19. replay
Angolo autrice:
Ciao a tutte, a tutti.
✨Ho cambiato la copertina, preferite questa o quella vecchia? I consigli sono bene accetti✨
⚠️ spoiler: se tutto va come deve andare il prossimo sarà «Wolfe Pov». Il titolo però non ve lo lascio...
In questo capitolo abbiamo un accenno importante, siamo solo alla punta dell'iceberg però! Devono succedere così tante cose che fatico a metterle in ordine. Comunque in qualche modo ci riuscirò (spero).
⭐️Grazie per il supporto dimostrato fino ad ora, mi riempie il cuore trovare i vostri commenti nella storia e sapere che qualcuna di sta appassionando a queste famiglia di matti. ❤️🔥
Io vi avverto, presto avrete voglia di picchiarmi. Non oggi, però. 🫠
§§§
Una volta il cappellaio matto disse:
«Alice ma tu ogni tanto impari qualcosa dalle tue esperienze passate o cosa?»
«Cosa.»
Lo vidi, solo per un secondo, passare davanti a me come un fantasma. Bandiera rossa dei vecchi ricordi, quelli seppelliti. O almeno, che avrebbero dovuto esserlo.
Quello dopo era scomparso.
"Ma petite?" Atlante reclamò la mia attenzione, sventolandomi una mano davanti alla faccia.
Non avevo il tempo per rispondergli, il panico mi tagliò la gola e mozzò il respiro che stavo cercando di trattenere nei polmoni.
"Non è possibile" riuscii a borbottare mentre mi allontanavo di qualche passo verso la balconata che dava sulla pista da ballo.
Doveva essere lì, in mezzo ai rampolli di Beverly Hills che dimenano i fianchi, svuotando i pensieri ed i bicchierini di Clase Azul Tequila Gold, la più costosa sul mercato.
Il caos del Kooka era senza paragoni, un luogo magico dove dimenticare le ore che erano state spese o perdute al suo interno. Bevevamo perché eravamo annoiati, cercando affetto nei posti sbagliati, continuando a innamorarci gli uni degli altri per riempire gli spazi vuoti. Le nostre notti scellerate si mischiavano le une sulle altre, sovrapponendosi: indistinguibili.
Atlante si avvicinò alla mia postazione alquanto scocciato, gli avevo promesso una serata di perdizione, invece si ritrovava ad interrogare una svitata convinta di aver visto un fantasma.
Sospirò quando non gli spiegai ciò a cui mi riferivo, ma come avrei potuto?
Mi decisi a dargli una risposta, voltandomi verso il suo volto raffinato. Le labbra piegate in una smorfia altezzosa.
"Nulla, devo aver preso un abbaglio."
"Uh-si. Anche con questo posto." Si limitò a constatare guardandosi intorno.
Gli scoccai un'occhiata obliqua e adocchiai la postazione del barman alle nostre spalle.
"Beverly Hills non è Parigi." Chiarii.
Il Kooka era famoso per due motivi. L'architettura era il primo, si trovava sulla cima di una delle Hills, dove in passato era stato costruito un faro, poi diventato un rudere ed infine acquistato da Nick Ethan. Il padrone delle notti brave, figlio delle stelle, creatore delle sbronze.
Il secondo era impagabile, la vera ragione per cui il Jet Set lo aveva eretto a monumento della devianza più pura: la segretezza.
Privacy era una parola sconosciuta per molti di noi, allora Nick ci aveva regalato un luogo dove non erano ammessi i cellulari, dove non c'era accesso ad internet. Un rifugio attrezzato da impianti amplificanti da 5000 Watt, fiumi di alcol e, perché no, erba per i più pretenziosi.
Atlante storse il naso e guardò ciò che lo circondava, prima di decretare un "si vede."
"Mi dispiace che l'elité Californiana non sia di tuo gusto, se ti conforta, neanche del mio" riflettei ad alta voce mentre si allungava verso il tavolino in vetro sul quale aveva appoggiato il telefono. Poi, pensieroso, si scostò i capelli dal viso.
"Non che la nobiltà decaduta sia meglio, ma petite."
Rigirai gli occhi al cielo, Atlante era incontentabile e io lo sapevo da tempo. Solamente mi sarei aspettata più entusiasmo per Hollywood, la città dei sogni. Avevo sperato che almeno i suoi avrebbero potuto realizzarsi, quella notte, dato che per esaudire i miei avrei avuto bisogno di un miracolo.
"Perché non diamo uno scossone a questa serata?" Propose lui, notando il mio cipiglio contrariato.
Eccolo, lo sguardo in cui albergava la corruzione del mio animo, una richiesta velata, quanto semplice e diretta. Una alla quale non avrei potuto rispondere di no. Le conseguenze sarebbero state dulcamare, come il resto d'altronde, il piacere dei sensi sommato alla sentenza di condanna dei giornali.
Ci muovemmo a passi svelti verso il bar in cristallo e decorazioni azzurre, gli sgabelli alti di pelle bianca allineati alla perfezione ci stavano aspettando.
Schivammo i più, salvandoci dalle chiacchiere indesiderate. Purtroppo non riuscimmo ad evitare gli sguardi indiscreti, che seguivano ugualmente me ed il famigerato principe.
"Due Appletini, appena li finiamo, altri due e così via fino al quarto. Dopo quaranta minuti, non uno più, nè uno meno, facciamo due Clase Azul. Da lì solo su richiesta e, solo, se siamo in piedi." Sentenziò Atlante, allungando verso il barman una banconota priva di grinze.
Lui lo guardò scioccato, allo stesso tempo divertito ed elogiato dalla lauta mancia che gli aveva appena lasciato.
"Il solito spocchioso" tossii, fingendo di non aver detto niente.
Lui fece lo stesso, portandosi la mano alla bocca, parlando tra un colpo di tosse ed un altro.
"E tu non lo sei abbastanza."
Contai il primo, il secondo, metà del terzo drink e le sciocchezze proferite dal principe in quel frangente. Fino a quando una mano calda non mi si posò dolcemente sulla spalla. Incontrai la carnagione ambrata e gli occhi luminosi di Alister che mi sorridevano, regalandomi estasi pura.
"Mi hai raggiunto, superstar!" Esclamò il numero ventidue. In mano stringeva un bicchiere di birra nell'altra il mio corpo elettrizzato.
Sentii le guance scaldarsi a più non posso, potevo quasi vederle tingersi del colore delle ciliegie: stavo di nuovo arrossendo. Per smorzare l'imbarazzo diedi un colpetto dietro la nuca di Atlante.
"Ho portato a spasso questo rompiscatole qui."
Il principe mi fulminò dall'alto delle ciglia scure e strinse la mascella, odiava quando lo trattavo in quel modo. Subito dopo saggiò le intenzioni di Alister che, contrariamente a Wolfe, sapeva dove fosse di casa l'educazione.
"Non mi sembra di conoscerti, io sono Alister Davis." Si presentò la nocciolina gentile, tendendo la mano nella sua direzione.
Atlante fece lo stesso, poi rivolse a me la sua più scaltra attenzione.
"Allora conosci anche la realtà civilizzata." Appuntò soddisfatto.
"Oltre te? Certo." Lo punzecchiai, sapevo che si stava riferendo alle scarse maniere di Wolfe. Dimenticava però, che lui era fatto di una pasta di supponenza molto simile.
Alister fece viaggiare lo sguardo tra me ed il principe con fare interrogativo.
"Ho fatto qualcosa di male?" Domandò, temendo di non aver seguito qualche etichetta estinta.
Sia io che il mio amico cominciammo a ridacchiare, forse per l'alcool, forse per la lunga serata.
"Uhh-no." Ripose il principe arricciando la bocca "alludiamo al lupacchiotto."
"Wolfe? L'ho visto all'entrata con Brooks, stavano discutendo con il bodyguard..." aggiunse Alister, lasciando la frase in sospeso.
Era come se fossi sintonizzata su radio Wolfe, casino fm50, come se mi fossi trovata davanti ad una specie di uragano distruttivo: la mia calamità naturale. Non mi stupivo che gli Hastings, alla fine, si fossero presentati. Se Wolfe si era messo in testa di rappresentare il mio personalissimo segugio infernale, lo avrebbe fatto. Mietendo il mio spirito.
"Perché?" Lo esortai a continuare dove aveva lasciato.
Alister fece spallucce. "Sai meglio di me che non fanno un passo senza telefono."
Si, lo sapevo. Quella regola corrispondeva al comandamento numero dodici del nostro sacro codice: «essere reperibili in ogni momento.» Non esisteva occasione in cui uno di noi non avrebbe potuto essere in contato con gli altri. Avevamo aggiunto quella regola dopo il giorno nero, ancora avvolti dalla paranoia che potesse succederci qualcos'altro di brutto.
Da quanto ero partita, dubitavo che per me quella legge fosse stata ancora valida.
Annuii ad Alister e risucchiai con una velocità estrema il liquido caramellato e verdastro che galleggiava sul fondo del bicchiere. Lo mandai giù con fermezza, ignorando il bruciore alla gola e le malelingue che ci sarebbero state se non fossi uscita dal locale con un'espressione lucida e sveglia.
Alister mi cinse la vita con un braccio ed appoggiò le spalle al bancone bar.
"Vuoi ballare con me prima che quei due vengano a prelevarti?" Mi chiese spudoratamente, facendomi vacillare per un secondo.
Volevo? Ero sicura che avrei dovuto volerlo, un ragazzo interessato alla me senza cognome, a qualcuno che pur conoscendo la maggior parte dei miei segreti decideva di ignorarli, aspettando che fossi io a raccontarglieli.
Avrei dovuto.
E quindi lo feci.
"Aspettavo solo che me lo chiedessi, ventidue." Ammiccai e gli presi la mano che mi aveva teso per portarmi ad ondeggiare qualche metro più in la.
"Certo, lasciatemi pure qui. Da solo." Si lamentò schizzinosamente Atlante.
Tirai le labbra in una linea storta e indicai dietro di lui con la testa, dove Noel aveva appena fatto una delle sue miracolose apparizioni. Il più ribelle degli Hastings ci dedicò uno sguardo annoiato ed un alzata di spalle.
"Sorellina è meglio che tu sparisca se vuoi che menta, dicendo di non averti vista." Ammise, scoccando una freccia infuocata e immaginaria verso la mia mano racchiusa in quella di Alister.
Non me lo feci ripetere due volte e trascinai il mio partner di ballo verso il gruppo di persone al centro della balconata. Ci unimmo a loro, seguendo il ritmo incalzante della musica e diedi appositamente sfoggio di qualche movimento di bacino imparato durante le lezioni di danza prese in collegio; aiutata dalle ingenti quantità di Apple Martini e dalla premura del mio cavaliere dall'armatura scintillante.
Avrebbe dovuto essere perfetto, soprattutto mentre mi afferrava la vita per avvicinarmi a se, tracciando con le sue mani delicate i contorni dei fianchi o mentre i suoi occhi non la smettevano di annaspare nei miei o quando si spostarono per viaggiare rapidamente sulla scollatura a cuore del mio bustino firmato da Babette, fino a riportarli più su, ad annegare ancora in acque inesplorate e dall'alto fondale.
Però quel tocco non bruciava, non corrodeva la pelle, né mi avvelena le vie respiratorie. Era la spezia indiana meno piccante, una coca-cola sgasata, la metà di una vigorosol.
Il suo viso si avvicinò al mio, pochi centimetri da un battito di ciglia. Così il mio cuore cadde dal petto e sbatté sul pavimento, ma non era eccitazione. Era sconforto, perché quello che avrebbe dovuto essere perfetto, non lo era.
"Sto per baciarti, Superstar." Proferì respirando sulle mie guance.
Mi chiesi dove fosse finito il mio discernimento, su quale pavimento fosse andato perduto o chi avesse avuto l'ardore di rubarmelo.
Quello che non avrei potuto mai immaginare era che la mia salvezza sarebbe stata il mio incubo peggiore.
Lo vidi di nuovo, con chiarezza e fin troppa. Poco distante da noi, il viso scuro inspessito da un accenno di barba corvina; gli occhi sottili, vigili e neri come la pece o il fondo di un pozzo la notte. Alto quanto un lottatore professionista, dall'ultima volta che lo avevo visto perfino più muscoloso. E mi stava guardando.
Premetti i palmi sul petto di Alister e lo allontanai.
"A-a-aspetta" balbettai intorpidita dal terrore.
"Tranquilla, possiamo andarci piano..." provò a dire, ma s'interruppe, notando il mio sguardo pietrificato dietro le sue spalle. "Cosa guardi?" Chiese subito dopo.
Non ottenne risposta da parte mia. Il petto ebbe un fremito, un singulto spontaneo uscì prepotente dalla mia gola, poi un altro. Mi sentivo piantata al pavimento, i tacchi avvitati a doppio giro alla lastra nera e opaca, ancorata al suolo ed oppressa dalla forza di gravità. Mi schiacciava, premeva verso il basso ed io mi facevo piccola, sempre più piccola. Fino a diventare minuscola, una formica, una briciola, un atomo. Volevo scomparire.
"Blake, calmati." Cercò di dirmi con voce rassicurante, accarezzando il retro della mia schiena con lentezza e premura.
Non potevo calmarmi, non se lui era lì, avrebbe cambiato tutto. Non se significava quello che avevo cercato di allontanare dai miei pensieri fino a quel momento. Purtroppo le bugie, a quel punto, erano evidenti. Mi ci avevano seppellita, manipolandomi con quelle poche informazioni verosimili che mi ero guadagnata a calci e spintoni sul Fire.
Finalmente un piede mi si schiodò dal pavimento e si mosse nella sua direzione.
"Dove vai?" Chiese Alister allarmato.
Scossi la testa e gli concessi un'occhiata obliqua.
"Scusami."
Sparii dietro di lui, infilandomi tra i ragazzi e le ragazze che mi guardavano con grande curiosità. Dom voltò le spalle e si allontanò a passi svelti: non voleva che lo seguissi.
Ma io, come una stupida, lo feci.
Scendemmo le scale, uno a pochi metri dall'altra. Andavamo alla stessa velocità di quella del cuore che mi scalpitava nel petto.
Oh, quante menzogne.
Quando Dom passò per la pista da ballo, seguirlo divenne più difficile, ma riuscii nell'impresa fino a quando non attraversò una zona riservata allo staff che affacciava sull'uscita sul retro. Solo una volta che fummo fuori, all'aria aperta, si voltò verso di me.
"Eri tu, allora." Proferii sibilante. Sdegnata dalla sua figura austera e dal dolore che mi, ci, aveva causato; alle notti insonni che avevo passato per cercare una soluzione, una via di fuga.
Il viso di Dom si storpiò nel momento in cui un ghigno obliquo gli dipinse l'espressione.
"L'unico e il solo."
"Dimmi perché sei qui e non mentire, sai di cosa sono capace per proteggere la mia famiglia" minacciai. Lui sapeva che non mentivo. A malincuore, ma già una volta avevo vinto quella partita.
Dom o almeno era in quel modo che gli piaceva farsi chiamare, strinse le braccia al petto e scrollò le spalle.
"Affari che non ti riguardano" si limitò a concedermi quell'insulsa spiegazione.
"Me lo auguro, abbiamo un patto" dissi, sperando di ricordargli i termini del nostro accordo.
Lui rimase impassibile. "Tutti i patti si rompono."
"Non questo, non con me." Sentenziai, raccogliendo tutto il coraggio e la forza d'animo di cui disponevo per non ridurmi in polvere davanti a lui, senza mostrare la minima paura. Non sarei stata la sua preda, non quella volta.
Dom spostò la testa su un lato, la lasciò penzoloni sopra la sua spalla destra, mentre studiava la forza insita nella mia postura.
"Può darsi, comunque mi farò sentire. Più in là." Asserì noncurante della mia ammonizione.
"Non scomodarti, Dom. Non abbiamo più nulla da spartire."
§§§
Mi ritrovai a vagare, da sola, a piedi nudi. I tacchi lasciati a godersi la brezza notturna mentre penzolavano dalle mie dita affusolate. La mia testa aveva schiacciato play al film dell'orrore a causa del quale avevo ancora paura del buio.
Tasto replay,
tutto d'accapo.
Ancora, ancora, ancora.
L'unica mia compagna, quella notte, era la luna. La stessa che aveva dato la buonanotte a mamma e papà, anni prima; la sorella che non avevo ricevuto e con cui parlavo quando ero sconfortata, a cui chiedevo una grazia o un consiglio. In quel caso, lasciavo che ascoltasse le mie insicurezze, che rischiarasse con luce fioca tutte le mie fragilità.
Dom e Tom erano appena ripiombati nella mia vita, una ferita mai rimarginata che dopo uno strappo aveva ripreso a sanguinare. I ragazzi lo sapevano, ne ero certa, ma era impossibile che avessero ripreso il controllo del circuito. Avevo visto con miei occhi quanto le cose fossero tornare alla normalità e poi, a dirla tutta, Dom non avrebbe provato a spaventarmi se avesse avuto un briciolo di potere nelle sue mani macchiate dal peccato, dal sangue.
Passò circa un'ora prima che i fari della Range Rover nera illuminarono le mie gambe, lasciate a penzolare indisturbate, mentre rimanevo seduta sul muro di cinta della strada. Coprii gli occhi con la mano, per ripararmi da quella luce accecante.
Wolfe nemmeno scese dal sedile del guidatore, preferì abbassare il finestrino per mettere in mostra il volto scuro e la mascella contratta. Brooks addormentato al suo fianco con la testa poggiata sul cruscotto.
"Porta il culo in macchina." Mi ordinò perentorio e sbatté il palmo sull'esterno della portiera.
Aveva ancora la pretesa di darmi ordini, dopo tutte le cose che mi aveva nascosto, dopo il modo in cui mi aveva trattata fino a quel momento, prendendosi gioco del mio attaccamento a lui.
"Ti avverto, in questo istante è meglio per entrambi che tu vada via" lo ammonii con gelo. Pur consapevole che, se non avessi accettato la sua offerta, non avrei avuto un passaggio a casa.
Wolfe avvicinò l'auto alla mio nascondiglio e si sporse fuori dal finestrino. Il volto illuminato dalla penombra della luce artificiale metteva in risalto la sua doppia identità. Se da un lato, infatti, vestiva la pelle di un angelo dorato, dall'altro aveva il cuore di Satana in persona.
"Non fare la preziosa o ti vengo a prendere di peso." Chiarì con voce atona.
Non riuscii a trattenere la rabbia, nemmeno i sospetti. Scattai sulle gambe e mi avvicinai allo sportello, la pelle dei piedi si scontrava con la superficie ruvida dell'asfalto e mentre mi avvicinavo a lui e scuotevo la testa esterrefatta, diventava cristallina un'altra delle cose che avrei dovuto capire prima.
"Tu mi stai localizzando" feci presente sia a me che a lui.
"Mi fai sembrare uno stalker."
"Non lo sei?" Lo rimbeccai con astio.
Wolfe mi rifilò uno dei suoi sorrisetti tirati.
"No. Evito solo che tu possa ficcare il naso negli affari miei."
"Tipico tuo, pretendere dagli altri ciò che non sei disposto a dare" sottolineai.
Il suo sogghigno s'ingrandì abbastanza da fargli spuntare una fossetta giocosa. "Ho imparato a non pretendere nulla da te, per questo ti controllo."
"Non hai qualcun altro da perseguitare?" Sbottai e mi avvicinai al finestrino dal quale spuntava il suo viso. Wolfe sbloccò gli sportelli e salii sul sedile posteriore.
"Può darsi, ma ho scelto te" confermò lui, girandosi per un'istante.
I miei occhi entrarono in collisione con i suoi e per un millesimo di secondo dimenticai perché ero così amareggiata.
Ironizzai su quello che aveva appena detto.
"Dovrei prenderlo come un onore?"
"È la tua condanna." Sentenziò lui.
Decisi che non gli avrei detto nulla del mio incontro sfortunato, non se lui avesse continuato a tenermi fuori dalle faccende di famiglia. Non si meritava una mia confessione. Se avessi avuto il minimo dubbio che non ne era al corrente, allora glielo avrei detto, ma era chiaro che lui deteneva il possesso di tutte le informazioni a me precluse.
Wolfe fece manovra e discese la collina, l'unico rumore nell'abitacolo era lo stridio delle gomme sulla strada, sommato alla musicalità del vento fresco che sbatteva contro la carrozzeria mentre sfrecciavamo verso East Hollywood.
"Devi svoltare a sinistra per Beverly Hills." Gli feci notare quando mancò lo svincolo.
"Perché non fai la brava bambina e stai un po' in silenzio?" Ringhiò lui prima di fermarsi al semaforo.
Spazientita, mi sporsi in avanti tra i due sedili.
"Quando tu inizierai a comportarti da persona civile, quindi: mai"
"Potrei sapere come azzittire quella boccaccia, Broadhurst" insinuò con malizia.
Le mie sopracciglia schizzano fino al tettuccio del SUV. "Ah, si? Vorrei saperlo."
"Ti toglierei il piacere di fantasticarci sopra" bofonchiò mentre fermava l'auto davanti il Morpheus, un altro locale frequentato dal Jet Set.
"Cavalleresco, da parte tua." Ironizzai quando lui spalancò il suo sportello per scendere dalla macchina.
Wolfe sbatté la porta alle sue spalle dopo aver detto: "pensa quello che ti pare."
Passarono meno di cinque minuti e fece ritorno seguito da Dorian e Daniel, il secondo aveva il viso livido e la maglietta strappata sul colletto. Schizzai fuori dalla macchina, a piedi scalzi, senza pensarci due volte.
"Ma che diavolo!" Trillai, andandogli incontro. Una volta che fui abbastanza vicina gli afferrai il viso tra le mani, ma lui me la scansò con uno schiaffetto.
Borbottò "non è niente, mamma."
"Dove avete lasciato la macchina?" Domandai preoccupata. Ero andata con loro all'evento di presentazione di Babette e non avevo più avuto loro notizie, quindi era normale che lo fossi.
Dorian aprì lo sportello del passeggero e diede uno scossone a Brooks.
"Svegliati e vai dietro, soffro la guida di Wolfe."
"Ciucciabiberon." Fu l'unica risposta del maggiore Hastings prima di scendere dalla vettura. Una volta arrivato dietro mi guardò con sorpresa "l'abbiamo trovata, allora."
Wolfe preferì non rispondere, dedicò la sua attenzione ai gemelli.
"Spiegate, adesso. Prima che entri lì dentro e commetta un omicidio."
Dorian allungò le gambe prima di renderci partecipi della loro serata.
"Abbiamo fatto solo quello che hai detto. La soffiata era giusta e lui era qui, però non era da solo."
Aggrottai le sopracciglia, un'altra cosa che non sapevo. Di chi stavano parlando? Misi in moto il cervello per arrivare da sola alla soluzione mentre loro parlavano.
"Perché cazzo non mi avete chiamato? Era semplice, venire, controllare, avvisarmi" tuonò Wolfe palesemente contrariato, i suoi soldati avevano appena fallito la missione.
Daniel gli sventolò il telefono in faccia.
"Lo abbiamo fatto, circa cento volte. Partiva la fottuta segreteria."
"Sulle Hills non prende" ci fece notare Brooks.
"E voi che cazzo ci facevate in cima alle Hills?" Abbaiò Dorian, l'incazzatura evidente per il loro piano andato in fumo.
Wolfe strinse la mascella, fui io la destinataria della sua frustrazione.
"Chiedilo a quella codarda di tua sorella, che è fuggita dal Kooka" tirò le labbra in un sorriso tirato che ci mise tutti sull'attenti, "tanto è quello che le riesce meglio."
La mia voglia di schiaffeggiarlo era salita alle stelle, ma per rimanere coerente con la mia scelta di non dirgli nulla, dovevo trovare una soluzione. Feci l'impensabile.
"Alister ha provato a baciarmi ed io ero confusa, così me ne sono andata" spiegai nella speranza di non essere più messa in mezzo.
Brooks si stropicciò gli occhi con la mano grande. "Ohhh peste, perché lo hai detto..."
"Ti sei scavata la fossa" aggiunse Daniel.
"Ne parliamo più tardi, di tutto quanto." Wolfe emise la sentenza, dirigendosi verso casa.
Non mi dissero che fine aveva fatto la loro macchina, ma la trovai posteggiata nel viale d'ingresso. Una volta parcheggiata la Range in garage, ognuno di noi si dileguò per non incappare nell'ennesima ramanzina. Alla fine toccò a me, subirla. Perché mentre il mio piede saliva il primo scalino per andare al piano di sopra, il mio corpo si alzò da terra, andandosi a scontrare con il petto granitico del capo branco.
Trasalii quando il suo palmo mi scaldò lo stomaco, avrei dovuto chiamarlo effetto termosifone.
"Hai tre secondi per spiegarmi il vero motivo per cui sei andata via." Ordinò Wolfe, facendomi ruotare verso di lui, i piedi di nuovo a terra e una sua mano ad arpionarmi il girovita.
Lo guardai sconvolta."Ma come..." iniziai a dire ma lui m'interruppe.
"Alzi il sopracciglio sinistro quando menti" sussurrò lui soffiandomi proprio in quel punto, "arricci il naso quando copri qualcuno" continuò mentre scontrava il suo con il mio, "corrucci la bocca quando bluffi" terminò passandoci un pollice sopra.
Un fremito mi attraversò la spina dorsale, ma quella volta decisi di non incoraggiarlo. Lo ignorai. Mi aveva messa all'angolo come un abile pugile, ed io dovevo uscirne.
"Se mi facessi finire di parlare, sapresti che avrei detto: ma come ti viene in mente che io possa mentire."
"Stammi a sentire" disse con voce baritonale, così bassa da far vibrare le mie ossa.
Un terremoto silenzioso che sradicava le mie convinzioni e sgretolava la forza di volontà.
Wolfe fece un passo verso di me, facendomi indietreggiare. Riuscii a fermarmi solo quando la mia schiena si appiattì contro la parete color avorio delle scale. Il lupo del Beau Soleil torreggiava su di me, il mio naso arrivava esattamente al centro del suo petto, dovetti alzare gli occhi verso l'alto per incontrare i suoi.
"Non guardami così" proruppe dal silenzio di tensione che si era creato attorno a noi.
Sbattei le palpebre e stetti al gioco.
"Così come?"
Wolfe adattò il suo corpo al mio, la mani scesero dalla vita ai fianchi, sul retro della schiena, aggrappandosi a quelle che chiamavano le maglie di Venere.
"Come se avessi voglia di essere sbattuta contro la parete."
Dovetti farmi violenza per non deglutire, per non sciogliermi in una pozza di desiderio e macchiare inevitabilmente il pavimento. Forza di volontà, rabbia, disprezzo: i sentimenti che giocavano a nascondino ogni volta che Wolfe era a meno di un metro da me. Quella situazione mi metteva a disagio, era qualcosa che non avevo mai sperimentato prima. L'intimità con un ragazzo non la conoscevo, figurarsi, non avevo mai nemmeno avuto un vero appuntamento...
"Ti sbagli" bisbigliai.
Wolfe sorrise e chinò il viso sul mio, le spalle ricurve per raggiungermi al piano più basso degli inferi.
"Hai ragione, tu vorresti sbattere, non il contrario" professò, prendendosi gioco di me e dei miei formicolii assieme al suo sorriso sardonico.
A quel punto deglutii.
"Non dovevi dirmi qualcosa?" Chiesi per cambiare l'argomento.
Non avevo intenzione di parlare con lui di quello, soprattutto perché era solo un altra delle carte che usava per torturarmi. Era davvero il proprietario della mappa dei miei punti deboli e sapeva quando e come colpirli. Wolfe non aveva quel tipo d'interesse per me, non l'aveva mai avuto.
"Mi hai distratto." Il tono apatico, ma lo sguardo vivo che mi bruciava ogni centimetro di pelle, correndo tra il viso e le clavicole.
Strabuzzai gli occhi "ti sei distratto da solo."
"Hum. Improbabile" ammise con voce rauca "era importante."
E con quell'ultima frase le sue mani scivolarono sul mio sedere e ci si aggrapparono con violenza, come se fosse un salvagente al quale sorreggersi durante un naufragio. Peccato che fossi io quella che stava naufragando nello sconvolgimento più totale, boccheggiavo nella brama più pura, tra i piranha del rimorso più selvaggio. La gola inondata dal succo del frutto proibito e lui era il serpente, la corruzione.
"Se c'è una cosa che non sono disposto a vedere" sibilò velenoso sopra il mio orecchio, fece una pausa prima di continuare e aumentò la pressione sulle mie natiche "è questo. Fatto da un altro." Sentenziò, riferendosi alla voracità ed al possesso che dimostravano le sue mani su di me.
Spostai leggermente il viso verso destra, dove albergava il suo, rimostrante del peccato. La mia bocca sfiorò la sua guancia, schioccai la lingua sul palato.
"Sei geloso, per caso?"
Wolfe ritirò le braccia che tornarono le loro posto prediletto, proprio nel punto in cui si stringeva il corpetto a mezzobusto.
"No, no, no. Non fraintendere, bambina. Si tratta di puro egoismo, avidità" mi corresse addentando il lobo del mio orecchio.
Gli misi le mani sul petto e lo spinsi indietro. Wolfe si spostò di sua volontà ritornando di fronte a me.
"Sei come un bambino prepotente con un giocattolo nuovo" mi lamentai.
Il lupo scosse la testa e guardo verso il basso prima di darmi il permesso di immergermi di nuovo nel maremoto azzurro.
"Il giocattolo è sempre lo stesso."
"Peccato che io non sia una bambola di pezza."
Lo rimbeccai levandomi dal muro. I miei piedi si mossero attorno a lui, mi permise di arrivagli alle spalle senza bloccarmi di nuovo.
Il luccichio che gli attraversò lo sguardo non promise nulla di buono "su questo possiamo sempre lavorarci."
"Ti chiamano lupo, a me sembri più un porco" sbottai: tana libera tutti.
"Stai attenta, bambina." Tuonò lui picchiettandosi il mento con le dita.
Alzai il sopracciglio, confusa.
"A cosa?" Feci l'errore di domandare.
"A quello che dici." Le parole vennero stritolate fra i denti, poi mi strinse forte. "A me."
Si, avrei dovuto davvero. Forse non sarei mai dovuta tornare, ma non immaginavo che il mio migliore amico si mettesse a giocare con i miei formicolii.
Feci un passo nella sua direzione ed alzai il mento in segno di sfida.
"Ti avverto io, adesso. Non so che cosa tu ed i miei fratelli stiate combinando, ma ti invito a metterci un punto, a fare in modo che nessuno si faccia male. Altrimenti, Wolfe, ti giuro che non ci sarà giorno in cui non rimpiangerai di avermi conosciuta."
La minaccia colpì diretta nel segno, il sadismo lasciò il suo viso e l'espressione dovette accogliere le sorpresa, poi il buio più totale.
"Lo faccio già" confidò con voce grave e profonda, portatrice di autorità e rammarico.
Invece di barcamenarmi in un altro scontro con lui, me lo lasciai alle spalle e salii le scale della mia camera. Solo una volta arrivata in cima, sentii la porta d'ingresso rimbalzare contro il muro. Lo schianto acuto salì per l'androne e si pervase nel corridoio. Un'altra piccola avvertenza della velocità con cui il lupo del Beau Soleil cambiava umore.
"Finalmente ti riconosco, sorellina." Disse ridente la voce di Noel alle mie spalle.
Volati la testa di scatto. "Stavi origliando?"
"Naaah, si chiama partecipazione passiva ad una conversazione" strabuzzò gli occhi aprendo le mani in segno di innocenza.
Ergo: stava origliando. "Se ti becco di nuovo, regalo al Beverly Hills News un'esclusiva sulla tua liaison con la professoressa di scienze" minacciai.
"Non lo faresti" annunciò con scarsa sicurezza, non facevo minacce a vuoto.
"Tu pensa a non mettermi nella condizione di farlo."
Noel mise le mani avanti "ho intrattenuto il principino tutta la sera!"
"Merda... Atlante" mi ero totalmente dimenticata di lui. "Ci hai pensato tu?"
Il secondogenito Hastings annuì "ha detto: «di a Ma petite che mi deve un favore»."
"Lo immaginavo..." bofonchiai.
Stavo per chiudere la porta della mia camera quando Noel la fermò con uno scatto fulmineo del piede.
"Ah e sorellina" proferì ancora sulla soglia "mi fa piacere vedere che ti è ricresciuta la spina dorsale."
"Ho capito che essere gentili, con Wolfe, non serve a niente" borbottai accolta dalla stanchezza di quella serata.
Noel ridacchiò e incrociò le braccia sul petto."Ti darò un premio per averlo capito."
"Quale?"
"Il nome di chi stavano cercando Dorian e Daniel" gongolò, credendo di farmi un favore.
Stanca, rigirai gli occhi al cielo. "Noel, complotto da prima che tu imparassi cosa fosse."
"Quindi lo sai?" Domandò lui strabuzzando gli occhi.
Annuii. "Certo, è Jameson Crommel. Ed io, sta sera, ho incontrato Dom."
Subito dopo gli sbattei la porta in faccia, dovevo riflettere sulle prossime mosse. Su cosa avrebbe comportato il rientro di quel malviventi in città, sul vero motivo per cui Wolfe mi aveva chiesto di denunciare Jameson. Soprattutto sul lupo del Beau Soleil che aveva il mio cuore in mano e, sembrava intenzionato, a stritolarlo nel pugno di ferro.
Mi avrebbe fatto perdere la ragione ed io, come Alice, non volevo andare fra i matti.
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