30. ancora
Il cappellaio matto disse: «non si può sfuggire da ciò che si desidera.»
Tizzoni ardenti gli scivolarono dagli occhi, infuocando la notte buia, scaldando la brezza leggera che s'intrufolava dispettosa nello spacco del mio vestito fino a risalire fino alle cosce. Non si scomodò nemmeno per alzarsi dalla piccola panchina, che non riusciva a contenerlo del tutto. Il piede ciondolava solitario ad almeno trenta centimetri dal bracciolo.
"Stai comodo?" Chiesi, evitando di dargli le spalle.
Wolfe sogghignò. "Se ti stendessi sopra di me lo sarei di più, piccola Bee."
"Non sapevo di essere qui con Noel." Lo rimproverai.
Lui sbuffò. "Ed io che fossi diventata una frigida maestrina nel giro di dieci minuti."
"Allora, questo colpo di grazia?" Incalzai quasi irrequieta.
Sentii il suo sguardo pungermi la pelle, attraversarmi il vestito alla ricerca del paesaggio quasi segreto che nascondeva.
"Che masochista. Non vedi l'ora di metterti nei guai, Broadhurst." Brontolò con aria quasi assente.
Strinsi le braccia al petto e feci un passo avanti. "Sento solo minacce, Hastings."
"Humm." Uggiolò mentre avanzava nella mia direzione a passo felpato, muovendosi nel buio come un ladro di cuori professionista. In pochi secondi mi arpionò i fianchi e strinse con tale vigoria da farmi sfuggire un mugolio di dolore. Il fatto che fosse anche estremamente piacevole era tutto un altro paio di maniche.
"Vuoi vederle, le mie minacce?" La voce roca mi graffiò il lobo dell'orecchio nel momento in cui tuffò il viso nell'incavo del collo, baciando proprio il punto preciso in cui s'incontrava con la spalla. Strofinò il naso per tutta la curva, risalendo fino alla cartilagine.
Mordicchiandola,
tirandola,
strappandola.
Gli feci scivolare una mano sul petto ampio e risalii lentamente. Wolfe però non mi lasciò via di scampo.
"Ferma." Ordinò, percorrendo con le dita esperte le curve della mia sagoma, intrufolandosi nella spaccatura del vestito, toccando il bordo degli slip.
Il petto traballò, scosso ed eccitato e il mio corpo rispose al suo, accendendosi come un albero di Natale la mattina della Viglia. In attesa di scartare i regali e di ospitare il pranzo più ricco dell'anno.
"Che cosa stai facendo?" Boccheggiai mentre bruciavo di vergogna e desiderio o annegavo fra le paure, le sue mani al tempo stesso erano salvagenti ed iceberg.
Wolfe ustionò il mio angolo della bocca con le sue labbra carnose. "Ti dò il colpo di grazia, piccola Bee." Poi le dita si spostarono sotto il vestito, tastando la sua terra promessa e lelabbra assaggiarono le mie, iniettando veleno sulla lingua, appassionandosi sempre di più a quel gioco di potere e piacere, di guerra e pace, di odio e passione devastante.
Non lo baciai perché volevo, lo feci perché ne avevo bisogno. Da quando lo avevo fatto per la prima volta, quella mattina, avevo disperatamente bramato di poterlo fare ancora.
E ancora, stringermi al suo corpo.
E ancora, sentire le sue mani appropriarsi del mio.
E ancora, confondermi con i contorni di lui, fino a dimenticarmi perché lo desiderassi così tanto o non far più caso al mio stesso nome.
"La voglio." Sentenziò ancora fra le mie labbra, tra un bacio ed altri due. Uno rubato, uno preso, uno strappato.
Riuscii ad allontanare appena la testa per incenerirmi al contatto con le braci del suo sguardo. "Cosa?"
Wolfe ridusse di nuovo la distanza fra noi, respirando sulla mia guancia e giù per il collo, l'aria mi solleticò il seno ed io inarcai la schiena nelle sue mani.
"La tua innocenza." Arrotolò i miei capelli fra le dita e tirò indietro. "É mia." La testa scattò a molla mentre mi divorava labbra e respiro. "Dillo." Intimò dopo.
Ripresi fiato o almeno ci provai, cercandolo invano. "Se hai il coraggio di prenderla, è tua." Sibilai.
"Il coraggio non mi manca." Lui sorrise nella notte, trionfante e astuto, sembrò quasi essere diventato ancora di grande, alto, bello, indistruttibile. Strinse forte ed io invece mi rimpicciolii, se quel piacere avrebbe significato lasciarlo vincere allora...
Mi feci avanti, caparbia e fiera, avvitandogli le braccia al collo e baciandolo come lui aveva fatto con me, osando e con disperazione. "Vinci, Wolfe."
Al piano di sotto, la musica continuava a pompare nella casse così come il mio sangue scoppiava all'impazzata nelle vene e dispersi il senno all'interno di quella melodia di bassi ritmati, dentro la sua bocca che assaltava la mia con avidità.
Fra le sue mani divenni molle plastilina, facile modellarmi per ogni suo desiderio.
Volevo solo che la luna fosse gelosa di me, perché io potevo averlo, perché io potevo prendermelo.
"Se io vincessi, saresti rovinata." Tuonò.
Lo sfidai. "Rovinami."
"Mi rovinerei anche io." Rise amaramente.
"Rovinati." Istigai.
"Fortunatamente, al contrario tuo, io ho l'istinto di conservazione." Mormorò con voce roca, graffiandomi viscere e desideri.
Lo presi in giro. "E fino ad oggi, a cosa ti è servito?"
"A salvarmi da te." Disse con odio e afflizione.
Gli presi il viso nelle dita piccole. Il contrasto fu così evidente da farmi rabbrividire, ma non riuscì comunque a fermarmi.
"Wolfe?" Agganciai in miei occhi ai suoi, ci tuffammo l'una nell'anima dell'altro.
Mi strinse il giro vita e mi attirò a se, stretta, strettissima. "Mmm." Mugolò.
"Roviniamoci." E lo baciai.
Tagliente, la sua lingua calò sul mio seno, come una spada sulla gola del nemico e indispettite le mie dita tirarono i fili scuri di notte dei suoi capelli, quando le sue si annidarono nel centro esatto di tutto il mio piacere e lo fecero crescere, accarezzandolo e torturandolo con movimenti circolari.
Quella lotta fra corpi alla ricerca dell'apice si era spostata verso la parete, dove giaceva la mia schiena seminuda, piacevolmente incastrata dalla sua stazza e la pietra fresca che cercava, invano, di raffreddare i miei bollori.
La sua bocca abbandonò la curva del collo per parlare sulla mia, a quel punto ero sicura che l'indomani mi sarei ritrovata con nuove macchie scure che avrebbe strillato indecenza e peccato, possesso e proprietà assoluta.
"Sei mai venuta?" Mormorò ubriaco di piacere.
Io deglutii, annuendo piano, distratta dalla sua mano ancora fra le mie cosce, ancora in movimento. "Si." Dissi, poggiando la testa sulla sua spalla.
Si fermò di scatto, divenne freddo come la pietra alle mie spalle. "Con chi."
Rimasi in silenzio, pur sapendo che la sua non era una domanda.
Mi schiacciò contro la parete, usando la sua stessa altezza smodata contro di me. "Dimmi con chi, piccola Bee. Sempre se vuoi che continui a rovinarci."
Imbarazzata, guardai per terra. "Non è importante."
"Col cazzo." La stessa mano che stava usando per darmi piacere passò sulle mie labbra e mi spinse la testa in alto e contro la sua. "Hai meno di due secondi per dirmi chi ha osato giocare con le mie cose." La voce bassa, pericolosa.
"Io non sono una cosa!" Innervosita gli allontanai la mano senza successo, mi ritrovai con la faccia contro la parete e il suo corpo così appiccicato al mio da poterne percepire l'eccitazione.
"Blake." Era incazzato, se usava il mio nome era più che incazzato. "Uno." Se arrivava a contare era furioso. "Due..."
"Da sola." Sussurrai, guardandomi i piedi.
Wolfe mi voltò di nuovo, la schiena sbattè e lui insinuò una gamba fra le mie. "Ho a mala pena sentito e sono davanti a te." Mi schiuse le labbra con il pollice. "Dillo. A testa alta, questa volta."
Strinsi i denti e lo feci. Alzai la testa. "Ho detto: da - sola. Stronzo."
Mi vergognai meno delle prima volta, non c'era niente di male e probabilmente lui lo aveva fatto in così tante occasioni da non potermi biasimare.
La sua risata ruppe la tensione annidata dietro la nuca, e lui scosse la sua, facendo ricadere il ciuffo corvino di capelli sulla fronte, una, due, tre volte e sorridendo a trentadue denti come se gli avessero consegnato il premio come migliore essere umano del pianeta. Cosa impossibile, fra l'altro.
"Dio, bambina." Si abbandonò ad un'altra risata cristallina, prima di tornare a scontrare il suo viso sul mio. "Sono fottutamente geloso anche della tua mano, adesso." Il peccato tornò a dipingergli le labbra.
"Allora lo ammetti, che sei geloso." Incalzai, omettendo il fatto che io invidiassi un fottuto satellite.
Lui evitò di rispondere. "A cosa pensi quando ti tocchi."
Un'altro punto interrogativo mancante. "Non sono fatti tuoi." Esplosi.
"Cazzate." La mano tornò a giocare lì.
Lì.
Lì.
Lì, dove la volevo.
"Ohhh." Mi scappò. "Proprio lì."
E quando il dito mi divise, entrando definitivamente dentro di me, le sue parole mi diedero il famigerato colpo di grazia.
Indagò con sicurezza mentre io mi liquefacevano in una piccola pozzanghera di piaceri ed umori, nella sua mano. "E qui?"
Era il paradiso. "Soprattutto qui." Continuai a ballare sul suo palmo ruvido, fregandomene di tutto il resto e della notte o dei rumori o di quei dannati cuori spezzati. A chi serviva un cuore se quello era il piacere?
Wolfe avvicinò la bocca alla mia guancia, la premette una, due e tre volte, trascinandola su e giù per il mio viso e per il collo, tracciando una scia rovente di piccoli e grandi peccati.
"A cosa pensi quando ti tocchi da sola." Richiese con la voce come un ringhio di carta affilata e zuppa di Whisky.
Sussultai quando la pressione esercitata dai suoi polpastrelli si fece più veloce, non riuscivo a concentrarmi su altro che sulle sue dita che si muovevano dentro di me. Forse fu per quello che lo dissi. "Vorresti che pensassi a te?"
"Bambina, so che lo pensi. Quello che voglio è che tu lo ammetta mentre le tue fantasie si avverano." Avanzò fiero e seducente.
Aggiunse un dito ed io mi contrassi su di lui, costringendo le labbra in una piccola smorfia di dolore fin troppo piacevole per sentirlo veramente.
Lo ammonii, pronunciando solo il suo nome. "Wolfe."
"Dillo o smetterò di andarci piano." Minacciò.
Alzai la testa, sfidandolo con gli occhi lucidi e vivi, colmi di lussuria e scivoloso desiderio. "Lo dici come se andarci piano fosse ciò che voglio davvero."
I suoi occhi scintillarono di stupore o sorpresa, la mano libera mi stuzzicò il seno, la bocca il collo. Mormorò graffiante e la sua voce mi sciolse come cioccolato fuso. "Se vuoi che vada forte, allora ammettilo."
E quando il culmine si fece vicino, troppo potente da sopportare, lo accontentai. "Si. Ti penso."
"Non mi basta, voglio sapere a cosa pensi, cosa ti eccita davvero." Le dita si mossero più lente, per ritardare l'arrivo al traguardo, cuocendomi a fuoco più lento, convincendomi o minacciandomi a dargli ciò che voleva.
Rossa dall'imbarazzo, rossa come i vizi, lo scandalo e la trasgressione. "I capelli." Mormorai sottovoce. "Penso a quando te li attorcigli al polso."
"Solo questo?" Chiese con lampo di curiosità mentre esaudiva il mio desiderio segreto e spostava il palmo dal seno alla nuca.
Annuii. "Solo questo."
Lui sorrise peccaminoso. "Imparerai a chiedere di più piccola Bee, arriverai perfino ad implorarlo."
"Non farmelo implorare ora." Sbottai, riferendomi all'apice di cui mi stava privando con quei movimenti lenti e delicati.
E così fece. "Come la luna desidera."
Le gambe quasi mi cedettero quando raggiunsi l'orgasmo, sentii la forza abbandonarle mentre le ginocchia si stringevano fra loro speranzose di non lasciar scappare via quella mano. La schiena s'inarcò all'indietro e solo quando la sua bocca si avventò sul seno esposto, dalla mia uscì fuori un lamento, una supplica, una condanna. "Ohhh-si, Wolfe!"
Ed il silenzio si abbatte su di noi.
Il lupo del Beau Soleil si portò le dita condite dal mio sapore alla bocca. Le leccò una per una, facendomi desiderare di farlo ancora un'altra vola o altre mille. Lasciò un dito per me, arrischiandosi ad avvicinarlo alle labbra che separò con il pollice prima di infilarlo fra le pieghe e lasciarlo danzare sulla lingua.
"Oggi ho sentito mente urlavi il mio nome." Ghignò soddisfatto, scrutandomi a fondo.
Presi dei respiri lenti per calmarmi e mi appoggiai alla parete, stanca ed estasiata. "Un'altra promessa che hai mantenuto."
"I lupi sono di parola." Sentenziò asciutto prima di tirarmi su il vestito e di coprire la pelle nuda. Poi le sue dita mi arpionarono il mento. "Ora ascolta bene e vedi di mantenerle tu, le promesse. Perché la tua innocenza è mia e dopo oggi non mi accontenterò di niente di meno che questo." Condannò la mia anima con un bacio astioso e poi agguantandomi il mento con le dita callose, alzandolo verso di lui. "Oggi hai sbagliato, piccola Bee. Perché prenderò da te tutto ciò che posso e anche ti più, fino a quando non riuscirai più ad offrirmi niente."
Sorrisi, perché mai nessuna minaccia avrebbe avuto un sapore così dolce. "Allora diventeremo vuoti entrambi, perché ho intenzione di fare esattamente lo stesso."
"Spiacente, ma non puoi attingere ad un pozzo senz'acqua." Dichiarò con freddezza.
Spostai la testa e strinsi le dita sul su petto. "Prendi in giro chi vuoi, ma non me. Perché se il caos incarnato, Wolfe Hastings ed il caos è tutto fuorché vuoto."
"Di me rimane solo il peggio, piccola Bee. Ed è merito tuo." Il sorriso pericoloso accese ogni campanello di allarmo, non dovevo dimenticare chi avevo davanti, non potevo permettermelo.
Alzai appena un sopracciglio e sogghignai come era solito fare. "E se mi piacesse, il tuo peggio?"
"Allora preparati a riceverlo perché ho tutta l'intenzione di dartelo."
Accese il rogo con una nuova sfida e guardai il cielo, ammirando il borbottio cupo delle nuvole di cui non mi ero accorta fino a quel momento e quando cadde la prima goccia ne ebbi la certezza: avrei vinto io.
§§§
Tutto il Beau Soleil Insitute si fermò a guardare me e Noel entrare dall'atrio principale.
"Sono passati anni, eppure ci guardano ancora come se fossimo fenomeni da baraccone." Rigirai gli occhi al cielo e sfilai tra la folla di occhiatacce e lingue lunghe.
Il ribelle Hastings sghignazzò. "No, sorellina. Guardano l'opera d'arte che porti sulla pelle del collo. Si chiedono chi sia il pittore."
"Chiuditi la bocca." Ordinai, abbassando la testa.
Lui mi prese in giro, ancora una volta. "Oh, si. Lo farò, io, perché qualcun altro ha deciso di aprirla."
"Non so di cosa tu stia parlando." Dissi, accelerando il passo per arrivare fino al mio armadietto.
Noel scosse la testa e appoggiò la spalla su di esso prima che io potessi aprirlo. "Certo, prima mi usi per ottenere quello che vuoi e poi non mi rendi partecipe."
"Non mi sentirei a mio agio a dirtelo." Borbottai, guardando a destra e sinistra nella speranza di scorgere la figura del lupo.
Il ribelle Hastings arricciò la bocca. "Mi predi per il culo?"
"No!" Squittii e lo scansai con una manata, aprendo finalmente lo sportello e nascondendolo dietro di esso.
La sua testa sbucò dall'altro lato. "Se ti sei fatta scopare e non sei corsa a dirmelo sarò molto deluso, sorellina."
Chiusi la porta con uno scatto e lo guardai. "Ma vuoi abbassare questa dannatissima voce! Non abbiamo fatto sesso. Ora, puoi stare tranquillo cinque minuti?"
"Col cazzo. Magari non avete fatto sesso, ma qualcosa è successo ed io merito di saperlo."
Lo rimproverai di nuovo, forse sembrò più una supplica. "Noel, non è il caso ti ho detto."
"Non mi scandalizzerei mai per così poco, non sarei turbato nemmeno se mi dicessi di averlo fatto con lui e Atlante. Allo stesso momento." Chiarì serafico.
Io, d'altro canto, emisi un'espressione di disgusto. "Non farebbe per me."
"Non puoi saperlo, non finché non provi, sorellina." Ammicò di rimando.
Alzai gli occhi al cielo e ripresi a camminare. "Puoi evitare di chiamarmi sorellina? Almeno quando stiamo parlando di sesso. Grazie."
"Io sto parlando di sesso, tu stai facendo il chierichetto." Brontolò.
Feci spallucce e gli scoccai un'occhiataccia. "Fa lo stesso."
"Non me lo dici, quindi?" Continuò imperterrito.
Tenni il punto. "No."
"Stronza." Terminò teatrale, portandosi una mano al cuore. "Così mi ferisci."
"Oh, dai. Usa la tua fervida immaginazione, non è nulla a cui tu non possa ipotizzare." Chiarii.
"Lo so. Io posso formulare qualsiasi tipo di oscenità, solo che, fossi in te, eviterei di lasciarmi a briglia sciolta a rimuginare sugli affari sporchi che intercorrono tra mio fratello e mia sorella." Si azzittì per un secondo, guardandomi fisso negli occhi e con un'espressione stralunata. "Si, forse hai ragione. Dovrei smettere di dire sorella quando parlo di sesso."
"Appunto, dovresti."
La nostra conversazione venne interrotta da Cole, sembrava appena sceso dal letto. Gli occhi cerchiati, i capelli sparati in ogni direzione, la cravatta probabilmente dimenticata del cassetto assieme alla giacca e le maniche della camicia arrotolate fino a sotto il gomito.
"Va tutto bene?" Chiesi a bruciapelo. "Sembri uscito da una lotta con una cane randagio."
Noel gli circondò le spalle con il braccio. "Perché hai il fiatone?"
"Dove cazzo li avete lasciati i cellulari, voi due?" Sbottò, stringendo il pugno al lato della gamba.
Aprii la borsa e cercai il mio. "Non c'è, probabilmente l'avrò dimenticato a casa."
"E tu?" Chiese a Noel.
Il mio Fratellone scosse la testa ed abbozzò un sorrisetto a metà. "Stavamo parlando di una cosa importante, ti avrei richiamato."
"Coglione. Dobbiamo andare da Shaperd." Brontolò baby Hastings, lo sguardo preoccupato.
Indagai, ingranando la marcia verso l'ufficio della presidenza. "Mi dici cosa è successo?"
"Non riesci ad immaginarlo da sola? Ti ricordo che il cda vuole le nostre teste per quella dannata festa in piscina. Il pres ha in ostaggio Nate e Wolfe, non so cosa sia successo, ma vuole vedere Noel e parlare con tutti noi." Spiegò, attraversando il corridoio brulicante di studenti. Ognuno dei quali sembrava calamitare la propria attenzione sul nostro trio ben assortito. Mi chiesi a cosa stessero pensando, cosa vedessero oltre le nostre figure, cosa rappresentassimo per loro.
Poi mi voltai scaltramente verso Noel, ma non servirono parole. Avevamo scelto la strada del silenzio e quella avremmo percorso, fino alla fine. Entrambi sapevamo di poter confidare nell'altro. Custodivo per conto suo già un segreto, uno che mi aveva segnato abbastanza da convincermi ad andare via una volta per tutte.
Il suo silenzio, in fin dei conti, me lo ero guadagnata.
A caro prezzo.
"Non posso credere che siate di nuovo qui, non sono passate nemmeno due settimane..." Brontolò la signora Hops.
Noel, d'altro canto, le mostrò gli occhi dolci. "Mercedes, continuo a mettermi nei guai solo per vedere il tuo viso tutti i giorni."
L'assistente del preside arrossì e frugò al di sotto della scrivania. Quando ritrasse la mano, stringeva fra le dita una caramella alla menta. "Solo perché sei il mio preferito, Noel Hastings."
Si portò le mani al cuore, poi scartò il dolciume e se li mise in bocca con estrema lentezza, sfoderandole un occhiolino affascinante.
Non riuscii a fare a meno di dargli una live spinta, fortunatamente non fui l'unica ad intromettersi.
"Leccaculo." Scherzò Dorian, appoggiato allo stipite della porta. I capelli color grano e furiosamente scompigliati, come se dita passionali avessero tracciato le curve dei ciuffi ribelli e che ora gli ricadevano sulla fronte. Alle sue spalle, Carter e Dylan.
Noel non potè fare a meno di notarlo. "Chissà cosa ti sei fatto leccare tu, fino ad ora."
Carter appoggiò una mano alla spalla del mio fratellino. "Lo siamo andati a recuperare nello sgabuzzino dei Rams."
A quel punto la spinta non gliela diedi lievemente. "Hew, ragazzi! Sono le nove di mattina ed è la seconda volta che mi fate pensare a sesso e fratelli."
"Non ci sono orari per certe cose." Bonfocchiò con un'alzata di spalle.
Baby Hastings fece spallucce. "Hai il coraggio di parlare proprio tu che hai perennemente le mani di Wolfe sul culo?"
Non feci nemmeno in tempo a replicare, che la porta dello studio venne spalancata con veemenza.
La scena a cui assistemmo non era fra le migliori. Shepard, con la mano stretta attorno al pomello e dietro la sua sagoma scura, accomodati ad entrambi i lati della scrivania, il lupo del Beau Soleil ed il mio gemello. Il secondo con il viso pesto, il primo con le nocche spaccate.
"Devo chiamare zio Killian?" Domandai direttamente alla quella che avrebbe dovuto essere una figura autoritaria.
Il preside abbassò gli occhi su di me. "L'ho avvisato io già un'ora fa."
Tenni il tono fermo e fiero. "Possiamo almeno sapere che cosa è successo?"
"Il cda fa pressioni. So che è stato un periodo difficile per voi, ma a questo punto si rende necessaria una punizione esemplare. Questa scuola è stata nelle vostre mani per fin troppo tempo ed i miei studenti non fanno altro che inselvaggirisi giorno dopo giorno." Spiegò a voce bassa, dosando la giusta quantità di rabbia e giustizia.
M'irrigidii nelle scarpe a punta. "Se non sa gestire i suoi studenti la colpa non è nostra."
"Vuole raggiungerli, signorina Broadhurst?" Minacciò.
Alzai il mento e guardai direttamente alla sue spalle, incrociando gli sguardi furenti di Wolfe e Nate. "Ci per caso mandando in vacanza?"
Il primo rise, il secondo scosse la testa. Il preside, si frappose fra me e loro. "Vi mando a Ben Nevis, ragazzina." Ah, si. Dalla mini Bailol, magari.
Alzai gli occhi al cielo, per nulla impensierita dalla sua affermazione. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, a due anni prima, di aver recuperato il dispetto e l'audacia dimenticati nei cassetti degli oggetti dispersi.
"Mi faccia il piacere!" Sorrisi appena, provocandogli del solido nervosismo, che gli si accumulò nelle piega della fronte accigliata. "Se volesse, non sarebbe nemmeno in grado di mandarci a casa. Figurarsi mettere un oceano di mezzo alla nostra famiglia."
Un live borbottio crebbe alle mie spalle, qualcuno mi toccò appena il retro della gamba per invitarmi a stare zitta.
"Come ti permetti..." Iniziò a dire, ma lo interruppi.
"Come mi permetto?" Un tono che non sembrava neppure appartenere a quella nuova versione di me, prese possesso della mia lingua. Vi danzò sopra, avviluppandosi stretto all'amore per la vendetta e la rivalsa, a quel sapore dolce della sottomissione.
"Mi permetto di ricordarle che lei, assieme al consiglio d'amministrazione e tutto il corpo docenti di questa scuola, vi siete presi la responsabilità del nostro sviluppo psicofisico a seguito dei recenti o meno avvenimenti che, a detta di esperti più che competenti e da voi assunti, avrebbero potuto danneggiare sistematicamente e irrimediabilmente le nostre vite." Feci una piccola pausa.
"Mi permetto di ricordarle, che fra le modalità suggerite per evitare che ciò accadesse non erano ricomprese vessazioni continue a nessuno di noi. Mi permetto di ricordarle, che al contrario di quanto suggerito da medici, lei non ha fatto altro che metterci con le spalle al muro, ingabbiarci, additarci a brutali barbari, minando in modo univoco e definitivo la nostra reputazione agli occhi dei compagni e dei loro genitori. Mi permetto di ricordarle, che nonostante ciò, la mia famiglia finanzia questa scuola e gli strumenti di ricerca da voi utilizzati per trattare studenti con problematiche simili alla nostra. E da ultimo, mi permetto di ricordarle che tutto ciò rende oggi questo istituto il primo in classifica in tutto lo Stato."
Giuste o sbagliate le mie parole avevano un solo scopo, liberare le mia famiglia.
Un espulsione per Wolfe avrebbe significato il declino più assoluto, sarebbe stato un pretesto ulteriore, per il giudice, di condannarlo. E dopo aver origliato la conversazione fra lui e zio Killian, non avrei permesso a lui stesso o a qualcun altro di ridurre la sua vita a coriandoli grigi di fallimenti e recriminazioni.
Il mio gemello, per quanto scostante in quell'ultimo periodo, non meritava in alcun modo una punizione così esagerata. Il più tranquillo fra noi non avrebbe dovuto pagare il prezzo della nostra animosità.
E quello, sbagliato di certo non poteva essere.
Feci un passo avanti, mentre sulle nostre teste calava il silenzio e negli occhi piccoli e umiliati di Shepard potevo vedere viaggiare aeroplani di mille scenari differenti, nessuno dei quali avrebbe scelto una destinazione di suo gradimento.
"Quindi, mi permetto di suggerirle, di farci ritornare tutti in classe e di lasciar deperire qualsiasi cospirazione abbia in mente il consiglio d'amministrazione." Terminai, calando il tono di qualche ottava, rallentandolo per concedergli l'influenza necessaria a renderlo un comando e non un consiglio.
Il suo silenzio fu per me una risposta esaustiva.
Gli diedi le spalle e attraversai baldanzosa la sala d'attesa e, quando non udii passi pesanti alle mie spalle, mi voltai fino a scorgere i volti ammutoliti dei miei familiari.
"Andiamo." Tuonai e loro si mossero, come solo un ordine di Wolfe, prima di allora, avrebbe potuto fare.
Al di la della soglia, attraversata a testa alta e senza alcun rimorso o vergogna, ci scontrammo con il nostro generale di guerra, quello che il più delle volte ci aveva lasciatI a sbrigare da soli faccende e drammi.
"Abbiamo risolto." Gli dissi, sorpassandolo.
Zio Killian abbassò pensieroso il volto sul mio. "Ho sentito, hai fatto bene."
A quel punto ridussi la voce ad un sussurro appena udibile, regalandoci il privilegio di essere gli unici a poter dimorare in quella bolla di rimproveri. "Ora, una volta per tutte. Concludi il lavoro e poni il fine a questo scempio, vergognoso per la nostra famiglia quanto per la tomba dei miei genitori. E per una volta, lascia che sia l'autorità del tuo ingegno a piegare chi ci attacca. Penso che sia chiaro che aprire il portafogli sia una toppa così fina da strapparsi il secondo successivo."
Lo zio, invece di mortificarsi, mi sorrise. "Ben tornata."
"Sto qua da un pezzo, zio. Se non te ne fossi accorto." Sentenziai, sorpassando anche lui.
Un volta soli, mi dedicai totalmente a rimettere in riga quei vagabondi senza pudore.
Aspettarono tutti, in piedi e a gambe larghe, disposti in una lira retta come soldati in attesa di ordini. Glieli avrei dati.
"Da oggi cambiamo schema di gioco." Ordinai. "Niente risse, niente sesso a scuola, niente scandali o foto sulla copertina di Verter con gli occhiali da sole alla quattro di mattina. Ci metto tutti in questo calderone, io e voi, nessuno escluso. Andrà tutto a rotoli se non ci rimettiamo in sesto."
Cole mi diede manforte. "Io sono d'accordo, la situazione ci sta sfuggendo di mano. Rischiamo troppo."
"Praticamente mi state dicendo di non vivere." Si lamentò il ribelle Hastings.
Io m'inviperii. "E ti sembra vita, questa?" Quasi urlai. "Guardati intorno e abbia il coraggi di dirmi che non abbiamo esagerato, che non ci stiamo distruggendo con le nostre stesse mani. Mamma e papà sarebbe delusi."
"Mamma e papà non ci sono più, non abbiamo proprio più nessuno da deludere." Il suo ringhiò addolorato mi si riversò addosso e poi nella casa toracica, rimbombò e scosse il petto, suonò corde nascoste da polvere e ricordi.
Sentii gli occhi lucidarsi. "Sei fiero di me, Noel?"
La risposta fu il silenzio.
Mi ripetei, mentre gli altri mi guardavano allibiti. "Rispondi. Sei fiero di me, si o no?"
"No." Confessò, gli occhi che puntavano i piedi si alzarono nei miei. "Hai troppa paura."
"Sei fiero di me, Nate?" Continuai, la voce quasi rotta, spezzata.
Il mio gemello mi fissò diritto nella serratura del rispetto. "Per niente."
"Dorian, sei fiero di Wolfe?" Lo interrogai.
Mio fratello scosse la testa. "Non oggi."
"E tu Cole, sei fiero di Noel?"
Baby Hastings diventò rosso fin sopra le orecchie. "No."
"Dylan, tu sei fiero di Carter?" Tirai su con il naso.
Lui si mosse nervosamente, scosse solo la testa.
Riportai la mia attenzione sul mio compagno di bravate, mi avvicinai a piccoli passi, circondandogli il volto costretto fra le mia dita più piccole. Agghiacciante e rivelatorio fu il contatto fra le nostre pupille. "Come vedi, abbiamo ancora tantissime persone da non deludere."
Allontanai a fatica le lacrime piccoline, passeggiando in solitaria verso il cortile esterno. Riflettevo su quel disordine, su come sarei riuscita a dargli una sistemata, perché con il nuovo e ritrovato coraggio io ci sarei riuscita.
Ne ero certa.
Avevamo sbagliato tutti, preso strade impervie e pericolose, addossandoci pesi esagerati per le nostre infantili e piccole spalle in quel pellegrinaggio verso la distruzione. Ma decadere non era una delle vie per noi percorribili. L'unica a poter essere ancora percorsa era quella del riscatto e, se necessario, li avrei guidati fra tempeste di fulmini e tuoni, fra mari e fiumi di lacrime e onde di parole, sorpassando colline di errori e montagne di colpe.
Perché già una volta avevo fermato il passo per andare controcorrente e già una volta avevo appurato che era più devastante scappare che affrontare il ciclone.
"Non mi chiedi se sono fiero di te?" La sua voce mi scivolò fra le scapole, quando la mia schiena gli batte sul petto ed i piedi si alzarono da terra.
Appoggiai la testa all'indietro, sulla spalla del tormentato Re del Beau Soleil. "Perché dovrei, quando so già la risposta."
"Magari è diversa." Le dita piacevoli giocarono con il bordo della mia gonna, stuzzicandomi a rispondere.
"O magari non lo è e tu mi stai solo torturando, ancora."
Sorrise, annunciando al tempo stesso una minaccia tale da farmi accapponare la pelle ed una promessa così lussuriosa da farmi bramare con tutta e stessa di sfuggire ad almeno una delle regole che avevo appena imposto. E non era quella sulle risse.
"Ho mille idee per torturarti ancora, ma questa non è fra di loro."
"Voglio sapere come vuoi torturarmi?" Indugiai appena sulle parole, lasciando il loro senso aperto e duplice.
"Oh si, bambina." La voce roca mi intossicò il petto. "Lo vorresti più di ogni altra cosa, ma mi hai proibito di dimostrartelo qui."
Mi trovai consumata ed erosa da appetiti ed imbarazzo. "Voglio aggiungere un'altra regola, Wolfe."
"Non mi sembri nella posizione di negoziare." Mi prese in giro ed le suole delle scarpe si scontrarono sul pavimento, il mio petto sul suo, il mio respiro contro il suo.
Le mani viaggiarono fra i suoi capelli, spingendolo così vicini che avrei potuto facilmente mischiare il nostro stesso sapore. "Il perdono, Hastings. Senza perdono, niente innocenza."
"Mi sembrava avessi detto che per quella servisse solo il coraggio." Piegò la testa su un lato, studiando le mie intenzioni, come i suoi polpastrelli ciò che era sotto la mia gonna.
Mentre scariche elettriche mi risalivano le gambe, la mia mente formulava pensieri, trasformati in frasi dalla bocca. "Abbi il coraggio di perdonare e potrai prendere ciò che vuoi."
"No." Il sorriso si rivelò letale e le mani abbandonarono la pelle ricettiva solo al suo tocco. "Prenderò ciò che voglio, che vuoi darmi e mi spetta, senza condizioni."
Deglutii desiderio, perché eccome se avrei voluto darglielo. Forse in quel preciso istante non esisteva cosa al mondo che potessi desiderare di più di quella. Talmente annebbiata dal profumo, dal sapore, della lussuria da non poter nemmeno pensare ad altro che sincronizzare corpi e movimenti, piaceri e desideri, unire crepe e cocci dispersi del cuore.
Un'ordine mi attraversò il petto.
"Togliti le mutandine, piccola Bee."
E, solo per un secondo, maledissi tutti i buoni propositi e la bentornata incoerenza.
§§§
Angolo autrice:
Eeeeee mi sono dovuta fermare! Perché altrimenti avrei dovuto pubblicare il capitolo un po' più in là, quando volevo farvelo leggere prima.
Comunque un pizzico di suspence non fa male, magari così non rendo nemmeno pesante il tutto siccome il prossimo si ritorna a (🥊)
e poi mi taccio.
Attendo pareri... Blake che fa secondo voi? Se lo mangia oppure cede?
In questo capitolo piccola Bee è mamma orsa, avete trovato il suo comportamento giusto o sbagliato? Poi vabbè, è sempre una Broadhurst indecisa e casinista... ma magari ci stupirà!
Piccola news, a chi interessasse. Prestissimo arriverà un'altra storia, sempre romance - cane e gatto, ma più adulta e con temi diversi. Vi aggiorno se vi va! Loro si sbraneranno davvero.
Spero che la lettura vi sia piaciuta❤️ in questo caso lasciate una stellina se potete. Un piccolissimo gesto, ma per gli autori può essere molto importante.
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