26. un gioco a perdere

Angolo autrice:

Questo capitolo mi ha fatto penare, è lungo e ci sono mille campanelli per quello che succederà dopo.
Nei prossimi verrà approfondito tutto, purtroppo non c'è mai abbastanza spazio per me.
Avrei voluto scrivere anche altre mille cose, spero di aver setacciato quelle giuste!

Vi chiedo un parere e se vi siete fatte un'idea di quello che succederà.

Per alcuni dodicimila letture non sono nulla, ma io sono grata per ognuna di esse.

Tra un due di capitoli succederà una cosa importante.🫣

Non voglio deludervi❤️

«Di solito Alice si dava degli ottimi consigli, però poi li seguiva raramente.»

Alice nel paese delle meraviglie.

§§§

Walking on Sunshine sparò a tutto volume alle quattro di notte.
Walking on Sunshine, sparò a tutto volume alle quattro di notte.

Tirai il cuscino in direzione delle mie orecchie, ma nemmeno il memory foam del guanciale riuscì ad attutire quel miscuglio di tamburi e melodia crescente.
L'ora del decesso del mio riposo notturno fu accertata pochi minuti dopo, quando la porta della camera di Noel rimbombò contro il muro e per tutto l'ovale dove si trovavano le nostre stanze.

"Ci risiamo." Borbottai a me stessa, tirandomi in piedi con riluttanza.

A tentoni trovai le ciabatte pelose e la vestaglia in seta azzurra, prima di uscire nella penombra della notte e di affacciarmi per controllare cosa diavolo stesse succedendo. Quello che mi trovai davanti era uno spettacolo caotico di piedi che battevano sul pavimento e ante di armadi che replicavano in sincrono schiaffeggi contro la muratura.

Mi stropicciai gli occhi pesanti con i palmi freschi delle mani ed arrivata sull'entrata della camera di Noel mi appoggiai all'uscio.

"Avete gli allenamenti così presto?" Brontolai con la voce impastata dal sonno.

Lui s'infilò alla svelta un maglione moulinè blu di Marni e dei jeans in denis floccato (anche questi di Marni), abbigliamento insolito per andare a giocare a football, ancora più insolito che non mi avesse nemmeno degnata di uno sguardo oppure di una battuta pungente.

Ci riprovai. "Pensavo che ti avrei trovato per terra a bisticciare con Cole per la sveglia."

Il ribelle Hastings mormorò qualcosa d'incompressibile tra i denti e sparì dentro la cabina armadio, per ritornare solo dopo aver indossato un paio di Joradan ed una giacca a vento blu notte di Zegna.

"Noel?" Lo richiamai ancora per una volta, appoggiandogli una mano sulla spalla. Era la sua ultima possibilità di non farmi imbestialire.

Lui trasalì, muovendosi in un sussulto come se non mi avesse sentita fino a quel momento. "Jeez, sorellina. Sei diventata un ninja?" Mi schioccò due dita sulla fronte, ma non potei non notare il suo sguardo angosciato.

I sospetti presero a girovagare per la mia testa quando tirò fuori dalla cassettiera una cappello da baseball dei Rams ed un paio di spessi occhiali Gucci di qualche anno prima, mi sorpassò velocemente.

"Perché sei sveglia?" Domandò scocciato.

Non potei fare a meno d'incrociare le braccia e di infilzarlo un'occhiata torva. "Perché la tua sveglia è micidiale per i miei poveri timpani."

"Era la suoneria. Sto facendo un dispetto a Wolfe, ma è una lunga storia e non ho tempo da perdere."

Mi persi per un attimo, catturata dalle voci gravi di Nate e Cole che volavano giù per le scale con falcate ampie e sguardi così confusi da non renderli consci del fatto che fossi sveglia anche io.

"Dove state andando?" ...Con tutta questa fretta, ma mi morsi la lingua per non concludere la frase.

Noel sbuffò qualcosa ed il suo telefono ricominciò ad emettere quel suono. Non rispose. "Torna-a-dormire." Decretò.

"Dio, sembri Wolfe." Borbottai.

Lui alzò le spalle e si spostò con fretta e circospezione. Quando prese a scendere gli scalini due alla volta mi affacciai dal parapetto leggermente confusa.

"Noel!" Strillai, battendo un piede per terra. "Non mi hai risposto."

Si voltò appena per buttarmi un'occhiata. "Dormi, sorellina. Prometto di farti un resoconto domani a colazione."

Domani a colazione, resoconto?

Il sospetto crebbe velocemente attorcigliandosi alle mie gambe come rampicanti di bouganville. Girai sui talloni e mi diressi a passo di carica verso la camera di Dorian, aprii uno spiraglio della porta e mi affacciai all'interno: era vuota. Il letto immacolato. Alla velocità della luce ripetei l'operazione con quella di Daniel, il risultato era lo stesso.

L'irritazione cominciò a farsi strada nella mia spina dorsale, mi stavano escludendo di nuovo. Assieme ad essa, qualcos'altro mi attanagliò la bocca dello stomaco, perché mi accorsi che la camera di Wolfe, dal lato opposto della mia, era aperta.

Mi avvicinai senza nessuna remora e accertai i miei sospetti: non c'era.

La preoccupazione s'intrufolò fra le vertebre mentre la notte rischiarava il buio pesto del secondo piano ed il silenzio si abbatteva con prepotenza nella solitudine dell'esclusione. Il sapore aspro dello sconforto mi avvolse la punta della lingua.

Un altro telefono squillò nel giro di due secondi, interrompendo il mio ragionamento contorto su cosa sarebbe stato meglio fare in quel momento.

Carter uscì dalla sua stanza con un mucchio di vestiti fra le mani ed indosso solo un paio di mutande. Appena mi vide la sua pelle ambrata si schiarì di un tono, lo presi per l'orecchio e tirai verso il basso, non concedendogli il tempo di reazione.

"Hai tre secondi per dirmi cosa sta succedendo prima che scriva a Jackie che l'altra sera è venuta a letto con te e non con Cole." Minacciai.

Lui sogghignò appena, combattendo la smorfia di dolore che lottava per comparire sul suo viso. "Pensi che non lo sappia già?"

Ehw. Scossi la testa, ma irrigidii la presa. "Tre-due..."

"Sul serio, non lo so! Mi hanno solo detto che devo andare in un posto." Spiegò, stringendomi il polso nel palmo della mano e lavandoselo dalla faccia.

"E tu ti catapulti mezzo nudo fuori dal letto non sapendo perché? Ma fammi il piacere." Gracchiai.

Carter irrigidì la mascella, proprio come avrebbe fatto Wolfe. "Mi hanno detto di andarci subito."

"Che bravo soldatino. Povero piccolo Carter, ancora disponibile a chiamata." Lo sfottei, provocando la sua insicurezza da fratello minore così da indurlo a farsi sfuggire qualche informazione.

Lui abboccò come un pesce rosso. "Funziona così, se Wolfe dice: «Vai al Fire. Ora.» non c'è molta scelta."

Jack-Pot. Un sorriso mi spianò la bocca, lui se ne accorse.
"Merda." Imprecò, stringendo le labbra. "Comunque non è detto che sia successo qualcosa."

Purtroppo sapevo che non mi avrebbe davvero potuto dare più info di quelle, certa che la telefonata fosse durata meno di cinque secondi in cui gli erano stati abbaiati un paio di ordini.

"Sei l'ultimo ad uscire, ho già visto andare via Noel, Nate e Cole. Sembravano soprappensiero ed avevano una fretta matta e questo significa che sta succedendo qualcosa." Contenni il tono di voce per non aggredirlo verbalmente. "Carter?"

"Blake, Per favore. Fammi andare via." L'espressione seria non fece altro che allarmarmi ancora di più.

Annuii. "Vengo con te, dammi un minuto. Mi metto un paio di pantaloni." Non feci in tempo a voltarmi che lui ragliò, afferrandomi le spalle. "No-no-no! Tu resti qui, mi uccide se ti porto con me."

"Non fare il melodrammatico, se la prenderà con me. Posso gestirlo." Lo rassicurai, sperando non facesse opposizioni.

Purtroppo non fu così. "Col cazzo che puoi." Sbottò, passando una mano fra i ricci scuri. "Ora me ne vado e prometto di chiamarti appena arrivo."

La diffidenza mi portò a rigirare gli occhi al cielo. "Non sono nata ieri, non mi diresti proprio un accidente."

"Forse, ma è sicuro come il sole che non ti porto con me. Prova a raggirare Noel." Vaneggiò mentre lasciava cadere i vestiti per terra per vestirsi intanto che io ragionavo sul da farsi.

"Sai che non ha senso, ormai verrei comunque sia con, che senza, il tuo aiuto." Non ebbi paura di ammettere una verità che avrebbe dovuto riconoscere anche lui. Non mi sarei mai fatta da parte.

Carter finì di allacciarsi i pantaloni e sulla scia di suo fratello abbassò un berretto sui riccioli testa di moro, gli occhi azzurro ghiaccio tipici della maggior parte degli Hastings scintillarono per pochi secondi sotto il riflesso dei primi sprazi di meno buio. "Non andiamo nemmeno tutti nello stesso posto."

Ebbene quello mi preoccupava ancora di più. "In che senso? Se tu vai al Fire gli altri dove vanno? Come siete divisi? Perché vi dividete..." interruppe il mio sproloquio di domande afferrandomi il gomito e tirandomi dentro la mia camera. "Non voglio doverti chiudere a chiave qui dentro, quindi fallo di tua spontanea volontà." Minacciò.

"Non oseresti." Replicai, riducendo gli occhi a due fessure.

Fortunatamente la mia camera era sprovvista di chiavi, l'unica ad averla era la cabina armadio, ma dopo il tiro mancino giocatomi da Wolfe e Noel avevo provveduto ad eliminarla anche lì.

Lui corrucciò la bocca, frustrato. "Non mettermi nella condizione di osare, allora."

Un clacson strombazzò nel viale e Carter si voltò rapidamente, abbandonandosi ad una corsa in direzione del piano di sotto.

Mi lasciò da sola anche lui, assieme alle mie decisioni impulsive.

Non ci misi più di un minuto a ripescare dalla cassettiera un paio di jeans low rise ed una maglietta di cotone, uscii con i vestiti nella mano e un paio di flip flops nell'altra. Agguantai la giacca di pelle appesa nell'armadio dell'ingresso e mi catapultai all'esterno del viale ancora in pigiama, dove le luci delle Range Rover abbagliavano il cancello in ferro battuto.

Corsi ad una velocità che non avrei mai potuto ritenere credibile e m'infilai giusto in tempo nella fessura del cancello che si stava richiudendo su se stesso.

Le macchine inchiodarono il secondo prima d'immettersi nel sentiero tutto curve di Bel Air, ancora nel disimpegno esterno dell'inferriata. Lo sportello dell'auto di Noel si spalancò e lui scese accompagnato da una nuvola invisibile di rabbia sulla nuca, le mani infilate nelle tasche.

Sbottò subito, la voce profonda e graffiata. "Toglietelo dalla testa, con noi non ci vieni."

"Credi davvero che questo mi fermerà?" Chiarii.

Dal secondo SUV, di preciso dal sedile del guidatore, scese il mio gemello con il quale non avevo avuto il piacere di parlare dal litigio del giorno precedente.

"Tanto vale farla venire, ci seguirebbe davvero e dovremmo preoccuparci di saperla in giro da sola nello Skid Row." Dichiarò distaccato e per quanto mi scocciasse che proprio lui avesse quell'atteggiamento sprezzante nei miei confronti, almeno gli ero grata di aver spezzato una lancia a mio favore.

Noel sfilò le mani dalle tasche, aprendole ai lati del corpo in segno di resa, intanto che scuoteva la testa con disappunto. "Salta in macchina."

Cole abbassò il finestrino. "No, è meglio che venga con noi al Fire."

"Non esiste. Wolfe mi taglia le palle se viene a sapere che è venuta con voi mentre lui è dall'altra parte della città." Annunciò Noel con il tono fermo di chi aveva appena sancito una decisione irrevocabile, d'altronde in quel momento era il secondo in comando.

Nate non si trovò comunque d'accordo. "Io non..." iniziò a dire, ma Cole gli parlò sopra. "Ragazzi abbiamo già perso troppo tempo." Si voltò verso di me, piantandomi due stalattiti di ghiaccio sul viso, "credo che non dovresti uscire, ma se vuoi farlo va' con Noel."

Rimasi ammutolita e silenziosa per qualche secondo, poi mi ripresi e feci come mi avevano gentilmente suggerito, entrando nella Range del ribelle Hastings.

Il tragitto fu frenetico, la macchina schizzava giù per le discese delle colline mentre io provavano a vestirmi senza spogliarmi del tutto.

"Dove stiamo andando?" Chiesi dopo aver litigato con la chiusura dei pantaloni.

Noel sbuffò, imboccando l'uscita in direzione di Santa Monica. "A Brentwood."

"E perché gli altri vanno nello Skid Row? I miei fratelli dove sono?" Domandai.

Un altro sbuffo uscì fuori dalle sue labbra. "Non dovresti sapere quello che ti sto per dire, ma mi sentirei in colpa a non farlo. Ti avrei aggiornata domani mattina, sul serio."

"Il fatto che tu appaia così solerte mi sta solo preoccupando di più." Mormorai.

Lui mi rassicurò. "Per ora non hai nulla di cui preoccuparti. Stasera Dorian aveva un incontro al Fire e so che non ti va giù, ma stiamo attenti ed ora è un posto sicuro. Lo hai visto con i tuoi occhi." Cominciò e si fermò solamente al semaforo prima di curvare a destra e di imboccare le vie di Westwood. "Comunque Wolfe è andato con lui, anche se Daniel lo avrebbe accompagnato lo stesso."

"Arriva al punto." Lo ammonii, ci stava girando intorno.

Il silenzio ci accompagnò per qualche secondo e subito dopo sparò a raffica delle parole. "SkippyhadettoaWolfechehaivistoDomalKooka ed io potrei aver confermato, forse potrei avergli anche riportato il contenuto della vostra conversazione."

Sobbalzai sul sedile in pelle. Ecco spiegato il motivo per cui mi aveva minacciato sulla faccenda quando eravamo al Mint's. "Sei stato tu!" Strillai inorridita. "Riesci a tenerti un dannato segreto per una volta? Ti paro il culo da due anni e tu non lo fai con me neanche per un mese?"

"In mia difesa sono stato messo alle strette, n-non glielo avrei detto di mia spontanea volontà." Balbettò, colpito in pieno dal senso di colpa.

"Immagino che non sia tutto, siccome non hai spiegato niente." Dissi, ragionando ad alta voce e perdendomi tra le luci tenue dei lampioni che illuminavano il buio fuori dal finestrino.

Noel sospirò. "Ho scoperto che il «sono qui per affari» che ti aveva rifilato Dom, significava esattamente questo: hanno aperto un circuito a Brentwood."

Fu il mio turno di rabbrividire. "E che c'entriamo noi con Brentwood?"

"Niente, non spetta a me dirti altro. Posso solo giurarti che non siamo nella merda." Rassicurante.

"Ed io dovrei crederti?" Insinuai, l'ultima volta che mi aveva detto una cosa del genere e mi ero fidata avevo dovuto affrontare una realtà ben diversa da quella che mi era stata prospettata, e lui lo sapeva. Avevo imparato dai miei errori.

Lui alzò le spalle. "Non puoi fare altro, sorellina."

"Comunque non capisco perché stiamo andando lì." Non era una domanda, non quella volta.

"Vogliamo semplicemente sapere che tipo di aria tira, se hanno messo in piedi una situazione di cui dobbiamo preoccuparci oppure no." Si limitò a dire.

Ancora, non mi fidai. "Ah, un controllo che vi ha tirati tutti giù dal letto."

"Andiamo di fretta perché abbiamo avuto una soffiata, per la prima volta da settimane nessuno dei due è presente al locale. Non sappiamo se riavremo presto un'altra opportunità del genere."

Imboccammo una strada con meno illuminazione delle altre, dove gli alberi fitti coprivano quasi tutto il cielo scuro sopra le nostre teste. Dal vetro riuscivo solo a scorgere chiazze di verde nella notte ancora densa.

Mi portai indietro sul sedile e mi preparai al nostro arrivo, non prima di fuorviare ogni dubbio. "I gemelli e Nate sono andati a controllare che nessuno sia andato al Fire, non è così?"

Passarono attimi di silenzio prima che mi desse, a malincuore, una risposta. "Si."

Ed io seppi che da quella serata in poi ci saremo giocati il tutto per niente.

Il localaccio nel quartiere universitario della UCLA era abbastanza malconcio, più di ogni altro nella zona. Non per questo meno pieno di studenti poco più grandi di noi che si dimenavano sulla pista dal ballo mentre ingurgitavano gin lemon dai bicchieri in plastica trasparenti. Non sapevo dire se gli incontri fossero già finiti e le sbronze fossero di festeggiamenti o per dimenticare le sconfitte, oppure se quella fosse tutta una preparazione a qualcosa di più grande.

Noel si fece strada tra la folla senza troppe difficoltà, camminando con il viso basso e gli occhiali calati sul viso assieme ad un drink mezzo vuoto e rubato da un tavolino abbandonato per completare la copertura.

Ondeggiavamo tra la folla danzante e sudata, in quel momento avrei davvero desiderato averlo io un bel calice di bollicine fra le mani. Uno pieno fino all'orlo, ma non ero lì per celebrazioni di alcun tipo.

Noel mi strizzò il palmo della mano e continuò a camminare davanti a me per facilitarmi il passaggio. Arrivammo in poco tempo dall'altra parte della sala e ci fermammo in un angolo meno denso di persone, attaccati alla parete scura e ricoperta da una patina viscida di umidità.

"Cosa facciamo?" Chiesi a voce ad alta per sovrastare la musica assordante che fuoriusciva dalle casse.

Il ribelle Hastings si guardò intorno. "I pali, gli altri stanno parlando con alcuni lottatori dietro quella porta." Indicò l'apertura proprio alla nostra destra, "E noi dobbiamo assicurarci che nessuno di nostra conoscenza la varchi e registrare cosa succede qui dentro."

Storsi il naso poco convinta, ma feci come mi era stato detto.

Aspettammo all'angolo di quell'inferno di caos per venti minuti buoni, le chiacchiere ridotte all'osso mentre i miei pensieri divagavano su strade impervie composte da sdrucciolati di ansie e fangoso timore di perdere il controllo della situazione.

Non dovemmo aspettare poi troppo, perché dopo poco un paio di teste bionde uscirono dalla porta che stavamo proteggendo, entrambi con il viso chino. Come se davvero non avrebbero potuto riconoscerli anche con un cappello a visiera.

Dorian fu il primo dei due a posare gli occhi su di me, ma non fui io la destinataria della sua collera.

"Mi prendi per il culo?" Proruppe in un sibilo altero.

Noel mi dedicò un'occhiata tralice, sollevando annoiato un sopracciglio nella mia direzione. "Può darsi." Declamò scocciato da quella cantilena del proibito. "Trovato niente?"

Daniel mi cinse la spalla con un braccio e mi appiattì contro il suo fianco. Sebbene fosse mio fratello minore si comportava come se fossi una piccola formichina da proteggere. Mi guardò dall'alto delle ciglia scure, prima di rispondere alla domanda di Noel.

"Solo la solita merda di quei due. Wolfe sta finendo di parlare con Nick Sawyer in questo momento, era lui ad occuparsi di questo posto prima di loro." Ci pensò un po' su "Comunque niente, per ora."

"Quindi è stato un buco nell'acqua." Tossì il ribelle Hastings.

Dorian si avvicinò di qualche passo, arricciando la bocca sul lato sinistro. "Parziale, almeno sappiamo essere nei cazzi almeno per un po', pare non abbiamo mire sullo Skid Row."

Provai a dare il mio contributo. "Forse per ora, ma Dom mi ha detto: «mi farò sentire, più in la.»"

"E tu quando ci avresti parlato?" Sbottò Daniel, sconvolto.

Sgranai gli occhi e li puntai su Noel, che sembrava volersi seppellire da un secondo all'altro. "La sera che siamo venuti a riprenderli al Morpheus... ma scusa, non lo sapevi?" Mi voltai verso Noel. "Hai la bocca larga selettiva?"

Alzò le spalle e ci rifilò un sorriso colpevole. "Non è colpa mia, ma della strana gerarchia della nostra famiglia..."

Dorian strinse le nocche e si voltò di scatto, percependo prima di me la presenza oscura che si dirigeva verso di noi.

Pozze Azzurro Letale mi travolsero in pieno come l'onda più devastante dell'Oceano. Wolfe camminava a passi pesanti e sicuri, le braccia fasciate dalla t-shirt nera a maniche lunghe che gli avvolgeva il petto ampio e le spalle imponenti. Il viso indurito dai lineamenti affilati come lame mortali e le nocche rigonfie e spaccate in qualche punto.

In un battito di ciglia il mio corpo venne distaccato da quello di Daniel per aderire come un predetto incastro al suo torace. Venni seppellita totalmente da furia, muscoli ed inchiostro nascosto dal tessuto notturno.

Non si trattava di un abbraccio, tanto più di un vano tentativo di disintegrarmi.

"Soffoco." Borbottati trafelata, arricciando le punte della dita sul suo pettorale destro.

Una vibrazione somigliante ad un ringhio gli rimbombò nella cassa toracica, sbattendo sulla mia. "Ti avevo detto di non ficcare il naso."

"Ti avevo detto che non potevi darmi ordini." Ribattei con stizza e lo affrontai con audacia.

Il lupo del Beau Soleil strinse la mascella per sette secondi, li contai. "Noel ti riporta a casa e rimane con te fin quando non torniamo."

Suo fratello scosse la testa. "Col cazzo, sono appena arrivato."

"Ti sembra che me ne freghi qualcosa?" La voce carica di un'autorità intransingibile e di una tangibile rabbia fumosa. "Non avresti dovuto portala qui."

"Credi che non lo sappia? Ci ha seguito fino al fottuto cancello, sai cosa sarebbe successo se non l'avessi portata con me." Spiegò.

Wolfe non abbassò la guardia né levò le mani dalla mia schiena, scoccò un'occhiata ai gemelli e gli indicò un punto del locale con la testa. La conversazione silenziosa sortì l'effetto desiderato, perché entrambi si mossero in contemporanea, avviandosi verso il luogo che gli era stato segnalato.

Noel infilò le mani nelle tasche e li seguì, trascinando i piedi sul pavimento sporco di alcool e mozziconi di sigarette.

Ammiccò prima di andare via, fallendo nell'opera di nascondere una risata. "In bocca al lupo, sorellina."

Pertanto il lupo mi spinse nell'ombra, predatorio e con prepotenza nell'angolo del locale. Intanto la musica si faceva sempre più alta e le persone entravano ed uscivano dalla stanza, aumentava il ritmo con cui muovevano il bacino ed alternavano risate a schiamazzi divertiti ed imprecazioni colorite.

Quando la mia schiena toccò l'incrocio ad angolo tra i due muri, Wolfe arrestò l'avanzata e le sue dita si attaccarono audacemente alla punta del mio mento, direzionandolo verso il suo viso.

"Cosa devo fare con te, che sei la bambina più ostinata e provocatrice che conosco?" Mormorò, sprigionando un'energia predace tra tocchi corrosivi e voce sabbiosa, calda, rovente.

Alzai le spalle e finsi l'espressione più innocente del mio repertorio. "Prendermi così come sono."

"Non lo faccio già?" Insinuò ammiccante, tracciando piccoli cerchi sul mio fianco.

Un brivido bollente s'irradiò del punto preciso dove le sue mani giocavano con la mia pelle e percorsero tutto il resto del corpo, impadronendosene completamente.

Dovetti costringere la lingua a srotolarsi per formulare una frase di senso compiuto. "Tu cosa credi?"

Wolfe sogghignò, avvicinandosi mortalmente alla punta del mio naso ed il suo respiro mi scivolò sulle guance. "Io non credo. Io so di prenderti come sei."

Nella mia esitazione lui trovò la sua risposta. Non avrei mai ammesso ad alta voce che in fondo la ragione gli apparteneva nella sua completezza, che era l'unico al mondo a non avermi mai voluto diversa da com'ero, più semplice o divertente o serena. Mi aveva raccolta fra le mani e stretta quando ne avevo bisogno, poi spinta in avanti, spronata, tifata, a rimanere fedele a quello che pensavo, a sdoppiare la mia lingua biforcuta e perfino a nutrire i pensieri più tetri.

Tutto di me andava bene per lui, fin quando il tutto di me aveva tradito l'immensa fiducia di cui mi aveva fatto dono.

"Per qualche strano motivo il fatto che ti manchino le parole mi infastidisce più del contrario." Brontolò cupo e le parole viaggiarono nel rumore, arrivando dirette alle mie orecchie.

E poi lo ammisi. "Perché hai ragione." E lui sembrò sconvolto, stupito da quella confessione inaspettata.

Come se fosse stato realmente possibile mi strinse più forte, stritolandomi al limite dello sgretolamento e diventai un tutt'uno con la parete. Era rabbia mista a fastidio, edulcorata da un luccichio denso nelle onde del maremoto azzurro. "Ovviamente ho ragione, ma non pensavo che lo avresti mai ammesso."

"Chi potrebbe mai contraddire Re Wolfe?" Tentai scherzosa, da una parte colma del desiderio di evitare un discorso che avrebbe ridurmi di nuovo in suppliche, dall'altra semplicemente in vena di provocarlo.

"Conosco una persona..." disse al mio orecchio.

Sogghignai. "Interessante. Mi chiedo chi sia a detenere tutto questo potere."

"Nessuno ha parlato di potere, è solo una sconsiderata che non sa cosa significhi giocare a perdere con un lupo." Disse, regalandomi la vista della fossetta imprudente.

"Magari vuole scoprirlo."

Il ciuffi dei suoi capelli mi solleticarono la fronte per un secondo prima di spostarsi al lato della mia testa, dove le labbra carnose si appoggiarono completamente sulla macchiolina scura che aveva dipinto la sua bocca famelica solo la notte prima.

"A suo rischio e pericolo." La sua voce risuonò sul mio collo teso, provocando un fremito impercettibile.

"Credo che lo sappia." Aggiunsi.

Lui sorrise impunemente sulla mia pelle. "Certo che lo sa, le piace per questo. Peccato che ora debba andare via."

Mi riscossi, aveva finito di giocare per passare alla parte più seria del discorso. "Non hai nessun diritto di cacciarmi."

"Ce l'ho eccome."

Rigare gli occhi al cielo. "E di grazia, perché mai?"

Wolfe ritirò il busto all'indietro, portandosi appresso anche le mie mani. In pochi secondi ci trovammo separati pur rimanendo l'uno davanti all'altra, trafiggendoci a vicenda con coltelli infuocati ed invisibili.

Quando mi fu chiaro che sarebbe rimasto in silenzio, sfruttai l'effetto sorpresa per liberarmi dalla sua presa e scattare in avanti, senza sapere in quale direzione andare. I miei piedi inserirono il pilota automatico, si mossero in direzione della pista da ballo.
L'intento sarebbe dovuto essere quello di confondermi con la folla, ma non riuscii a mettere molta distanza fra di noi prima di essere placcata -letteralmente- da almeno il doppio del mio peso.

Una mano ruvida si schiantò leggera e giocosa sul mio sedere, tirandomi verso il torace scolpito del lupo.

"Non ti hanno insegnato l'etichetta al collegio? Non si conclude una conversazione in quel modo."

Il piacere provocato dalla nostra vicinanza si trasformò seduta stante in irritazione. "Conversazione? Non avresti risposto."

Lui sogghignò astuto. "Suppongo che non lo saprai mai."

"Oh, che perdita. Un altro sproloquio illogico ed insensato sulle tue idee contorte." Borbottai, senza nemmeno prendere in considerazione che eravamo in una posizione fin troppo compromettente in un posto dove occhi e bocche si trovavano a portata di mano. "Non dovresti toccarmi in questo modo." Chiarii, deglutendo la mia stessa riluttanza.

Una fossetta ammiccante gli spuntò sulla guancia. "E chi lo dice?"

"Il senso del pudore." Esemplificai priva di alcun entusiasmo.

Wolfe annuì appena, gli occhi luccicanti e densi di sorpresa. "Ah, si. Non ce l'ho." Scosse la testa. "Mai avuto."

"Questo era ovvio, ma si dia il caso che ce l'abbia io." Rimbeccai con saccennza, arricciando appena la punta del naso.
Una bugia, grande e grossa.
Una che lui lesse con molta facilità sul mio viso ed io maledissi la dannata mappa dei punti deboli.

Un mugolio grave e vagamente somigliante ad un brontolio gli rombò nella gola. "Se non vuoi che ti tocchi puoi dirmelo in ogni momento, sai che ti lascerei andare all'istante."

"Te l'ho detto ora, eppure non l'hai fatto."

Lui però apparve soddisfatto, non ferito, nemmeno turbato. Vittorioso. "Non è quello che ho sentito uscire dalle tua labbra." E ancora una volta mi ritrovai a dovergli dare ragione. Il lupo mi acciuffò le guance e indirizzò il mio sguardo nel suo. "Se è ciò che vuoi: dillo."

Non dissi niente, a parte un'ovvietà. "Ci stanno guardando. Tutti."

"Cosa pensi che vedano?" La voce roca mi colpì direttamente sotto il lobo dell'orecchio mentre la sua bocca mi accarezzava la pelle sensibile, sicura che avrebbe sentito il groppo di elettricità e desiderio scendermi giù per la gola.

"Non vedono, fraintendono." Puntualizzai, se lo zio avesse visto una cosa del genere mi avrebbe mandato in un monastero.

Wolfe non si spostò nemmeno di un centimetro, al contrario parlò ai margini della mia bocca, offrendo uno spettacolo totalmente distorto della realtà.
"Non c'è nulla da fraintendere."

Ed io mi costrinsi a domandarmi se in parte non avesse ragione, se davvero io non mi fossi ritenuta completamente sua.
Lo facevo?
Le cose stavano cambiando in modo repentino, veloce, senza darmi la possibilità di riconoscere davvero quello che volevo o di comprendere come i miei sentimenti iniziassero ad assomigliare a fili ingarbugliati, formando una massa di nodi sempre più difficili da sciogliere; ma anche se lo avessi fatto la realtà non sarebbe stata meno amara.

Un suono acuto fece scattare entrambe le nostre teste, ero stata così presa da me stessa, da noi, da non essermi nemmeno accorta di quello che stava succedendo davanti a me.

Il ring era stato montato esattamente dall'altra parte della sala ed un ragazzo sulla ventina era in procinto di raggiungerne il centro con un megafono stretto fra le mani callose. La musica era stata abbassata abbastanza da rendere distinguibili gli schiamazzi delle persone attorno a noi.

Wolfe mi tirò bruscamente indietro e finimmo mangiati dalla folla.

"Scommetto che questo non era previsto." Mormorai con sospetto.

Lui strinse le dita, affondandole nella pelle. "Scommetti bene."

Percepii il suo corpo irrigidirsi sul mio, la sua testa voltarsi mentre gli occhi scrutavano la sala con circospezione alla ricerca di un'uscita. Proprio in quel momento la porta dall'altro lato della camera si aprì in uno spiraglio dal quale spuntarono le due teste bionde.

Dorian c'individuò quasi subito ed assottigliò gli occhi a due fessure, probabilmente quello che vedeva non gli piaceva poi molto e non potevo dargli torto.

"Sta zitta e cammina." Ordinò il lupo, spingendomi in avanti nella parte più buia del locale.

Quando uscimmo all'aria aperta venimmo aggrediti verbalmente da Daniel.

"Siete due fottute teste di cazzo." Berciò, puntando il dito su Wolfe. "E tu-tu ti sei fatto distrarre. Aspettavamo questo momento da settimane ed ora rischiamo anche di essere stati visti."

Wolfe emise un brontolio. "Non ero distratto."

"Cazzo se lo eri." Borbottò Dorian.

Io nel frattempo avevo smesso di capire di cosa stessero parlando. Sospirai guadandomi attorno mentre loro continuavano a discutere più o meno animatamente, proseguendo a sottintendere le cose per non farmici capire un accidente.

Mi guardai attorno, il cielo scoloriva di minuto in minuto, ma il parcheggio dall'altro lato della strada era ancora colmo di automobili.

Fu un'Escalade grigia ad attirare la mia attenzione. Un'Escalade che avevo visto più volte quell'anno fuori dal Beau Soleil. Strizzai gli occhi intenzionata a capire chi potesse esserci alla guida e nel frattempo che scesero due figure, io rabbrividii.

Forse sussultai persino, perché i ragazzi si azzittirono di colpo e Wolfe mi strizzò la mano.

"Che è successo?" Domandò con voce grave.

Rimasi zitta, fissando i due ancora abbastanza lontani da non avermi notata.

"Bee." Mi richiamò ed io potevo sentire il suo sguardo indagatorio posarsi su di me, prima di girarsi e seguire la direzione del mio.

E fu così che venni spinta all'indietro con vigore e il paesaggio davanti ai miei occhi tramutò da Jameson Crommel e Bentley Simmons, che camminavano spediti verso l'entrata del locale, alla schiena immensa di Wolfe Hastings che mi ostruiva completamente la vista.

Noel fu il primo a parlare. "La porto casa."

Wolfe si girò appena, senza smettere di nascondermi ed io rimasi immobile, quasi pietrificata. Tutto ad un tratto mi ricordai cosa fosse la paura, il terrore, cosa significasse sentire la bocca secca ed il calore del corpo risalire dalla punta dei piedi fino a quella delle orecchie per poi lasciarsi alle spalle un gelo pietrificante.

Non pensavo che rivederli avrebbe potuto provocarmi una reazione del genere. Volevo, volevo dire qualcosa, una qualsiasi, ma le parole s'impastavano nella testa e poi sulla lingua. Fino a quel momento avevo semplicemente evitato ogni tipo di pensiero al riguardo, cercando in ogni modo di dimenticare la sera in cui ero rimasta intrappolata dagli schiaffi e minacce.

Ma non avevo dimenticato.

"Vai, adesso me ne occupo io." E quelle parole in qualche modo mi riscossero ed in un altro mi fecero sprofondare, come se i miei piedi avessero appena rotto l'asfalto e lo stesso mi stesse avvolgendo fino alle ginocchia, graffiandomi.

Che male.

Con un gesto istintivo ed assoluta incoscienza, la mia mano si aggrappò alla parte bassa della maglietta di Wolfe, proprio nel momento in cui Noel cercò di spostarmi per condurmi alla macchina. Ed il terrore risalì daccapo, perché non volevo lasciarlo e nemmeno che lui ed i miei fratelli affrontassero gli stessi pugni che avevano aperto delle ferite su di me, dentro di me.

E Wolfe lo lesse sui miei occhi sbarrati, sul respiro trattenuto: il panico.

"Respira." Una parola, un ordine che non riuscivo a mettere in pratica.

Quella era l'apnea, aprii la bocca ma nessun soffio di vento entrò a danzare nella mia gola.
Il peso sul petto crebbe e crebbe, più si avvicinavano più cresceva ed io caddi ancora un po' dentro l'asfalto. Fin quando non li vidi più, c'era solo nero, scuro.
Buio alle prime luci del mattino.

"Respira, Bee." Si trovava di fonte a me, le mani scivolarono attorno al mio viso. Il suo sguardo intenso, deciso; ma la sua voce la sentii attutita come quando giocavamo a parlarci sott'acqua.

Mio fratello, indistinguibile dire quale dei due in quel momento, fece un passo avanti. "Wolfe o ce ne andiamo subito o Noel la porta a casa e noi restiamo per fare quello che dovevamo fare, ma se indugiamo tutti sarà solo un casino."

Quello che dovevano fare...

In battito di ciglia l'asfalto scomparve, come l'aria nei miei polmoni e Wolfe mi afferrò appena in tempo. Mi alzò da terra in silenzio e si mosse veloce.

Mormorò qualcosa ai gemelli che s'incamminarono assieme a noi ed io continuavo a mandare giù saliva, senza fiato.

Pochi secondi, una manciata, ed entrammo in uno spazio dove regnava il silenzio e il suo profumo era tutto ciò che i miei sensi percepivano, perché anche se sapevo che i suoi pollici si trovavano su entrambe le mie guance, quasi non sentivo il solito calore devastante. "Respiriamo insieme adesso, hai capito?" E prese un respiro lungo, contava come mi aveva detto la terapista dopo... dopo. "Prendi fiato. Uno, due, tre quattro. Ora tienilo con te."

"Uno, due, tre, quattro. Espira." Comandò dopo.

E lo ripetemmo.
Una,
due,
tre,
quattro volte. 

Respirai da sola alla quinta, il peso sul petto si affievolì un po' e smisi di sentirmi schiacciata dalla forza di gravità. Sbattei le palerebbe ed i miei occhi schizzarono per registrare il modo in cui mi teneva in grembo. Eravamo nella sua macchina, lui seduto sul sedile posteriore ed io su di lui, con le gambe distese dalla parte opposta. 

Quindi fui percorsa da uno spasmo e sentii gli occhi pungere, bruciare. Li chiusi.

"É passato, te lo giuro. É passato." Mi rassicurò con una persuasione tale che me ne convinsi anche io.

Spiccicai le prime parole e ne uscì fuori un sussurro spezzato. "Ho avuto paura."

"Bee, guardami."

Scossi la testa, rifiutandomi di farlo a causa di quella cascata d'imbarazzo che provavo verso la mia debolezza. Non avevo avuto tutto quella paura nemmeno quando avevo visto Dom, forse perché non mi aveva mai colpita, ma allo stesso modo lo avevo visto imprimere dolore così tante volte che avrei dovuto subirne il terrore ancor di più.

Non potevo,
non riuscivo,
non volevo,
guardarlo.

"Alza i tuoi occhi su di me, bambina." Ripeté le parole con una lentezza infinita, la stessa che il suo pollice usava per scaldarmi il viso.

Ancora mi rifiutai e puntai lo sguardo al di la del finestrino dove il mattino si era fatto prepotente quanto le dita di Wolfe che mi spinsero il mento verso l'alto. Fiamme ardenti si agganciarono al ghiaccio statico che mi aveva congelato le pupille.

Parlò con fermezza estrema. "Non permetterò mai che ti accada nulla di brutto." Le crepe del mio cuore vennero irradiate di luce ed era lui ad aver premuto l'interruttore. "Non devi avere paura quando io sono con te. Mai." E in quel bagliore riuscii a vedere i cocci rotti riposizionarsi fra di loro, non erano incollati, ma quantomeno stavano riprendendo una forma vagamente somigliante a quella che avevano prima di rompersi. "Tu sei al sicuro."

"Perché?" Una domanda alla quale solo una risposta poteva dare un senso. Una ed una sola, ma se quella volta io ero pronta a sentirla, lui non lo era a darla. Dubitavo anche che l'avrei mai potuta ricevere.

Il tono ritornò duro, perdendo parte di quella gentilezza che aveva posseduto qualche secondo prima. "Perché è così e basta."

Mi alzai quanto bastava per nascondermi da lui. Strano, il modo in cui lo fece il mio corpo, piantando il viso tra la spalla e la curva del suo collo. Affondai completamente e la testa urlava -casa, casa, casa- ed il cuore -scappa, scappa, scappa.-

Non saprei dire quanto tempo passammo in silenzio, in quella posizione. L'unica cosa certa era che ad un certo punto avevo chiuso gli occhi e quando li avevo riaperti il parcheggio era vuoto.

Wolfe aveva appoggiato il mento sui miei capelli e non mi aveva lasciata andare, né mi aveva spostato. Semplicemente era rimasto, baciato dal sole e da qualche mia lacrima solitaria.

"Dorian ha detto che eravate venuti per fare una cosa." Dissi, spostandomi da quel piccolo rifugio per affrontarlo.

Doveva dirmi la verità.

E lo sapeva anche lui, perché la sua bocca si piegò in una linea testa di disaccordo. Non avrebbe voluto, ma una parte di lui si sentiva obbligata.

"Promettimi che se te lo dico non me ne farai pentire."
Mi guardò esitate.
Lo guardai anche io. "Te lo prometto."

"Sapevi che stavo cercando Jameson, lo hai visto quando siamo andati a prendere i gemelli dopo che ti avevo rintracciato sulle Hills." Si bloccò un secondo ed una risata amara infranse la quiete. "Ora capisco perché te ne sei andata, quello che non capisco è perché cazzo non mi hai detto di aver visto Dom."

"Non puoi rinfacciarmi un'omissione quando sei il primo a non dirmi un bel niente." Sussurrai, la voce intermittente.

Tuonò. "Non farmi incazzare." Ed io lo assecondai, in attesa che lui mi desse delle briciole di pane. "Quando ti ho chiesto di denunciare Jameson e Bentley l'ho fatto perché credevo e credo che sia la cosa giusta da fare. Non avevi torto, però. Denunciarlo mi avrebbe dato qualcosa per scongiurare qualsiasi intromissione di Dom e Tom nelle nostre vite."

Il nesso mi sfuggiva. "Ma come, perché?"

Quella riposta me la diede, a denti stretti e pugni chiusi. Un dipinto di vendetta raffigurato da suo viso, eppure nemmeno sapeva quanto e per cosa davvero avrebbe dovuto vendicarsi.

Non come me.
Non come Noel.

"Perché Jameson è il cugino di Dom."

"Impossibile..." mi bloccò prima che potessi formulare una frase. "Non ti serve sapere altro. Fino ad oggi non ero riuscito a trovare nessuno dei due, ma sapevo che sarebbero venuti qui a sovrintendere. Volevo... parlarci."

"Volevi litigarci." Corressi.

Lui alzò un sopracciglio, guardandomi dall'alto al basso. "Non fa differenza."

"Invece la fa." Sentenziai, con un nuovo groppo in gola. "Vuoi sapere cosa penso davvero?"

"Me lo diresti in ogni caso." Sostenne freddamente il mio sguardo.

"Che tutta questa faccenda è surreale, che disprezzo questo modo che avete, che hai, di comportarti." Imitati la sua freddezza come uno specchio.

Lui quasi sorrise. "Perché mai lo disprezzi?"

"Perché ti butti via per un po' di adrenalina quando potresti impiegare il tuo tempo ed i tuoi talenti in qualcosa di cui i tuoi genitori sarebbero andati fieri." Sbottai. "E invece sei qui, a rincorrere schiaffi e stanze fumose, a combattere contro te stesso per odiarmi e ad odiarti per non riuscirci."
Sospirai. "Disprezzo conoscerti e non riuscire a riconoscerti la maggior parte delle volte."

La sua fu freddezza letale. "Doma le tue parole, prima che ti si ritorcano contro."

Ma io continuai imperterrita. "Quando la smetterai di giocare con la tua vita e quella degli altri?"

Lui sorrise, scoccandomi il bacio di Giuda sulla guancia e sussurrando solo dopo: "quando non mi farà sentire più vivo."

... Pareri? 🐺❤️‍🔥

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