5. scarico di responsabilità
Arrivata all'ora di pranzo ben due ragazzi avevano avuto la pretesa di toccarsi i gioielli di famiglia in mia presenza. Uno era riuscito ad intercettarmi dopo la lezione di letteratura e mi aveva gentilmente chiesto se potevo mostrargli cosa fosse stato tanto prezioso da tenere Wolfe al laccio per anni. Lo guardai schifata e raggiunsi le mie amiche che mi attendevano alla fine del corridoio.
All'ora successiva Charles Winthrop mi aveva chiesto di avere pazienza, di fargli i nomi di chi mi stava importunando e che ci avrebbe pensato lui. Lo avevo ringraziato, ma preferivo sbrigarmela da sola senza creare ulteriori problemi a nessuno.
Ci mancava solamente che Wolfe scoprisse che uno dei suoi più cari amici, uno dei miei ex più cari amici, mi avesse ancora in simpatia.
"Detestabile, così poco da lui. Davvero una caduta di stile." Si lamentò Ronnie mentre ci sedevamo sulle panche del cortile interno, con il vassoio del pranzo tra le mani.
"Suppongo che l'odio porti a questo" sospirai addentando una mela. Solitamente mangiavo al contrario; prima il dolce o la frutta, poi il salato.
Ero una di quelle iper fissate con gli zuccheri, di qualsiasi tipo fossero, non potevo certo rischiare di essere troppo piena di robaccia salata e non mangiare il dolce.
Cheryl smosse il riso alle zucchine nel piatto, come se avesse avuto a che fare con un arcinemico, giocava con le verdure fin troppo pensierosa.
"Che hai?" Le chiesi un po' brusca, troppo provata da quella giornata.
"Non so se voglio dirtelo" ammise mettendo il broncio. Ronnie le posò una mano sulla spalla e le fece una carezza.
Inizialmente ci rimasi male, poi capii che forse la mia amica lo stava facendo anche per me.
"Da quando non mi dici le cose, Cher?"
"Hai già avuto una brutta giornata. Non voglio metterci il carico da mille."
Come mi aspettavo, probabilmente aveva sentito qualcosa di brutto sul mio conto. Non m'importava. Prima o poi si sarebbero stancati ed avevo le spalle abbastanza grosse da sopportare qualche periodo di vessazione.
Mi guardai intorno alla ricerca dei suoi occhi blu e li trovai dall'altra parte del cortile, stava sorridendo davvero? In presenza di quella smidollata di Amelia Balliol, la sorella di Penelope, per giunta. Un anno più piccola di me, due anni in meno di lui.
Quando Cheryl notò il punto in cui si era fermato il mio sguardo scosse la testa.
"A quanto pare non dovrò dirtelo io" sospirò con tristezza.
Odiavamo le Balliol per motivi diversi. La primogenita era una vipera travestita da barbie primavera, la seconda, invece, era una vera e propria gatta morta. In dotazione le avevano dato due occhioni da cerbiatta ed una chioma voluminosa sulle sfumature della castagna.
Bella: sì, ma eternamente insopportabile e Wolfe la guardava come se, dietro all'aspetto angelico, si fosse nascosta la persona più pura e buona dell'intero mondo.
Qualcosa dentro di me si spezzò e poi tornò apposto.
Io non esistevo.
Le promesse che ci eravamo fatti neppure.
Eccone un altro promemoria.
"Da quanto?" Sbottai trattenendo le lacrime, non potevo dare la soddisfazione a tutto il corpo studentesco di vedermi ridotta in quel modo. Non potevo sanguinare nella vasca degli squali.
Ronnie prese un bel respiro lungo e strappò il cerotto. "Circa tre settimane."
"Stanno insieme, insomma, è ufficiale?" Tentennai mentre cercavo di mandare giù il boccone amaro.
Ronnie continuò al posto di Cheryl, che sembrava più sconvolta di me.
"Non è ufficiale, ma nemmeno un segreto."
Sgranai gli occhi allibita e preda dello shock.
"Perché diavolo non me lo avete detto prima, invece di farmelo vedere quando attorno ho mezza Beverly Hills!"
Allontanai il vassoio con una manata, mi era passato l'appetito. Non avevo nemmeno più voglia di dolci. Non capivo perché fossi così sconvolta, io non avevo nessun diritto su di lui. Non ero in condizione di vantare alcuna pretesa.
Ronnie provò a fornirmi una spiegazione ed allo stesso tempo cercò di confortarmi.
"Prima di sabato l'argomento era un tabù e dopo speravamo che le cose sarebbero cambiare. Tutti sappiamo che Wolfe è uno che tiene il punto, ma quando si tratta di te è diverso. Per come eravamo abituate a conoscerlo, una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere."
Non potevo arrabbiarmi, non mi era concesso. Né con loro né con Wolfe Hastings. Non eravamo mai stati insieme, diamine non c'eravamo mai neppure baciati, ma lui era sempre stata tutta la mia vita. E sicuro come il mio nome che un tempo valeva lo stesso per lui.
"Non riesco nemmeno a crederci" sussurrò Cher ancora scossa.
Si era voltata verso di loro ad osservare la scena melensa. Lui che si attorcigliava i capelli di lei fra le dita, Amelia che sorrideva imbarazzata e abbassava lo sguardo sulla punta dei piedi, dopo che Wolfe le aveva sussurrato qualcosa nelle orecchie. I miei dannatissimi fratelli che partecipavano con ruolo attivo a quello spettacolo a cui stava assistendo tutto il Beau Soleil Institute. Gli sguardi viaggiavano dalla loro postazione a me, ed io me ne rimanevo imbambolata come uno stoccafisso, senza fare nulla.
Ma cosa avrei potuto fare?
Se finalmente aveva trovato una persona che riusciva a placare la rabbia che gli albergava nelle viscere, non sarebbe stato giusto muoversi contro di lei.
No: Amelia Baliol non mi piaceva, ma se lo rasserenava me ne sarei dovuta fare una ragione.
Per quanto fossimo sempre stati uniti io tiravo fuori il peggio di lui.
"Ci faremo l'abitudine. Wolfe è sempre stato libero di fare quello che voleva e, se questo lo rende felice, io lo sarò per lui." D'altronde era quello che avevo scritto in quel maledetto biglietto la sera del falò. Dannato biglietto, dannatissima promessa.
Ronnie mi guardò come se avesse visto un alieno.
"Chi sei tu? Che ne hai fatto della mia migliore amica? Quella vendicativa fino al midollo con il rischio di rasentare la cattiveria, quella così presa da Wolfe Hastings da mettere a fuoco mezza Los Angeles se qualcuno si fosse messo fra voi; quella per cui la famiglia era tutto ciò per cui lottare nella propria vita."
Scossi il capo e le feci un sorriso.
"È morta due anni fa."
§§§
Nate era alla guida della Range Rover blu notte ed io ero seduta sul retro e stare dietro a me non piaceva, per niente. Soffrivo la macchina e mi ricordava quando ero piccola e mi costringevano a mettermi sempre nel posto centrale, perché ero la più mingherlina.
Dovetti comunque cedere. Cole aveva saltato gli allenamenti pomeridiani di Lacrosse, doveva studiare per il test di chimica del giorno dopo. Se avesse voluto entrare a medicina, avrebbe dovuto darci dentro.
Il gemello, invece, di attività didattiche non voleva nemmeno saperne quindi - quando la situazione di Carter rasentava il disastro - si scambiavano le identità e Cole faceva il suo compito.
Ignorai il chiacchiericcio fra i due e mi dedicai ad ascoltare il testo della canzone, calzava a pennello. People you Know di Selena Gomez rimbombava a basso volume nella macchina. Probabilmente gli omaccioni non si erano nemmeno resi conto della traccia che stava passando alla radio, altrimenti avrebbero provveduto a cambiare tempestivamente stazione.
"We used to be close, but people can go, from people you know to people you don't."
Ed io come la cantante mi sentivo davvero di aver buttato mille notti insonni appresso a lui, notti colme di buio pesto e giorni più luminosi del sole che potevo ancora ricordare come se fossero stati ieri; che non avrei mai più avuto indietro.
Odiavo con tutta me stessa il fatto che, arrivati quel punto, non dipendesse più da me. Non potevo fare nulla per fargli cambiare idea. Non aveva lasciato neanche che potessi spiegarmi.
Aveva già deciso.
"Sei silenziosa oggi" constatò Cole voltando la testa nella mia direzione.
"Ti interessano i miei silenzi, adesso?" Risposi in modo brusco, nella speranza di non essere punzecchiata. Ne avevo avuto abbastanza per quella giornata.
Nate lo guardò allungo, pregando che dalla sua bocca spara sentenze non fosse uscisse una frecciatina troppo piccata. D'altronde erano entrambi al corrente di quello che era successo con gli altri studenti, anche se fingevano di ignorarlo.
"Non rispondi?" Lo rimbeccai schioccandogli le dita davanti alla faccia.
Cole mi agguantò le mani e le spinse indietro con violenza.
"Ti sto facendo un favore a non risponderti Blake, apprezzalo."
"Un favore me lo faresti se togliessi la scopa dal culo e accettasi di parlarmi." Mi morsi la lingua per non continuare la frase. Tra tutti, Cole era quello che si meritava di meno una sfuriata da parte mia; si era dimostrato molto più condiscendente degli altri, sebbene fosse arrabbiato con me quanto loro aveva comunque provato chiedermi, a modo suo, come stessi.
"Scusami, non volevo. Non è stata una bella giornata per me."
Nate strinse il volante fra le mani, come se avesse avuto intenzione di stritolarlo. Immaginai che quella presa impetuosa fosse stata attorno al collo di Wolfe. Ebbi un attimo di sollievo destinato a durare solo qualche secondo.
"Non fare la vittima, non ti si addice." Disse il gemello Hastings, dandomi di nuovo le spalle.
Infastidita, incrociai le braccia al petto.
"Sono vittima solo di me stessa. Lo so. Però, potreste almeno provare a mettervi nei miei panni."
"Non ci tengo, la gonna corta non mi dona." Proferì innervosito, una volta arrivati alla magione scese dalla macchina e si allontanò in solitaria.
Nate mi venne incontro ed aprì la portiera.
"Vorrei parlare, almeno con te" guardai il mio specchio nella speranza che, almeno lui, avesse avuto il desiderio di starmi a sentire, ma scosse la testa.
"Io ti ho gia perdonata, non voglio più saperne niente. Il passato è passato, ora dobbiamo pensare al presente." Chinò il capo e mi infilò le dita tra i capelli, spettinandomi la piega fresca.
Me ne andai anche io a testa bassa, come non avevo mai fatto prima di allora. Totalmente spogliata della fierezza che mi aveva sempre contraddistinta. Non c'era più nulla di cui andare orgogliosi, nemmeno l'affetto delle persone che mi stavano a cuore.
Dicevano che gli avevo voltato le spalle, ma non era mai stato così, nemmeno per un secondo. Avevo messo nero su bianco i miei pensieri, quelli dedicati a loro, le speranze che racchiudevo nel cassetto segreto del cuore. Una lettera ciascuno, un rimpianto per ogni messaggio. Forse avevano bruciato le mie parole ammaccate ancor prima di averle conosciute.
Non avrei potuto biasimarli, in quel caso.
Il vortice di oscurità che li aveva inghiottiti era diventato sempre più forte, profondo, scuro. Sabbie mobili che ci avrebbero consumati tutti. Granelli di violenza, eccessi di alcool, feste private all'ultimo grido. Danni, graffi, paure e dolore.
Illegalità...
Non sopportavo l'idea di vedere le persone che amavo distruggersi con le proprie mani, ma non ero abbastanza forte da tirarli fuori. Mi sentivo sola, disperatamente confusa da tutti gli avvenimenti che avevano sconvolto la mia vita.
Wolfe era sempre più cupo, tormentato da se stesso e dal peso che si sentiva sulle spalle, come se reggere in piedi la famiglia fosse stato il suo fardello personale.
Rincasavano alle prime luci dell'alba, lividi in viso, l'odore di fumo e sudore impegnava l'aria nel momento in cui mettevano piede nell'androne delle scale. I giornali continuavano a descriverli come mostri viziati e violenti e così le azioni dell'impresa di famiglia colavano a picco. Più passava il tempo più le cose peggioravano.
Non era solo colpa mia se ero andata via ed in cuor suo Noel lo sapeva.
Il tormento mi aveva paralizzata, così mi feci una promessa: sarei andata via per tornare più forte di prima, per riportare la gioia che gli era stata strappata. L'amore di cui erano stati privati, la speranza che avevano visto svanire.
A costo di essere fraintesa e denigrata, al caro prezzo di passare per una traditrice per aver violato il codice etico della nostra famiglia e di essere messa al bando per quel motivo.
Avevo accettato le conseguenze delle mie scelte, avrei continuato a farlo, perché nessuno di noi si meritava di continuare a vivere in quel modo. Avevamo nascosto le parti più segrete di noi; le nostre essenze infilate in un pozzo senza fine, dando vita a degli automi privi di emozioni. Senza compassione o amore o bontà alcuna.
Ci eravamo condannati da soli.
Nel pomeriggio chiamai Gabriel, avevo bisogno di sentire la voce del mio fratello maggiore, dell'unica persona che aveva voluto ascoltare tutta la storia.
"Come sta il mio cucciolo?" Rispose al primo squillo, con il tono di voce più dolce di sempre.
Trattieni il respiro per qualche secondo, Dio se mi mancava.
"Vorrei tu fossi qui" ammisi a fior di labbra, assaporando il contatto della pelle del viso sulla federa fresca del cuscino del mio letto.
"Verrò presto, tra due settimane abbiamo un weekend libero, Io e Brooks torniamo a casa, contenta?"
A dirla tutta nemmeno a Brooks importava più di tanto che io fossi andata via, loro erano quelli grandi, era il loro compito quello di tenere insieme i pezzi sparpagliati della famiglia. Pezzi di un puzzle rotto, alla rinfusa in una scatola troppo grande; un bambino troppo piccolo per rimetterli insieme.
"Non immagini quanto" sussurrai piano per non cedere allo sconforto.
Lo sentii fare lo stesso dall'altro lato del cellulare.
"Va tanto male?" Mi domandò preoccupato.
"Se per male intendi che sono diventata il nemico numero uno di Wolfe, la riposta è si: va tanto male." Annunciai sapendo che sarebbe riuscito a leggere fra le righe, il codice lo conoscevamo tutti, alla fine.
"Quel ragazzaccio ottuso. Ora che torno gli dò una bella ripassata di buone maniere, così vediamo se si ricorda come deve trattare mia sorella. "
Lo immaginavo mentre stringeva gli occhi verde menta in due fessure e strizzare il pungo destro, sbattendolo sul ginocchio.
"Non ti mettere in mezzo Gabe. Il perdono me lo devo guadagnare, non possiamo imporlo. Non credere che i gemelli siano tanto meglio." Risposi mentre mi toglievo le calze e infilavo le dita dei piedi fra le lenzuola.
Mio fratello grugnì in risposta.
"Me lo aspettavo, quei tre erano Blake-dipendenti, ti orbitavano attorno come se fossi stata il sole; alla costante ricerca di approvazione e sono anche estremamente simili. Dorian e Daniel cederanno, dagli solo il tempo di abituarsi di nuovo alla tua presenza. Evita di agitare Wolfe e parla con Noel, potrebbe essere il tuo unico alleato in questa faccenda."
Sbuffai portando via le frangia dal viso.
"Nate è l'unico per ora. A proposito, grazie di averci parlato."
"Sappiamo tutti e due che Nate sarà sempre dalla tua parte, ma sai anche che ti serve un alleato. Qualcuno che venga in tua difesa e che faccia la voce grossa ogni tanto. Wolfe è prepotente e, quando è arrabbiato, anche cieco. Per fargli tornare la vista bisognerebbe prendere a sberle quel suo bel faccino." Mi spiegò con una punta d'astio sul finale. Gabriel aveva ragione ma ometteva un dettaglio.
"Gli Hastings non litigano fra loro." Gli ricordai sconfitta.
"Nessuno dice che debbano farlo. Solo aprirsi gli occhi a vicenda" lo sentii mentre si strofinava le mani sul viso, afflitto da quella situazione quanto me.
"Non dovevo venire a New Haven, Wolfe non era pronto a gestire tutto." Disse subito dopo.
Fui inorridita da quell'ammissione di colpevolezza, non era a causa sua se a casa nostra si rendeva necessaria la presenza di un capo.
"Wolfe non l'hai scelto tu, lo abbiamo fatto noi." Feci una pausa per farlo familiarizzare con la verità, prima di continuare "i capi non si impongono, si scelgono."
Gabe ridacchiò "per quanto possa valere, io scelgo te."
"Non sono migliore di nessuno, mentre io andavo alla Haute Couture di Parigi, loro sono rimasti qui: a raccogliere i cocci. Ho le mie colpe Gabe." Provai a ricordargli, non mi piaceva l'idea di scrollarmi di dosso i miei peccati. Non faceva parte di me.
"E riconoscerle ti rende più adulta di tutti noi" tuonò sincero.
Continuammo a conversare per altri cinque minuti, mi chiese di stare attenta e di fargli sapere se mi fosse servito qualcosa. Gli promisi che la prossima telefonata sarebbe stata dedicata completamente a lui. Non volevo appesantirlo ancora con i miei problemi. Gabe e Brooks avevano la loro buona dose di preoccupazioni, tra la laurea l'anno seguente e l'ingresso nell'impresa, ci stavano facendo un favore enorme.
Invece di rallentare avevano premuto il piede sull'acceleratore per permettere a tutti noi di fare le nostre scelte, senza avere il fiato sul collo da parte del consiglio di amministrazione. Zio Killian aveva bisogno di aiuto per muoversi in quel branco di arpie e i maggiori di casa avevano accettato.
"Buonanotte fratellone"
"Buonanotte cucciolo."
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