32. il ciciarampa ed alice

Angolo Autrice:

Ciao amiche, ciao amici! Come sono andate le vostre vacanze?  Le mie sono state di studio e lavoro, però per ora sono soddisfatta. Gennaio sarà un mese impegnativo, spero di uscirne vincitrice.

Ma ora, parliamo di cose più belle! Innanzitutto ci tenevo a ringraziavi per le quarantamila letture, io mai avrei pensato, un'anno fa, che Dovetail avrebbe potuto raggiungere questo traguardo. Ovviamente per Wattpad non si tratta di grandi numeri, ma per me è davvero stupendo sapere che la storia stia arrivando a tutte queste persone.

Il capitolo 32 è in realtà diviso in due parti, quella che leggete in questa sezione è la prima. Mi sembrava giusto concedere un altro passo a due alla nostra coppia di testardi! Mentre nella seconda parte, entreremo nel vivo della cerimonia e tutta la famiglia HB ci regalerà delle perle e soprattutto...

🥁rullo di tamburi🥁

dei guai!

Ora vi lascio alla lettura, come sempre vi aspetto nei commenti! Magari alla fine vi lascio delle domande.

«Perché a questa bizzarra bambina piaceva molto far finta di essere due persone.»
Da Alice nel Paese delle Meraviglie.

§§§

Il petalo rosso del papavero danzò nella brezza pomeridiana e accarezzò la sabbia, sporcando i granelli timidi di polverina rosata. Così, come in un tempo ormai quasi lontano, il sangue aveva bagnato la strada scura, intriso nello sdrucciolato più ruvido e calloso.

Papaveri rossi, in più che netto contrasto con il nevischio spolverato da quel rifulgente bianco candito, come zucchero filato a forma di nuvole paradisiache.

Brooks appoggiò con delicatezza la mano robusta sulla mia spalla scoperta. "Non so come gli sia venuto in mente di farli mettere lì, è drammaticamente osceno."

Borbottai, nella speranza che nessuno degli ospiti stesse origliando la nostra conversazione. "Nemmeno io."

Strinsi le mani fasciate da piccoli guantini in pizzo bianco sul ventre, le appoggiai solo per smorzare la tensione, poi storsi il naso appena l'occhio mi ricadde su quella rossa nota stonata.

"Basta, io li tolgo." Sentenziai, accaparrando quanta più stoffa perlacea del vestito lungo in seta, per combattere le dune della sabbia nella mia marcia contro il nemico.

Sentii prima lo sbuffo di Brooks, subito dopo i passi pesanti che affondavano nel terreno umido. "Peste, finirai per sporcarti quel bel vestito da bambolina."

Prese in giro il fiocco bianco nei miei capelli e quell'aria da debuttante che mi concedeva l'abito di Ive Saint Laurent. Avevo scelto qualcosa di puro per celebrare la perdita e tappabocchecuciorecchie non avrebbe rovinato tutto con quella macchia di sangue raggrinzita.

Le onde del mare battevano dolci sul bagnasciuga, il vento era mansueto quel pomeriggio e l'aria dalla punta zuccherina solleticava pelle, capelli e ricordi. La televisione nella mia testa aveva scelto il telegiornale, le riprese delle sgommate sull'asfalto e la pozza d'uvaspina in cui si erano fermate le immagini prima di riprendere per orrore i corpi esposti e privi d'anima volata in cielo dei miei genitori.

Strappai il primo papavero senza nemmeno pensarci due volte, lo estirpai con la stessa brutalità con cui Wolfe mi aveva cacciata dalla sua stanza quella stessa notte. Infatti, non appena aveva avuto la certezza che non avrei lasciato la presa sulla questione del Fire, mi ero ritrovata sola a ciondolare nel androne delle nostre camere.

Alcuni avrebbero potuto descrivere il mio come un collasso nervoso, altri come semplice scostumatezza; ma io, Alice, sapevo che d'altronde si trattava di nulla meno che pazzia.

Gli invitati mi guardarono atterriti, come se il mostro delle favole stesse distruggendo la bacchetta magica della fata eroina. I miei fratelli con sospetto e sparpagliati sulla spiaggia, chi con i piedi immersi nell'acqua di sale, chi con le mani occupate a tenere gli ampi calici di moscato, rimanevano sull'attenti e guardinghi, non comprendevano e non s'avvicinavano.

Borbottavano gli ospiti illustri, che poi di lustro avevano solamente il buon nome delle proprie spese e forse poco altro o almeno io non lo conoscevo.

Udii lo squittio della moglie del governatore Winthrop. "Questi ragazzi sono fuori controllo."

Poi il cupo ghino sadico del signor Rethford. "Lo avevo detto che avrebbero dovuto essere seguiti da uno specialista."

All'inizio non li ascoltai, bensì continuai a strappare i papaveri, staccandoli da quella pura innocenza di camelie e crisantemi, l'infilavo nel mio stesso vestito, tenuto a mo' di cesto e legato al polso sinistro.

Non riuscii a frenare la lingua, però, quando la signora Tarton a gran voce si rivolse ad uno specifico di noi. "Concordo pienamente, William. In quella famiglia dilaga una sorta di perversione, non hai letto ciò che scrivono i giornali su Noel Hastings?"

Vipera la signora e la mia bocca le rispose con un sorriso e una puntura. "Ah, Mrs. Non parlerei di perversione quando suo marito è solito spogliare con gli occhi le ragazzine minorenni." Ricordai la cena al country club, come mi aveva guardata e il modo in cui la mia pelle era stata disgustata dallo sguardo lasciavo e lasciato a penzolare sulle mie intimità più nascoste.

Lo sguardo maturo della Mrs. divenne vetro attraverso cui si lessero vergogna e invidia, il mio un trionfo di verità non dette e che avrei ben iniziato a rivelare se qualcuno mi avesse provocata.

"Ma come ti permetti!" Strillò con indignazione, tirando il braccio del marito un po' spaesato ed un po' corrotto. "Insolente e bugiarda."

Come un'ombra, il diavolo mi si posò accanto e gelato come il vento più brutale fulminò me con il suo tocco elettrico e i coniugi Tarton con una stilettata omicida e professionale.

"Siete pregati di andarvene, qui non siete né benvenuti né benaccetti."

"Ecco, ci mancava solo che il pregiudicato si mettesse di mezzo." L'ego di Melissa Tarton parlò al suo posto.

Wolfe sorrise, lo fece davvero, con le fossette imprudenti che spuntavano ai lati della bocca, che sfottevano con malizia chiunque gli fosse davanti e avesse trattenuto il respiro per poi rilasciarsi ad un gemito di sorpresa.

"Non preceda i tempi, Signora. Perché, per ora, non sono stato giudicato. Se fossi in voi andrei via senza fare troppe storie, chissà quali si possano trovare spiattellate in prima pagina quando se ne fanno troppe."

Gli tirai la manica della giacca bianco ottico in preda alla preoccupazione. "Ma che ti passa per la testa!"

"Stai zitta." Mormorò roco e deciso.

Lo lasciai fare.

Melissa s'incupì, in attesa che Lason Tarton prendesse parola, ma non lo fece. Fu lei a continuare la discussione. "Ci stai forse minacciando, ragazzo?"

Il lupo del Beau Soleil sorrise ancora ed io sapevo cosa avrebbe detto, lo sentivo fin nelle ossa che quella sfacciataggine presuntuosa ci avrebbe rovinati, che la violenza raccolta nelle nocche lo reclamava a suon di urla. Lo capivo, che quella macchia color sangue aveva fatto scattare inconsciamente anche lui, che era arrabbiato da giorni e con me e che tutti i pianeti si erano allineati in modo tale da farlo scatenare.

Sibilai. "Non osare a tirare fuori le mani dalle tasche, Wolfe."

La sua testa scattò in direzione della mia, i suoi occhi assaggiarono le tese promesse nei miei. "Non lo picchierei mai."

"Solamente perché è così inetto e goffo che non sarebbe divertente." Sbuffai.

Lui concordò. "Appunto. Ora lasciami fare."

Si voltò appena in tempo. "Assolutamente si."

Ed io trasalii, perché forse, in fondo, quello era persino peggio. Lui continuò ininterrotto, come se tutti i presenti fossero caduti nella rete magnetica firmata Wolfe Hastings, che rendeva i suoi gesti così ammalianti, il suo aspetto così sconvolgente, da far pendere chiunque dalle proprie labbra.

"Lason, il nome: Jane, ti ricorda qualcuno?" Indagò scaltro, puntando lo sguardo d'acciaio nell'altro disperso.

Il signor Tarton scosse la testa. "No, direi di no."

"Allora gliela ricordo io: mora, diciotto anni belli freschi, due occhi grandi e color menta, proprio come il drink che le ha chiesto tutti i giorni, dopo il pranzo, al country club..."

"Finiscila!" Tuonò lui, e se il silenzio non fosse stato già abbastanza assordante a quel punto lo divenne.

Wolfe rise a voce alta, scuotendo il groviglio di onde scure sulla testa. "Oh, Signore, ma io ho appena iniziato."

"Andiamo via, Melissa." Lo sdegno di Lason Tarton si riflettè nella postura diritta, fra le spalle rigide ed i passi legati da movimenti lenti e singolari.

Strappai un altro papavero e lo infilai nella culla setosa dell'abito, ignorando qualunque borbottio sommesso o sguardo pungente.

Pensai solo 'fanculo.

Piedi nudi affondarono nella sabbia attorno a me ed io nemmeno me ne accorsi, nove paia su per giù, si disponevano in una fila alla buona e stortignaccola.

Il secondogenito Hastings riprese a parlare, mani salde e dita attorcigliate nelle tasche del pantalone in lino bianco. "Whintrop, Redfort, fuori anche voi." Sentenziò.

Le famiglie non fecero cerimonie, si allontanarono e basta, così come i papaveri rimanevano ammutoliti sotto il tocco della mia violenza ingiusta.

Noel cercò qualcuno tra la folla, puntò il dito esattamente sull'uomo barbuto e pavoneggiante sulle scalinate che portavano al chiostro allestito.

"Tu!" Chiamò e subito dopo piegò la testa sulla spalla. "Tu!" Disse ancora per cogliere la sua attenzione. "Raggiungi i tuoi amici sfigati."

Gabriel lo prese per una spalla, ammonendolo a fermarsi lì, al il ribelle Hastings, però, poco importava delle lezioni di principio quando aveva trovato una buona scusa per insultare mezza Beverly Hills.

"Naaah." Ridacchiò. "Non ho resistito, non sapevo nemmeno chi fosse."

Poi si voltarono tutti verso di me, nei riguardi delle mie dita macchiate di rosso e verde, ammantate da quella poca e scarsa terra in cui erano nascoste le radici del fiore. Rimasero a studiare i miei movimenti guerriglieri, attorniati da un silenzio maledetto come l'incanto più violento di strega malvagia.

Inchiostro e calli s'intrecciarono sulle mie mani, afferrando l'unico fiore rosso rimasto nell'aiuola. Lo strapparono anche loro, seguendo l'esempio delle fiere mie ed i miei occhi volarono in alto e più alto di una testa, dove pozze azzurre e ora limpide s'immergevano nelle mie d'acqua dolce.

Wolfe sgretolò il petalo, sbriciolandolo fra le dita violente e lasciò che i frammenti dello stesso danzassero nell'aria fino a sfiorare la sabbia chiara. E poi lo fece di nuovo una volta e due e tre volte.

Sentenziò a fior di labbra, dalle quali uscì un ordine secco ed indirizzato all'intero branco.
"Toglieteli tutti."

È così che i miei familiari la smisero di mandare occhiate solerti alle mie dita e armarono le proprie per compiere gli stessi gesti. Si divisero a coppia di due, pronti ad affrontare vasi e cespugli o bouquet e centritavola.

Il lupo del Beau Soleil rimase accanto a me e per un po' non proferì parole, rispettando il mio religioso impegno nel uccidere qualunque chiazza rossa mi trovassi davanti.

E tutti guardarono la ritualità di quei gesti,
E nessuno più osò emettere un fiato nella mia direzione.

All'ultimo fiore raccolto fra la stoffa del vestito, alzai lo sguardo su di lui.

"Ti sei esposto troppo." Ammisi.

Wolfe strinse la mascella ed il baccello fra le dita, poi la scosse. "Che vuoi che me ne importi."

"Non siamo intoccabili, Wolfe. Dovremmo imparalo." Dissi, esplorando i contorni del suo profilo deciso e come la bocca morbida si allacciava alla guancia in una linea obliqua e divertita. Gli occhi si riducevano a spiragli azzurri, affilati come spade argentate pronte a trafiggere lo stomaco di chiunque si fosse intrufolato fra me e lui in quel momento.

"Ti fai troppi problemi." Ancora poche le parole sdrucciolate.

Respirai a polmoni pieni, sfregando i palmi sulle gambe lasciate scoperte dal vestito allacciato e tirai su la schiena e il collo, per rivolgere lo sguardo al cielo sempre più aranciato ed alle onde che gli sbattevano addosso.

Il suo palmo aperto sfidò la mia stessa pelle e autocontrollo, appoggiandosi sulla parte davvero bassa della schiena per spingermi a camminare con lui verso la riva. Mi toccava ed io non facevo altro che pensare alle sue dita, a come potessero creare il piacere assoluto, a quando la sua bocca avesse toccato la mia con famelica ingordigia, solo che poi dalla stessa aveva sputato veleno e cattiveria.

Lo guardai sottecchi solo una volta che le dita dei piedi ebbero incontrato la schiuma bianca creata dall'infrangersi delle onde.

E lo vidi, con il volto illuminato da quel porpora fuggitivo, i suoi occhi qualche sfumatura più violacea del consueto ed il vestito, così immacolato da essere accecante, raccontava di una movimentata notte assieme alle dita macchiate di nero e, sebbene fossero celate alla vista, io sapevo che anche le braccia avevano subito lo stesso maltrattamento di aghi e poesie.

Senza pensare, le mie dita affusolate cercarono le sue, si allacciarono in un nodo fra indice e medio e la mia fronte si abbattè sul suo petto, si nascose lì dentro.

Maledissi il mio corpo traditore e forse anche lui il suo quando le braccia robuste m'inglobarono completamente.

Dio,
Dio,
Dio,
Se quella non era tranquillità.

"Ho sporcato tutto il vestito." Spicciolai nella speranza di non affrontare il vero argomento.

Il suo mento si poggiò sulla mia nuca e lo sentii arricciare gli angoli della bocca. "Se vuoi togliertelo, io sono sempre disposto a darti una mano."

"Hai sempre voglia di spogliarmi Hastings."

Mi allontanai di poco e giusto in tempo per vedere la sua espressione diventare animalesca e predatoria, densa di tossico fumo e liquido o appiccicoso desiderio.

Parlò con una semplicità estrema, lentamente e bassa voce. "Se me lo permettessi, ti spoglierei con la bocca."

Ed io mandai giù l'aria che si bloccò nello stomaco. "E poi?"

"E poi, userei quella stessa bocca per vederti danzare su di me." Spiegò.

Le sue mani si mossero giù per le mie spalle, lunghe e curiose sfilarono sulla pelle della gamba e sotto lo spacco del vestito. Accarezzarono tutto di me, nervi e capillari, la curva del sedere, il bordo della brasiliana leggera.

"Ci possono vedere tutti." Sussurrai per la stessa paura di dirlo ad alta voce, d'interromperlo.

I suoi occhi uccisero i miei. "E questo è l'unico motivo per cui mi fermerò."

Sorrisi anche io a mezza bocca, mi morsi il labbro. "Mi stai rabbonendo, non funziona."

Il palmo della mia mano finì infilato fra i suoi denti, morse sotto il pollice poi ne baciò la falange ed io mi persi in quell'incanto come se il tempo stesso si forse fermato. Lentamente bevetti quella maledizione e la sensazione della mia pelle sensibile a contatto con la sua bocca umida.

"No." Disse tra un morso ed una carezza. "Mi piaci furiosa."

Mi si spezzò il fiato e mi persi nel suo magnetismo. "Ti piace la furia, è diverso."

"Ma a te sta d'incanto." Decretò serio, ma la sua stessa frase componeva un presa in giro.

Mi fermai, non io, i miei pensieri per fare chiarezza. Lo fissai.

"Perché questa faccia?" Chiese subito dopo.

Aggrottai le sopracciglia. "Quale faccia?"

Wolfe raccolse il mio mento fra le dita lo tirò in alto verso la punta del suo naso, seguii la traiettoria indicata fino a trovarmi a pochi centimetri di distanza dal suo respiro caldo.

"Non era una bugia, la mia, e tu sembravi offesa."

Strinse la bocca. "In questo periodo non so più definire quali siano le verità e le bugie che dici."

"Quando parlo di te, io non mento mai." Chiarì con veemenza sottile.

Tossi una semplice risata amara. "Nel bene e nel male."

E lui annuì. "Esatto."

"Hai detto quando parli di me, non quando parli con me..." Riflettei a bassa voce, ancora ancorata alla sua stretta.

"Bambina, noi due parliamo solo di te." Spiegò.

Io inorridii. "E di te."

"E di me."

"E dei problemi che crei." Aggiunsi.

Wolfe sogghignò. "E di quelli che risolvo."

"E..." m'interruppe prima che potessi continuare strattonandomi ancora più vicina.

"Al massimo, sono omissivo, ma non bugiardo. Quindi non fare quella faccia quando sei con me."

Strinsi gli occhi e quando parlai riuscii quasi a sfiorare le sue labbra. "Non comando la mia faccia."

"Ma comandi i tuoi pensieri. Fidati, quando ti dico che ti spoglierei qui. Lo farei davvero." Testimone di quelle verità fu il suo palmo sinistro, affacciato alla riva, che s'insinuava fra il bordo dello slip e la pelle nuda.

Non ci capivo più niente e fare chiarezza sembrava un obiettivo così sbiadito che se un momento era prefisso sulla cima delle mie priorità, quello dopo cadeva, scivolando all'ultimo posto ed il suo cuore, il suo corpo lo sovrastavano così impudemente, che mi dimenticavo perfino dei punti interrogativi che mi tenevano sveglia la notte.

Mi chiesi, in quel momento, cosa avessi fatto di sbagliato per diventare così debole, fragile, un pezzo di gomma scaldata e malleata dalle sue mani. Però poi mi dissi che nemmeno importava.

Lo spinsi. "Che stronzo."

"Sai che novità." Ammise, seguendo le orme che avevo tracciato sulla sabbia più dura e bagnata.

Accelerai il passo, lasciando che i granelli volassero dai talloni per spiaccicarsi sul retro delle gambe. Decisi d'ignorare il fastidio e di proseguire nel lato opposto del ricevimento.

Un paio di falcate e Wolfe mi fu di nuovo accanto, mani nelle tasche invece che sotto la mia gonna.

"Smettila di seguirmi." Brontolai, consapevole che non sarei riuscita ad allontanarmi da lui a causa di quelle dannatissime gambe kilometriche di cui era dotato.

Sbuffò. "Allora smetti di correre."

Mi mossi ancora più veloce. "Io non sto correndo, passeggio."

"Corri." Mi corresse ancora. "E anche malissimo, ti stancherai nel giro di pochi minuti."

"Che vuoi?" Sbottai una volta che fummo abbastanza lontani dalla folla da non essere osservati.

Wolfe inchiodò giusto in tempo per non venire a sbattere contro la mia schiena, ora rivolta al mare e la faccia arrestata difronte a lui.

Circondarono la mia vita, i suoi avambracci. "Sai cosa voglio."

Le mie mani scivolarono sul suo petto ed afferrarono il bavero della giacca, tirandolo appena verso di me. "Se l'otterrai, mi lascerai in pace?"

E lui avvicinò le labbra al mio orecchio, abbassandosi su di me. "Quando, l'otterrò, non smetterò più di prendermelo."

Arida la gola, ma le parole uscirono. "Il mio corpo."

"E la tua testa." Chiarì. Io pensai che quella in fin dei conti già se l'era presa.

Barcollai stretta fra le sue braccia, ringraziando il cielo e la stessa aria che lui fosse ancora appoggiato e incurvato su di me, che non potesse vedere come si fosse arrossata la pelle sulle guance.

"Nient'altro?" Domandai.

Rispose subito. "Tutto."

"Che significa?"

Per quella volta mi guardò negli occhi. "Quello che ho detto."

"Devi essere sempre così criptico!" Mi lamentai, spingendolo di nuovo, ma quella volta non lo colsi impreparato, perché non mi lasciò andare. Inchiodò il suo petto alla mia schiena, strinse con impeto mentre le labbra si posavano sulla parte superiore del mio orecchio. I miei occhi buttai nel color pesca del cielo che andava a riflettersi nello sfarfallio luminoso sulle onde.

"Se ti mettessi una buona volta nei miei panni, capiresti."

Girai il profilo e mi scontrai con il suo naso. "Pensi che non lo faccia? Che non provi a capirti?"

Rimase in silenzio.

Io gli spiegai. "Lo faccio continuamente e indovina, non ci riesco."

Mi lasciò andare e si passò una mano nei capelli, sfondando la sabbia con i suoi passi più pesanti. "Perché invece tu ed i tuoi fottuti sbalzi d'umore siete comprensibili."

"Si, Wolfe, si. Perché io ed i miei fottuti sbalzi d'umore, dipendiamo dai tuoi!" Sbottai.

Se ne uscì con una risata ghiacciata ed amara. "Cazzate."

"Pensa quello che ti pare." Rimarcai delusa, forse arrabbiata, non capivo più nemmeno le mie stesse emozioni, così tanto mescolate alle sue da rendersi incomprensibili.

Lui lo confessò a voce così bassa, che sospettai di non averlo dovuto sentire. "Se sapessi cosa pensare."

"Non venirmi a dire che non lo sai." Inveii.

Lo vidi mentre stringeva il pungo al lato della gamba e con l'altro gesticolava lentamente "Io so cosa dovrei, pensare, quanto dovrei detestarti. Alla fine, però, mi ritrovo a strappare stupidi papaveri ad un fottuto anniversario di morte."

Le parole uscirono prima che riuscissi a metterle in fila o dargli un senso compiuto. "Nessuno ti ha chiesto d'intervenire."

Lui scrollò le spalle. "Penso che il punto sia proprio questo."

Non ero così sciocca da non comprendere il senso delle sue parole, di quello che mi aveva appena detto. Nella mia mente combattevano con spade ed asce due schieramenti diversi, uno che lo voleva a qualsiasi costo, che aveva deciso di conquistare il suo cuore come una terra promessa, l'altro che lo biasimava per ciò che era diventato.

E forse, solo forse, lo stesso scontro stava avendo luogo anche dentro la sua testa.

"Grazie, comunque." Snocciolai con difficoltà.

Lui non si disperse in convenevoli e nemmeno mi fece un domanda. "Dimmi perché hai reagito così."

"I papaveri rappresentano il sangue dei morti." Iniziai a dire, svagando lo sguardo sulla spiaggia pur di non incontrare il suo. "E-e, sembrava il loro sangue."

"Questo lo so già, io voglio sapere perché tu hai reagito così, come ti sei sentita." Due falcate e mi fu davanti, abbassò la testa quando bastava per incrociare il mio sguardo. "Occhi me, bambina, non la spiaggia. Sempre a me." Ordinò subito dopo.

Io deglutii, perché lui sapeva come mettermi con le spalle al muro, come domare i miei pensieri per renderli chiaramente riconoscibili e ultimamente sapeva usarli anche contro di me.

Alzai il mento, trattenendo il respiro per paura che la voce tremasse. "Io non mi fido di te."

Wolfe non esitò, l'espressione rimase indecifrabile. Se ciò che avevo detto in qualche modo era riuscito a toccarlo, lui non mi diede modo di scoprirlo. "Nemmeno io mi fido di te."

"Allora non c'è motivo per cui io te lo dica." Sottolineai.

Lui sogghignò. "No, invece c'è."

La mia espressione perplessa lo convinse ad andare oltre. "Io sono qui e te lo sto chiedendo. Non lo farà nessun altro."

Lo schianto di quella verità mi colpì con la forza di un'onda troppo grossa per essere cavalcata. Nessun altro me l'avrebbe chiesto? Ne avrei potuto parlare con Nate, con Noel, con uno qualsiasi dei miei fratelli o dei suoi, ma avrei dovuto dirglielo io. No, Wolfe aveva ragione, nessuno di loro me l'avrebbe domandato.

Sospirai. "Allora se io dico una cosa vera a te, tu ne dirai una a me."

"Questa non è una contrattazione, piccola Bee." Si raggelarono sul posto, lui ed il suo sguardo fiero, la schiena ora tirata in una linea più dura, le spalle così ampie e così vicine da precludermi la vista sulla spiaggia.

Decisi d'essere caparbia. "Ora lo è, Hastings."

"Alle mie condizioni: se non sarai abbastanza convincente, non avrai l'opportunità di farmi nessuna domanda." Avanzò deciso e io sapevo già anche avrei perso.

Scossi la testa. "E saresti tu a dover decretare se sono stata abbastanza convincente?"

"Esatto e siccome abbiamo stabilito che non sono un bugiardo, questo accordo può funzionare."

Ruotai gli occhi al cielo. "Tu, hai stabilito che non sei un bugiardo."

"Ed è abbastanza." Il tono divenne intransigente, definito non avrebbe ammesso repliche.

Rimanemmo
secondi,
minuti,
ore,
mesi,
a fissarci.

Poi riuscii a parlare.
"Sconvolta, tradita, arrabbiata. Io, io non faccio altro che vedere, ricordare, quelle dannate immagini del telegiornale e le foto della polizia. Dio. Tutto il sangue rappreso sul vestito bianco di zia Charlotte, quello sulle camice di papà e Keaton, le punte color crema delle scarpe di mamma sembravano essere state immerse nella vernice rossa." Mi mossi in modo frenetico e mi pizzicai le mani per ricordarmi dove mi trovassi. Io ero sulla spiaggia con Wolfe. Io non ero lì. "E il fuoco, crepitava e mangiava tutto, la macchina carbonizzata solo pochi secondi dopo aver visto quelle riprese e poi il fuoco su parte dei loro corpi... Era tutto rosso, divorato dalle fiamme e corroso dal sangue e-ed era tutto così rosso."

Non mi ero nemmeno resa conto di aver iniziato a lacrimare o di avere la voce spezzata dai singhiozzi e di essermi messa le mani fra i capelli, averne tirato le ciocche nella speranza di non pensarci, di non ricordare, Alice con le mani rigate dalle sue stesse unghie.

Tra un sussulto e l'altro venni inghiottita, i miei piedi tirati su da terra volavano nella brezza alla salsedine e le braccia che mi avevano tradita, erano state incarcerate da altre due macchiate d'inchiostro. La testa si riparò nell'incavo del collo di Wolfe, tra il mento ed il suo petto, e la sua mano si appoggiò sulla mia nuca.

"Va tutto bene." Mormorò fra i miei capelli.

Sbattei un pungo sul suo petto e le mia labbra si mossero, assaporando il sapore delle mie lacrime assieme a quello della sua pelle. "Non va tutto bene."

Attese che le mie stille smettessero di scrociare su di lui, prima di darmi una vera risposta. Mi tenne sempre sospesa per aria, stretta così forte da farmi mancare il respiro, o meglio non seppi dire se fu il suo sguardo deciso a trafiggermelo, o ancora quello che la sua bocca fece su di me.

Un dolce schianto sulla pelle delle mie gote, piccole carezze a forma di bacio su ogni piccola gocciola di sale caduta dai miei occhi.

La prima si trovava sul bordo costretto della linea mandibolare e la sua bocca la raccolse, poi salì e ne prese tre dalla guancia e ancora una sotto l'occhio destro. In pochi minuti divenni una tela bianca su cui il lupo selvaggio stava dipingendo i suoi baci, marchi a fuoco e carezze, così tanti da farmi dubitare che si trattasse solo del bisogno di raggruppare le mie tristezze, forse faceva lo stesso con le sue.

Tra uno schiocco e poi un altro, mormorò stracci di una frase.

"Io odio." Bacio all'angola della bocca. "Vederti piangere." Soffio tra il naso e l'arco di cupido.

Il mio cuore traballò ed io non potei fermare la nuova cascata dei miei occhi, non andava tutto bene. Quello non era giusto o comprensibile, ed io ero stanca e troppo debole per affrontarlo, per affrontare lui. Non volevo farlo. Preferivo farmi cullare in quelle grinfie feroci, ma attente alla mia cura.

Lasciai che lo strofinio della sua carne sulla mia facesse da calmante agli spasmi dei miei occhi, anche a quelli del cuore, ma sperai che di quelli almeno non fosse conscio. Non mi ricordo con precisone, quando smisi di piangere, quando decise di continuare ad accarezzarmi con tanta dedizione.

Da un momento all'altro le mie mani finirono nel groviglio di capelli corvini, ci riposarono dentro, mentre m'imbevevo delle moine perpetrate su di me.

I nostri nasi si scontrarono, immobili entrambi.

"Una cosa vera, Wolfe." Il mio fu un rantolio di voce che a stento riconobbi.

Lui annuì, rispose quasi affannato, come se curarmi in quel modo gli fosse costato fatica. "Solo una."

Ed mi ritrovai in lotta contro il mio stesso senno, che avrebbe voluto mettere al sicuro i miei dubbi sulle sue attività e il mio cuore, che invece aveva un solo ed unico obiettivo. Solo che quando le nostre ciglia si toccarono vinse la parte irrazionale.

"Cosa provi per me?"

Per la prima volta lo vidi arrancare. Sbattè le palpebre, una e due e tre volte e quando aprì la bocca all'iniziò non uscì niente.

"Io non lo so." Disse, rompendo il silenzio.

La mia testa e il mio corpo si mossero all'indietro, delusi dalle sue parole e dalla mia stessa domanda sprecata. Nel tempo di un respiro, però, la su bocca conquistò la mia e la distanza venne riaccorciata a due petti che si scontravano.

Torreggiava su di me, nonostante mi tenesse sospesa fra l'aria e le sue braccia. Incurvato sulla mia bocca per prenderla e farla sua; quando la lingua scivolò sulla mia, accarezzandola con scintille al dissapore, le gambe si agganciarono alla sua vita stretta e le sue mani si spostarono per la mia schiena, ammorbando i fianchi e spingendomi all'impossibile verso di lui.

Lo volevo,
Lo volevo,
Lo volevo!

Ma io volevo tutto e lui poteva darmi solo metà.

I miei capelli vennero stretti ed attorcigliati al suo polso, un doppio giro di fili di grano comandati dalla sua voglia di farmi contenta, come gli avevo confessato. E poi baciò il collo e le clavicole, l'inizio della mia scollatura. Mi alzò su di lui mentre lavorava ad arrossarmi la pelle con le labbra e con i denti.

Poi si bloccò.

"Non porti il reggiseno."

Affannata e sedotta non riesci a fare altro che scuotere la testa, troppo incantata da quella magia dell'ingiusto.

Lui sembrò divertito. "Non dovresti rendermi le cose così facili."

"Almeno per uno dei due lo sono." Mi costrinsi ad ammettere.

Il suo viso s'adombrò. "Non fraintendermi, piccola Bee."

"Allora tu non farti fraintendere." Fui decisa, quella volta.

Wolfe mi accarezzò una guancia. "Una cosa vera è che una parte di me non vuole resisterti o lasciarti andare."

"E l'altra parte?" Domandai, conoscendo già la risposta.

Lui non esitò neppure quella volta. "Ti detesta." Provai a rispondere, ma lui continuò. "Però detesto di più vederti in queste condizioni."

"Io sono stanca." Confidai.

Lui mi spinse più in basso e passeggio il dorso della mano sulla curva del mio fondoschiena, le mie gambe ancora allacciate alla sua vita. "Lo so, lo vedo. Posso fare qualcosa?"

Ingoiai il fiato ed accarezzai anche io il suo viso spigoloso. "Puoi baciarmi ancora."

E lui non se lo fece chiedere due volte.

Come un dannato alla ricerca della pace unì la sua saliva alla mia, ci mescolammo come pazzi, Alice ed il Ciciarampa Spinto d'Ira. Cademmo sulla sabbia, avvinghiati in una lotta di schiaffi e carezze, facevamo a botte con i nostri cuori, con la brutalità con cui a vicenda ci afferravamo la pelle e l'arrossavamo, rosa e nero, sulle sue spalle, rosa e nere sulle mie natiche.

Lo sentivo fra le gambe, mentre la mia schiena si apriva ai graffi dei granelli di sabbia e lui mi strofinava su di essa. I vestiti bianchi malandati dalla polvere come i nostri stessi rancori, gli amori perduti, quelli ritrovati, quelli che si sarebbero persi ancora.

Lividi di passione e di odio, rotolavamo come selvaggi sulla sabbia, cercando di più dell'altro e fu tutto e sempre un crescendo.

Prima gli tolsi la giacca e slacciai i bottoni delle camicia, per far vagare i palmi delle mani sul suo addome cesellato, indugiando all'altezza della cintura, infilando appena le dita nello spazio fra il cuioio e la pelle.

Il mio vestito si era attorcigliato alla vita, le gambe nude e lui infilato in mezzo. Sentivo la sua eccitazione pulsare fra le cosce e i suoi occhi bruciarmi la pelle e le pupille.

"Voglio le tue mani su di me, dentro di me." Esplosi e mi mossi sotto di lui.

Mi baciò ancora, se possibile con più fame che mai, con voracità e impeto. Ed io in quel momento preciso mi dimenticai di tutto il resto.

"Se infilassi le dita fra le tue cosce non potrei più fermarmi." La voce roca risuonò per tutto il mio corpo mentre lui la faceva rimbalzare sulle mie corde vocali, la bocca ustionò la curva del collo. "Ma posso e voglio guardarti mentre ti tocchi da sola. "

Il petto mi si gonfiò ed io divenni, se possibile, ancor più paonazza. "Io..."

"Solo se lo vuoi, Blake." Avanzò armato di maledetta premura.

Annuii, la mia fronte appiccicata alla sua, la sua alla mia. "Lo voglio." Dissi. "Ma ho una condizione."

"Trasformi tutto in una trattativa." Mugolò e la sua mano accarezzò il mio fianco.

Sorrisi. "Con te bisogna fare così."

Anche lui, sorrise. "Qual'è tua condizione, piccola Bee?"

"Voglio che lo faccia anche tu." Ammisi.

Wolfe studiò la mia richiesta e poi, smaliziato si rivolse di nuovo a me. "Dimmi ciò che vuoi, con chiarezza ed io te lo darò."

Mi ritrovai a pensare di non essere prigioniera dei fili dell'imbarazzo o di quelli del disagio. Capii che di lui, in quello, mi sarei sempre fidata e non perché fossi così coinvolta dal nostro rapporto complicato da ignorare il resto. La verità era che a lui importava di me, che volesse ammetterlo o meno e che in quell'intimità era sempre stato altruista. Mai una volta aveva chiesto qualcosa per lui, ma era sempre tutto per me.

Ed io per quel motivo, impazzivo.

"Voglio che ti tocchi anche tu, mentre lo faccio io." La sicurezza delle mie parole, la fierezza con la quale le pronunciai, sconvolse anche me.

Lui non perse tempo e mi baciò di nuovo. "Come la luna desidera."

«In quella bolla ultraterrena, dove il fuoco consumato del sole si rilassava tuffandosi nell'Oceano, sulla riva della spiaggia, due amanti sfortunati venivano travolti dalle onde del desiderio. Lui era il ghiaccio e lei il fuoco, quando si univano diventavano un fumo velenoso per chiunque a parte che loro stessi.

Lui, dai capelli corvini, la guardava come se fosse la luna e si sentiva come un semplice lupo disposto ad ululare il suo nome per tutte le notti della sua vita.

Lei, come il grano, si fletteva ai suoi sbuffi di vento, grata della dedizione con cui la guardava. Splendeva fra le sue braccia, ed i pesi sulle sue spalle si affievolirono.»

Mi riempii gli occhi di lui e scommisi che stesse facendo proprio lo stesso. Così, mi persi nel suo tocco segreto in quel luogo pubblico.

Per la prima volta adocchiai la sua parte più intima, la delicatezza furente con la quale era stretta fra le sue mani. Era grossa e pulsante, lunga più di quanto la mia immaginazione avrebbe anche solo mai potuto indovinare. Avrei voluto essere io ad accarezzarla con i suoi stessi movimenti, li studiai e li appresi, sicura che, prima o poi, avrei potuto avere il privilegio di replicarli.

Perché nel nostro gioco e scontro di cuori c'erano regole e perenni condizioni, scappatoie e imboscate. Noi eravamo così, ma in quel momento, con le mie stesse dita a darmi piacere e i suoi occhi a parlarmi di sesso, le sue mani impegnate in una corsa all'euforia, eravamo un cuore solo che batteva all'unisono.

I respiri entrambi affannati e sincronizzati.

"A cosa pensi." Indagò.

Io continuai a lavorare su me stessa. "A niente, a te, a tutto. Immagino che siano le tue dita, non le mie."

"Lo saranno." Disse e poi strofinò il naso al mio, pronto ad accogliere la mia domanda.

"Tu?"

Rispose con un rantolo roco, che mi fece sciogliere fin nelle punte dei piedi. "A me basta guardati sotto di me per chiedermi come staresti sopra."

Wolfe staccò il contato visivo, solo per assaggiare le mie labbra, poi si dedicò al seno lasciato libero, accarezzato fino a quell'istante dalla brezza pomeridiana.

"Impazzirò." Disse, riferendosi a qualcosa che in quel momento non capivo.

Invece di replicare, mi abbandonai alle carezze dei suoi occhi, quelle dei suoi denti, di palmi aperti su di me, delle labbra che mi marchiavano. Lasciai che mi condussero ad un apice di piacere e mi persi dentro di esso, come ci si perse lui.

Venimmo, accolti dal canto delle onde e dai gemiti rotti delle nostre voci, la mia schiena s'inarcò sotto la sabbia, sotto la sua nudità che con la punta sfiorò la mia. Ebbi un altro fremito. Wolfe mi sistemò il vestito malconcio sulle gambe e mi portò cavalcioni su di se. Riuscivo ancora a percepirlo fra le gambe quando mi racchiuse il polso nella morsa del suo palmo e si portò le mie dita alla bocca.

"Che stai facendo?"

La sua lingua tracciò i bordi delle dita ed io mi sentii sospesa a mille piedi da terra, chiusa in una nuvola di piacere liquefatto. "Prendo il dolce."

Come mi guardava, come mi toccava! Quella una religiosa attenzione ai particolari racchiudeva promesse e tensioni.
Io le volevo tutte.

"Voglio assaggiarmi sulle tue labbra." Fui io a baciarlo, io ad essere smaliziata.

Mi guardò felino,
Mi sentii una preda.

"Avremo tempo per fare tutto quello che vuoi, piccola Bee."

Ebbi una vampata di calore ed i capelli s'arricciarono alla base delle nuca al pensiero autodistruttivo che mi passò per la testa. "Solo con me, Wolfe."

Sul suo volto apparve divertimento saccente. "Solo per te, Blake."

E rimanemmo in quella posizione, in silenzio, per altri interminabili minuti. Ed io sapevo che non avevamo risolto niente e che i torti erano ancora ben nascosti sottopelle, pronti a sgozzarci nei nostri incubi più profondi. Al tempo stesso, però, conoscevo le sue ferite della stessa grandezza delle mie e sapevo che ormai era tutta una questione di orgoglio e di artigli.

E a me i suoi artigli piacevano.

Perché per quanto mi avesse minaccia in passato, non li avrebbe mai usati contro di me, ma per difendermi dalle mie stesse paure ed insicurezze.

E a me i suoi artigli servivano, esattamente come lui necessitava dei miei quando si perdeva per strada.

Camminammo sulla spiaggia in silenzio per ritornare alla cerrimonia, interruppi i miei passi poco prima di scorgere le vesti intonse degli ospiti e il chiostro allestito elegantemente sulla spiaggia.

Mi squadrai da capo a piedi.

"Non so se posso tornare lì conciata così."

Wolfe mi studiò con un'espressione indecifrabile. Passò in rassegna la distruzione perpetrata dalle sue mani, i capelli mossi e lunghi fino all'ombelico attorcigliati fra loro, il vestito macchiato dai papaveri e dalla sabbia arricciato sulla gonna, la pelle rossa del collo, la bocca gonfia.

Poi parlò. "No, non puoi. Ti salterebbero tutti addosso ed io ho promesso a zio Killian che non avrei picchiato nessuno."

"Nessuno mi salterebbe addosso, lo dicevo per una questione di contengo."

Lui sbuffò. "Da un lato mi preoccupa che tu non capisca che effetto fai agli uomini, dall'altro ringrazio il cielo, perché se lo avessi capito a quest'ora io sarei morto."

"E che effetto faccio agli uomini, Wolfe?" Lo provocai.

Mi dedicò un'occhiata storta e abbandonò lo sguardo su di me. "Non rispondo ad una domanda del genere."

Sbattei le ciglia e mi avvicinai, correggendo il tiro. "E a te, che effetto faccio?"

"Se non vuoi finire di nuovo con la schiena sulla sabbia, smettila." Ordinò.

Io gli girai attorno, più per punzecchiarlo e sentirmi potente, che per altro, anche le mie parole erano totalmente vere. "Ah, e se il mio intento fosse proprio quello?"

Lui si guardò alle spalle e si tolse la giacca dalle spalle. "Non saresti furba." Disse, arrotolandosi subdolamente le maniche della camicia fino al gomito.

Subito dopo tirò fuori il telefono dalla tasca ed abbaiò qualche ordine a George tappabocche cuciorecchie. "Porta un vestito bianco, lungo, un copri-spalle da donna ed un fottuto reggiseno."

Non sentii replicare il PR, ma vidi lo sguardo meschino di Wolfe posarsi sulla mia figura minuta. "Si, Blake ha fatto un tuffo nel Pacifico."

Sbiancai. "Non osare!"

Purtroppo, prima che potessi anche solo dimenarmi, mi trovai immersa nell'acqua ghiacciata fin sopra ad i capelli. Maledicendo Wolfe Hastings ed il suo fottuto orgoglio da lupo.


Pareri?❤️

Cosa vi aspettate bel prossimo capitolo?

Vi ricordo che per qualsiasi domanda potete sempre scrivetemi!

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