27. alice non è pazza

Angolo autrice:

Questo capitolo è lungo... ma come si fa a farli più corti? Qualcuno che me lo spiega?

Ok, questo capitolo all'inizio non volevo pubblicarlo. Poi però mi sono detta che tutto questo è da loro e che è esattamente il modo in cui gestirebbero le cose. Sono impulsivi, casinisti, totalmente dominati dalle emozioni che provano in quel momento.

Nulla è come sembra, comunque. Aspetto di sapere cosa ne pensate e vi ringrazio per tutto il calore che mi state dimostrando. Mi rende immensamente felice sapere che vi state affezionando alla storia e ad i personaggi, che siete curiose e curiosi di sapere cosa succederà.

❤️‍🔥🐺Il prossimo capitolo sarà un Wolfe Pov. Faremo un salto nel passato e capiremo cosa è davvero successo quando Blake è andata via, capiremo alcune del presente.
Vi lascio il nome del capitolo...  "Peter losing Wendy."

Vi aspetto alla fine, come sempre.

Alice disse:
«Sarebbe molto bello se per una volta una cosa qui avesse senso...»

§§§

Tata Victoria ammorbidì il suo viso paffuto con un sorriso brillante ed appoggiò la mano calda sulla mia spalla, porgendomi allo stesso tempo la brocca di spremuta d'arancia.

"Non è un buon giorno senza vitamine!" Canticchiò mentre danzava tra i fornelli della grande cucina.

Io mi accasciai sulla sgabello, lasciando che le gambe nude ciondolassero pigramente per stendermi con il busto sull'isola in marmo scuro.

"Non è un buongiorno e basta. Zio Killian vuole dirci una cosa «di vitale importanza» e per farlo ha organizzato una giornata in barca." Borbottai, "il che è stupendo, ma t'immagini? Più di sette ore in mare aperto, senza possibilità di fuga se..." ma lei non ne volle sapere delle mie lamentele.

"Blake Cordelia, non iniziamo con i brontolii a prima mattina. Cosa ti ho insegnato?" Mi riprese, armeggiando con la frusta elettrica.

Sbuffai. "A quanto pare: niente. Dov'è Tata M? A lei piace sorbirsi le mie lamentele."

"Al piano di sopra. Comunque puoi gioire, è arrivato qualcosa per te circa un'ora fa." Sorrise ancora e gli occhi color cioccolata risplendettero di contentezza.

Io invece mi accigliai, nessuno stilista mi aveva avvertita di pacchi in arrivo quella settimana e Snorwell si occupava di tutte le questioni attinenti alla mia corrispondenza, considerando che le uniche cose che ricevevo erano richieste d'interviste o proposte per qualche sponsorizzazione. Attività che non facevo, figurarsi, non avevo nemmeno Instagram.

Mandai giù un sorso di spremuta, solo per farla contenta. Quelle bestie dei miei fratelli e gli Hastings si stavano già dando battaglia all'esterno.

"Cosa è arrivato?" Domandai.

Lei si abbassò completamente e sparì dalla mia vista per agguantare qualcosa dal ripiano più basso della dispensa. Quando la rividi, teneva in mano un mazzo di fuori blu e viola.

"Eccoli! Non sono stupendi? C'è anche un biglietto, un biglietto meraviglioso."

I miei piedi toccarono il pavimento e dalla curiosità abbandonai le pantofole ad una vita solitaria.

"E tu sai che è meraviglioso perché lo hai letto, ovviamente." Ridacchiai, prendendole dalle mani la bella composizione.

"Ovviamente." Ripose contenta.

Stavo giusto aprendo il biglietto quando dalla porta a vetri marciò il lupo degli Hastings.
Il torace cesellato e messo in bella mostra, incorniciato dalle due braccia fregiate d'inchiostro e dall'elastico del costume blu mare che si stringeva proprio nel punto in cui i muscoli rientravano a formare una splendida forma a v. Allo stesso modo i capelli scuri gli ricadevano ferocemente sulla fronte, come una selvaggia notte d'estate.

"Ciclamini?" Domandò Wolfe nauseato, adocchiando il fascio di boccioli che abbelliva le mie mani. "Chi ti ha regalato dei ciclamini?" Pronunciò il nome come se fosse una parolaccia.

Ancora non lo sapevo, ma l'idea di scoprirlo perse tutto il suo fascino nel momento in cui fu a meno di cinque centimetri da me, pronto a sfilarmi la carta raffinata dalle dita.

"E tu che ne sai di che fiori si regalo ad una ragazza?"

Sogghignò appena. "Io so che fiori si regalano a te." Aprì la piccola bustina e storse il naso, non mi resi nemmeno conto che se lo era messo in tasca.

"Cioè?" Enunciai con saccenteria.

Noel si affacciò dall'apertura che dava sul patio. "Ciclamini? Che hai fatto di male, sorellina?" E Wolfe alzò un sopracciglio, come per dire un grande e grosso «te lo avevo detto».

Il ribelle Hastings si voltò verso l'esterno, urlando a quei bifolchi già seduti a tavola.

"Blake ha ricevuto dei ciclamini!"

In meno di cinque secondi gli altri cinque ci raggiunsero. Dorian si appoggiò affianco a me.
"Si regalano rose rosse, gambo lungo." Poi allungò il collo "ma non c'è il biglietto? Chi li manda?"

Tata Victoria intervenne, salvandomi dall'imbarazzo di dover ammettere che non lo sapevo. "Logan Coventry! Ed era così dolce."

Se solo avessi saputo cosa aveva scritto...

Lo stupore per il mio regalo durò molto poco, non appena Tata M. scese ed aprì il forno, tirando fuori dei biscotti caldi di frolla e gocce di cioccolato.

Ne presi uno dalla teglia ancora bollente, fregandomene di ustionarmi lingua e polpastrelli.

"Hmmmm. Che goduria." Mugolai, "con la crema sarebbero ancora più buoni." Il silenzio s'impadronì della cucina imbandita e caotica.

"Non fare mai più quel verso in mia presenza." Brontolò Daniel, schifato.

Cole annuì, rubando un biscotto. "Mi accodo."

Li guardai entrambi stordita, gli zuccheri erano un afrodisiaco punto e non era impossibile che mi fossi lasciata andare un po' troppo all'entusiasmo.

Noel mi fece un occhiolino complice, segno che stava per fare qualcosa per infastidire qualcuno.

"Davanti a me quel verso puoi farlo tutte le vuole che ti pare..." Ammiccò scaltramente.

Wolfe brontolò qualcosa, ma venne ricoperto dal tono autoritario di suo zio, già in tenuta marittima mezz'ora prima della partenza, una leggera barba che gli inferociva i lineamenti tipici degli Hastings.

Tappabocche-cuciorecchie e so-tutto-io-assistente lo seguirono a passo veloce una volta entrato in cucina.

Battè le mani fra di loro. "Nessuno dei miei ragazzi sembra pronto per salpare."

"Hai detto alle undici, sono le dieci." Gli fece notare Carter.

Lo zio scosse la testa. "No, ho detto che le auto sarebbero venute a prenderci alle dieci in punto."

Noel ridacchiò sotto i baffi alla mia destra. "Potrei e dico potrei aver mal riferito quello che mi hai detto e potrei averlo fatto di proposito."

George si strinse il naso fra le dita. "Non dirmi che lo hai fatto perché volevi dormire mezz'ora in più, Noel."

"Non lo dirò." Disse con la bocca ancora piena di paste bollenti, le parole uscirono aggrovigliate fra di loro, tra una masticata e l'altra, "però sono un tipo onesto e non posso lasciarti immaginare il contrario."

E tutti scoppiamo in una risata.

Indossai l'abito in twill di seta turchese con stampa check fields di Marni e la borsa a secchiello di Saint Laurent coordinata con le ciabattine carta di zucchero ed un paio di occhiali da super diva bianco ottico.

I paparazzi ci andarono a nozze, con quello ed i cipigli arruffati dei miei fratelli, ancora poco convinti dell'uscita di famiglia in programma.

A fiotti si erano appostati all'ingresso del molo A del porto di Los Angeles e fuori dal panfilo di proprietà esclusiva di zio Killian su cui ci era, parole sue: «espressamente vietato salire, a rischio di farla affondare per un capriccio.»

La porta della limousine fu aperta da Mais e lo scapestrato branco venne mischiato a macchinette fotografiche e giornalisti di qualsiasi emittente, telecamere, microfoni, taccuini e registratori di ogni tipo.

George ci aveva pregato, scongiurato, supplicato, di emettere brevi commenti e dichiarazioni. Credeva fosse un modo per iniziare a coltivare un rapporto migliore con le testate scandalistiche, desiderava intessere delle relazioni cordiali.

Noel decise di accontentarlo, mentre io e Wolfe ce ne rimanevamo in un silenzio meditabondo ed austero che secondo tappabocche-bla,bla,bla accresceva solamente curiosità e dissensi.

Così, quando per l'ennesima volta gli chiesero del suo affaire con la figlia del primo ministro, lui rispose. "Signori, una volta per tutte e per fare chiarezza: non sono andato a letto con la sua primogenita."

George tirò un sospiro di sollievo, ma Noel piegò la testa di lato e Oh-Dio, se sapevo cosa sarebbe successo.

"Ma con la seconda e sua nipote" li guardò affabile, muovendo le mani giocosamente, concluse sorridendo "nello stesso momento."

Dorian e Daniel scoppiarono in una risata strozzata mentre i miei occhi schizzarono fuori dalle orbite assieme a quelli di George. Noel sapeva come trasformare una domenica mattina in un affare di Stato.

Mi sfilai le scarpe per salire sulla barca, ma venni interrotta da un obiettivo pericolosamente vicino al mio viso. Fortunatamente una mano marchiata si frappose tra il flash e la mia espressione sconvolta.

"Almeno un metro di distanza Simon, rispettalo o te lo faccio rispettare io." Sentenziò asciutto il lupo del Beau Soleil.

Il giornalista teste la mascella, ma dovette indietreggiare. Wolfe aveva ragione, foto da quella vicinanza non erano ammesse in nessun caso.

Stavamo per salire sulla passerella quando un classe G color argento ci raggiunse a tutta velocità, rompendo la barriera di reporter appostati all'entrata dello Yacht.

"Sorprese per i miei nipoti, immeritate dovrei aggiungere." Constatò zio Killian.

Il mio cuore fece tre capriole ed un salto carpiato appena mi accorsi che Gabriel si trovava alla guida dell'auto, Brooks seduto al suo fianco.

Scattai in avanti e feci il giro per raggiungerlo, saltandogli al collo con enfasi.

"Ciao fratellone, mi sei mancato da morire." Lo strinsi con tutta la forza che avevo nelle braccia.

Lui mi baciò una guancia, solleticandomi con la barba di qualche giorno di un color miele appena più caldo rispetto a quello dei capelli.

"La mia sorella preferita."

Brooks mi arruffò i capelli, brontolando. "Peste... è bello sapere che ti sono mancato anche io. "
Abbracciala anche lui. "Sai che è così."

Dorian e Daniel ci si affiancarono. "É anche la tua unica sorella, se è per questo." Disse il primo.

"Siete solo invidiosi che lui preferisca me." Risposi imbronciata e profondamente sicura di essere davvero la sua preferita, fratello o sorella non faceva alcuna differenza.

Gabe alzò un sopracciglio in direzione del mio gemello poco entusiasta, poi mi guardò negli occhi. "Allora è vero che c'è maretta."

"Chi te lo ha detto?" Perché io non lo avevo fatto.

Mio fratello sorrise sotto i baffi. "Secondo te?"

Sospirai, qualche ipotesi potevo avanzarla.

Il sole mi baciava la pelle, assieme al vento caldo che s'intrufolava nelle ciocche selvagge di capelli color grano, portando con se un profumo di sale e lillà appena sbocciati. In sottofondo il rumore delle onde alte mi aveva cullata fino a farmi chiudere gli occhi per qualche secondo, poi per lunghi minuti, fino a possedermi totalmente, lasciandomi dimenticare i bisticci dei miei fratelli al piano di sotto.

Il cuscino a righe bianche e verdi si piegò sotto il peso di una figura scura, che era rotolata pigramente sulla schiena, mostrando il torace scolpito.

"Tu odi il flight." Borbottai, sapendo benissimo chi avevo attorno solo per il profumo di Clive che mi aveva invaso le narici.

La voce brusca mi colpì l'orecchio e maledissi i miei ormoni per avermi impedito di cogliere il fastidio del non essermi accorta che si era avvicinato così tanto.

"Più o meno di quanto odio me stesso per non riuscire ad odiarti?" Formulò aspro, con il puro scopo di infastidirmi e di prendermi in giro per quello che avevo detto.

"Sai quello che intendevo."

"Avresti dovuto intendere altro." Replicò piccato.

Io aprii gli occhi e lo guardai in tutto il suo mieto splendore. "Tipo?"

"Tipo quanto fossi grata per l'aiuto che ti ho dato..." lo interruppi, spingendogli la spalla. Non perché volessi toccarlo, ma non lo volevo così vicino a destabilizzarmi i pensieri.
"Come eri grato tu quando io ti ho aiutato dopo che mi avevi rovinato la serata a Palm Springs?" Strabuzzai gli occhi, indignata.

Le fossette diaboliche tornarono promettenti. "Io ero molto grato. Infatti non sono tornato di sotto a finire quello che avevo iniziato."

"Continua a manipolare i fatti, stai diventando sempre più bravo." Fu veleno puro il tono della mia voce, rabbia quella nei miei occhi.

Lui scosse la testa. "Tu nei sai qualcosa di manipolazione, dovrei prenderlo come un complimento?"

"Prendilo come ti pare." Ammisi sconfitta intanto che lui si avvicinava fino a toccarmi le gambe con le sue.

Mi alzò il mento con due dita, costringendomi ad alzare il naso verso di lui. "Esattamente come prendo quello che mi pare."

Esasperata socchiusi gli occhi. "Buon per te."

Lui sorrise ad un centimetro dal mio viso. "E decisamente peggio per te."

Lo guardavo, lo vedevo, lo sentivo,
ma non sapevo cosa provavo e la cosa mi mandava su di giri al pari di un otto volante ripetuto una volta di troppo. Meglio, peggio? Chi lo sapeva cosa era meglio per me? Di certo non io.

Rimasi in silenzio e lui si accigliò, come se avesse capito che il gioco era concluso per quel momento.

"Perché ti sei ammutolita?" Domandò scrutandomi il viso alla ricerca della risposta e probabilmente avrebbe potuto anche scoprirla da solo, se non avessi prontamente calato la maschera d'indifferenza che rifilavo a chiunque non fosse in confidenza con me.

Sospirai e mentii. "Non lo so." Poi cercai di cavarmi fuori dall'impaccio. "Tu perché sei salito qui, piuttosto?"

"Perché non sarei dovuto salire?" Rimarcò astuto, rotolandosi sopra di me fino a schiacciarmi completamente.

Di conseguenza il mio corpo si accese come se fosse stato inserito in una fornace e la mia testa partì per un viaggio in un paese lontano, esotico, lasciandomi senza senno o controllo.

Deglutii tutti quei formicolii bizzarri e alzai il mento di quei due centimetri che mancavano per far scontrare i nostri nasi.

"Perché ci sono io." Decretai.

E lui, il maledetto, non fece altro che scoccarmi un bacio all'angolo della bocca, al sapore di peccato e colpa. Un ulteriore fumogeno per la mia mente già annebbiata, ubriaca di quel profumo e della sua pelle, del mare in tempesta nei suoi occhi, del vivo diritto di possesso che pretendevo io stessa su di lui.

La voce densa e roca attraversò ogni corda tesa della mia schiena. "Pensavo che avessimo già chiarito questo punto. Io vado dove vai tu, fine."

"Non è chiarire quando non si danno spiegazioni e di chiarimenti me ne devi parecchi." Lo corressi, ribellandomi sotto il suo peso. Continuava a rifiutarsi di dirmi di più su Jameson ed evitava ogni mia domanda sullo Skid Row e su Brentwood, a rifuggire ogni mio tentativo di capire qualcosa sul nostro rapporto.

Wolfe si alzò appena per circondarmi i polsi con una sola mano, bloccandomeli con uno scatto brusco sopra la testa. L'espressione rilassata mutò rapida come un temporale estivo, divenne grigia e cupa, negli occhi albergavano saette, i tuoni scivolarono sulla lingua severa, le nuvole affilarono i suoi lineamenti decisi.

"Non sono io quello in debito, bambina." Poi spuntò un sorriso affilato che mi fece accapponare la pelle. "E se ci tieni almeno un po' alla tua innocenza, smettila di dimenarti mentre ti sono sopra ed hai le gambe aperte solo per me."

Presi il coraggio a quattro mani e non mi lasciai travolgere da nessuna insinuazione, non mi sarei né fatta intimidire, né sottovalutare. Gli rifilai un sorriso furbo.

"Sono indecisa se considerare tenero o ridicolo il tuo parlare d'innocenza. Ho avuto modo di sperimentare il mio lato selvaggio a Parigi." Mentii alla grande, con una maestria unica, perché più ignorante di me in materia non ne conoscevo.

Wolfe sbatté le ciglia.

Wolfe Hastings sbatté le ciglia.
E rimase interdetto.

Alzai un sopracciglio proprio come avevo visto fare al maestro.
"Ti chiederei perché ti sei ammutolito, ma non m'importa."

Rimanemmo in silenzio qualche altro secondo, fin quando lui non sogghignò, staccandosi appena da me per intrufolare una mano fra il mio corpo ed il suo. Una mano diretta verso il basso.

Deglutii e lui sorrise definitivamente.

"Quindi, se io facessi così..." disse a voce bassa mentre le sue dita si spostavano sul mio interno coscia e risalivano mortalmente lente verso il bordo dello slip, indugiando sulle cuciture per poi saltarle e toccare il centro della stoffa pregiata, muovendosi leggero proprio sul nucleo di tutti quei formicolii. "Non sarebbe nulla di nuovo." Insinuò, giocando con i miei punti sensibili con il pollice e l'indice per poi risalire con le dita sulla pancia e litigare con i fili intrecciati del pezzo di sopra.

«Dio.»

Sussultai, inarcando la schiena. Totalmente travolta da quella sensazione invadente e piacevole.

"Affatto." Bugie e solo bugie, a ruota libera.

"Hum." Mugolò, e le sue dita scivolarono dentro il tessuto del reggiseno, pizzicandomi la punta indurita.

«Mio

La sua bocca si abbassò su di me, dapprima ustionò l'angolo della labbra e poi percorse il profilo della mascella, succhiò il lobo dell'orecchio, si trascinò per l'incavo del collo tirando la pelle con i denti e scese sulla clavicola assieme al suo corpo che si spostò più in basso. Fummo travolti entrambi da un fremito.

Alzò solo il maremoto in tempesta su di me, mentre quella stessa bocca che mi aveva rivolto ogni tipo di parola spostava il mio reggiseno di lato, lasciando un seno libero a scontrarsi con l'aria fredda e poi con il calore bollente della sua lingua, solleticandomi sensi, desideri e paure.

E continuava a guardarmi mentre succhiava la pelle delicata, dipingendola di rosso, nero e avarizia.
L'altra mano stringeva il seno salvo dalla sua ferocia e poi s'inchiodò al fianco, spingendolo fino a farlo affondare contro il cuscino imbottito per darsi la spinta a risalire con il viso sul mio.

Mi scappò un verso, un gemito, quando lui si scontrò su di me e lo sentii.

La sua bocca tappò la mia e i cocci rotti del mio cuore mi esplosero nel petto.

Mi baciò.

Era il big bang oppure lo scoppio di una supernova o ancora un collasso cardiaco. Non lo sapevo, ma era un fuoco prima dormiente che era diventato sempre più vivo sino a bruciarmi le ossa e le vene. Era una danza di farfalle nello stomaco, una sensazione di vuoto come quella che precedeva una caduta.

Le nostre bocche si cercavano con possesso e desiderio mentre le mie mani si tuffavano pestifere nei suoi capelli, tirandone qualche ciocca. Le sue, indipendenti e birichine, mi scivolarono addosso, stringendomi i fianchi e poi il fondoschiena fin quando non mi tirarono più su, più vicina. Stretta in una morsa letale, in una lotta di lingue con baci che diventavano morsi e sospiri cugini di gemiti.

Wolfe mi portò su di lui, girandomi un braccio intorno al sedere e le gambe nude, che fossero dannate, si attorcigliarono ai suoi fianchi mentre la sua bocca andava in perlustrazione del petto, per poi risalire alla gola, al naso, ai lati delle labbra, fino a riappropriarsi della stessa.

"Wolfe..." provai a dire in un bislacco momento di lucidità, ma lui non ne volle sapere del principio della mia ammonizione.

"Aspetta." Riuscì a mormorare tra le pieghe delle mia labbra, prima di trascinare la mia lingua in un tango sensuale.

Le sue mani afferrarono il mio viso e mi dedicò un altro bacio, dal sapore diverso, malinconico e lento, morbido e triste, ma comunque vorace.
Era come se un'orchestra stesse intonando l'ultimo verso della canzone d'amore. Poi le dita si spostarono sulla spina dorsale, pizzicando ogni vertebra, arrivando ad afferrare le maniglie dell'amore e scivolarono più in basso, sul bordo dello slip.

Ci giocarono.

Mi aveva baciata senza permesso e forse senza nemmeno essersi fermato a riflettere su quello che aveva appena fatto. Semplicemente si era appropriato del mio respiro, come se io fossi stata una ladra e lui si fosse riappropriato di ciò che gli era stato rubato, ma gli era sempre appartenuto.

Si staccò di scatto, lasciandomi ansimante e pulsante, il sangue che mi scorreva veloce nelle vene e mi colorava le guance del colore delle fragole, dell'imbarazzo e dell'impulso più sfrenato.

I suoi capelli neri occuparono la mia vista assieme alle ampie spalle. Si mise diritto e indietreggiò con la testa, sorridendo con una soddisfazione che raramente avevo visto sul suo viso

Mi atterrò di nuovo, e mi ritrovai seppellita ed imprigionata sotto di lui.

Brontolò con voce grave. "Mi hai sempre portato guai, Bee."

Ero ancora troppo sopraffatta per dare un senso o anche solo realizzare quello che era appena successo. Sospirai. "Io potrò anche portali, ma tu sei un guaio vivente, Hastings."

"Sono solo un Hastings per molte persone, ma non per te." Minacciò.

Io invece mi crucciai. "Per me sei un enigma."

"L'importante è essere l'unico, così come ho avuto il piacere di appurare." Disse vittorioso. "Me l'avevi quasi fatta, ma poi mi sono ricordato di Apate ed io l'ho fatta a te."

"Apate?" La dea dell'inganno, lo spinsi indietro. "Mi hai baciato solo per verificare se avevo detto la verità?" Urlai e sperai che al piano di sotto i chiacchierii fossero stati abbastanza alti da non aver sentito i miei lamenti.

Wolfe mi guardò predatorio, affogandomi nel ghiaccio cristallizzato nei suoi occhi. "Questo ha salvato la vita di qualsiasi ragazzo che è entrato in contatto con te negli ultimi due anni. Prego."

Un pungo nello stomaco, uno coltellata al cuore, uno schiaffo a mano aperta il cui schiocco riverbrò per tutto il mio corpo.

"Sei scorretto." Sussurrai a malapena.

Lui si mise più comodo ed aprì le spalle, per nulla turbato dalle mie parole. "Non sono scorretto, ma posso esserlo." Un ghigno gli irrigidì i lineamenti. "All'occorrenza."

"Lo sei stato adesso." Cercai di controllare quella scintilla di rabbia che via via stava diventando un incendio nel mio sterno.

Wolfe emise una risata tetra. "E chi se ne fotte." Poi mi strinse il viso in una mano. "Non posso accettare che ci possa essere stato qualcun altro."

"Non so su quale pianeta vivi, ma su questo le cose non funzionano così." Chiarii.

"Ti chiederei di spiegarmi come funzionano, ma sarebbe solo fiato perso. Le cose funzionano come io decido di farle funzionare." E la nonchalance con il quale parlava mi fece capire che non era una messa inscena, ma la pura verità dei fatti.

Tra noi due era lui quello con il coltello dalla parte del manico, aveva fatto leva prima sui miei sensi di colpa e poi sulla mia debolezza quando si veniva a lui.

Non sapevo nemmeno dire come c'eravamo arrivati a quel punto. In che maniera e quando avevamo corrotto le nostre anime in quel modo, fino a farci giocare sporco con qualcosa di così puro come era il nostro rapporto, prima di essere inzozzato da errori e ripicche.

E di ripicche ne sarebbero arrivate molto presto, perché per nessun motivo avrei lasciato alla deriva parti di me che lui avrebbe raccolto e poi disperso al puro scopo di compiere una sua profana vendetta.

"Tu non mi vuoi, non è così? Si tratta ancora di fare la tua giustizia a spese del mio cuore." Ragionai ad alta voce.

Alzò il busto, sovrastando di venti centimetri buoni e spinse la sua fronte sulla mia. "Voglio ciò che voglio e prendo quello che vuole essere preso. Non gioco con te più di tanto non faccia tu, bambina."

"Io non gioco con te." Risposi indignata.

Un risata gli scosse il petto ed infranse la barriera di tensione che si era aggrovigliata attorno a noi, io lo colpii con forza sul petto, illudendomi di riuscire a farlo smettere.

Lui però continuò, una risata dapprima a scopo denigratorio, ma poi liberatoria. Forse non rideva in quel modo da secoli.

La testa di Noel spuntò dalle scale che portavano al flight, facendomi sussultare. "Me lo hai rotto, sorellina?"

"Vorrei averlo fatto, avrei meno problemi." Lo spinsi ancora, invano.

Noel trascinò i piedi fino al cuscino dove eravamo intrecciati. "Sono offeso, mentre io mi annoiavo a morte al piano di sotto voi due vi stavate trastullando qui su."

"Non ci stavamo trastullando." Ci tenni a rimarcare rossa in viso e fiduciosa di aver sistemato il costume giusto prima che lui fosse salito.

Il ribelle Hastings alzò un sopracciglio e mi guardò dall'alto delle ciglia scure. "Menti meglio di così. Adesso sono ancora più offeso, non valgo nemmeno una bugia decente?"

"Purtroppo vali milioni di bugie decenti." Borbottai.

Lui sorrise. "Smettiamola di parlare di decenza quando l'indecenza è molto più interessante."

Io divenni paonazza e Wolfe finalmente smise di ridere, mi spostai da sopra di lui e mi sedetti sul cuscino.

Era successo tutto troppo in fretta per distinguere la realtà dalla finzione ed ora il confine tra le due sembrava labile quanto un respiro spezzato. Il sapore della sua bocca sulla mia era stato di caramelle all'astio e ricoperte di cenere, la presa delle sue mani, urgente ed ingorda, ferrea quanto morbida, mi aveva graffiato la pelle e l'anima.

Non era stato lasciato nessuno spazio alla dolcezza del te al miele o alla carezza di una coperta in una giornata fredda e piovosa, perché tutto era stato preso e tutto era stato risucchiato, sbattuto, pestato, distrutto.

Il mondo si era ripiegato su di noi per più di un istante ed eravamo stato oppressi e soppressi dalla forza di gravità, da quella dei nostri rancori, ci aveva spinti fino a farci cadere l'uno sull'altra ed uniti, ma separati, allo stesso modo.

E mi era piaciuto,
perfino troppo.

C'eravamo ritrovati ad assomigliare a uova strapazzate e speziate di peccato o dal peccato di non aver eseguito la ricetta alla lettera. Perché non era stato come sarebbe dovuto essere, non come lo avrei immaginato due anni prima.

E il lato peggiore era l'eco del suo nome, richiamato dai cocci spezzati del mio cuore; una voce assordante che ero risuscita a silenziare fino a quel momento, ma che da allora aveva riacquistato la libertà di strillare e dire per la prima volta quello che voleva.

Voleva lui,
ma non poteva averlo.

L'ordine del lupo richiamò la mia attenzione, la sua puntata su di me anche quando parlò al fratello. "Noel, vattene di sotto."

Il ribelle Hastings sogghignò appena, muovendo i piedi verso le scale mentre ridacchiava e borbottava qualche verso poetico sull'indecenza.

Non appena la sua figura sparì giù dalle scale la bocca di Wolfe si abbatté senza preavviso e di nuovo sulla mia, si portò via tutto, lo rubò e lo nascose non so dove. La lingua danzò sulla mia assieme alle ali che mi sbattevano nello stomaco, volavo leggera mentre le sue mani pesanti mi stringevano più vicina. Mi morse il labbro inferiore e lo trattene prima di infilare le mani fregiate nei miei capelli e di strattonarli all'indietro, il mio collò seguì la linea tesa che aveva stabilito e mi abbandonai totalmente a quel piacere immenso, lasciandogli il totale controllo sul mio corpo e sul mio desiderio.

Quando ci staccammo definitivamente, abbassai lo sguardo per un secondo, poi lo alzai sul suo volto indecifrabile. Non scorgevo nemmeno una punta d'emozione, le aveva prontamente seppellite, rinchiuse in un recondito cassetto assieme alla sua coscienza. Chiavi, lucchetti e combinazioni a me sconosciute.

"Perché?" Chiesi ansimante. "Questo cambia tutto."

La fossetta tornò a prendersi gioco di me. "Non cambia niente e non succederà più."

"Perché?" Ripetei più convinta.

Lui mi baciò di nuovo, solo qualche secondo, giusto per venire a conoscenza di quanto controllo possedeva sul mio corpo. Lo aveva tutto, il controllo. Si era impossessato del Joystick dei miei pensieri e non me lo avrebbe più ridato indietro. Dovevo almeno tentare di riprendermelo.

Lo spinsi. "Dimmi perché!"

"Perché tu menti costantemente e senza pensare alla conseguenze." Ringhiò. "Questa è la prima."

Gli parlai sopra, con rabbia. "Un bacio è conseguenza dell'affetto, non di una maledetta bugia bianca."

"Avrebbe potuto esserlo, ma le tue scelte ci hanno impedito di scoprirlo tempo fa." Mi riprese.

"Non avrei dovuto fare quelle scelte, se tu non fossi stato sconsiderato..." Quella scintillò di rabbia crebbe, indomita e accolta a braccia aperte nel tentativo di scansare la tristezza.

Lui irrigidì la mascella. "Le mie decisioni non ti si sono mai ritorte contro, nemmeno una fottuta volta. E lo sai perché?" Il maremoto s'ingrossò. "Perché ho sempre evitato che lo facessero. Le tue, invece..." sorrise.

"Non posso pagare lo stesso conto di sbagli più di una volta." Rimbeccai, ed era vero.

Wolfe si agitò. "Non lo hai ancora saldato."

"E tu lo pagherai mai il tuo? Viviamo con occhi ed orecchie sulle spalle, abbracciati alla paura che le cose al Fire possano degenerare ancora; costantemente vigili per il terrore di rimanere invischiati in un turbinio d'imprevisti." Urlai, forte, così tanto che sicuramente mi sentirono anche gli altri, ma nessuno salì o c'interruppe. "Questo non lo chiami ritorcersi contro?"

Anche lui lo fece. "Non parlare di cose che non sai."

"Non le so perché sei tu che racconti bugie, bugie ed ancora bugie. La tua vita per me è un dannato mistero." Berciai.

"Un mistero che non spetta a te risolvere." Chiarì, quella volta atono.

Mi sentii chiusa fuori per l'ennesima volta, con il naso schiacciato contro un vetro offuscato attraverso il quale non riuscivo a vedere.

Strinsi gli occhi appena per ritrovare un briciolo di calma e razionalizzai il problema. Capii che in quel modo non saremmo mai andati da nessun parte, che ogni speranza era stata persa e che la realtà per quanto amara andava accettata per quello che era.

Fu chiaro che eravamo cresciuti come rampicanti l'uno sull'altra e quando c'eravamo separati i rami avevano preso troppo spazio per poter ritornare ad accettare la vicinanza dell'altro.

Forse, semplicisticamente, non combaciavamo più.

"Mi sta bene." Ammisi in un sussurro portato via dal vento. "Avevo abbandonato l'idea di poter poter fare pace con te. Sei stato tu a farmi sperare..."

M'interruppe. "Io non ho mai detto nulla che può averti fatto sperare in qualcosa di più."

E no, non aveva detto nulla, ma non era quello il punto.

"Azioni, non parole. Non è il tuo mantra?" Lo inchiodai.

Lui emise una leggera risata amara. "E cosa avrei fatto?"

"Lo sai." Sentenziai con decisione e lui sorrise impunemente, rivelando la sua indole contorta ed indecifrabile. Quella era la sua maschera, un'arma ben congegnata per far sovrastare il senno al suo avversario.

Mi decisi a continuare. "Se credi che non potrai mai perdonarmi: dillo."

Rimanemmo in silenzio, con gli occhi mescolati tra mare ed erba, i respiri lenti, le bocche strette, le menti in viaggio a ritroso alla ricerca di una soluzione.

Parlò dopo minuti interminabili, il viso come una tela macchiata di rimpianto ed orgoglio e mentre il suo era rimasto intatto, il mio era stato ridotto a brandelli di carta come il mondo in cui vivevamo.

"Ci ho provato." Iniziò a dire, ma non ci credetti.

"Non ci hai provato."

"L'ho fatto ed ogni volta sono arrivato alla stessa conclusione. Io non posso e non potrò mai, perdonarti." E mi sembrò arreso a quella realtà, quanto me, tranquillo nella sua scelta. Come se averlo dato ad alta voce riuscisse perfino a confortarlo.

Io non ero né confortata né tranquilla, ma dovevo uscirne a testa alta. Avrei pianto più tardi nel buio della mia camera, sotto la doccia, dove solo le piastrelle del bagno sarebbero state testimoni della mia debolezza.

"Quello che sto per dire sarà essenziale per la nostra convivenza." Annunciai e sospirai. "Noi non litigheremo più, smetteremo di viverci addosso e coesisteremo in modo pacifico. Le nostre interazioni si limiteranno al necessario, saranno cordiali. Buongiorno, passami l'acqua, buonanotte."

Sebbene quella per me fosse solo una prospettiva di sofferenza mi ritrovavo a doverla accogliere, perché averlo sempre intorno, sapendo cosa significasse avere le sue mani su di me e la bocca crudele a portata di bacio, non era più un'opzione che avevo il lusso di considerare, se non volevo bruciarmi quel che rimaneva del cuore.

Continuai, provando a mantenere il tono più sicuro possibile.

"Faremo uno sforzo fino all'estate, poi le nostre strade si separeranno definitivamente." Il cuore mi cadde nello stomaco, ma lo ingoiai, non lo avrei mai digerito. "Tu andrai a Saint-Tropez, io in Europa con le mie amiche, a settembre partirai per Yale ed io starò qui fino a gennaio."

"Le nostre strade si incroceranno sempre." Disse a voce bassa.

Io scossi la testa. "No, la nostra convivenza finirà alla fine di quest'anno."

"Pensi che a New Haven zio Killian ti permetterà di vivere da sola e non nella casa di famiglia?"

"Io non verrò a Yale." Confessai ad alta voce, scoprendo una volta per tutte le mie carte. "Stavo palando di questo con Noel nello sgabuzzino del Mint's."

Il silenzio si abbatté sopra le nostre teste ed un lampo squarciò il cielo nuvoloso sopra di noi. Poi lui lo infranse.

"In che senso non verrai a Yale?" Il -«perché non me lo hai detto» si fermò sulla sua lingua prima che potesse pronunciarlo.

Tristemente, sorrisi. "Non ci facciamo questo tipo di confidenze da un po' e non riprenderò a farlo ora, quando stiamo sancendo la fine pacifica della nostra amicizia."

"Stai facendo tutto da sola." Ringhiò.

"Mi hai guidato tu fino a questo punto."

"Avrei da ridire." Borbottò esausto.

"Non m'importa più."

Quello che disse dopo lo fece con fermezza. "Io non accetto le tue condizioni, non sei nemmeno nella posizione di contrattare una resa."

"Che tu le accetti o meno non cambierà le cose." Risposi affilata e ci tenni a precisare ancora un aspetto. "Uscirò con altre persone e non t'intrometterai e tu farai lo stesso ed io cercherò di essere felice per te."

"Questo non può succedere." Strinse la mascella e serrò il pungo al lato della gamba, visibilmente contrariato.

Io provai a farlo ragionare delicata e risoluta come mi aveva consigliato sempre di essere zia Charlotte. "Invece succederà, perché se tu non puoi perdonarmi allora nessuna tua parola ha senso."

Sorrise. "Suona quasi come se tu mi stessi lasciando, è ridicolo."

"Io ti sto lasciando andare." E con quelle parole un parte di me abbandonò la presa su di lui.

Una voce c'interruppe dal piano di sotto.

"Ci degnate della vostra presenza?" Cantilenò Brooks e gli altri si unirono in un coro di insulti e risate.

Feci per alzarmi e mi allontanai dalla seduta, consapevole che in quel preciso punto sarebbe rimasto per sempre un pezzo di me. Fui seguita da un'ombra scura, silenziosa ed un dipinto d'inchiostro mi si avvitò attorno alla vita, tirandomi a se.

Lo dissi. "Non voglio essere toccata da te."

"Cazzate." Disse con impeto.

Mi voltai appena. "Hai detto che potevo dirlo in qualsiasi momento, che mi avresti lasciato. Lo sto dicendo ora: non voglio che mi tocchi."

E il suo sguardo venne attraversato da un temporale, era stato colto alla sprovvista quanto me, avevamo agito d'impulso e quello era l'unico modo per evitare di farci ancora male. La situazione era degenerata e basta.

Mi lasciò e quando scesi,
Wolfe Hastings non mi seguì.

§§§

Fu Cheryl a raccogliere le mie lacrime quella notte.

Gabriel mi aveva lasciato a casa sua una volta tornati dalla gita pomeridiana, lo zio ci aveva annunciato che ci avrebbe fatto conoscere la sua nuova fidanzata la settimana seguente ed aveva richiesto la nostra presenza al Galà di presentazione per il nuovo progetto della HB enterprise alla fine del mese.

George e Jonhatan ci avevano fornito delle "mission", così le avevano chiamate, per ripulire la nostra immagine. Peccato che si trattasse di un obiettivo impossibile.

Io ero stata seduta da una parte del tavolo, una parte di me in attesa che il capo branco si facesse vedere, invece era rimasto fedele al patto e si era rintanato al piano di sopra assieme a Noel ed ai gemelli.

"Wolfe ha dei problemi a relazionarsi con le persone, lo sai meglio di tutti noi." Disse Cher, accarezzandomi i capelli.

Eravamo stese sul suo letto da ore, con la testa sulle sue gambe e le guance rigate da lacrimoni corrosivi. Il materasso ci aveva inghiottite assieme cuscini morbidi e gonfi sulle sfumature del rame e le pareti bronzate della camera elegantemente rifinita.

La sua stanza la rispecchiava completamente, eccentricamente raffinata e profumata di saccenteria seducente.

Mi riscossi. "Non può essere sempre una giustificazione per tutto, io non lo capisco più. Mi manda ai matti." Brontolai. "Forse sono Alice."

"Nessuno lo capisce, dubito che lui stesso lo faccia." La voce dolce mi cullò i pensieri pian piano. "E tu non sei Alice."

Tirai su con il naso e mi alzai finalmente su a sedere, appoggiando la schiena alla spalliera del letto. Non potevo rimanere a casa mia quella notte, con il lupo a pochi metri di distanza.

"La verità è che è colpa mia, ho seguito il bianconiglio e sono caduta giù. Sono andata via, ho preparato bagagli e salvagenti senza dire niente e sono tornata con scatole piene d'illusioni e buoni propositi. Mi sono convinta che averlo vicino era buon segno." Spiegai. "Forse sono Alice e sono io quella pazza."

"Bijoux, non dire sciocchezze: Alice non è pazza, ma impavida e coraggiosa. Wolfe si è comportato da Wolfe e come sempre ha fatto un casino." Rimarcò.

"Sono... delusa, non me lo aspettavo. Io, Dio. Non so nemmeno cosa penso adesso. In più Nate non mi parla da una settimana e nemmeno so che cosa si siano detti in macchina." Provai a ricordare.

La mia amica sospirò, sapeva che la situazione non era facile e che io non me la stavo vivendo come avrei dovuto. Mi ero lasciata trascinare dagli eventi, senza dominarli. Pensavo che le cose dovessero fare il loro corso naturale e mi ero ritrovata a quel punto. Totalmente disorientata.

"Nate è solo invidioso, ma non mentirò dicendo che non riesco a capirlo. Wolfe lo ha sempre sostituito in tutto, Gabe è il tuo fratello maggiore e lo vedi come un punto di riferimento, verso i gemelli hai un innato senso di protezione e Noel è il tuo compagno di bravate." Mi guardò intensamente e mi strinse la mano. "L'unico che tralasci quanto Nate è Brooks."

"Io non li tralascio, è che loro sono... solitari." Borbottai.

Lei sbuffò. "Non sono solitari, ma semplicemente tranquilli e fanno fatica a stare dietro ai vostri colpi di testa."

"Brooks? Tranquillo? Ti ricordo che due anni fa ha rubato l'elicottero dei Tarton per fare un giro con Savannah Loyd, solo perché zio Killian gli aveva bloccato l'accesso alle piste di decollo dopo essere stato sospeso per aver bloccato l'entrata della scuola così da ritardare l'inizio dei SAT?" Pronunciai senza fiato, Brooks Hastings era un demonio.

"Rispetto a quello che avete combinato tu e Noel non è nulla." Chiarì, alzando un sopracciglio.

Forse poteva anche essere vero, ma non era quello il momento in cui parlarne. "Tirami fuori da quest'equazione."

"Non posso, ne sei parte integrante. Siete uno spassoso disastro, sregolati, tormentati e tutti dannatamente testardi." Ridacchiò mentre assicurava i capelli rosso fuco in una coda.

Alzai un sopracciglio. "Stai seriamente citando il Beverly Hills News?"

"Non ha torto." Constatò asciutta.

E no, in alcuni casi non aveva torto, ma si trattava comunque di un'inutile invasione della privacy. Invasione, che secondo George, eravamo noi a provocare.

Fu di nuovo lei a parlare. "Le hai viste le foto di sta mattina? Le hanno pubblicate sia Verter che lo Screaming Truths."

"Non faccio più l'errore di vedere cosa scrivono."

Fortunatamente venni salvata dall'apertura della porta della camera di Cheryl, vedere le foto di quella mattina mi avrebbe fatta stare solo peggio.

Sull'uscio comparve una sagoma dalla pelle olivastra e capelli corvini, fasciati da un'abito midi color buio senza spalline; probabilmente di Prada, ma non potevo saperlo con certezza.

"Ero con Charles ad un cocktail di Balmain, ho fatto il prima possibile." Disse dispiaciuta, raggiungendo la punta del letto.

Un'altra voce familiare le arrivò alle spalle. "Da quando c'è così tanta sicurezza qui dentro? Sembra Fort Knox, non volevano nemmeno farmi entrare."

"Tu che ci fai qui?" Trillai esasperata.

Noel Hastings mi dava il tormento.

Fece spallucce. "Potrei farti la stessa domanda, nessuno sapeva dov'eri. Abbiamo passato ore a cercarti."

"Gabe lo sapeva." Gli feci notare.

Noel sogghignò e scosse la testa. "Allora è uno stronzo geniale, si è divertito a vedere Wolfe dare in escandescenza."

"Addirittura?" Bofonchiò Ronnie.

Lui annuì e mi guardò. "Non so cosa hai fatto, ma qualsiasi cosa hai detto ha centrato il segno."

Il mio petto traballò. "Era anche ora."

Lui non fu d'accordo. "Sorellina, hai appena innescato una bomba. Spero che tu sappia come metterti al riparo."

"Non è quello che ho fatto." Sottolineai, al contrario l'avevo disinnescata.

Un brusio di sottofondo si levò nella stanza, fu Cheryl a prendere la parola. "Conosciamo tutti Wolfe così bene da sapere che qualsiasi cosa tu abbia potuto dirgli lui farà esattamente il contrario."

"Din-Din-Din." Simulò Noel. "Ci sei arrivata dopo solo dopo tre ore, ma chérie."

"Prego?" Si risentì lei.

Contrariamente ai rapporti tra il mio vecchio migliore amico e Cheryl, tra lei e Noel non era mai stato amore a prima vista, non riuscivano a non litigare o urlarsi addosso. Probabilmente aveva avuto difficoltà ad entrare proprio perché la mia amica aveva dato indicazioni precise al riguardo e se essere nella Black List di Cheryl non era piacevole, entrare in quella di Noel poteva risultare perfino letale.

Ronnie fece da pacere. "Non mi sembra il momento di mettere su uno dei vostri teatrini quando state dicendo la stessa cosa."

Gli occhi di Noel scintillarono di divertimento. "Disse il pozzo di scienza."

"Dacci un taglio. Adesso." Ordinai.

E lui fece un rocambolesco inchino sbilenco. "Come sue maestà desidera."

"Perché sei venuto?" Domandai esasperata, fin troppo provata da quella giornata.

Lui mi dedicò un sorriso furbo ed un'alzata di spalle. "Perché a casa mi annoiavo, erano tutti preoccupati che fossi fuggita chissà dove." Poi si voltò verso lo specchio e si sistemò i capelli, continuando a parlare. "In più George è incazzato con me per il ménage à trois, cioè non per quello. Solo per averlo confermato. Il Pr del primo ministro lo ha chiamato tutto indignato. Ha detto che la mia bocca è fuori controllo." Si voltò di nuovo verso di me e sorrise. "Ah, poi! Ti ricordi il giochetto della chiave della piscina?"

Deglutii, dopo che George e Jonhatan si erano fermati a parlare con Shaperd non ci avevano più fatto sapere nulla. "Ci sono novità?"

"Il solito. Vogliono una testa, a quando pare il cda ha puntato la mia però il coach si sta mettendo di traverso, ma..." Spiegò.

"Zio K. è arrabbiato?" Domandai, interrompendolo.

Lui fece spallucce. "Non saprei, non stavo ascoltando quando inveiva contro di me. Ho preferito immaginare la sua nuova fidanzata, non ci ha detto nemmeno il nome. Questa storia puzza di cagnolona bagnata."

"Lunedì parlerò con Shaperd, gli dirò che è colpa mia." Era la cosa giusta da fare, poi mi allacciai alla seconda parte della frase. "Vedremo il da farsi quando sapremo chi è."

Lui scosse la testa. "Naaah, non hanno prove. Lasciamo correre un altro po'."

"Sei sicuro?"

Sorrise. "Certo."

Cheryl alzò gli occhi al cielo e inarcò un sopracciglio. "Non sei venuto qui solo per questo, sputa il rospo."

"Quanta fretta..." brontolò e mi tirò su dal letto per il gomito. "Stiamo andando ad una festa."

Mi bloccai. "Non sono in vena."

"Devi esserlo, se voi possono venire anche loro." Indicò Cheryl e Ronnie.

Io rimasi sul mio punto. "Sono stanca, triste e confusa. Non ho voglia di andare in un posto pieno di gente che mi guarda come se fossi un'aliena."

"Questi sono i presupposti per cui si va ad una festa. Arrivi triste, stanca e confusa e te ne vai ubriaca, barcollante ed euforica." Provò a convincermi.

"Nessuno vuole venire con te, eh?" Ammiccai.

Lui scosse mimò di no con la testa. "Sono tutti noiosi, a parte te. Tu non sei mai noiosa. Non diventarlo ora."

Mi voltai verso le mie amiche, entrambe fecero spallucce.

"E va bene." Un po' di divertimento non mi avrebbe fatto male.

Mezz'ora dopo eravamo in auto in direzione di Hollywood, ci fermammo in centro proprio accanto al Marmont.

"Perché ci fermiamo?" Domandai.

Noel mi giro un braccio attorno alle spalle e le strinse giocosamente. "Perché il divertimento comincia proprio ora."

E quando Mais aprì la porta, vidi due volti conosciuti.

"Stai scherzando." Tossii imbarazzata e lui inclinò la testa verso i suoi, i nostri, ospiti.

"Ti sto aiutando. Mio fratello sa essere testardo, ma non è stupido e capisce quando esagera. Io penso che oggi non solo abbia esagerato, ma anche mentito." Spiegò, dicendo ad Alister e a Logan di salire in macchina.

Mi voltai rigida sul sedile. "Sei folle e scellerato, ho già alzato barriera bianca."

"Non si tratta di te, sorellina." Disse con nonchalance. "Ma di lui. Deve capire che sarai fedele alle tue parole e che le cose non torneranno a posto domani mattina se lui non farà niente."

E io pregavo,
supplicavo,
che non avesse avuto torto.

"Ho il presentimento che sarà un casino." Sussurrai.
Noel rispose subito. "Puoi dirlo forte."

E come al solito: pareri?❤️‍🔥🐺

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