18. scelte sbagliate
Angolo autrice:
"Ciao bambine."
Il mio tentennamento nello scrivere questo capitolo è indescrivibile. Spero davvero che vi piaccia.
Volevo portare il passato recente e, per ora segreto, di Blake nella sua vita quotidiana.
Ci sono ancora tantissimi segreti da scoprire, assi nelle maniche e carte da giocare. Il segreto di Noel ha in mano molto aspetti.
Vi dico solo che la vera partita non è nemmeno iniziata...
Grazie a chi sta leggendo, se sei arrivata, se sei arrivato, a questo punto: Grazie di cuore.
⭐️Vi chiedo, se la storia vi piace, di supportarla e soprattutto di farmi sapere cosa ne pensate nei commenti.
Vi piacciono i personaggi?
Questo capitolo?
⚠️ Al prossimo, vi avverto, ne vedremo delle belle... avremo anche qualche informazione in più sul Fire e cosa c'entrino i ragazzi.
Una volta il cappellaio matto disse:
"il segreto, cara Alice, è quello di circondarsi da persone che ti facciano sorridere il cuore. Ed è allora, solo allora, che troverai il paese delle meraviglie".
Lewis Carroll.
§§§
Il mio cuore non sorrideva.
Il paese delle meraviglie non mi era mai sembrato così distante. Sebbene la mia vita, un tempo, avesse avuto il potenziale per raggiungerlo.
"Giovani, viziati e ricchi: elite allo sbando." Era solo uno, dei titoli, che avevano riportato i giornali. Nemmeno fra i peggiori.
Eravamo stati travolti, una valanga maestosa ci aveva presi alle spalle, alla sprovvista. Neve fresca nelle vene, ghiaccio nelle vie respiratorie, ipotermia del cuore.
Nessuno di noi avrebbe potuto immaginare tutto quello che sarebbe successo dopo, l'interesse che eravamo stati in grado di catalizzare sulla nostra famigerata famiglia. Alla televisione non si smetteva di parlare delle nostre scelte, del passato che ci portavamo nei bagagli; di quello che sarebbe potuto accadere in futuro con uno di noi alla guida della HB enterprise.
Mentre gli adulti mostravano le loro preoccupazioni, i più giovani ci idolatravano. Strano, no? Avevo scoperto che il "torbido" deteneva un fascino senza paragoni.
"Appena arginiamo un problema, eccone un altro." Sospirò George Wilson, il PR manager che Killian Hastings aveva assunto per curare le nostre relazioni pubbliche. Dicevano che fosse il migliore, che riuscisse a seppellire anche il più pericoloso dei segreti.
"Diventa necessario l'ausilio di una figura competente" aveva detto la mattina, dopo l'esplosione dello scandalo.
Noi non eravamo stati d'accordo, significava solamente avere fra i piedi l'ennesimo ficcanaso curioso. Signorsotuttoio, non era nella lista delle persone che gradivamo conoscere. Se il cda dell'impresa non ci avesse messo alle strette, lo avremmo cacciato.
Ci trovavamo nel suo studio, ad Hollywood. Un grattacielo di ottanta piani, gli ultimi tre erano completamente dedicati alla sua fruttuosa attività di tappabocche-cuciorecchie; la vista delle colline mi riempiva lo sguardo. C'era tranquillità, lassù, mentre ai nostri piedi impazzava una tempesta.
Eravamo troppo numerosi per accomodarci nel suo ufficio, così ci avevano scortati in una sala conferenze, tre pareti su quattro consistevano in ampie vetrate, come il tavolo ellittico a cui eravamo seduti.
"Se rilasciaste una dichiarazione, potremmo almeno mettere a tacere le malelingue. Funziona così. Serve un'ammissione oppure una smentita." Chiarì per la quarantesima volta in due ore.
"Noi non parliamo con i giornalisti e non rilasciamo interviste" sentenziò Wolfe. Il tono di voce lento e ricolmo di un'autorità che un ragazzo non avrebbe dovuto possedere.
Noel fece roteare la sedia girevole, le ruote slittarono sul pavimento liscio andando a sbattere contro il muro color panna. Un sorriso colpevole gli si aprì sul viso.
"Mi annoio" rese noto.
Il Pr manager strinse la mascella e si alzò dalla poltrona.
"Ripulirti la reputazione dovrebbe essere il tuo obiettivo principale!"
"No, era quello di sperimentare la tridimensionalità dell'anima provando diversi tipi di erba. Però ho dovuto smettere, quindi ora non ne ho uno" tossì il terzogenito Hastings. Si divertiva a prenderlo in giro, fino a fargli perdere la ragione.
"Noel, tappati quella bocca. Prima che ti faccia saltare i denti" ringhiò Brooks, seduto a capotavola. Alla sua destra Gabriel, alla sinistra lo zio. Wolfe: assente, almeno psicologicamente. Era rimasto in un meditabondo silenzio per tutta la mattina, a parte per qualche ordine abbaiato qua e là.
George strinse gli occhi a due fessure e puntò lo sguardo sul maggiore degli Hastings.
"Se questo è il vostro modo di parlare fra di voi, non mi stupisco che le conseguenze siano drastiche." Puntualizzò, strofinandosi la punta del naso.
Cole, accanto a me, mi mostrò lo schermo del cellulare, dopo aver mimato con le labbra un: "ne è uscito un altro."
Si trattava di un video su una pagina di gossip chiamata:"Screaming Truths."
Il filmato risaliva a due anni prima, non sapevano nemmeno più cosa inventarsi. Ritraeva me e Wolfe uscire dal Fire, teste basse, occhi spenti, sangue rappreso.
"Signorso... George," Mi corressi. "Ci sono novità" riuscii a dire, allungando il telefono.
Guardò il video con attenzione ed alla fine emise un sospiro.
"Inutile che io vi faccia notare che il vostro stile di vita non è sano, ma se non volete cambiarlo, almeno imparate a nasconderlo. Ricoprite le notizie che vi mettono in cattiva luce con interviste, azioni caritatevoli. Dategli un motivo per parlare bene di voi e smetteranno di accanirsi così tanto." Spiegò con impeto.
"Ci penseremo" proruppi. Avrebbe significato dover dare delle riposte, a me stessa prima che agli altri, non ero pronta.
Il rintocco dell'orologio mise fine alla nostra consulenza mattutina. Mi alzai di scatto dalla sedia e, senza nemmeno porre attenzione a chi avevo attorno, uscii dalla porta. Camminai per i corridoi dello studio, veloce come l'aria che mi usciva dalla bocca.
Inspira, otto secondi, espira. Con i palmi sudati, spintonai le ante che davano sull'ascensore e con il dito tremolante pigiai il bottone per chiamarlo. La mia claustrofobia, sommata al soffocamento causato da tutte quelle attenzioni mediatiche, mi stava trascinando alla deriva.
Chiusi gli occhi, secondo esercizio: visualizzazione. Mare, sole, delfini, mamma e papà.
Ansia latente. No, mamma e papà non funzionavano.
Riprovai: mare, sole, delfini, libri, cioccolata. Inspira, otto secondi, espira. Ansia latente.
Schizzai nell'abitacolo e premetti lo zero. Mentre le porte stavano per chiudersi vennero bloccate da una mano chiazzata da una miriade di piccoli disegni neri, colorati, sottili; l'eleganza di quell'inchiostro che accompagnava il lupo in ogni suo gesto. La sua firma personale.
Non appena i suoi occhi perlustrarono il mio corpo, s'incendiò la stanza. O forse ero io, a bruciare. Le pareti andavano a fuoco, fiamme rosse ed ardenti pronte a divorarmi, divorarci. Erano passione, odio, dolore: benzina per le nostre anime.
"Esci." Ordinai a Wolfe, che invece di ascoltarmi invase il mio spazio.
Non avevamo più parlato dopo la sera del Fire, nemmeno di quello che era successo subito dopo. Ne portavo ancora i segni sul collo, marchi neri e viola grossi quanto la sua bocca. Celati alla vista dei curiosi con due twilly di Hermes.
"Wolfe, voglio che tu vada via" ripetei con più enfasi. Respiro mozzato. Inspira, otto secondi, espira.
Il lupo del Beau Soleil sorrise trionfante.
"Metti fine ai tuoi drammi, bambina."
"Quando tu la smetterai con gli inganni, gli scontri: i gesti folli" cercai di spiegarli mentre il respiro si regolarizzava.
"... I giochi." Continuò lui, tirando le labbra in un ghigno sbilenco. Avvicinando la sua adrenalina al mio radar del pericolo, facendolo scattare.
"Le minacce" terminai.
Wolfe mi prese il viso fra le mani, a coppa mi accarezzavano le guance; tracciavano il percorso dei miei rimpianti. La scia delle lacrime che avevo versato, erano ustioni di terzo grado. Abrasioni.
"Per essere una codarda, devo ammettere che con la lingua ci sai fare. Mi chiedo in quali altri modi tu sappia usarla, bambina." Insinuò con malizia l'idea nella mia testa.
Immaginai le mie ginocchia battere sul pavimento, le mani muoversi e sfregare il tessuto spesso dei suoi pantaloni fino ad arrivare alla cerniera, slacciarla. Lo avrei guardato dal basso, ma con la potenza di chi avrebbe avuto le sue palle nelle mani e poi lo avrei preso con la bocca. Il mio lecca-lecca personale. Pura grazia per chi amava gli zuccheri, come me. Lui mi avrebbe lasciato il controllo, tenendo stretti nelle mani i miei capelli lunghi fino alla vita. Strattonandoli con vigore...
Ma chi prendevo in giro.
"Vorresti scoprirlo, eh?" Lo provocai, lasciando intenzionalmente la bocca semi aperta.
Wolfe mi accarezzò le labbra con il pollice, qualcosa in me si smosse quando con il medio mi serrò le labbra.
"Da quello che vedo, sei tu quella che smania per mostrarmelo."
Intanto le sue dita scostavano le stringhe di stoffa legate al collo. Sciolse i nodi del tessuto pregiato, della mia forza. Quando entrambi caddero per terra, sul pavimento nero come la notte, cadde anche la mia volontà. Precipitò al piano più basso, negli inferi dei peccatori, dei traditori di loro stessi. Era quello che stavo facendo: permettevo a colui che professava vendetta di toccarmi, marchiarmi.
"Affatto." Bisbigliai, il resto della mia voce era stata mangiata dalle fiamme alte.
Le dita di Wolfe accarezzarono le macchie nere, le ecchimosi, che lui stesso mi aveva provocato. La mia schiena si appiattì sulla parete quando lui spinse una gamba fasciata dai jeans fra le mie, nude. Ero avvolta, allo stesso tempo, da un torpore sconosciuto e dalla sensazione di uscire dal mio corpo per mischiarmi con il suo. Eppure sapevo quante verità nascondeva dal mio sguardo, quante bugi mi facesse servire come portate principali. Quelle sul Fire, per esempio o sulla denuncia che voleva che facessi a Jameson Cromell.
La sua bocca si avvicinò al mio orecchio e ci soffiò sopra prima di parlare.
"Da quando sei una pessima bugiarda?"
"Da quando la mia nemesi non è all'altezza." Incalzai.
Un sorriso angelico spazzò via il ghignò crudele. Il pericolo gli era stato tessuto addosso: satana con le ali bianche.
"Perché li nascondi?" Disse, sfiorando con la punta del naso le sue opere pittoresche.
Alzai il viso per costringerlo a fare lo stesso, quel contatto così leggero rischiava di farmi condannare da Dante nel girone dei lussuriosi. Una discesa prediletta per l'inferno.
"Non dovrei?" Chiesi allungando le braccia oltre la sue spalle, cingendogliele come lui era solito fare con la mia vita.
Wolfe sorrise a mezza bocca e disse: "no, non cambierebbe le cose."
"Ti piace essere criptico." Asserii confusa dal calore intenso che sprigionava nel mio basso ventre.
"Sei mia, bambina. Con o senza promemoria sulla pelle" affermò con sicurezza, ricordandomi quello che aveva detto poco tempo prima.
"Il mio dolore." Gli ricordai, mi ricordai.
"Si e le lacrime, il tuo corpo, la tua bocca, i tuoi pensieri. Sono tutti miei, creati apposta per me." Continuò a vaneggiare. Forse, un tempo, gli avrei dato ragione. Sicuramente non potevo contraddirlo.
"Sei un bastardo, Wolfe Hastings" dissi a fior di labbra.
Le sue maniere primitive, congedavano ogni traccia di buon senso di cui fossi dotata. Condannavano il mio cuore a partecipare al gioco del più forte; lo facevano sussultare assieme ai suoi cocci malandati.
Lui ammiccò e fece scivolare una mano sul mio fondoschiena.
"Sarò anche un bastardo, ma tu hai il mio nome schiaffato sul culo."
Non ebbi il tempo di rispondere, di arrabbiarmi o di inveire contro di lui, che le porte scorrevoli dell'ascendere si aprirono. Finalmente l'aria fresca mi entrò nei polmoni.
Riuscii a schiodare il mio corpo addormentato dalla sua presa, dalla parete che sembrava volermi inghiottire, dai miei desideri che ancora m'invadevano le papille gustative. Ispira, otto secondi espira. Non seppi nemmeno più riconoscere l'ansia dalla voglia di seppellirlo, dalla frenesia di offrirmi a lui: su un piatto d'argento.
Wolfe mi prese per il gomito e fermò la mia corsa.
"Ah, ah, bambina" disse fra i miei capelli e allungò una mano davanti a me. I due foulard gli penzolavano dalle dita "hai dimenticato questi."
Appena provai a prenderli lui ritrasse di scatto la mano. Lo guardai torva quando se li mise in tasca.
"Dammeli." Provai, inutilmente, a chiedere.
Lui inforcò gli occhiali da sole, spessi e neri e piegò la testa su un lato, segnale che stava macchiando qualcosa; che un'idea sconclusionata avesse fato capolino tra i suoi pensieri.
"Cosa mi dai in cambio?" insinuò con un sorriso schietto ed una scrollata di spalle, infilandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
Non era l'unico in grado di giocare.
Mi avvicinai, portando il petto a scontarsi con il suo e mi alzai sulle punte, stando bene attenta a strusciare la parte alta del corpo contro la sua.
Il contatto lo destabilizzò abbastanza da permettermi di sfilare gli occhiali dal suo viso corrucciato e di piazzarmeli sul naso.
"Cosa prendo, in cambio, vorrai dire" affermai, rivelando i denti bianchi. Soddisfatta che fosse bastato così poco per metterlo a cuccia.
Wolfe si inumidì le labbra, indugiando sull'angolo sinistro. I miei occhi, nel frattempo, non riuscivano a distaccarsi dalla sua immagine; ingordi perlustravano i confini delle spalle larghe e scendevano fino a scontrarsi con le gambe atletiche. Il colpo di grazia, arrivò quando incrociarono i suoi. Sembrava avesse racchiusa nello sguardo la glacialità del Circolo Polare Artico.
"Attenta, bambina. Il conto da pagare si allunga e quando verrò a riscuoterlo, farà male." La minaccia arrivò forte e chiara, trasportata dalla voce a vibrazione lenta, come il do minore delle corda di una chitarra ancora vibrante.
Decisi di provocarlo, di saggiare la sua insinuazione.
"Mi tremano già le gambe."
"Lo faranno." Promise strizzandomi il fianco.
Sgranai gli occhi e ancora: fuoco contro fuoco. "É ciò che mi auguro."
Wolfe aprì la bocca per un secondo, sgranò gli occhi e poi si spense, serrando le labbra in una linea tesa. Come se fosse stato anche lontanamente possibile, quello che avevo detto, lo aveva, in qualche modo... spiazzato. Le conversazioni a cui doveva essere abituato erano di gran lunga più schiette e dirette di qualche aleatoria insinuazione dovuta dalla malsana voglia di saggiare, a vicenda, la tempra dell'altro.
Alzai gli occhi al cielo e mi voltai verso la porta a vetri, l'agglomerato di giornalisti fuori dal palazzo non vedeva l'ora di potermi accreditare l'ennesima e fasulla liaison.
C'era solo un modo.
"Togliamoci dai guai, canaglia." Dissi, infilandomi sotto il suo braccio destro.
Lui lo appoggiò alla mia spalla e lasciò penzolare la mano proprio sopra il mio seno.
Sorrise sornione e mi riferì ciò che pensava: "è una pessima idea."
"Per questo, dovrebbe piacerti." Confermai con nonchalance e lui dettò marcia e ritmo della nostra passerella verso l'uscita.
Fu il finimondo.
Io e Wolfe sfilammo tra la calca di persone in quella posizione compromettente per entrambi. Fianco a fianco. Il mio collo strillava il suo nome, i suoi polpastrelli reclamavano il possesso del mio corpo. Avrebbero parlato tutti di quello, della principessa e del lupo del Beau Soleil. Un'unione scritta nelle stelle, sole e luna si sovrapponevano per creare un'eclissi.
Il Fire sarebbe finito nel dimenticatoio.
Noi saremmo stati nell'occhio del ciclone.
George aveva detto di dargli un buon motivo per parlare di noi: lo stavamo facendo.
Wolfe aumentò il passo, i paparazzi si muovevano con noi cambiando posizione ogni secondo per avere lo scatto migliore. La sua mano marchiata sfiorò l'orlo della mia gonna, accarezzò l'esterno coscia e risalì più in alto.
"Non dare spettacolo, devono solo avere il dubbio." Bisbigliai mentre ci dirigevamo alla sua auto.
Lui non fece altro che stringere la presa.
"Questa cosa si fa a modo mio." Pronunciò sottile, regalando alla macchietta fotografica un sorriso a mezza bocca.
"Come tutto il resto" ci ricordai infastidita.
§§§
Eravamo in uno dei locali più in voga di Hollywood: l'Oblivion. Un roof top in uno dei palazzi più lussuosi di tutta la città, risalente agli anni d'oro del Jet Set Californiano. Qualsiasi figlio della nobiltà americana o straniero di nuova tiratura dell'ambasciata, si trova lì quella sera.
L'invito proveniva da Babette Aydelotte, una stilista Parigina all'ultimo grido. Avevo fatto la sua conoscenza durante la mia permanenza al collegio e, per quanto io non lo fossi, lei non era una compagnia rispettabile.
Il Pr Manager, signorsotuttoio, aveva insistito che ci presentassimo. Non aveva idea di averci appena mandati a compiere l'ennesimo disastro. Famiglia HB e festa esclusiva erano un combinato disposto di potenzialità atomiche.
Avremmo fatto Boom.
"Babette!" trillai sdolcinata, schioccando un bacio ai lati delle sue guance.
"Ma petite princesse" mia piccola principessa. Mi chiamò, spazzolandosi con le mani i lunghi capelli vaporosi.
Il colore era cambiato, l'ultima volta che l'avevo incontrata, sfoggiava ancora il suo tipico biondo fragola; ora, invece, aveva colorato le punte di un rosa pastello fuori dal comune.
"Ero in trepida attesa, ma petite" disse con la tipica r francese.
"Lui è Noel, gli altri sono Dorian, Daniel..." provai ad indicargli l'agglomerato della mia famiglia che era rimasta sull'entrata. C'erano solo due assenti.
"So chi sono, schiocchina. Lo sa chiunque abbia un telefonò" bisbigliò al mio orecchio. Se avessi dovuto paragonarla a qualcosa, avrei scelto un dolce alle more adornato da una crema di frutti di bosco. Invitante nell'aspetto, deliziosa al sapore.
"Meglio così" borbottai, facendo un cenno agli altri di procedere.
Lei mi prese per mano. Passammo attraverso il locale, allestito dalle sue ultimi creazioni. Chiffon, Tulle, seta pura, applicazioni di diamanti sui corpetti dei mini abiti in raso leggero, bustini placcati in oro, esposti in allarmate teche di vetro.
Dovevo riconoscerle di essere un genio nel suo lavoro. Innata eleganza edulcorata da grinta a granelli. Non considerando l'ottima scelta della location, la modernità della notte incontrava lo sfavillante mondo parigino di Aydelotte.
"Una foto è d'obbligo" mi ammonì nel momento in cui ci trovammo di fronte al Pink Carpet, sullo sfondo il logo del suo brand a grandezza naturale: la sua firma.
"Mégalomane visionnaire" megalomane visionaria, la definii scoccandole un'occhiata obliqua, ma divertita.
"Ne conosco un'altra..." ammiccò Babette, prima di mettersi in posa per la fotografia. Come se negli ultimi giorni i miei occhi non avessero dovuto patire una quantità eccessiva di luci accecanti.
Finito lo shooting improvvisato, Babette mi pizzicò il fianco.
"Ma petite, qui c'è qualcuno per te. Una sorpresina." M'informò con dolcezza, un po' di malizia ed uno sconfinato accento francese.
Senza neanche darmi la possibilità di replicare, mi agguantò la mano e sfrecciò tra gli ospiti. Alcune volte si bloccò per convenevoli e saluti, io mi limitai ad un sorriso tirato e a non sbagliare il loro nomi. Tutto si sarebbe potuto dire di me, meno che fossi una persona socievole.
Appena lo vidi, capii subito a cosa si fosse riferita Babette.
"Atlante!" Trillai dalla gioia quando vidi il principe greco venirmi incontro.
I capelli lunghi fino alle spalle, come preziosa seta color cioccolato, gli occhi profondi e inquisitori sulle sfumature del fondo delle bottiglie. Eleganza, fascino e smodata irrequietezza, lo fasciavano come un guanto su misura.
In un attimo mi trovai stretta tra le sue braccia robuste, il mento con un accenno di barba sui miei capelli. Era una sensazione strana: familiare. Atlante per me era stato il fratello perduto, l'uno il braccio destro dell'altra. Aveva frequentato il Lycée Bordeaux e al mio arrivo, dopo pochi secondi di chiacchiere informali, mi aveva presa sotto la sua ala protettiva. Lasciandomi scoprire le porte nascoste di Parigi, quelle che permettevano di affacciarsi sulla perdizione. La dissolutezza del mio amico non conosceva limiti, né paragoni.
"Pensavo che Hollywood fosse più... movimentata" disse lui come prima cosa.
Gli colpii il bacino con il mio ed ammiccai.
"Non conosci i posti giusti, lascia che ti renda il favore."
Atlante si grattò la punta del mento e scosse la testa. "Nah-ah. Volo su Parigi alla fine di questa soirée. Vuoi unirti a me? L'elicottero ci passa a prendere qui su."
Strinsi le labbra. "Per quanto la tua risposta mi tenti: non posso."
"Blake, i bagagli non sono un problema. Parigi è un armadio ambulante" chiarì lui, dandomi un colpo sulla testa.
"Non è per questo." Gli feci notare con serietà.
Lui arricciò le labbra e assottigliò lo sguardo. "Uh. Ho sentito, qui chiamano scandalosa la quotidianità. Così noioso."
"Andresti d'accordo con Noel" pensai ad alta voce.
"Lo dici sempre." Incalzò lui.
Era vero, due gocce d'acqua separate dalla nascita. Anime dotate di un'indifferenza letale, una capacità innata di frasi scivolare addosso qualsiasi tipo di emozione negativa, di non prendere nulla sul serio. Tutto rappresentava un gioco, troppo entusiasmante per annoiarsi mentre si aspettava il turno successivo.
Atlante fece un celere cenno alle mie spalle con il mento.
"Non girarti" mi intimò, riportando l'attenzione su di me.
"Chi c'è?" Domandai, la sua espressione vigile mi preoccupava.
Lui scrollò il viso, come se non avesse voluto credere ai suoi occhi. Parlò di fetta, preso da una nuova curiosità gioiosa.
"Dal vivo è ancora più bello, le foto non gli rendono giustizia. Glielo devo dire."
"Ma, Atlante, di chi stai parlando?" Chiesi con impeto.
Non si meravigliava mai di nulla, dava per scontato qualsiasi avvenimento accadesse nella sua vita. Troppo abituato ad esaudire i suoi desideri con uno schiocco di dita o la carta di credito. Considerava le persone famose "materiale da cestino" ed i figli dell'aristocrazia come "maggiordomi ingessati."
"Non importa, sta venendo qui. Ha la faccia di chi potrebbe uccidere me e poi legarti al pavimento." Bisbigliò poco prima che un'aura inconfondibile e l'odore di guai, mi arrivassero alle spalle.
"Mi prendi per il culo?" Mimai con la bocca. Tutto quello stupore per la mia nemesi, colui che incarnava la giusta compensazione punitiva al mio peccato, con ineluttabile fatalità.
Atlante sorrise, un'ammissione di colpevolezza celata dietro un viso angelico. Subito dopo tese la mano al presagio peccaminoso che mi albergava dietro la schiena.
"Atlante Arvantis." Disse, aspettando uno scambio di presentazioni.
Wolfe non tirò la sua fuori dalla tasca, ma si limitò a guardarlo dall'alto delle ciglia scure, con fermezza e noncuranza. Reazioni omicide per un catalizzatore di attenzioni come il mio amico. Atlante ritrasse, scioccato, la mano. Nessuno si era mai potuto rivolgere con tanta maleducazione al principe. Peccato che Wolfe fosse il re, di Los Angeles.
"So chi sei e sicuramente sai chi sono io, le presentazioni sono superflue." Decretò il lupo, appoggiandosi con il gomito alla mia spalla.
Atlante gongolò per un momento, pronto dare sfoggio delle sue tecniche esperte per infastidire le persone. Se avesse esagerato, come suo solito, non avrei saputo dire quello in cui ci saremmo andati a cacciare, tutti e tre.
"Sei più indisponente di come ti descrivono, Hastings"
"Tu più basso. Ora che abbiamo constatato che i tabloid possono sbagliare, mi porto via la bambina." Serpeggiò Wolfe, scoccandomi un'occhiata di gelo.
Il principe mi guardò sgranando gli occhi e si portò la mano al cuore con un gesto teatrale.
"Oh Dio. Penso di essermi infatuato." Poi tornò serio e gli rivolse un sorriso affilato "comunque, ma petite, serve a me stasera. Va' a scodinzolare attorno a qualcun altro, lupetto."
Mi voltai fulminea, giusto in tempo per evitare che Wolfe gli azzannasse la giugulare, lasciandolo a farsi un bagno nella pozza del suo sangue. Tutto ciò che dovevamo evitare era un altro scandalo o un disastro diplomatico in prima pagina sul Financial Post.
"Ma che diavolo, Atlante!" Berciai infastidita mentre aprivo i palmi sul petto largo del secondogenito Hastings e mi assicuravo che tenesse le mani a posto: nelle tasche.
Non m'importava se avesse risposto a tono a Wolfe, se lo meritava e qualcuno avrebbe pur dovuto farlo, però il principe sapeva molto bene che mancava un piccolo passo verso il burrone e poi ci saremmo caduti dentro.
"Scherzavo, il lupacchiotto può stare con noi quanto vuole, se deciderà di lasciare i cazzotti per dessert. Per la prima parte, invece: no." Chiarì Atlante con la sfacciataggine di chi sapeva essere intoccabile.
Quando appurai che Wolfe sarebbe rimasto in silenzio e, soprattutto, fermo, dedicai nuovamente al mio amico la mia più completa attenzione.
"Hai detto Nah-ah, volo a Parigi stasera. Cos'è cambiato?" Domandai schietta.
Lui scrollò le spalle e alzò un sopracciglio, gli occhi gli brillarono.
"La tua vita potrebbe essere più interessante di quello che mi aspettassi. Hollywood, forse, è in grado offrirmi delle soddisfazioni."
"Tante grazie." Bofonchiai esasperata.
Solo a quel punto, Wolfe venne fuori dal suo silenzio meditabondo.
"Tu non mi piaci." Sentenziò con freddezza.
Atlante ridacchiò leggero. "Non posso piacere a tutti."
"Ti avviso: è un problema." Continuò il lupo del Beau Soleil, come se non avesse nemmeno ascoltato le parole del principe.
Mi voltai verso di lui, scoccandogli un'occhiata obliqua. Sperai con tutta me stessa che Atlante avesse la premura di rimanere in silenzio. La sua lingua biforcuta non mi sarebbe stata di nessun aiuto.
"Che accidenti ci fai tu ancora qui?" Domandai. Non pensavo nemmeno che si sarebbe presentato ed ora, invece, me lo trovavo alle calcagna come un becchino in attesa che esalassi un ultimo respiro, che facessi un passo falso.
Wolfe sogghignò. "Io sono appena arrivato."
"Deduco di essere stata il tuo primo pensiero, allora" insinuai maliziosamente.
Ridusse gli occhi a due fessure e aprì la bocca.
"A dire il vero, l'ultimo. Dovresti chiedermi cosa ho fatto prima."
Atlante si mise in mezzo, chiarendo l'evidenza. "Traduzione: chi, si è fatto prima."
Una sensazione di bruciore mi strinse la bocca dello stomaco. La chiamavano gelosia, quella tormentosa ansia che, con o senza giustificato motivo, affliggeva i più insicuri.
"E su queste note..." pronunciai con finta noncuranza mentre afferravo il polso di Atlante per svincolarmi da quella conversazione.
Volevo mettere più distanza possibile tra me e Wolfe, ne avevo abbastanza dei suoi trucchetti mentali; dei suoi giochi dell'orrore. Il suo obiettivo finale, il premio che avrebbe ricevuto, sarebbe stato sfinirmi. Prelevare dal mio corpo anche l'ultima goccia di speranza. Scacciarmi una volta per tutte.
Il principe mi dedicò un'occhiata divertita e mi seguì senza fare troppe cerimonie, non prima di voltarsi verso Wolfe e di muovere la mano con un cenno regale.
"Dove stai andando?" Sussultai quando sentii la voce di Brooks entrare nel mio campo uditivo, proprio nel momento in cui oltrepassammo l'uscita.
"Che diavolo, pensavo fossi andato via." Sbottai con la mano di Atlante ancora stretta nella mia. Il maggiore degli Hastings non si curò di mascherare lo sguardo seccato che rivolse al mio amico.
Aggrottò le sopracciglia e irrigidì le spalle. "Sto aspettando il mio fratellino."
Il principe si frappose tra noi con lo sguardo divertito.
"Giusto per capirci, cosa avete fatto prima di venire qui?"
Ridacchiai tra me e me, sapevo che lo stesse chiedendo per soddisfare la curiosità di entrambi, ma al tempo stesso non avrei né voluto, né dovuto, saperlo.
Brooks berciò con disprezzo. "Non vedo perché debbano essere cazzi tuoi."
Lo maledissi con il pensiero e mi chiesi perché gli Hastings dovessero essere sempre detestabili con chiunque avessero trovato sul loro cammino.
Tirai la mano di Atlante e mi mossi verso l'uscita. Brooks m'interruppe di nuovo.
"Peste" pronunciò a fior di labbra "ti ho chiesto dove vai."
"Al Kooka" chiarii con freddezza.
Era sabato sera, tutto il Beau Soleil Institute e il liceo le Rose avrebbero riempito la pista da ballo della famosa discoteca. Oltretutto, avevo ricevuto un invito da parte di un grandioso paio di noccioline gentili, sebbene non gli avessi dato risposta, non trovavo nemmeno una ragione plausibile per non presentarmi.
Brooks sbuffò infastidito.
"Ci vediamo lì" decretò.
"Non volevi andare a casa?" Domandai insospettita.
"Volevo, ma mio fratello darà di matto."
Sorrisi trionfante e gli voltai le spalle: il mio scopo, era proprio quello.
"Ti ripagherò con la stessa moneta, Wolfe Hastings." Pensai.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top