. Era sempre stato dalla mia parte ed in quel modo sembrava che non lo avessi apprezzato.

"Non è quello che intendevo." Fu l'unica frase che riuscii a spiccicare.

Wolfe rise trionfante, sapeva di aver colpito un nervo scoperto e un guizzo divertito s'impossessò del suo sguardo.
"Peccato." disse con nonchalance. Dopo girò attorno al tavolo e si allontanò dalla stanza, portando con se le chiavi dell'auto, lasciando tutti i presenti in preda allo sgomento.

Silenziosamente portai il calice di vino alla bocca e mandai giù tutto il contenuto dolciastro, lo riempii e replicai il gesto. Zio Killian si diede un'occhiata attorno con la coda dell'occhio per capire la portata del danno. I ragazzi mi guardavano come se da un momento all'altro avrei potuto iniziare a piangere come una fontana.

Io stavo solo morendo d'odio per me stessa.

Ero stata una sciocca, un'immatura, ma non un egoista.

Mi odiavo per averlo fatto soffrire senza volerlo, lo odiavo perché quello invece era proprio il suo scopo e ci stava riuscendo. D'altronde Wolfe Hastings otteneva sempre quello che voleva.

Noel mi versò un altro bicchiere.
"Devi provare a capirlo, tu non c'eri. Non sai in che condizioni era ridotto." Si riempì un bicchiere anche per lui.

Cole s'inumidì le labbra e con il viso colmo di tristezza si massaggiò la fronte.
"Era fuori di se, è rimasto chiuso in camera per una settimana. Quando è uscito aveva fatto a pezzi tutto il mobilio. Ti ha pianto come se fossi morta e quando è uscito si è comportato come se non fossi mai esistita."

Carter allo stesso modo, seduto poco più in la continuò con la spiegazione. "Noi lo abbiamo assecondato, a parte in qualche ora occasione in cui capitava che saltasse fuori il tuo nome, abbiamo fatto finta di niente."

Annuii senza dire niente con l'alcol in circolo che mi faceva vorticare la testa. Preferii lasciare spazio alle loro piccole confessioni, erano di tasca larga quella sera.

Si aggiunse perfino Daniel che con un movimento agile s'alzò dalla sedia per stringermi le spalle nelle sue mani grandi. Alzai la testa all'indietro per fra scontrare i nostri occhi verdi e lucidi.
"Abbiamo perso prima mamma e papà, poi te, poi lui. Non è stato facile" aumentò la stretta tra la rabbia e la speranza. "L'hai combinata grossa."

Appena mi lasciò le spalle sentii anche i suoi passi allontanarsi, Dorian lo seguì come un'ombra fedele.

Mi stavano lasciando tutti, proprio come io avevo fatto con loro. Trovavo quasi una vena poetica nel modo in cui si stavano svolgendo le cose. Io li avevo abbandonati senza avvisare, loro stavano facendo lo stesso con me. Eppure sapevo che il modo in cui mi sentivo in quel momento non era nemmeno lontanamente paragonabile al modo in cui aveva sofferto loro.

Chiusi gli occhi, amareggiata, e li riaprii solo per guardare ciò che mi era rimasto: tre sedie vuote e troppi ficcanaso.

§§§

Due ore dopo era diventato tutto più caotico e decisamente più vivace. Lo zio si era assentato per una telefonata e non aveva più fatto ritorno. Eravamo rimasti io, Noel, Cole e Carter ed innumerevoli bottiglie di vino, ora vuote. Ah ed un Nathaniel più taciturno del solito, in tutta la serata aveva spiccicato si e no due parole.

Mi alzai dalla sedia e la stanza fece un girò su se stessa, pestai i piedi e mi appigliai alla cosa che avevo più vicino: Noel.

"Giiiira tutto." Sussurrai nella speranza che nessuno mi avesse sentito.  Nel frattempo un braccio mi cinse la vita per sorreggermi mentre ci facevamo strada verso l'uscita.

"Mi sa che qualcuno ha esagerato." Affermò Cole, scattandomi una foto ricordo.
Mi resi conto in quel momento che forse aveva ragione. Io e Noel ci avevamo dato dentro ed a stento ci reggevamo in piedi. Camminavamo a zig zag nel corridoio semi vuoto andando a sbattere contro la pareti.

Cole e Carter ci separarono e ci sorressero per farci uscire di lì con un briciolo di dignità.

"Coooole sei veramente cresciuto parecchio, pure tu Carter." Biascicai mentre li guardavo in completa adorazione. I piccoli Hastings sembravano di gran lunga più grandi di me.

"Zitta Blake." Mi disse, tappandomi la bocca con la mano.

Annuii con la testa e tutto prese a girare ancora di più.

Una volta usciti dalla porta fummo invasi da un getto d'aria fresca e da una valanga di Click accecanti.

"Merda." borbottò Nate. "Paparazzi."
Qualcuno presente durante la sfuriata a cena li aveva sicuramente avvisati.

Mi coprii il viso con il braccio e riacquistai un po' di lucidità, dovevo trovare un modo svincolarci da quella situazione, di uscirne pulititi.

Mi staccai da Cole e gli diedi la mano mentre cercavamo di farci largo tra la folla di fotografi che si interponeva fra noi ed il parcheggio.

"Blake è vero che le cose in casa vanno male?" Mi chiese uno di loro con un registratore in mano.

"Ti sembra che vadano male? Ero con la mia famiglia a cena." Mentii abilmente, cercando di pronunciare le parole in modo corretto.

"Dicono che abbiate litigato lì dentro, perché Wolfe ed i gemelli non sono con voi?" Domandò un altro.

Carter intervenne prima di me.
"Hanno avuto un'emergenza, ma non c'è stato alcun litigio." Disse brusco mentre riuscivamo ad avvicinarci all'auto.

"Carter, stai dando dei bugiardi agli ospiti del country club?" Avanzò lo stesso, provocandomi un fremito alla bocca che non riuscii a fermare.

"Non si permetterebbe mai, probabilmente hanno solo frainteso il nostro modo di scherzare" chiarii, mettendo fine a quelle insinuazioni. Sarebbe stato il colmo se che qualcuno di noi avesse, di nuovo, mancato di rispetto a quei vecchi paperoni. Carter mi sorrise consapevole di essere stato tirato fuori da un impaccio.

Le domande non finivano più.

"Blake cosa ne pensi dell'articolo del Post?"

"Sarete presenti all'evento della fondazione Rupert?"

Spensi il cervello e chiusi la bocca. Non erano domande che tiravano in ballo il mio diritto alla difesa quindi evitai di replicare.

Cole mi fece sedere sul sedile davanti, mentre Nate si metteva alla guida.

Nel momento in cui chiusi lo sportello divenni consapevole di aver fatto una sceneggiata e che Saint Laurent sarebbe stato contento di vedere le foto del suo vestito in prima pagina.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top