34. il fiore del male

Ci vediamo in fondo al capitolo.


FIORE 1: «Quindi sei erbaccia!»
FIORE 2: «È erbaccia!»
FIORE 3: «Erbaccia delle peggiori.»

Alice nel paese delle meraviglie.

§§§

Cinque giorni senza giornalisti.

Cinque giorni interi senza doversi preoccupare di avere gli occhiali da sole nella borsa o un cappellino appoggiato ai sedili posteriori della macchina.

Cinque giorni interi senza Wolfe, che da quando mi aveva lasciata a casa dopo la commemorazione era sparito senza farsi più vedere.

Io gli avevo scritto, due volte.
Lui non mi aveva risposto, nessuna delle due.

Al diavolo il lupo del Beau Soleil.

Ronnie mi sfilò davanti, appoggiando il vassoio sul tavolo in marmo chiaro del cortile esterno. Era una bella giornata ed avevamo usato quella scusa per stare all'aria aperta.

"La partita di football inizia alle sei, subito dopo Mckenzie darà una festa per la vittoria." M'informò.

Cheryl inclinò la testa, lo sguardo vacuo. "O per la sconfitta."

"Wolfe torna a giocare, oggi. I Rams non contemplano di perdere." Disse Veronica, infilzando i piselli nel piatto con la precisione di un chirurgo estetico.

Io brontolai, spingendo lo yogurt al centro del tavolo. "Buona fortuna, allora. Wolfe non si vede da giorni, zio Killian è preoccupato."

"Gli altri non sanno dove possa essere?" Indagò.

Uno sbuffo uscì fuori dalle mie labbra corrucciate. "Sanno benissimo dove si trova, solo che non vogliono condividere questa informazione."

"Tornerà in tempo per la partita e per la festa." Disse Cheryl, così risoluta da farmi dubitare se anche lei fosse a conoscenza della sua posizione.

Probabilmente lesse i dubbi incastrati fra le mie ciglia e scosse le testa. "Non fare quella faccia cocciuta, non so dove sia."

"Piuttosto..." avanzò Ronnie, "novità sulla tua vita di coppia?"

Fraintesi e mi voltai verso Cher, quando capii che la domanda era rivolta a me strabuzzai gli occhi. "Io non ho una vita di coppia."

Entrambe ruotarono gli occhi al cielo. "Alister, Logan, Wolfe... hai tre coppie tra cui scegliere."

"Alister ormai mi detesta, Logan lo conosco appena e Wolfe a stento riesce anche solo ad immaginare di perdonarmi, figuriamoci pensare ad una vita di coppia." In realtà non ci aveva pensato nemmeno prima della mia partenza, quindi non vedevo ragioni per cui potesse farlo in quel momento. L'unica cosa che voleva da me era sesso e forse, solo dopo, un barlume d'intimità come monito dello strascico dell'amicizia che avevamo avuto.

Il problema era che, probabilmente e la probabilità era estremamente alta, io gli avrei dato esattamente quello che voleva.

Ronnie mi scrutò attentamente, alterando un sorriso astuto ad uno sagace. "Sei arrossita, Blake Cordelia. Perché?"

Mi schiarii la voce. "Non è vero."

"Lo è, parla." Ammicò Cheryl.

Riflettei sulle mie due possibilità, raccontargli il mio dubbio amletico oppure sperare che una risposta evasiva potesse bastargli. Optai per la prima.

"Inutile nascondere che Wolfe mi piaccia ed in qualche modo malato, anche io piaccio a lui, ma so per certo, per certo, che se tra noi due nascerà mai qualcosa, sarà il fiore del male."

"So che pensi di avere una certa affinità con maledetti, ma spiegami, questa convinzione da dove nasce?" Domandò Ronnie.

Scossi la testa. "Non lo posso spiegare, Wolfe è... complicato."

"Irresistibilmente, complicato. Vorrai dire." Aggiunse Cheryl, io le scoccai un'occhiata all'astio.

"Irresistibile." Tuonò una voce familiare. "Mi avete chiamato?" Ammiccò il ribelle Hastings, lanciando un mucchio di fogli sparsi sul tavolo.

Lo guardai sottecchi, quasi infastidita dalla sua intromissione, con Noel nei paraggi non avrei certo potuto parlare delle mie idee strampalate su quella sottospecie di sentimenti che provavo per suo fratello.

"Non hai la pausa più tardi, oggi?" Avanzai sbirciando l'ora sul cellulare.

Noel sbuffò. "Letteratura è saltata."

"Non è vero." Precisai. "Nate è a lezione."

Alzò le mani in segno di resa. "Miss.Gallager mi ha cacciato perché non credeva che questo fosse il mio quaderno di letteratura." Disse sconvolto, indicando il groviglio di scarabocchi.

"Infatti non lo è, quello è il tuo quaderno, se così possiamo chiamarlo, per ogni materia." Sibilai.

"Astuta." M'indicò in un primo momento, poi gli occhi gli lampeggiarono. "Ah! Martha mi ha detto se potevi raggiungere lei e la Coach in palestra."

"Martha?" Domandai.

Lui annuì. "Esatto, capelli castani, corti, frangetta... Martha."

"Margot! Cretino." Sospirai.

Lui rubò lo yogurt che avevo abbandonato alla sua indegna sorte, ne mise due cucchiai in bocca. "Si, lei. Ha detto che era urgente. Fossi in te trasporterei la tua bella testa dedicata a Wolfe al piano di sotto."

Strozzai un sorriso e mi voltai verso le altre. "Continuiamo dopo la nostra conversazione?"

E entrambe annuirono ed io, raccolta la borsa, mi allontanai dai loro brontolii.

Scoprii, mio malgrado, che la coreografia con la quale avevamo programmato di esibirci per la partita con i Ravens non fosse abbastanza scenica. La coach ci aveva chiesto di trovare un espediente per coinvolgere maggiormente i tifosi, così dall'ora di pranzo fino alle cinque, mi ero ritrovata a dover gestire quella situazione spiacevole, oltre che i miei pensieri aggrovigliati.

"Perché devo occuparmene io?" Avevo chiesto, cercando in qualche modo di togliermi da quell'impaccio.

La coach non aveva battuto ciglio, lavandosene le mani con una semplice affermazione. "Sei una cheerleader e la rappresentate degli studenti, metti su un comitato straordinario e inventati qualcosa."

Così, mi ero ritrovata a scaricare qualche ordine qua e là ed a radunare quante più persone disposte ad aiutarmi. Ricattare i miei fratelli e gli Hastings per costringerli a venire in palestra era stato facile, subito dopo l'intero spazio era stato invaso da ragazze apparteniti a qualsiasi anno di corso.

Sospirai, pensando che stessero buttando un bel venerdì pomeriggio per stare con quei vandali, invece che di abbronzarsi sui lettini del Mint's.

Bah, le chiamavano scelte.

"A che punto siamo qui?" Domandai a Cole e Dorian, circondati da un gruppetto di primine su di giri. Le ragazze ammutolirono all'instante.

Mio fratello prese la parola. "Abbiamo quattordici cartelloni, per adesso."

Sbiancai. "Solo quattordici?"

Cole annuì ed io li fulminai, ondeggiando con le mani. "Ne voglio almeno il doppio nella prossima mezzora, vedete di sbrigarvi o mi reputerò innervosita." Mi guardai bene dall'incenerire le tre ragazze, che annuirono riportando l'attenzione sul tavolo da lavoro rubato all'aula di arte.

Passai al gruppo successivo e mi appoggiai al tavolo, quasi esausta di dover stare a tutti con il fiato sul collo.

"Come procede?" Brontolai, incrociando le braccia sul petto ed appoggiando la testa sulla spalla del mio gemello.

Sentii il suo viso muoversi appena in una smorfia. "Abbiamo finito lo striscione."

"E?" Lo invitai a continuare, ma lui rimase ammutolito. Non guardai in faccia lui, ma le ragazze davanti a me. "Avete fatto solo lo striscione?"

Mi rispose una di loro, Trinity o almeno così mi ricordavo. "Abbiamo provato a fare anche i cartelloni, ma sono venuti così male da essere inutilizzabili."

Alzai gli occhi al cielo. "Dovete colorare dentro i bordi, Trinity. È una cosa che s'impara alle scuole elementari." Poi mi specchiai nel viso di Nate. "Venti cartelloni. Hai un'ora."

Mentre mi allontanavano per procedere con la perlustrazione, due mani si appoggiarono rispettivamente sulle mie spalle.

"Ecco Mimì e Cocò, stavo proprio venendo da voi." Chiarii, guardando Charles ed Oliver.

Il secondo arricciò la bocca e mise le mani avanti. "Ne abbiamo fatti ventisette, con la pittura spray abbiamo ridotto i tempi, ma ora dobbiamo andare. La partita inizia fra un'ora e noi abbiamo il riscaldamento."

Feci un cenno con la mano. "Siete comunque stati migliori degli altri. Andate."

"Ahem..." borbottò Oliver, "sai dov'è finito il nostro quarterback?"

Feci spallucce. "Se lo avessi saputo, lo avrete visto piegato su uno di questi tavoli a sporcarsi le dita di pittura."

"Merda, Mr. Morris non la prenderà bene." Charly ragionò ad alta voce.

Io mi costrinsi a rispondere. "Bene, magari è la volta buona che impara a comportarsi in modo civile." Mi guardarono entrambi di sbieco e si allontanarono a passo svelto, risalendo le scale verso gli spogliatoi.

Cinquanta minuti dopo, avevo lo striscione ed i cartelloni che mi servivano per animare il pubblico durante la partita. Così, mi posizionai sul bordo del campo, Noel stava provando degli scatti con Charles ed Olly, il Coach sbraitava agli spalti.

"Dove diavolo è Wolfe Hastings?" Berciò a suo fratello, che che sebbene avesse il fiatone non riuscì a evitare di dirne una delle sue. "Non ci teniamo sempre per mano come due ragazzine. Lo chieda a lui, quando arriva."

Lessi sul volto di Morris la voglia matta di strangolarlo, ma si ostinò a dargli le spalle, con il volto paonazzo e lo sguardo puntato sull'orologio.

Dieci minuti al fischio d'inizio e il lupo del Beau Soleil non ci aveva ancora degnato della sua presenza.

Ruotai su me stessa e marciai sul selciato nella direzione opposta del campo, diretta verso gli spogliatoi, attraversai la palestra con uno strano presentimento affossato nello sterno e salii le scale due e due, sorpassando gli spogliatoi femminili e poi infilandomi nelle doppie porte che conducevano a quelli maschili, nella speranza che nessuno mi vedesse.

Senti dapprima il rumore dell'acqua, seguito da un verso gutturale e dallo schianto dell'armadietto in legno di ciliegio.
Svoltai l'angolo per trovarmi la mia condanna fra gli Hastings, la bella vista della schiena muscolosa indegnamente svestita e ripiegata sul lavandino, le nocche sbiancate e malconce che ne stringevano il bordo.

Wolfe mi adocchiò nello specchio, ma non si voltò per esprimere il suo ordine. "Esci."

Mimai di no con la testa. "Ero preoccupata, si può sapere dove ti sei cacciato?"

"Ora sai come ci si sente." Snocciolò in una risata amara, armeggiando con una confezione di pillole ed una bottiglietta d'acqua.

Avanzai di un passo. "Che stai prendendo?"

"Ti ho detto di uscire. Ora." Parlò a denti stretti, mandando giù due pillole in un sorso solo, al tempo stesso io ingoiai le mie colpe rinfacciate.

Mi avvicinai ancora. "Ti ho fatto qualcosa per meritarmi di essere trattata così? Perché se non sbaglio, sei tu quello che è sparito, questa volta."

Invece di rispondermi, afferrò la maglietta appoggiata al bordo del lavandino e se l'infilò sui capelli mossi e bagnati che gli ricadevano selvaggi sulla fronte. Sebbene fosse stato veloce, feci in tempo ad accorgermi delle chiazze viola sul fianco destro.

Sobbalzai, scattando in avanti. "Dio, Wolfe. Che hai combinato?"

Si voltò giusto per bloccare le mie braccia, ma quella volta fui più veloce di lui e sfruttai la mia statura per passargli sotto, alzandogli la maglietta.

Dovetti tapparmi la bocca con le mani per non strillare. Lo stomaco e le costole erano dipinte di nero, assimigliavano all'affaccio pericolante su un pozzo profondo, il pettorale destro squarciato e mal rattoppato con dei punti messi alla buona, come una bambola di pezza tenuta insieme da qualche filo sfilacciato e scucito, il sinistro sfregiato da unghiate e graffi più superficiali.

Persi trecento battiti ed il secondo dopo ne guadagnai seicento, il mio cuore balzò in gola per lo spavento e poi cadde malamente nello stomaco, contorcendomi l'intestino.

Wolfe mi guardò con asprezza. "Ti avevo detto di uscire."

Con delicatezza appoggiai i palmi sul suo stomaco livido pesto, i polpastrelli camminarono in punta di piedi attorno alla pelle martoriata, ma le sue mani, prive di leggerezza, strozzarono i miei polsi, costringendomi a guardarlo.

Mi costrinsi a raccogliere quanta più ragionevolezza potessi avere, a non andare nel panico alla vista della cattiveria sfogata sulla sua pelle.

Feci per aprire la bocca, ma non uscì nemmeno una parola, così, in quell'attesa di silenzi ed occhiatacce, la sua si schiantò sulla mia succhiando tutta l'aria dai miei polmoni.

E fu il bacio più avido di sempre.

Un bacio egoista e scaltro, che prendeva di me quello che reclamava da sempre e non mi lasciava che briciole di autocontrollo. La sua lingua, una frusta sulla mia e le labbra che schioccavano o succhiavano senza alcun ritegno.

I nostri piedi s'incastrarono gli uni negli altri, i suoi che andavano avanti ed i miei obbligati a battere ritirata. La schiena picchiò gli sportelli gelidi degli armadietti e il lupo si piegò su di me, issandomi da terra per farmi aderire meglio alle sue eccitazioni. Ondeggiavamo ostinati l'una sull'altro come se il tempo si fosse bloccato, come se sotto quel piacere atroce lui non stesse provando altrettanto dolore.

La gonna pantalone della divisa sportiva, già troppo corta di suo, mi risalì sulla curva del posteriore, arrotolata nel suo pungo, lasciando spazio solamente alla culotte sottile che si appoggiava su di lui come una barca sulle onde di un mare in tempesta e le mie dita s'inzupparono nei ciuffi bagnati e lo avvicinarono.

Più vicino,

Più vicino,

Sempre più vicino.

Anche io volevo essere egoista, abbandonandomi a quella danza di scappatoie e vivacità. Le sue mani si spostarono entrambe sulle mie natiche, attirandomi in quella rete di desideri proibiti e scandalosi avvenimenti.

Mi mangiò il respiro ed io glielo diedi, pretendendo il suo in cambio.

E poi percepii il ringhio rauco sulla pelle della clavicola ed il suo eco perpetrarsi nello stomaco. I suoi dolori divennero gemiti nelle mie orecchie, mescolati ai miei sospiri quando le sue dita trovarono la scappatoia sotto la mia culotte e s'infilarono dentro di me.

La mia testa volò indietro, battendo in un frastuono sul legno di ciliegio. Venni trascinata da quel gioco così eccitante da rendermi fin troppo disinibita.

Io, nello spogliatoio dei maschi, con un Wolfe Hatings martoriato fra le gambe e devoto al provocare piacere ad entrambi.

"Così stretta." Ragliò infuocandomi le clavicole, abbassando il top quando bastava per infilarci le mani dentro ed afferrare il seno. Poi ancora. "Solo per me."

I suoi occhi stalattiti nei miei, mentre le dita giocavano con i miei punti più deboli e sensibili.

Mi avvinai al suo orecchio, imitando i suoi gesti sulla mia pelle, lo stesso tono zuppo di promesse e inebriato dal suo profumo.

"Qualcosa mi dice che invece ho fatto bene a restare." Strascicai baci e piccoli morsi.

Allungai la mano quando bastava per raggiungere i suoi pantaloni, eludere i bottoni ed accarezzare esattamente quello che volevo per tutta la sua lunghezza.

Le dita di Wolfe si strinsero attorno alla mia gola con delicatezza, piantandomi all'armadietto. Inclinai il bacino e mi spostai sulla sua mano, assecondando ogni desiderio urlante del mio corpo ed i suoi piccoli colpi veloci e poi più lenti.

Sorrise appena, vittorioso. "Questo non me lo aspettavo."

"Posso sempre smettere, se vuoi." Il divertimento si dipinse sul mio viso.

Sul suo, la dedizione al comando. "Voglio che continui e che mi guardi negli occhi mentre vieni con il mio nome nella gola."

M'inarcai su di lui. "Sarai tu ad urlare il mio nome questa volta."

Wolfe non fece altro che velocizzarsi ed il tempo si fermò di nuovo solo per noi, entrambi noncuranti della canzone stonata che stavamo intonando l'uno all'orecchio dell'altra, preoccupandoci solo della nostra pelle che si sfregava, delle nostre bocche che si cercavano con egoismo, dei nostri sensi che si mescolavano in un climax di piacere ritmato.

Le mie unghie gli si conficcarono nel braccio ed il mio corpo si abbandonò al traguardo, permettendo ai muscoli di contorcersi e distendersi, mentre le mie mani continuavano a muoversi su di lui.

"Cristo, Blake." Ringhiò una volta che rallentai il ritmo e sganciai le gambe dalle sue sensibilità. Poggiai piedi per terra, abbassandomi quando bastava per sentire il marmo ghiacciato entrare in collisione con le ginocchia.

Volevo fare quello di cui tutti mi avevano tanto parlato, qualcosa che fosse per lui ed anche per me stessa. Perché avevo il potere di farlo e perché volevo prendere quello che desideravo.

Mi aiutai con le mani, con la bocca e lo sentii muoversi sulla lingua, le sue dita impegnate a raccogliermi i capelli, i suoi occhi luccicavano nei miei.

Ansimò, quasi pronto ad abbandonarsi completamente. "Spero per chiunque che sia la prima volta che lo fai, che tu abbia un talento naturale."

Mi staccai per un secondo, assaporando il suo sapore sulle labbra, crogiolandomi un pochino in quella tossica idea che mi volesse solo per lui, il potere di sapere che lo avrei fatto impazzire se solo lui avesse provato a far impazzire me.

Sorrisi a mezza bocca, lasciando che la mano si muovesse più lentamente, che nei suoi occhi s'insinuasse la spina del dubbio.

Poi ricominciai, senza rispondere.

"Alzati." Mi esortò subito dopo e sapevo che stava per raggiungere il climax, lo sentivo da come le sue mani si contorcevano fra i miei capelli e dal mondo in cui li avevano strattonati, dai piccoli spasmi dei muscoli delle gambe o dal respiro affannato, da quel ringhio gutturale che mi avvisava del piacere immenso che gli stava scorrendo nelle vene.

Non mia alzai ed ebbi la mia conferma nell'immediato, i suoi umori mischiati ai miei nella bocca.

Quello che successe dopo, invece non riuscii a prevederlo.

Le ginocchia per aria, le sue braccia marchiate che mi tiravano su dalle spalle, la smorfia di dolore sul suo viso e poi le sue mani sulla mia vita mentre mi posizionava seduta a cavalcioni sulla panchina di fronte gli armadietti.

Sebbene gli fossi seduta sopra, mi superava di più di una testa e po m'inglobò completamente.

Si piegò su di me, appoggiando il mento alla mia nuca, le braccia che mi stringevano sempre più stretta. Aveva piantato il mio viso contro il pettorale meno malconcio, mentre il suo era perso sull'armadietto dove avevo giaciuto poco prima.

"Voglio sapere chi ti ha picchiato." Esordii, strofinando il naso sulla pelle calda.

Lo sentii irrigidirsi sotto la mia guancia. "Non ho tempo, la partita è già iniziata ed io avrei già dovuto chiamare le posizioni."

Strabuzzai gli occhi e mi allontanai per guardarlo in faccia. "Non puoi giocare a football conciato così."

Il lato destro della sua bocca si arricciò appena. "Ti ho fatto venire, conciato così, appesa addosso a me e all'armadietto che non guarderò mai più allo stesso modo."

Mi alzai da lui, dandogli le spalle.

Era di pessimo umore, c'era da aspettarsi un comportamento del genere.

Mi voltai verso il lavandino, afferrando la boccetta di pillole che aveva lasciato incustodita. La studiai prima di lanciargliela appresso. "Con tutto l'antidolorifico che hai preso non sentirai nemmeno il momento in cui ti placcheranno, facendoti saltare quel rattoppo che qualcuno ha spacciato per dei punti."

Wolfe sorrise subdolo. "Non preoccuparti per me."

"Non mi preoccupo per te, spero che tu le prenda ancora su quelle fottutissime yard." Dissi velenosa, scattando verso l'uscita.

Wolfe scattò dalla panchina, con due falcate uscì dalle doppie porte, ma io mi trovavo già sul fondo delle scale.

"Dove stai andando?" Berciò, accelerando il passo per seguire il mio.

Non mi voltai nemmeno. "Non sei l'unico che ha da fare."

Uscii dalla porta che dava sulla cima degli spalti con Wolfe alle calcagna, scendevo le scale pestando i piedi sulla struttura e poi una volta attraversata tutta, sul selciato.

Mille occhi si direzionarono su di noi e non sapevo nemmeno cosa avrebbero visto. Probabilmente i miei capelli erano aggrovigliati e le guance paonazze, ma Wolfe sembrava impeccabile sebbene il suo corpo fosse ridotto ad uno straccio, il viso sprizzava determinazione e superiorità.

Il fatto che fosse ridotto a brandelli sul torace e che invece il viso fosse illeso, mi preoccupava ancora di più. Era un modo subdolo di colpire, quasi invalidante per i movimenti, ma rendeva impossibile anche l'occhio più attendo di rendersi conto delle ferite zelate sotto al vestiario modaiolo.

Quella storia male odorava di Fire e di Brentwood, di pasticci irrisolti e scaduti, di bugie ingorde e verità ustionanti.

Raggiunsi il resto delle cheerleader.

"Abbiamo dovuto aprire senza di te. Ti sei persa il momento in cui tutti hanno tirato su i cartelloni che avevamo preparato." M'informò Margot dispiaciuta, poi sporse la testa all'ombra cinerea alle mie spalle. "E senza di te..."

Wolfe le impedì di continuare la frase, tirandomi il gomito indietro verso di lui. "E ne farete a meno per i prossimi due minuti."

"Mi hai già detto quello che volevi dirmi, ovvero niente." Sibilai, lasciando andare alla sua presa.

Il lupo del Beau Soleil mi spinse verso le gradinate, dove tutta la prima fila stava assistendo alla nostra conversazione. "Non capisco questa reazione..."
"Non è il momento di parlarne." Dissi, fulminandolo.

Wolfe strinse la mascella. "Io non sono d'accordo."

"Ma non avevi da fare?" Lo incalzai, buttando lo sguardo verso il campo ed attirando l'attenzione del Coach dei Rams. "Mr Morris! C'è Wolfe." Strillai.

"Disgraziato di un Hastings." Mimò con la bocca, indicandogli di sedersi in panchina.

La mia mano gli colpì il petto sul lato buono, due volte. "Ci vediamo dopo, lupetto."

"Ci conto." Affermò con sicurezza, ripiegandosi sul mio viso, gli occhi azzurri distesi in lande desolate di ghiaccio e venti gelidi. Parlò al mio orecchio, promettendomi una vendetta lenta e dolceamara. "Ciao bambina."

Wolfe giocò solo dal secondo quarto, durante il primo il Coach lo aveva obbligato a riscaldarsi.
Wolfe aveva parlato ad altissima voce e senza preoccuparsi di distogliere lo sguardo predatorio dalla mia figura minuta ed ora adirata.
"Non si preoccupi, sono già caldo." Aveva decretato, parlando più con me che con lui.

Inutile discutere delle occhiatacce che mi aveva rifilato mezzo il corpo studentesco, pazzesco, almeno stando ai fatti di quel momento i tabloid non ci avrebbero speculato.

Riconobbi l'esatto momento, al decimo minuto dell'ultimo quarto, in cui i punti cedettero. Lo capii dal modo in cui la mano sinistra aveva indugiato il pettorale destro per assicurarsi che la maglietta non fosse imperlata di gocce cremisi.

Cinque minuti, aveva solo cinque minuti da giocare per portare la vittoria a casa ed evitare un incidente scandaloso.

Di quello si che avrebbero parlato i giornali, spacciandola per cronaca invece che fabbrica del pettegolezzo.

"Che ha il lupo?" Chiese Ronnie, scrutando i suoi movimenti rallentati.

Scattai verso Nate, seduto poco distante, prima di rispondere. Mi accovaccia per sussurrargli all'orecchio.

"Chiama il papà di Skippy, digli che è urgente e di farsi trovare a casa tra venti minuti, ma non deve bussare. Dopo devi chiamare Tata V., le dici di farsi trovare con il Golf Kart all'entrata del cancello perché aspettiamo qualcuno e di farlo aspettare in libreria. Appena la partita finisce devi prendere Wolfe ed infilarlo in macchina, hai capito?"

Il mio gemello spalancò gli occhi. "Che è successo?"

"Non lo so di preciso, fai solo come ti ho detto. Se oppone resistenza chiama Dorian e Carter, ti aiuteranno a farlo entrare in macchina." Mi voltai, solo per tornare sui miei passi subito dopo. "Ah! Se gli prescrive delle medicine, mandami la ricetta. Le compro prima di tornare a casa."

Mi alzai e giusto in tempo per sentire il fischio finale, buttando uno sguardo al tabellone riuscii a capire, che ad occhio e croce, avevamo vinto. Saltai sui miei stessi piedi e raccolsi i pon pon dal prato.

"Chiamali, adesso." Ordinai subito dopo.

Mi aggiunsi alle mie compagne per lo spettacolo finale, agitando le braccia e proseguendo con la coreografia, mentre tenevo d'occhio la massa di giocatori che si era creata a centro campo, non riuscivo a vedere la testa corvina. Al contrario, quello che non volevo vedere era il capitano dei Ravens, la squadra in trasferta, avvicinarsi in direzione del nostro gruppo con lo sguardo ferito e rancoroso.

La musica esplodeva dalle casse ed io ricordai di dover prestare più attenzione ai miei passi che a Wolfe Hastings.

"Uno - due -Tre e quattro -" Ronnie teneva il conto per tutte ad alta voce. "Blake, salta all'otto."

Annuii. Le mani di Cheryl mi si piazzarono sul fianco destro, quelle di Margot sul sinistro, appoggiai le mani sui loro avambracci, pronta a darmi la spinta come le altre cinque coppie nelle stessa formazione triangolare.

Veronica concluse il conteggio. "Sette- Otto!"

Le mie amiche mi spinsero verso l'alto, io buttai il peso poco sopra i loro polsi e schizzai in aria con le braccia inchiodate alle gambe con la superoclla della paura di cadere, il corpo in tensione. Girai tre volte su me stessa e assieme al mondo prima di atterrare a gambe divaricate sui palmi alzati delle mie compagne, le mani in posizione d'arrivo verso l'alto.

"Uscita!" Le avvisai, e così mi sospinsero ancora verso l'alto, molleggiando sulle braccia, dopo si prepararono a raccogliermi dal retro delle ginocchia e dalle spalle.

Non appena i miei piedi furono per terra mi sentii più sollevata.

Voltai la testa verso l'uscita, sperando d'intravedere il mio gemello, aiutato da Dorian e Carter, trascinare Wolfe in direzione Bel Air.

Ovviamente, non è quello che vedei.

Al contrario, scorsi il lupo del Beau Soleil piazzato di fronte a Darby Clemonte, il quarterback dei Ravens. Il tipico sorriso a mezza bocca e appena arricciato sulla guancia sinistra, quell'unica a sola fossetta impudente pronta a prendersi gioco del suo interlocutore. A preoccuparmi, però, era il modo in cui gli occhi si erano ristretti, resi imperscrutabili dalle ciglia abbastanza scure da scolpire ogni tratto del viso, indurirle e le spalle leggermente ripiegate verso il basso o il modo in cui le braccia si erano stese ai lati delle gambe in una posizione innaturalmente rigida.

Inveii, inghiottendo la voglia di strangolarlo per non aver abbandonato la voglia di litigare nemmeno in quella disgrazia situazione.

Sorpassai il gruppo di cheerleader che avevo davanti e mi mossi a serpentina sul tappeto di studenti che ci divideva. Quando li raggiunsi riuscii ad orecchiare uno strascico di conversazione.

"Dai, Hastings. Non ti ho chiesto nulla di grave, volevo solo sapere se potevo accedere al tuo stesso tipo di riscaldamento, a quanto pare ha funzionato a dovere." Darby lo stava provando, i suoi compagni sghignazzarono.

Mi morsi il labbro, consapevole che stessero parlando di me per colpa della battuta che lo stesso Wolfe aveva fatto poco prima. Lo maledissi, ma mi avvicinai comunque, ricordandomi la conversazione che avevo origliato qualche tempo prima nello studio di zio Killian. Si trovava in una situazione precaria e considerato il malumore con cui lo avevo trovato quel pomeriggio, avrei scommesso che sarebbe riuscito a renderla definitivamente irrecuperabile.

M'inserii nella discussione con una scusa, guardai direttamente il lupo del Beau Soleil.

"Mi accompagni a casa? Voglio cambiarmi prima di andare ala festa di Mckenzie." Blaterai.

Lui m'incenerì e basta, capendo quello che avevo intenzione di fare. "Aspettami alla macchina."

"Ho fretta." Gli ricambiai lo sguardo.

Darby s'intromise fra di noi, gli occhi verdi lampeggiarono di divertimento quando si scostò i capelli biondo Miami dalla fronte. Era bello e ne era consapevole, ma era anche altrettanto stupido e possedeva sicuramente tendenze suicide.

"Ciao, Blake." Sorrise.

Alzai un sopracciglio, senza impegnarmi per rivolgergli la stessa finta cortesia. "Darby."

"Stavo facendo i miei complimenti a Wolfe, ma forse dovrei farli anche a te. Mi piacerebbe sapere se sei disposta farmi vedere il tipo di riscaldamento che hai fatto con lui." Sorrise ancora, in modo così innocuo da renderlo perfino più insopportabile.

Socchiusi gli occhi, spiegando di lato il piccolo passo che Wolfe aveva fatto alla mia sinistra, come una piccola marcia che pregustava altre unghiate. Mi spostai anche io, dandogli le spalle. Nel frattempo il gruppo mischiato di studenti delle due scuole stava gravitando intorno a noi, disponendosi a semicerchio. Alcuni ridevano, altri rimanevano ammutoliti e con gli occhi spalancati.

Sogghignai, la voce ridotta ad un bisbiglio. "Non penso tu riesca a reggere quel tipo di sforzo."

Wolfe mi tirò indietro per l'avambraccio, io mi levai dalla sua presa e poi Noel fece il suo ingresso trionfale, posizionando un braccio muscoloso sulle spalle di Darby, che non represse la sua voglia di farsi ammazzare.

Mi guardò, ammiccando. "Immagino che solo gli Hastings possano."

"E questo cosa vorrebbe dire?" La domanda mi scappò prima che potessi fermarmi a riflettere.

Mi guardò trionfate. "Su, lo sanno tutti. Te li fai insieme oppure separatamente?"

Successe tutto nel giro di una frazione di secondo: gli occhi di Noel guizzarono, mentre stringeva il collo di Darby tra il gomito ed il bicipite, trascinandolo verso il basso, Wolfe mi tirò definitivamente dietro di lui per raggiungere il fratello e scansarlo dal quarterback dei Ravens. Afferrò con la mano già lividita il retro della nuca di Darby, strizzandola per puntarla in direzione del suo ginocchio.

"Ora ti rompo questa fottuta mascella, vediamo se non la smetti di dire cazzate."

Strillai. "No, Wolfe!" Era più che pronto a colpirlo e lo avrebbe fatto, se non fosse stato placcato e preso alla sprovvista dal mio gemello.

E a quel punto fu il putiferio, il lupo del Beau Soleil e Nate rotolarono sul campo.

Wolfe imprecava contro mio fratello, probabilmente sia a causa del dolore che della rabbia obliterante che gli aveva pervaso la testa. "Levati dai coglioni, Nate."

Non seppi nemmeno da dove il mio gemello aveva tirato fuori quell'ostinazione, lo teneva fermo immobile sulla linea delle cinquanta yard, probabilmente se il lupo non fosse stato infortunato, non ci sarebbe riuscito.

Noel non si fece sfuggire quell'opportunità e caricò il peso sul piede destro, buttandosi in avanti e come un ariete verso Darby e gli fu addosso. Mosse la braccia velocemente, riuscivo a vedere ogni colpo assestato, tutti i pugni che gli diede sul viso, qui pochi che caddero sul suo.

Li senti come se fossero miei, direzionati all'orgoglio oppure al senno disperso.
Ai ricordi.

Darby rivoltò la situazione e rotolò in modo da spostare Noel sotto di lui, vidi il sangue colargli giù dal naso in un rivolo gonfio e acceso, che macchiava l'arco di cupido ed impregnava il rosa pesca delle sue labbra, il livido sullo zigomo già quasi visibile. Divenne tutto un replay, un film dell'orrore che avevo già visto una volta. Il cuore martellò nel mio petto premendo verso la cassa toracica, voleva uscire e scappare, strillare e sfogarsi, forse chiedere aiuto, forse rinnegare di averne davvero bisogno.

I piedi mi si mossero con il pilota automatico, veloci ed intenzionati a saltare addosso al quaterback dei Ravens.

"Ferma!" Strillò il mio gemello, ma non lo ascoltai. Non avrei permesso a nessuno di far male alle persone a cui volevo bene, non a Noel e non di nuovo, davanti a me come un'inerme debolezza vagante.

Non potevo lasciare che accadesse.

Ero a più di metà strada, pronta a buttarmi a peso vivo sulla schiena di Darby, ma il braccio muscoloso ed affusolato del mio gemello mi si avvitò attorno alla ai fianchi. Mi fermò.

Con la coda dell'occhio vidi Wolfe scattare verso il punto in cui il quarterback e suo fratello stavano impregnando la cinquantesima yard di violenza antisportiva.

Nate mi dedicò uno sguardo amareggiato. "Se devo scegliere fra te e lui, io scelgo te."

Ci fu un boato di voci.

Alcuni imprecarono.

"Cazzo, questo fa male." Esclamò inorridito Oliver, in prima fila nel cerchio in cui ci trovavamo.

Mi voltai solo per assistere alla scena in cui Wolfe issava Darby dal corpo del fratello con il braccio buono, vidi volare il destro sul mento del quarterback, che emise uno strano crack innaturale.

"Fai qualcosa!" Strillai a Nate.

Lui scosse la testa. "È troppo tardi, non possiamo farci più niente."

Troppo tardi, lo era davvero? Se mio fratello avesse avuto ragione, ci sarebbe stato un processo questa volta.

Possibile che nessuno si fosse intromesso, che nessun adulto fosse rimasto nei paraggi per abbaiare qualche ordine? Era più portabile che nessuno si volesse mettere in mezzo ai fratelli Hastings.

Chiusi gli occhi quando la mano chiusa di Wolfe colpì ancora la mascella di Darby, non si sarebbe mai fermato, non da solo.

Due giocatori dei Ravens presero Wolfe dalle spalle, uno dei due appoggiò la mano proprio sul pettorale destro, dove i punti si erano strappati. Wolfe quasi gli ringhiò addosso, un misto tra dolore e rabbia. Noel si pulì il naso con il dorso della mano, avanzando verso il trio disgraziato.

Li raggiunsi, scansando i due ragazzi e gli presi il viso nel palmo della mano. "Devi ragionare."

Non mi guardò nemmeno, i suoi occhi rimasero incollati alla faccia pesta di Darby che si teneva la mascella con entrambe le mani, sussultando per la pena.

Tirai il colletto della sua maglietta verso di me, la schiena di Wolfe s'inarcò verso il basso, analizzai la guerra rossa che impazzava nei suoi occhi. "Mi stai facendo innervosire."

M'incendiò, le guance rosse. "Tu hai fatto innervosire me. Pensavi di saltargli addosso?"

"Pensavo di evirarti un processo." Spiegai a denti stretti.

Afferrò la mano che stringeva la sua maglietta, attorcigliando le dita attorno al polso. "Allora comincia a fare quello che ti dico. Se ti dico vai in macchina, Tu. Vai. In. Macchina." Parlò fra i denti, il tono controllato, ma allo stesso tempo letale.

Quasi mi venne da ridere. "Ah, magari adesso è anche colpa mia."

"Non ho detto questo." Chiarì atono, mangiandosi una smorfia addolorata quando si spinse più avanti, quasi a solleticarmi le guance con il respiro.

Storsi il naso. "Andiamo a casa. Hai bisogno di un dottore."

Rimase apatico. "Sto bene."

"Non è vero." Dissi, scuotendo la testa. Feci perno sulla gamba e ruotai su me stessa, scoccando un'occhiata di rimprovero a Noel. "Con te mi arrabbierò più tardi. Adesso, andiamo."

Li sorpassai, ignorando il pizzicore della pelle nuda, lì dove mille occhi era puntati addosso.

Fossi stata dannata se avrei permesso a Darby di denunciare uno dei due.

Tirai fuori il telefono dalla tasca e parlai prima di sentire la voce dall'altra parte del telefono.

Esordii: "mi serve un favore..."

Angolo autrice:

Grazie di aver letto questi due capitoli. ❤️
Chissà con chi parla Bee al telefono...

Ricordate di votare il capitolo se vi è piaciuto o di farmi sapere cosa ne pensate nei commenti. ❤️

Pareri?❤️

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